By Radiovaticana
È stata inaugurata in tempo per l’inizio del nuovo anno scolastico la scuola elementare per bambini sfollati cristiani e yazidi nel campo profughi di Ashti a Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno. Finanziato dalla Cooperazione italiana, il progetto è stato realizzato da “Un ponte per”, l’Associazione italiana che opera in Iraq da oltre 25 anni a favore delle popolazioni colpite dalla guerra. “Una scuola fatta con un sistema di prefabbricati che poi potrà essere spostata in base ai bisogni”: così ha spiegato da Erbil il direttore di “Un ponte per”, Domenico Chirico, al microfono di Maria Caterina Bombarda:
L’anno scorso, le persone che sono fuggite dalla comunità yazide e cristiane, soprattutto da Qaraqosh – questa grande enclave cristiana a 30 km da Mosul, dove abitavano 60 mila cristiani e dove noi di “Un ponte per” lavoravamo da molti anni – sono venute in parchi pubblici e in alloggi di fortuna qui ad Erbil. Dopo di che, per fortuna, dopo un anno sono stati creati dei campi per accoglierli, sono stati utilizzati dei palazzi abbandonati per dargli riparo, sicuramente meglio delle tende o situazioni precarie. In uno di questi campi, quello di Ashti, vivono tremila persone, per la maggioranza cristiane fuggite da questa enclave molto grande di Qaraqosh. Gli stessi padri con cui noi abbiamo lavorato per le distribuzioni degli aiuti di emergenza ci hanno detto: “Guardate, noi abbiamo un grande problema: qui a Erbil c’è una scuola pubblica frequentata da 700 bambini, ci hanno comunicato quest’anno non potranno più andare a scuola”. Noi ci siamo subito attivati con la cooperazione italiana per fare in modo di creare una scuola mobile per questi bambini e per metterli in condizione di poter andare a scuola già dalla prossima settimana, quando qui ad Erbil comincerà l’anno scolastico. Quindi, il progetto nasce da un bisogno immediato, perché a luglio hanno saputo che sarebbero stati cacciati di fatto dalla scuola pubblica locale e noi ci siamo adoperati per costruire una scuola fatta con un sistema di prefabbricati che poi potrà essere spostata in base ai bisogni, quindi potrà essere smontata e rimontata dove e se sarà necessario. Devo dire che questo è stato un lavoro di cooperazione in collaborazione con il Ministero degli esteri andato a buon fine. I religiosi che gestiscono il campo si sono adoperati per fare in modo che tutto quello che noi non siamo riusciti a portare arrivasse: chi ha portato banchi, chi ha donato zainetti per i bambini con tutto il materiale scolastico… E' stato un bellissimo lavoro di rete.Qual è ora il problema per gli sfollati?Dopo un anno dall’invasione della piana di Ninive da parte dello Stato islamico, queste persone hanno bisogno di poter aver un’integrazione, un’accoglienza. Non è più emergenza, è passato un anno e moltissimi vogliono andare in Europa. Quindi, è necessario impegnarci a garantire a quelli che si trovano qui una vita decente, dargli un minimo di normalità anche in questa situazione di sfollamento terribile per loro, perché comunque i cristiani - voi sapete - erano un milione e duecento mila nel 2003, oggi sono 400 mila.Come hanno accolto questo nuovo progetto? Qual è il sentire della gente?Il sentire generale e di sofferenza, nel senso che la scuola è una garanzia di stabilità importante: i 700 bambini andranno a scuola e avranno dei locali decenti. Quindi, questo dà soprattutto ai bambini che sono molto più resilienti degli adulti, una gioia quotidiana. Ovviamente, però, c’è un’enorme sofferenza di fondo più negli adulti che nei bambini in realtà: quella di non sapere quale sarà il loro futuro.Quali altre attività state facendo nel campo di sfollamento?
Noi facciamo anche un servizio d’informazione su quelli che sono i servizi i diritti. C’è un nostro team composto da persone del campo che va in giro e li informa su una serie di servizi che sono a disposizione degli sfollati qui nel Kurdistan iracheno. Quindi, noi facciamo in modo che arrivino le informazioni giuste: da dove registrarsi per le nascite, dove fare i documenti, dove risolvere i tanti piccoli problemi quotidiani per chi ha perso tutto. Noi ci occupiamo di dare questo servizio di informazione. Poi, abbiamo anche un servizio di assistenza psicologica, psicosociale a vari livelli: gioco per i bambini, attività ricreative e capacità di identificare i traumi. Se c’è qualcuno che i ha dei traumi molto forti, cerchiamo di riferirlo alle strutture idonee: psicologi o psichiatri quando c’è un problema di salute mentale. Il nostro lavoro specifico come “Un ponte per” si muove intorno a questi canali senza escludere che quando ci sono dei problemi molto specifici cerchiamo di adoperarci il più possibile.
