Chiese chiuse, autobombe, conversioni forzate, rapimenti, non solo a Baghdad, ma anche a Niniveh. Il vescovo di Kirkuk, mons. Sako, lancia un appello sulla tragica situazione dei cristiani, da sempre parte del mosaico irakeno.
“In Iraq i cristiani stanno morendo, la Chiesa sta scomparendo sotto i colpi di persecuzione, minacce e violenze da parte di estremisti che non danno scelta: o la conversione o la fuga”. È l’appello urgente che mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk ha inviato ad AsiaNews, mentre giungono notizie di autobomba e uccisioni di cristiani anche nelle zone curde, finora risparmiate dalle violenze confessionali.
“In Iraq i cristiani stanno morendo, la Chiesa sta scomparendo sotto i colpi di persecuzione, minacce e violenze da parte di estremisti che non danno scelta: o la conversione o la fuga”. È l’appello urgente che mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk ha inviato ad AsiaNews, mentre giungono notizie di autobomba e uccisioni di cristiani anche nelle zone curde, finora risparmiate dalle violenze confessionali.
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Il presule, che è presidente del Comitato per il dialogo interreligioso del Consiglio delle Chiese cattoliche in Iraq, ha firmato una dichiarazione sulla “tragica situazione dei cristiani a Baghdad”, denunciando gruppi che sotto la minaccia delle armi chiedono ai cristiani l’immediata conversione all’islam o la fuga e la confisca dei beni. A Mosul succede lo stesso, ma imponendo un’altra scelta: pagare un tributo in denaro al jihad se non si vuole essere uccisi.
Da tempo la comunità cristiana irachena, in patria e all’estero, aspettava una presa di posizione della Chiesa locale, soffocata da rapimenti, ricatti e intimidazioni, ormai senza più protezione né da parte del governo né da parte delle forze di coalizione. E mentre si fa più concreto il controverso piano di istituire una regione sicura per i cristiani nella zona della Piana di Niniveh, proprio qui i terroristi hanno colpito negli ultimi due giorni. “quasi un gesto politico – ipotizza mons. Sako – come a dire: ‘possiamo arrivare ovunque, nessuna regione è sicura’”.
Gli attacchi su base confessionale avvengono ormai non solo a Baghdad e a Mosul, ma anche in piccoli centri abitati del Nord. Ieri un gruppo di fondamentalisti ha giustiziato 23 yazidi sulla strada da Mosul a Ba’ashika, un villaggio a maggioranza cristiano: hanno fermato l’autobus di linea e dopo aver fatto scendere arabi e cristiani hanno ucciso i fedeli di questa religione molto antica, basata su un forte dualismo Bene-Male. Oggi un’autobomba è esplosa vicino ad una scuola a Tell-el-skop, villaggio completamente cristiano: sono morte 9 persone, fra cui 2 bambini; 60 sono rimasti feriti. Il convento delle suore domenicane, che si trova nelle vicinanze, ha subito danni gravissimi.
“Non possiamo più tacere – spiega mons. Sako raggiunto al telefono da AsiaNews – bisogna ricordare alla comunità musulmana in Iraq e a tutto il mondo l’importanza della presenza cristiana nel Paese, per il bene di tutti”. “I cristiani sono una delle componenti più antiche della popolazione irachena – si spiega nella dichiarazione – fin dall’inizio si sono fusi con altre realtà come gli arabi, i curdi, i turcomanni e gli yezidi; hanno fatto da pionieri nella civilizzazione dell’Iraq. Inoltre hanno sempre difeso l’integrità del Paese in modo coraggioso insieme ai loro fratelli musulmani. Testimoniano lealtà, fedeltà, onestà e la volontà di vivere in pace e fratellanza con gli altri. I cristiani hanno vissuto con sciiti e sunniti nel rispetto reciproco e hanno condiviso i giorni belli come quelli peggiori. Per 14 secoli hanno fatto parte della cultura islamica, generalmente senza problemi. Oggi vogliono continuare questa esistenza nell’amore e nel rispetto dei diritti umani”.
Nell’attuale situazione i cristiani sono presi di mira come un capro espiatorio, da sfruttare o da eliminare. Non possono professare la loro fede liberamente, alle donne viene imposto il velo e le croci vengono tolte dalle chiese, su tutti pende la minaccia di rapimenti e ricatti. Mons. Sako fa un elenco delle violenze: “Oggi i cristiani in certe zone dell’Iraq soffrono per emigrazione, stupri, rapimenti, pagamenti di riscatti, minacce e uccisioni perpetrate con moventi religiosi. Questo comportamento inusuale contraddice i valori umanitari del popolo iracheno e quelli morali della religione islamica. È necessario capire che un Iraq senza cristiani sarà disastroso per tutti gli iracheni!...Costringere i cristiani alla fuga porta al deterioramento del concetto di coesistenza e alla distruzione culturale, civile e religiosa di un mosaico di etnie e religioni di cui l’Iraq è considerato la culla”.
