"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

17 novembre 2021

Caos post-elezioni, la Chiesa caldea invoca il “dialogo nazionale” per evitare il disastro


Se non si esce in tempi brevi dal caos in cui la nazione irachena è ripiombata dopo le elezioni politiche di ottobre, “il Paese dovrà affrontare ‘il peggio, e sappiamo tutti che l’Iraq non può sopportare di più”. Usa toni trepidanti e ultimativi, da "ultima spiaggia", il messaggio diffuso ieri, martedì 16 novembre, dal Patriarcato caldeo per chiamare tutte le componenti nazionali a mettere da parte comportamenti scellerati e evitare di trascinare verso il baratro una nazione stremata da decenni di guerre e conflitti.
La proposta avanzata nell’appello patriarcale è quella di un “dialogo nazionale sincero e coraggioso”, che coinvolga tutti gli attori nazionali – leader politici, ma anche intellettuali e capi religiosi – che siano interessati a garantire l’attendibilità del processo elettorale e il rispetto dei risultati usciti dalle urne. Solo seguendo questa via – si legge nel messaggio diffuso dai canali ufficiali di comunicazione della Chiesa caldea – si potrà raggiungere “una soluzione accettabile secondo la costituzione e il diritto iracheni, per accelerare la formazione di un governo nazionale capace di correggere il percorso, combattere la corruzione, proteggere la sovranità e l'unità del Paese e tutelare la sicurezza e la dignità degli iracheni”.
Le elezioni parlamentari irachene svoltesi il 10 ottobre hanno fatto registrare la crescita del Partito Sadrista, guidato dal leader sciita Muqtada al Sadr – che avrebbe conquistato 73 dei 329 seggi nella nuova assemblea parlamentare – e una netta sconfitta del blocco Fatah - considerato vicino alle milizie sciite filo-iraniane di Hashd ai Shaabi - che avrebbe ottenuto solo 15 seggi a fronte dei 48 controllati nel precedente Parlamento dalle sigle ora confluite nella coalizione. Ai seggi si è recato solo il 41% degli aventi diritto al voto, soglia che rappresenta il minimo storico delle 6 elezioni parlamentari tenutesi in Iraq dal 2003, dopo la fine del regime di Saddam Hussein. Fin dalle prime indiscrezioni filtrate sui media in merito all’esito del voto, i leader del blocco Fatah hanno rifiutato di riconoscere i risultati elettorali, invitando i propri sostenitori a scendere in piazza. A Baghdad i manifestanti mantengono presidi della “Zona Verde” - area dove sono concentrati gli uffici del governo e le ambasciate -, e accusano la commissione indipendente di falsificazione dei risultati. È in corso il riconteggio delle schede in alcune circoscrizioni elettorali, dove sono stati presentati ricorsi basati su documentazione attendibile. Il 5 novembre sono avvenuti duri scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti sostenitori di Fatah che avevano tentato di entrare nella Zona Verde. Secondo fonti mediche, gli scontri avrebbero provocato due morti e 125 feriti. Poi, il 7 novembre, la residenza del Premier iracheno Mustafa al Kadhimi è stata devastata da un attentato, realizzato con un drone. L’operazione terroristica fortunatamente non ha provocato vittime, ma ha rischiato comunque di far precipitare il Paese nel caos di una guerra civile, riaprendo lo scontro diretto tra sunniti e sciiti. Fin dal primo momento accuse più o meno velate riguardo alla paternità dell’attentato sono state lanciate contro le milizie sciite filo-iraniane presenti nel Paese. Ipotesi contestata in realtà anche da analisti non sospettabili di simpatie filo-iraniane, come il giornalista israeliano Zvi Bar-el, il quale su Haaretz ha fatto notare che “gli scontri violenti ora non servono gli interessi di Teheran, impegnata ora nel tentativo di costruire una coalizione politica filo-Iran per formare un governo. Ciò sembrerebbe vanificare la logica del tentato omicidio [del Premier al Kadhimi da parte delle milizie sciite, ndr], a meno che l’obiettivo non fosse quello di scatenare una guerra civile o quanto meno violenti scontri a livello nazionale, che potessero favorire la formazione di un governo provvisorio di emergenza. Ma anche se questo fosse il motivo, né le milizie né l’Iran avevano alcuna garanzia che avrebbero ottenuto un risultato politico che sarebbe servito ai loro obiettivi”.

