In Iraq settentrionale, in concomitanza con l’avanzata dell’esercito di
Baghdad verso la zona occidentale di Mosul, ancora nelle mani del
sedicente Stato islamico, cresce l’emergenza umanitaria. Sono oltre 300
mila gli sfollati che hanno lasciato la città dall’ottobre scorso,
quando è iniziata l'offensiva. Il numero dei profughi, secondo l’Onu, è
destinato a crescere. Sulla situazione, che coinvolge la popolazione
cristiana, ma non solo, Giancarlo La Vella ha intervistato Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre:
I cristiani condividono questo dramma con tutte le minoranze religiose dal 2014, cioè dall’arrivo dello Stato Islamico. Attualmente, a Mosul, non ci risultano essere ancora dei cristiani. Sostanzialmente da Mosul i cristiani erano fuggiti tutti, salvo alcune rarissime eccezioni, nel giugno 2014. Ci risulta ora una grande fuga di massa. Io ho avuto modo anche di riscontrarla personalmente, quando i primi giorni di marzo sono stato lì, nei pressi di Mosul, nella Piana di Ninive a 7-8 chilometri dalla stessa città: abbiamo avuto modo di vedere da vicino gli enormi campi di prima accoglienza predisposti da tante organizzazioni di carità per decine di migliaia di civili in fuga da Mosul. Queste sono le ore più drammatiche, l’azione forse sta raggiungendo il suo momento topico. I reporter ci raccontano momenti di intensa drammaticità con i civili utilizzati come scudi umani. A noi tutti, all’Occidente come sempre e alle organizzazioni di carità compete il compito di dare accoglienza a chi sta fuggendo.
C’è la speranza di ritornare a Mosul nelle proprie abitazioni, un po’ come è successo in parte per le altre zone liberate?
E’ troppo presto per poter dire qualunque cosa a riguardo. A Mosul ancora si combatte. Salutiamo piuttosto con grandissima gioia l’accordo raggiunto tra la Chiesa caldea, la Chiesa siro-cattolica e la Chiesa siro-ortodossa alla base del quale, finalmente, possiamo partire adesso con gli aiuti, perché i cristiani innanzitutto possano tornare nei loro villaggi della Piana di Ninive.
Che supporto si riesce a dare a questi 300 mila in fuga e non parlo solo di supporti materiali?
I supporti materiali però adesso sono la prima necessità, perché nei supporti materiali c’è un riparo, nei supporti materiali c’è l’alimentazione, ci sono le medicine. Noi ci stiamo dedicando adesso a quella comunità di cristiani che ad Erbil, ancora, da due anni e mezzo, vive o in container, ma soprattutto negli appartamenti presi in affitto. Ho visto diverse organizzazioni di beneficienza a Erbil letteralmente impegnate nella predisposizione di questi campi di accoglienza. Credo che adesso bisogna dare loro quel conforto materiale e psicologico - sono soprattutto musulmani - perché superino un trauma indicibile. Perché quello che si è visto e quello che raccontiamo, che raccontate, anche voi di Radio Vaticana, è veramente qualcosa di incredibile, di inumano, che non trova mai parole adeguate nella descrizione. Lì sono precipitati nell’Inferno e adesso bisogna dare una mano a tutti per poter uscire da questa assurda situazione.
I cristiani condividono questo dramma con tutte le minoranze religiose dal 2014, cioè dall’arrivo dello Stato Islamico. Attualmente, a Mosul, non ci risultano essere ancora dei cristiani. Sostanzialmente da Mosul i cristiani erano fuggiti tutti, salvo alcune rarissime eccezioni, nel giugno 2014. Ci risulta ora una grande fuga di massa. Io ho avuto modo anche di riscontrarla personalmente, quando i primi giorni di marzo sono stato lì, nei pressi di Mosul, nella Piana di Ninive a 7-8 chilometri dalla stessa città: abbiamo avuto modo di vedere da vicino gli enormi campi di prima accoglienza predisposti da tante organizzazioni di carità per decine di migliaia di civili in fuga da Mosul. Queste sono le ore più drammatiche, l’azione forse sta raggiungendo il suo momento topico. I reporter ci raccontano momenti di intensa drammaticità con i civili utilizzati come scudi umani. A noi tutti, all’Occidente come sempre e alle organizzazioni di carità compete il compito di dare accoglienza a chi sta fuggendo.
C’è la speranza di ritornare a Mosul nelle proprie abitazioni, un po’ come è successo in parte per le altre zone liberate?
E’ troppo presto per poter dire qualunque cosa a riguardo. A Mosul ancora si combatte. Salutiamo piuttosto con grandissima gioia l’accordo raggiunto tra la Chiesa caldea, la Chiesa siro-cattolica e la Chiesa siro-ortodossa alla base del quale, finalmente, possiamo partire adesso con gli aiuti, perché i cristiani innanzitutto possano tornare nei loro villaggi della Piana di Ninive.
Che supporto si riesce a dare a questi 300 mila in fuga e non parlo solo di supporti materiali?
I supporti materiali però adesso sono la prima necessità, perché nei supporti materiali c’è un riparo, nei supporti materiali c’è l’alimentazione, ci sono le medicine. Noi ci stiamo dedicando adesso a quella comunità di cristiani che ad Erbil, ancora, da due anni e mezzo, vive o in container, ma soprattutto negli appartamenti presi in affitto. Ho visto diverse organizzazioni di beneficienza a Erbil letteralmente impegnate nella predisposizione di questi campi di accoglienza. Credo che adesso bisogna dare loro quel conforto materiale e psicologico - sono soprattutto musulmani - perché superino un trauma indicibile. Perché quello che si è visto e quello che raccontiamo, che raccontate, anche voi di Radio Vaticana, è veramente qualcosa di incredibile, di inumano, che non trova mai parole adeguate nella descrizione. Lì sono precipitati nell’Inferno e adesso bisogna dare una mano a tutti per poter uscire da questa assurda situazione.