È stata inaugurata in tempo per l’inizio del nuovo anno scolastico la scuola elementare per bambini sfollati cristiani e yazidi nel campo profughi di Ashti a Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno. Finanziato dalla Cooperazione italiana, il progetto è stato realizzato da “Un ponte per”, l’Associazione italiana che opera in Iraq da oltre 25 anni a favore delle popolazioni colpite dalla guerra. “Una scuola fatta con un sistema di prefabbricati che poi potrà essere spostata in base ai bisogni”: così ha spiegato da Erbil il direttore di “Un ponte per”, Domenico Chirico, al microfono di Maria Caterina Bombarda:
L’anno scorso, le persone che sono fuggite dalla comunità yazide e cristiane, soprattutto da Qaraqosh – questa grande enclave cristiana a 30 km da Mosul, dove abitavano 60 mila cristiani e dove noi di “Un ponte per” lavoravamo da molti anni – sono venute in parchi pubblici e in alloggi di fortuna qui ad Erbil. Dopo di che, per fortuna, dopo un anno sono stati creati dei campi per accoglierli, sono stati utilizzati dei palazzi abbandonati per dargli riparo, sicuramente meglio delle tende o situazioni precarie. In uno di questi campi, quello di Ashti, vivono tremila persone, per la maggioranza cristiane fuggite da questa enclave molto grande di Qaraqosh. Gli stessi padri con cui noi abbiamo lavorato per le distribuzioni degli aiuti di emergenza ci hanno detto: “Guardate, noi abbiamo un grande problema: qui a Erbil c’è una scuola pubblica frequentata da 700 bambini, ci hanno comunicato quest’anno non potranno più andare a scuola”. Noi ci siamo subito attivati con la cooperazione italiana per fare in modo di creare una scuola mobile per questi bambini e per metterli in condizione di poter andare a scuola già dalla prossima settimana, quando qui ad Erbil comincerà l’anno scolastico. Quindi, il progetto nasce da un bisogno immediato, perché a luglio hanno saputo che sarebbero stati cacciati di fatto dalla scuola pubblica locale e noi ci siamo adoperati per costruire una scuola fatta con un sistema di prefabbricati che poi potrà essere spostata in base ai bisogni, quindi potrà essere smontata e rimontata dove e se sarà necessario. Devo dire che questo è stato un lavoro di cooperazione in collaborazione con il Ministero degli esteri andato a buon fine. I religiosi che gestiscono il campo si sono adoperati per fare in modo che tutto quello che noi non siamo riusciti a portare arrivasse: chi ha portato banchi, chi ha donato zainetti per i bambini con tutto il materiale scolastico… E' stato un bellissimo lavoro di rete.Qual è ora il problema per gli sfollati?Dopo un anno dall’invasione della piana di Ninive da parte dello Stato islamico, queste persone hanno bisogno di poter aver un’integrazione, un’accoglienza. Non è più emergenza, è passato un anno e moltissimi vogliono andare in Europa. Quindi, è necessario impegnarci a garantire a quelli che si trovano qui una vita decente, dargli un minimo di normalità anche in questa situazione di sfollamento terribile per loro, perché comunque i cristiani - voi sapete - erano un milione e duecento mila nel 2003, oggi sono 400 mila.Come hanno accolto questo nuovo progetto? Qual è il sentire della gente?Il sentire generale e di sofferenza, nel senso che la scuola è una garanzia di stabilità importante: i 700 bambini andranno a scuola e avranno dei locali decenti. Quindi, questo dà soprattutto ai bambini che sono molto più resilienti degli adulti, una gioia quotidiana. Ovviamente, però, c’è un’enorme sofferenza di fondo più negli adulti che nei bambini in realtà: quella di non sapere quale sarà il loro futuro.Quali altre attività state facendo nel campo di sfollamento?
Noi facciamo anche un servizio d’informazione su quelli che sono i servizi i diritti. C’è un nostro team composto da persone del campo che va in giro e li informa su una serie di servizi che sono a disposizione degli sfollati qui nel Kurdistan iracheno. Quindi, noi facciamo in modo che arrivino le informazioni giuste: da dove registrarsi per le nascite, dove fare i documenti, dove risolvere i tanti piccoli problemi quotidiani per chi ha perso tutto. Noi ci occupiamo di dare questo servizio di informazione. Poi, abbiamo anche un servizio di assistenza psicologica, psicosociale a vari livelli: gioco per i bambini, attività ricreative e capacità di identificare i traumi. Se c’è qualcuno che i ha dei traumi molto forti, cerchiamo di riferirlo alle strutture idonee: psicologi o psichiatri quando c’è un problema di salute mentale. Il nostro lavoro specifico come “Un ponte per” si muove intorno a questi canali senza escludere che quando ci sono dei problemi molto specifici cerchiamo di adoperarci il più possibile.