16 novembre 2021

An appeal from the Chaldean Church to Solve the Crisis of Elections and Manifestation


The Chaldean Church, expresses its pain and deep concern about the crisis created by the results of the parliamentary elections. We are launching this appeal out of the patriotic feeling that resides in all of us, calling on everyone to show high national and moral responsibility in dealing with these results.
Otherwise, the country will face the “worst” and we all know that Iraq cannot bear more.
From the standpoint of fidelity, the Chaldean Church appeals to all those concerned with the elections, including political parties, academic leaders, religious authorities, etc. to make efforts and contain this crisis wisely, by organizing a sincere and courageous national dialogue aiming to reach an acceptable solution according to Iraqi constitution and law, to expedite the formation of a national government capable of correcting the path, fighting corruption, protecting sovereignty, unity of the country, and providing a security and dignity for Iraqis

15 novembre 2021

P. Samir: il doppio virus del Covid e delle bombe turche svuota il Kurdistan


Nell’ultimo anno alcuni villaggi cristiani e curdi “si sono svuotati” a causa dei bombardamenti dell’aviazione turca contro obiettivi del Pkk, il movimento curdo combattente considerato terrorista da Ankara (e da parte dell’Occidente).
A lungo la zona “era stata risparmiata dalle violenze”, ma oggi la paura “si fa sentire”. È quanto sottolinea ad AsiaNews p. Samir Youssef, parroco di Enishke, diocesi di Amadiya, nel Kurdistan iracheno, che racconta di una popolazione “prima spaventata dal virus ‘corona’ e oggi impaurita a causa del virus delle bombe”. Attacchi che, aggiunge il sacerdote, hanno “fermato il turismo dopo una fase di ripresa e rende difficile coltivare i campi o tenere aperte le fabbriche, per il timore di essere colpiti”. Nella notte fra il 6 e il 7 novembre, prosegue, “i turchi hanno bombardato la nostra montagna, sei missili sono caduti poco distanti il villaggio e hanno provocato un’onda simile a un terremoto”. La pioggia di ordigni ha interessato “anche un altro villaggio cristiano della zona”, in oltre un anno “è la prima volta che colpiscono qui vicino”. Per questo nei giorni scorsi “alcune famiglie si sono spostate verso le città” di Zakho, Dohuk, Erbil, poi hanno fatto ritorno ma i raid aerei “stanno continuando nell’altro versante”.
Anche durante l’intervista p. Samir dice di sentire il rumore dei droni turchi che pattugliano l’area alla ricerca di nascondigli da colpire nella notte o di guerriglieri impegnati in operazioni di trasferimento di mezzi. I raid hanno pesanti conseguenze sulla popolazione, perché chi ha terreni “non vuole coltivarli per non correre il rischio di essere colpito, perché scambiato per un miliziano. Lo stesso vale per quanti hanno fabbriche: sono sempre di più quelle abbandonate. Pure il turismo si è fermato, dopo una stagione estiva positiva. Troppo alta la paura di essere colpiti, con le inevitabili conseguenze per ristoranti, alberghi e altri attività che stavano ripartendo dopo il Covid-19”.
“Anziani e bambini hanno paura - confessa p. Samir - come bombardamenti siamo tornati al 2003, al tempo buio della guerra. I guerriglieri del Pkk sono presenti lungo una fascia che va dalle nostre montagne a Sinjar, al confine con la Siria, e non sarà facile colpirli, perché sono sempre in movimento”. Il virus delle bombe, osserva, “ci fa da sempre compagnia e oggi è tornato a incidere anche il coronavirus: ogni settimana muoiono due o tre persone della nostra zona, la copertura vaccinale nella mia parrocchia è attorno al 60% e in altre zone ancora più bassa. Vi è paura e diffidenza, alimentata anche da fake news su pericolosità o inefficacia che circolano in rete”.
P. Samir è fra i principali beneficiari della campagna di AsiaNews “Adotta un cristiano di Mosul”.
Archiviata la lotta contro lo Stato islamico (SI, ex Isis), dichiarato sconfitto almeno sul piano militare oltre tre anni fa “ma la cui mentalità è ancora diffusa”, ad oggi restano i problemi degli sfollati che spesso non dispongono nemmeno delle risorse di base per sopravvivere o si trovano a fare i conti con le ulteriori difficoltà provocate dalla pandemia. I problemi legati alle elezioni politiche a Baghdad hanno dei riflessi anche nel Kurdistan “dove i prezzi sono aumentati, dalla benzina al kerosene per il riscaldamento, ai generi alimentari, poi ci sono persone che non ricevono lo stipendio da tre mesi e la situazione resta instabile”.
Come Chiesa irachena, sottolinea p. Samir, proseguono le iniziative di carità fra le quali “l’acquisto di cibo, benzina e denaro per sostenere la famiglie più bisognose della zona e quelle di profughi arabi e curdi, cristiani e musulmani, che qui hanno trovato accoglienza. Io ho ancora oggi 35 famiglie siriane che, dal 2013, contano sul nostro sostegno”. Ecco perché il sacerdote rilancia la campagna di AsiaNews e invita chi può a continuare a donare, e aiutare. “In questo tempo difficile - conclude - ogni comunità ha le proprie difficoltà, ma non dobbiamo restare indifferenti ai bisogni. Ogni minima donazione è un bene prezioso per le nostre famiglie e per i profughi in difficoltà… e senza aiuti è difficile continuare quest’opera”.

