By Vatican Insider - La Stampa
Gianni Valente
Gianni Valente
Dopo il tour de force del Sinodo sulla famiglia, quando gli altri
padri sinodali se ne torneranno a casa, il Patriarca di Babilonia dei
Caldei Louis Raphael I Sako resterà nell’Urbe.
Lo attende un'altra assemblea sinodale, più breve ma anch’essa piena di nodi da sciogliere e di prospettive future da indicare: il Sinodo della Chiesa caldea, convocato a Roma dal 25 al 29 ottobre, dove sarà affrontata anche la controversia interna sorta intorno a un gruppo di sacerdoti e monaci che, nel corso degli ultimi anni, avevano lasciato le proprie diocesi e le proprie case religiose in Iraq senza il permesso dei superiori, e si erano trasferiti negli Usa e in altri Paesi occidentali dove sono sparse le comunità caldee in diaspora.
Quali sono secondo Lei le linee guida emerse dal Sinodo sulla famiglia che ispireranno dopo il Sinodo l’approccio della Chiesa sulla vita familiare?
Lo attende un'altra assemblea sinodale, più breve ma anch’essa piena di nodi da sciogliere e di prospettive future da indicare: il Sinodo della Chiesa caldea, convocato a Roma dal 25 al 29 ottobre, dove sarà affrontata anche la controversia interna sorta intorno a un gruppo di sacerdoti e monaci che, nel corso degli ultimi anni, avevano lasciato le proprie diocesi e le proprie case religiose in Iraq senza il permesso dei superiori, e si erano trasferiti negli Usa e in altri Paesi occidentali dove sono sparse le comunità caldee in diaspora.
Quali sono secondo Lei le linee guida emerse dal Sinodo sulla famiglia che ispireranno dopo il Sinodo l’approccio della Chiesa sulla vita familiare?
«Nelle tre settimane abbiamo preso atto che viviamo situazioni
diverse, che non affrontiamo tutti gli stessi problemi: in Medio Oriente
non ci sono nemmeno i matrimoni civili... Ma vedo emergere alcune cose
importanti. La prima, è la percezione condivisa che serve una
elaborazione teologica nuova. Più che insistere sui punti giuridici,
occorre guardare allo spirito del sacramento in quanto tale, alla sua
dinamica di grazia. Anche l'indissolubilità non è una specie di “blocco
meccanico di sicurezza” che scatta in maniera automatica nelle vite dei
coniugi. È esso stesso un dono della grazia del Signore. Anche per
questo, credo, tanti padri sinodali hanno chiesto di tornare a un
linguaggio biblico».
E il secondo punto?
«Si avverte l'esigenza di una nuova pastorale, che tenga conto della realtà in cui si vive e non pretenda solo di applicare e far rispettare principi senza considerare il singolo caso, senza guardare le persone negli occhi. La misericordia non può rimanere vaga, non può ridursi a qualche buona intenzione spirituale, senza entrare nel “corpo a corpo” delle situazioni reali. Il modello rimane per sempre e per tutti Gesù, così come ci viene incontro nei racconti del Vangelo. Anche ai suoi tempi c'erano il ripudio della donna, la poligamia, gli infanticidi. E lui tratta tutto questo con lo sguardo che possiamo cogliere per esempio nei suoi incontri con l'adultera e con la samaritana. Fuori dall'abbraccio della sua misericordia, e separate da essa, le parole di Gesù sul matrimonio non sarebbero la promessa di una cosa bella che diventa possibile in virtù della sua grazia, ma solo un rigorismo ancora più soffocante di quello dei Dottori della Legge. Seguendo Gesù, la Chiesa deve essere madre e maestra. Ma può essere maestra solo in quanto è madre, Maestra come sanno essere maestre le madri. Per questo molti si aspettano di offrire i risultati della discussione sinodale al Papa, così che lui possa prendere qualche decisione profetica».
Lei è Patriarca di una Chiesa d'Oriente. Secondo Lei, la «via ortodossa» allo scioglimento del nodo sulle seconde unioni dopo i matrimoni falliti è stata valutata con attenzione?
«La disciplina ispirata alla cosiddetta “oikonomia” manifesta indulgenza nei casi concreti, tenendo conto della fragilità della natura umana ferita dal peccato originale, e non prescrive alle persone che vivono una seconda unione dopo il fallimento del matrimonio di accostarsi ai sacramenti. Ma al Sinodo non è stata presa molto come punto di riferimento. Rimane un fatto: le Chiese d'Oriente hanno adottato fin dal primo millennio l’accondiscendenza sacramentale verso chi vive una seconda unione stabile. E la Chiesa cattolica riconosce le Chiese d'Oriente come vere Chiese, con successione apostolica valida e sacramenti validi. E allora, alla luce di questo, mi sembra quanto meno azzardato sostenere che l'eucaristia concessa ai divorziati in seconda unione tradisce o contraddice la fede consegnataci dagli Apostoli. Nella comunione imperfetta che viviamo con le Chiese ortodosse, dovremmo approfittare della testimonianza reciproca per arricchirci tutti, e per accompagnare tutti verso la salvezza eterna. Noi desideriamo che le persone si salvino, non che vadano all'inferno».
Ritiene credibili i commenti di chi, da posizioni diverse, accosta la questione dei sacramenti ai divorziati risposati con altre problematiche, come quella dell’omosessualità?
