By Korazim
Simone Baroncia
Milizie armate ‘spontanee’ e gruppi paramilitari impegnati nella lotta contro i jihadisti dell’auto-proclamato Stato islamico (Daesh) sono responsabili di saccheggi, devastazioni e roghi di interi quartieri in almeno quattro villaggi nelle aree adiacenti a Mosul, azioni perpetrate dopo che le cittadine erano state ormai abbandonate dalle milizie del Califfato.
Simone Baroncia
Milizie armate ‘spontanee’ e gruppi paramilitari impegnati nella lotta contro i jihadisti dell’auto-proclamato Stato islamico (Daesh) sono responsabili di saccheggi, devastazioni e roghi di interi quartieri in almeno quattro villaggi nelle aree adiacenti a Mosul, azioni perpetrate dopo che le cittadine erano state ormai abbandonate dalle milizie del Califfato.
E’ lo scenario di un report di Human Rights Watch (HRW), che ha
incrociato i racconti di molti testimoni oculari, e servendosi anche del
riscontro di foto satellitari delle aree interessate, ha verificato che
a saccheggiare e devastare interi quartieri delle città da poco
sottratte al controllo del Daesh sono stati proprio gruppi armati e
milizie di ‘auto-protezione popolare’ che adesso rivendicano il ruolo
avuto nella campagna di ‘liberazione’ dall’occupazione jihadista.
I saccheggi e le devastazioni sarebbero avvenuti tra novembre 2016 e
febbraio 2017, senza apparente giustificazione dal punto di vista
militare. Tra i gruppi indicati come responsabili di saccheggi e
distruzioni, a giudizio di Human Rights Watch, ci sarebbero anche le
forze di mobilitazione popolare conosciute come Hashd al-Sha’abi, unità
che accreditano contatti diretti con il primo ministro iracheno Haydar
al-Abadi. A sud-ovest di Mosul, Human Rights Watch ha documentato
saccheggi ed estesa demolizione di edifici in tre villaggi anche
attraverso l’uso di esplosivi e bulldozer.
Tra le città saccheggiate dopo la ritirata di Daesh c’è anche il
villaggio di Qaraqosh, che prima di cadere in mano ai jihadisti era
abitato interamente da cristiani, e quello misto cristiano-sunnita di
al-Khidir. Nel report di HRW si indicano anche le Unità di protezione
della Piana di Ninive, formate in parte da cristiani assiri, tra i
gruppi militari di auto-protezione responsabili del controllo di tali
villaggi, dopo che essi sono stati abbandonati dai jihadisti.
Testimoni ascoltati da HRW, che avevano potuto visitare le proprie
case nelle cittadine abbandonate già a novembre dai miliziani di Daesh,
hanno confermato di aver ritrovato a febbraio le loro case saccheggiate o
distrutte. Inoltre da Qaraqosh e da altri villaggi della Piana di
Ninive, circa 60.000 cristiani locali erano fuggiti precipitosamente
nella notte tra il 6 ed il 7 agosto 2014, quando l’esercito curdo
Peshmerga si era improvvisamente ritirato davanti all’avanzare delle
milizie dell’autoproclamato Stato Islamico.
Inoltre Amnesty International ha denunciato come decenni di forniture
mal regolamentate di armi all’Iraq e gli scarsi controlli sul terreno
abbiano messo a disposizione del gruppo armato che si è denominato
‘Stato islamico’ un ampio e mortale arsenale, usato per compiere crimini
di guerra e crimini contro l’umanità su scala massiccia nello stesso
Iraq e in Siria.
Basandosi sull’analisi, da parte di esperti, di migliaia di video e
immagini di cui è stata verificata l’autenticità, il rapporto di Amnesty
International ha spiegato come il gruppo armato stia usando armi, in
larga parte prelevate dai depositi militari iracheni, concepite e
prodotte in almeno 25 paesi compresi Russia, Cina, Usa e alcuni stati
dell’Unione europea, come ha commentato Patrick Wilcken, ricercatore su
controlli sulle armi, commerci di materiali di sicurezza e violazioni
dei diritti umani di Amnesty International:
“La quantità e la varietà delle armi usate dallo ‘Stato islamico’ è
l’esempio da manuale di come commerci irresponsabili di armi alimentino
atrocità di massa. La scarsa regolamentazione e la mancata supervisione
sull’immenso afflusso di armi in Iraq a partire da decenni fa sono state
la manna dal cielo per lo ‘Stato islamico’ e altri gruppi armati, che
si sono trovati a disposizione una potenza di fuoco senza precedenti”.
Secondo Amnesty International la quantità e qualità delle armi nelle
mani dello ‘Stato islamico’ è la conseguenza di decenni di trasferimenti
irresponsabili di armi all’Iraq e dei molteplici fallimenti nel gestire
le importazioni di armi e introdurre meccanismi di monitoraggio, a
partire dall’occupazione militare del 2003, per evitare che quel
materiale finisse nelle mani sbagliate. La carenza di sorveglianza dei
depositi militari e l’endemica corruzione mostrata dai vari governi
iracheni hanno contribuito ad aggravare la situazione.
La maggior parte delle armi convenzionali usate oggi dallo ‘Stato
islamico’ risale al periodo che va dagli anni Settanta agli anni Novanta
e comprende pistole, rivoltelle e altre armi leggere, mitragliatrici,
armi anti-carro, mortai e altra artiglieria. Assai utilizzati sono i
fucili simili ai kalashnikov dell’era sovietica, prodotti principalmente
in Russia e Cina.
Il rapporto di Amnesty International ripercorre la lunga storia della
proliferazione delle armi in Iraq e la complessa catena di rifornimento
che molto probabilmente ha portato alcune delle più recenti forniture
nelle mani dello ‘Stato islamico’. I depositi iracheni si sono riempiti
di armi alla fine degli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta,
soprattutto nel contesto della guerra con l’Iran, un fattore
determinante per lo sviluppo del moderno mercato globale delle armi:
almeno 34 paesi fornirono armi all’Iraq, ma 28 di questi le inviarono
anche all’Iran. Nel frattempo, l’allora presidente iracheno Saddam
Hussein dirigeva lo sviluppo di una fiorente industria delle armi in
grado di produrre armi leggere, mortai e pezzi d’artiglieria.
Links by Baghdadhope
Human rights Watch: Iraq: Looting, Destruction by Forces Fighting ISIS
Links by Baghdadhope
Human rights Watch: Iraq: Looting, Destruction by Forces Fighting ISIS
Amnesty International: Iraq: Turning a blind eye: The arming of the Popular Mobilization Units