Nell’appello firmato, mons. Sako chiede a tutte le autorità religiose e politiche e a tutti i cittadini iracheni di rimanere uniti, perché “non esiste salvezza senza la nostra unità e il nostro venirci incontro. Lasciate che gli elementi esterni in Iraq vadano via o restino in modo che il pericolo della morte e il rischio di una divisione scompaiano per lasciare posto al ritorno della vita”.
Da tempo la comunità cristiana irachena, in patria e all’estero, aspettava una presa di posizione della Chiesa locale, soffocata da rapimenti, ricatti e intimidazioni, ormai senza più protezione né da parte del governo né da parte delle forze di coalizione. E mentre si fa più concreto il controverso piano di istituire una regione sicura per i cristiani nella zona della Piana di Niniveh, proprio qui i terroristi hanno colpito negli ultimi due giorni. “quasi un gesto politico – ipotizza mons. Sako – come a dire: ‘possiamo arrivare ovunque, nessuna regione è sicura’”.
Gli attacchi su base confessionale avvengono ormai non solo a Baghdad e a Mosul, ma anche in piccoli centri abitati del Nord. Ieri un gruppo di fondamentalisti ha giustiziato 23 yazidi sulla strada da Mosul a Ba’ashika, un villaggio a maggioranza cristiano: hanno fermato l’autobus di linea e dopo aver fatto scendere arabi e cristiani hanno ucciso i fedeli di questa religione molto antica, basata su un forte dualismo Bene-Male. Oggi un’autobomba è esplosa vicino ad una scuola a Tell-el-skop, villaggio completamente cristiano: sono morte 9 persone, fra cui 2 bambini; 60 sono rimasti feriti. Il convento delle suore domenicane, che si trova nelle vicinanze, ha subito danni gravissimi.
“Non possiamo più tacere – spiega mons. Sako raggiunto al telefono da AsiaNews – bisogna ricordare alla comunità musulmana in Iraq e a tutto il mondo l’importanza della presenza cristiana nel Paese, per il bene di tutti”. “I cristiani sono una delle componenti più antiche della popolazione irachena – si spiega nella dichiarazione – fin dall’inizio si sono fusi con altre realtà come gli arabi, i curdi, i turcomanni e gli yezidi; hanno fatto da pionieri nella civilizzazione dell’Iraq. Inoltre hanno sempre difeso l’integrità del Paese in modo coraggioso insieme ai loro fratelli musulmani. Testimoniano lealtà, fedeltà, onestà e la volontà di vivere in pace e fratellanza con gli altri. I cristiani hanno vissuto con sciiti e sunniti nel rispetto reciproco e hanno condiviso i giorni belli come quelli peggiori. Per 14 secoli hanno fatto parte della cultura islamica, generalmente senza problemi. Oggi vogliono continuare questa esistenza nell’amore e nel rispetto dei diritti umani”.
Nell’attuale situazione i cristiani sono presi di mira come un capro espiatorio, da sfruttare o da eliminare. Non possono professare la loro fede liberamente, alle donne viene imposto il velo e le croci vengono tolte dalle chiese, su tutti pende la minaccia di rapimenti e ricatti. Mons. Sako fa un elenco delle violenze: “Oggi i cristiani in certe zone dell’Iraq soffrono per emigrazione, stupri, rapimenti, pagamenti di riscatti, minacce e uccisioni perpetrate con moventi religiosi. Questo comportamento inusuale contraddice i valori umanitari del popolo iracheno e quelli morali della religione islamica. È necessario capire che un Iraq senza cristiani sarà disastroso per tutti gli iracheni!...Costringere i cristiani alla fuga porta al deterioramento del concetto di coesistenza e alla distruzione culturale, civile e religiosa di un mosaico di etnie e religioni di cui l’Iraq è considerato la culla”.
Nell’appello firmato, mons. Sako chiede a tutte le autorità religiose e politiche e a tutti i cittadini iracheni di rimanere uniti, perché “non esiste salvezza senza la nostra unità e il nostro venirci incontro. Lasciate che gli elementi esterni in Iraq vadano via o restino in modo che il pericolo della morte e il rischio di una divisione scompaiano per lasciare posto al ritorno della vita”.