«E cosa c'entrano queste due cose tra di loro? Non capisco. Nel primo caso c'è una questione che tocca la disciplina dei sacramenti. Nel secondo, la questione si pone su una altro piano. Si tratta della accoglienza pastorale alle persone omosessuali, ma è evidente che la Chiesa non potrà mai immaginare di equiparare in qualche modo il matrimonio e le unioni omosessuali».
Dopo il Sinodo sulla famiglia, voi avrete il vostro sinodo. Quali decisioni prenderete?
«Sono ottimista. Saranno presenti tutti i vescovi, e prenderemo le decisioni giuste per il bene della Chiesa, mettendo da parte i piccoli interessi personali».
Viene anche Sahrad Jammo, il vescovo degli Usa con cui vi siete divisi sulla questione dei preti trasferitisi dall’Iraq negli Usa senza l’autorizzazione dei propri vescovi?
«Ci sarà anche lui. Lo ho chiamato personalmente, chiedendogli di venire».
Sulla questione dei chierici vaganti, che ha creato divisione, la Santa Sede interviene? E in che direzione?
E il secondo punto?
«Si avverte l'esigenza di una nuova pastorale, che tenga conto della realtà in cui si vive e non pretenda solo di applicare e far rispettare principi senza considerare il singolo caso, senza guardare le persone negli occhi. La misericordia non può rimanere vaga, non può ridursi a qualche buona intenzione spirituale, senza entrare nel “corpo a corpo” delle situazioni reali. Il modello rimane per sempre e per tutti Gesù, così come ci viene incontro nei racconti del Vangelo. Anche ai suoi tempi c'erano il ripudio della donna, la poligamia, gli infanticidi. E lui tratta tutto questo con lo sguardo che possiamo cogliere per esempio nei suoi incontri con l'adultera e con la samaritana. Fuori dall'abbraccio della sua misericordia, e separate da essa, le parole di Gesù sul matrimonio non sarebbero la promessa di una cosa bella che diventa possibile in virtù della sua grazia, ma solo un rigorismo ancora più soffocante di quello dei Dottori della Legge. Seguendo Gesù, la Chiesa deve essere madre e maestra. Ma può essere maestra solo in quanto è madre, Maestra come sanno essere maestre le madri. Per questo molti si aspettano di offrire i risultati della discussione sinodale al Papa, così che lui possa prendere qualche decisione profetica».
Lei è Patriarca di una Chiesa d'Oriente. Secondo Lei, la «via ortodossa» allo scioglimento del nodo sulle seconde unioni dopo i matrimoni falliti è stata valutata con attenzione?
«La disciplina ispirata alla cosiddetta “oikonomia” manifesta indulgenza nei casi concreti, tenendo conto della fragilità della natura umana ferita dal peccato originale, e non prescrive alle persone che vivono una seconda unione dopo il fallimento del matrimonio di accostarsi ai sacramenti. Ma al Sinodo non è stata presa molto come punto di riferimento. Rimane un fatto: le Chiese d'Oriente hanno adottato fin dal primo millennio l’accondiscendenza sacramentale verso chi vive una seconda unione stabile. E la Chiesa cattolica riconosce le Chiese d'Oriente come vere Chiese, con successione apostolica valida e sacramenti validi. E allora, alla luce di questo, mi sembra quanto meno azzardato sostenere che l'eucaristia concessa ai divorziati in seconda unione tradisce o contraddice la fede consegnataci dagli Apostoli. Nella comunione imperfetta che viviamo con le Chiese ortodosse, dovremmo approfittare della testimonianza reciproca per arricchirci tutti, e per accompagnare tutti verso la salvezza eterna. Noi desideriamo che le persone si salvino, non che vadano all'inferno».
Ritiene credibili i commenti di chi, da posizioni diverse, accosta la questione dei sacramenti ai divorziati risposati con altre problematiche, come quella dell’omosessualità?
«E cosa c'entrano queste due cose tra di loro? Non capisco. Nel primo caso c'è una questione che tocca la disciplina dei sacramenti. Nel secondo, la questione si pone su una altro piano. Si tratta della accoglienza pastorale alle persone omosessuali, ma è evidente che la Chiesa non potrà mai immaginare di equiparare in qualche modo il matrimonio e le unioni omosessuali».
Dopo il Sinodo sulla famiglia, voi avrete il vostro sinodo. Quali decisioni prenderete?
«Sono ottimista. Saranno presenti tutti i vescovi, e prenderemo le decisioni giuste per il bene della Chiesa, mettendo da parte i piccoli interessi personali».
Viene anche Sahrad Jammo, il vescovo degli Usa con cui vi siete divisi sulla questione dei preti trasferitisi dall’Iraq negli Usa senza l’autorizzazione dei propri vescovi?
«Ci sarà anche lui. Lo ho chiamato personalmente, chiedendogli di venire».
Sulla questione dei chierici vaganti, che ha creato divisione, la Santa Sede interviene? E in che direzione?
«La Santa Sede appoggia la carità, e tutto ciò che va a vantaggio
della vita della Chiesa, e non gli interessi personali di qualcuno. La
fuga dei preti che dall’Iraq scappavano negli Usa senza il permesso dei
propri rispettivi vescovi, spesso portandosi dietro tutto il gruppo
familiare, è un fenomeno che non può essere difeso con artificiosi
riferimenti al diritto canonico. Tutti vedono con chiarezza che è una
cosa brutta, che scandalizza anche il popolo di Dio, e tutti quelli che
sono rimasti in Iraq nelle condizioni d'emergenza e di precarietà. I
sacerdoti devono servire il popolo di Dio. A questo sono stati chiamati,
quando hanno avuto la vocazione».