By Asia News
L’Iraq ha raggiunto “il momento più basso” nella storia del Paese, anche se “non possiamo dire di aver toccato il fondo”, perché vi è il rischio che “la situazione precipiti sempre più”. È il grido d’allarme affidato ad AsiaNews da mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare dei caldei a Baghdad, che conferma i timori di analisti ed esperti secondo cui questo “è il periodo peggiore” della storia moderna dell’Iraq. Quantomeno dall’inizio del nuovo millennio a partire dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003. “Nessuno riesce davvero a capire cosa stia succedendo - prosegue il prelato - e nemmeno a prevedere cosa accadrà nel futuro”.
Ieri il Parlamento irakeno ha approvato un (parziale) rimpasto della squadra di governo, accogliendo alcune delle proposte avanzate dal Primo Ministro Haider al-Abadi. Cinque i dicasteri interessati: Sanità, Lavoro e affari sociali, Risorse idriche, Elettricità, Istruzione superiore. Il piano di riforme proposto dal premier ha registrato la strenua opposizione di blocchi politici e gruppi in seno al Parlamento, che chiedono le dimissioni dell’esecutivo.
Se all’interno dell’aula un blocco si oppone alle riforme, in piazza centinaia di migliaia di manifestanti imbeccati dal leader sciita Muqtada al-Sadr chiedono all’esecutivo maggior forza e decisione nel cammino del cambiamento. Negli ultimi mesi a Baghdad sono aumentate le forme di dissenso pubblico e le manifestazioni di piazza contro politica e istituzioni dello Stato - esecutivo e Parlamento - incapaci di arginare la diffusione della corruzione.
Negli anni il sistema politico irakeno, basato sul clientelismo, ha favorito la diffusione di una corruzione ormai endemica, che ha svuotato le risorse economiche già prosciugate dal calo dei proventi del petrolio. A questo si uniscono i costi della lotta contro lo Stato islamico (SI) e altri movimenti jihadisti.
Per questo i cittadini chiedono riforme strutturali serie, che siano in grado di contrastare il fenomeno della corruzione, e pene più severe contro funzionari o pubblici ufficiali coinvolti in episodi di malaffare. Il timore è che la - legittima - protesta di piazza dei cittadini venga manipolata da al Sadr (e dall’alleato iraniano) per giochi politici interni.
Mons. Warduni racconta di una popolazione “molto stanca” per mancanza di lavoro, di risorse, di prospettive. “Un Paese ricchissimo - sottolinea - oggi è diventato poverissimo. Si dice che questa sia la terra del petrolio, ma che utilità ha per noi oggi se non abbiamo nemmeno il carburante da mettere nei generatori. Sarebbe meglio non averlo - prosegue - perché è da qui che partono le nostre sofferenze… tutti vogliono il nostro petrolio, tutti vogliono le nostre ricchezze”.
Per mons. Warduni la realtà politica e istituzionale irakena è “un caos” nella quale “le opinioni cambiano ogni due ore”; egli giudica al contempo inopportuna l’intromissione di capi religiosi e potenze straniere (Europa, Stato Uniti) nelle questioni interne, che alimentano ancor più la confusione. “Serve la pace - sottolinea il prelato - e una lotta seria al traffico e alla vendita di armi. Non è vero che non si può fare nulla; anche voi cristiani d’Occidente, dove siete in questo anno della Misericordia? L’Iraq e i fedeli della nostra terra hanno bisogno di voi”.
Criticità e pericoli emergono anche nell’analisi del parlamentare cristiano Yonadam Kanna, leader dell'Assyrian Democratic Movement, membro della Commissione parlamentare sul Lavoro e gli affari sociali. Per salvare l’Iraq, spiega ad AsiaNews, è essenziale “restare uniti”, tutte le varie anime del Paese devono “combattere la medesima battaglia” contro obiettivi “comuni” come lo Stato islamico (SI) e la corruzione.
Egli non risparmia critiche a quella parte del Parlamento che con “urla, rumori e insulti al premier e al presidente” ostacola le riforme e il cambiamento. “L’Iraq è lacerato dai molti problemi - conclude il deputato cristiano - che non possiamo risolvere da soli, anche perché coinvolgono l’intera regione e le grandi potenze. Serve un comitato internazionale, sotto la guida delle Nazioni Unite, per trovare una soluzione nell’ambito costituzionale che garantisca pace e sicurezza, appianando gli scontri in corso fra sunniti e sciiti, fra Baghdad ed Erbil per citarne alcuni”. Infine, a livello regionale, serve maggiore collaborazione fra le nazioni dell’area, arrivando a un punto di “unità e comprensione reciproca”. “Arabia Saudita e Turchia da una parte e l’Iran dall’altra - conclude - devono trovare pure loro un’intesa, perché la situazione di conflitto ha un riflesso sull’Iraq”.