"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

28 aprile 2016

Mar Ignatius Joseph Younan III e Monsignor Basel Yaldo: Aiutateci a sopravvivere

By Il Nostro Tempo (Arcidiocesi di Torino) 


Il grido d’allarme del Patriarca siro-cattolico di Antiochia e del Vescovo di Baghdad per i cristiani perseguitati, lanciato a Torino al convegno de «il nostro tempo». Le responsabilità dell’Occidente, stop al mercato delle armi.
 
Papa Francesco, durante la sua visita apostolica di luglio scorso in Bolivia, ha deplorato il genocidio dei cristiani: «Oggi», ha detto il Pontefice, «siamo costernati per vedere come in Medio Oriente e in altre parti del mondo molti dei nostri fratelli e sorelle sono perseguitati, torturati e uccisi per la loro fede in Gesù. È una forma di genocidio in atto che stiamo vivendo, e deve finire».
Proprio due settimane fa ritornavo dalla mia decima visita in Iraq. In Kurdistan, regione autonoma nel nord del Paese, ho potuto incontrare migliaia delle nostre famiglie siro-cattoliche, che vivono in piccole case prefabbricate e in edifici in disuso. In angusti appartamenti affollati vivono anche due, tre o più famiglie. Quando in giugno e agosto 2014 furono sradicate dalle loro case di Mosul e della Piana di Niniveh, le famiglie siro-cattoliche erano circa 11 mila. Oggi il loro numero si avvicina alle 7 mila. Dove sono andate? Più di 2 mila famiglie sono già in Libano, altre in Giordania e quasi 700 famiglie sono fuggite in Turchia. Migliaia di altre persone hanno traversato mari e oceani cercando pace e dignità.
In quell’orrendo esodo del 2014, tutta una diocesi del Nord d’Iraq fu sradicata dalle frange terroristiche dello Stato islamico. Un arcivescovo, 34 sacerdoti e religiosi, più di 50 suore e 45 mila dei fedeli furono sradicati bruscamente; nella lugubre notte del 6-7 agosto 18 chiese e un monastero risalente al quinto secolo furono preda dei terroristi, e lo sono ancora. Il morale di questa povera gente, sfrattata con violenza dalla loro terra, non riesce a risollevarsi.
La loro domanda è sempre la stessa: «Patriarca, ritorneremo mai nelle nostre case?». Potranno mai ritornare davvero a casa? Secondo le ultime previsioni non sono più di 250 mila i cristiani rimasti in Iraq, meno del 25 per cento del numero stimato vent’anni fa.
Lo scorso 18 aprile sono stato a visitare la città di Al-Qaryatain, che è stata liberata dallo Stato islamico coll’intervento dell’esercito nazionale siriano e le forze aeree russe. In quella stessa città di fantasmi, perchè orribilmente distrutta, il nostro monastero di Sant’Elian è stato raso al suolo. Una simile sorte hanno subito le nostre due chiese parrocchiali. Padre Jacques Mourad, rettore del monastero e parroco, era già stato rapito dagli islamisti lo scorso maggio. Ma dopo quattro mesi, con l’aiuto divino, è stato liberato e sta ora recuperando le forze in Italia. 
Spesso noi sentiamo i nostri confratelli cattolici che ci domandano: cosa fare? come possiamo aiutare voi cristiani dell’Iraq e la Siria? Ecco il mio appello alla coscienza dei leader occidentali e dei media: è ora che vi attiviate per libertà religiosa delle comunità cristiane e le altre minoranze che lottano per la sopravvivenza nei loro Paesi d'origine. Occorre fermare il flusso delle armi ai gruppi jihadisti in Siria e in Iraq, mettendo fine all’invio di armamenti ai cosiddetti gruppi di “opposizione moderata” che finiscono per allearsi coi terroristi. Il presidente degli Usa Barack Obama un anno fa ha confessato che «l'opposizione moderata in Siria è semplicemente una fantasia». Allo stesso modo, è più urgente impedire il finanziamento di quelle organizzazioni terroristiche da parte dei più fanatici e radicali tra i sunniti wahabiti” degli Stati del Golfo, soprattutto l’Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati del Golfo e la Turchia. Continuare a parlare di Iran come promotore del terrorismo nella regione è un modo per ignorare il problema e rinviare le soluzioni. Vi preghiamo, aiutateci a sopravvivere nei Paesi degli antenati.