"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

5 aprile 2017

HRW: bruciati i villaggi cristiani della Piana di Ninive

By Korazim
Simone Baroncia

Milizie armate ‘spontanee’ e gruppi paramilitari impegnati nella lotta contro i jihadisti dell’auto-proclamato Stato islamico (Daesh) sono responsabili di saccheggi, devastazioni e roghi di interi quartieri in almeno quattro villaggi nelle aree adiacenti a Mosul, azioni perpetrate dopo che le cittadine erano state ormai abbandonate dalle milizie del Califfato.
E’ lo scenario di un report di Human Rights Watch (HRW), che ha incrociato i racconti di molti testimoni oculari, e servendosi anche del riscontro di foto satellitari delle aree interessate, ha verificato che a saccheggiare e devastare interi quartieri delle città da poco sottratte al controllo del Daesh sono stati proprio gruppi armati e milizie di ‘auto-protezione popolare’ che adesso rivendicano il ruolo avuto nella campagna di ‘liberazione’ dall’occupazione jihadista.
I saccheggi e le devastazioni sarebbero avvenuti tra novembre 2016 e febbraio 2017, senza apparente giustificazione dal punto di vista militare. Tra i gruppi indicati come responsabili di saccheggi e distruzioni, a giudizio di Human Rights Watch, ci sarebbero anche le forze di mobilitazione popolare conosciute come Hashd al-Sha’abi, unità che accreditano contatti diretti con il primo ministro iracheno Haydar al-Abadi. A sud-ovest di Mosul, Human Rights Watch ha documentato saccheggi ed estesa demolizione di edifici in tre villaggi anche attraverso l’uso di esplosivi e bulldozer.

Tra le città saccheggiate dopo la ritirata di Daesh c’è anche il villaggio di Qaraqosh, che prima di cadere in mano ai jihadisti era abitato interamente da cristiani, e quello misto cristiano-sunnita di al-Khidir. Nel report di HRW si indicano anche le Unità di protezione della Piana di Ninive, formate in parte da cristiani assiri, tra i gruppi militari di auto-protezione responsabili del controllo di tali villaggi, dopo che essi sono stati abbandonati dai jihadisti.
Testimoni ascoltati da HRW, che avevano potuto visitare le proprie case nelle cittadine abbandonate già a novembre dai miliziani di Daesh, hanno confermato di aver ritrovato a febbraio le loro case saccheggiate o distrutte. Inoltre da Qaraqosh e da altri villaggi della Piana di Ninive, circa 60.000 cristiani locali erano fuggiti precipitosamente nella notte tra il 6 ed il 7 agosto 2014, quando l’esercito curdo Peshmerga si era improvvisamente ritirato davanti all’avanzare delle milizie dell’autoproclamato Stato Islamico.

Inoltre Amnesty International ha denunciato come decenni di forniture mal regolamentate di armi all’Iraq e gli scarsi controlli sul terreno abbiano messo a disposizione del gruppo armato che si è denominato ‘Stato islamico’ un ampio e mortale arsenale, usato per compiere crimini di guerra e crimini contro l’umanità su scala massiccia nello stesso Iraq e in Siria.
Basandosi sull’analisi, da parte di esperti, di migliaia di video e immagini di cui è stata verificata l’autenticità, il rapporto di Amnesty International ha spiegato come il gruppo armato stia usando armi, in larga parte prelevate dai depositi militari iracheni, concepite e prodotte in almeno 25 paesi compresi Russia, Cina, Usa e alcuni stati dell’Unione europea, come ha commentato Patrick Wilcken, ricercatore su controlli sulle armi, commerci di materiali di sicurezza e violazioni dei diritti umani di Amnesty International:
“La quantità e la varietà delle armi usate dallo ‘Stato islamico’ è l’esempio da manuale di come commerci irresponsabili di armi alimentino atrocità di massa. La scarsa regolamentazione e la mancata supervisione sull’immenso afflusso di armi in Iraq a partire da decenni fa sono state la manna dal cielo per lo ‘Stato islamico’ e altri gruppi armati, che si sono trovati a disposizione una potenza di fuoco senza precedenti”.
Secondo Amnesty International la quantità e qualità delle armi nelle mani dello ‘Stato islamico’ è la conseguenza di decenni di trasferimenti irresponsabili di armi all’Iraq e dei molteplici fallimenti nel gestire le importazioni di armi e introdurre meccanismi di monitoraggio, a partire dall’occupazione militare del 2003, per evitare che quel materiale finisse nelle mani sbagliate. La carenza di sorveglianza dei depositi militari e l’endemica corruzione mostrata dai vari governi iracheni hanno contribuito ad aggravare la situazione.
La maggior parte delle armi convenzionali usate oggi dallo ‘Stato islamico’ risale al periodo che va dagli anni Settanta agli anni Novanta e comprende pistole, rivoltelle e altre armi leggere, mitragliatrici, armi anti-carro, mortai e altra artiglieria. Assai utilizzati sono i fucili simili ai kalashnikov dell’era sovietica, prodotti principalmente in Russia e Cina.
Il rapporto di Amnesty International ripercorre la lunga storia della proliferazione delle armi in Iraq e la complessa catena di rifornimento che molto probabilmente ha portato alcune delle più recenti forniture nelle mani dello ‘Stato islamico’. I depositi iracheni si sono riempiti di armi alla fine degli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta, soprattutto nel contesto della guerra con l’Iran, un fattore determinante per lo sviluppo del moderno mercato globale delle armi: almeno 34 paesi fornirono armi all’Iraq, ma 28 di questi le inviarono anche all’Iran. Nel frattempo, l’allora presidente iracheno Saddam Hussein dirigeva lo sviluppo di una fiorente industria delle armi in grado di produrre armi leggere, mortai e pezzi d’artiglieria.

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Human rights Watch: Iraq: Looting, Destruction by Forces Fighting ISIS