12 novembre 2021

Iraq: card. Sako (patriarca), “vogliono gettare il Paese nel caos per interessi di parte”. Visita al-Tayyeb a rischio

Daniele Rocchi

“Attaccando il premier Mustafa al-Kadhimi hanno voluto destabilizzare ulteriormente la situazione interna dopo le elezioni, quindi bloccare il nuovo Parlamento, la nomina delle più alte cariche dello Stato, dal Presidente della Repubblica a quella del premier”: così il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, torna sull’attentato, avvenuto nella notte fra il 6 e il 7 novembre, contro la casa del Primo Ministro al-Khadimi, rimasto illeso.
L’esito del voto del 10 ottobre scorso è stato contestato in piazza dai movimenti sciiti filo-iraniani, come l’Alleanza della conquista, braccio politico delle milizie paramilitari Hashed al-Shaabi, che dalle urne sono usciti sconfitti. Manifestazioni anche violente, nei pressi della ‘Zona verde’ della capitale irachena, che hanno fatto registrare una vittima e diversi feriti.
“Fa male – dichiara al Sir Mar Sako – vedere tante proteste violente. Siamo preoccupati per il vuoto politico che si sta creando”.

Papa Francesco.
Il 9 novembre Papa Francesco ha fatto pervenire, tramite il suo Segretario di Stato, card. Pietro Parolin, un telegramma al premier iracheno in cui esprime “vicinanza nella preghiera” e condanna di “questo vile atto di terrorismo”. “Sua Santità – si legge nel testo – ancora una volta esprime la sua fiducia che, con la benedizione di Dio, il popolo dell’Iraq sarà confermato in saggezza e forza nel cercare il percorso della pace attraverso il dialogo e la solidarietà fraterna”.
Parole che, afferma il card. Sako, “infondono coraggio e forza, necessarie per portare avanti le urgenti riforme di cui il Paese ha bisogno. Lavoro intrapreso dal premier al-Kadhimi e che adesso vogliono bloccare con la violenza”.
Ribadisce il patriarca caldeo: “Creare confusione e caos: questo è lo scopo. Chi ha commesso questo attacco non vuole un Iraq stabile e forte, ma un Paese nel caos per continuare a fare i propri interessi settari e di parte”.
Gli interessi di attori regionali in Iraq sono tali e tanti che non impediscono al patriarca di ribadire un concetto espresso più volte in passato: “Un Iraq forte e sicuro potrebbe favorire la stabilità della regione ma evidentemente c’è chi lavora in senso opposto”.

Visita a rischio. 
Il clima di tensione nel Paese potrebbe avere delle ripercussioni anche sulla visita – da più parti data per certa – del Grande Imam di al-Azhar, Sheikh Ahmad Al-Tayyeb, in Iraq e sul suo incontro con il Grande Ayatollah Ali al-Sistani. Vere e proprie ‘prove di dialogo’ tra le due “anime” dell’islam sunnita e sciita, nel contesto del Documento di Abu Dhabi, e sulla scia della visita in Iraq del Papa a marzo scorso. “Non credo che chi ha compiuto questo attentato al premier abbia mirato anche a questo incontro – afferma Mar Sako -.
Su questa visita non c’è ancora nulla di ufficiale, almeno fino ad ora, né un programma, né una data. Si parlava di fine novembre ma io credo che con questa situazione sarà difficile che possa tenersi. Ritengo che questa visita potrà realizzarsi solo con una situazione interna stabile e sicura. Probabilmente dopo la formazione di un nuovo Governo” nel quale, è il timore del patriarca, “il ruolo della componente cristiana potrebbe essere nullo”.

I giovani iracheni. 
Maggiori speranze, invece, il patriarca caldeo le riserva per i giovani del Paese: “Sono certo che il futuro sarà dell’Iraq, e il futuro dell’Iraq è rappresentato dai suoi giovani”.
Assume particolare significato il prossimo raduno della Gioventù caldea, in programma nella capitale irachena dal 18 al 20 novembre, sul tema “Voi siete una Chiesa viva”.
“Aspettiamo almeno 400 giovani da Baghdad e da altre diocesi caldee irachene” spiega il patriarca che rivela: “ho invitato il Primo Ministro a tenere un discorso ma vediamo se sarà possibile, dopo l’attentato”.
L’evento cade alla vigilia della Giornata mondiale della Gioventù che quest’anno per la prima volta si celebra nella domenica di Cristo Re, dopo lo spostamento dalla data tradizionale della Domenica delle Palme. “Sarà un tempo di meditazione, di fede di festa per alzare il morale dei giovani. Abbiamo bisogno di loro per il nuovo Iraq”.

11 novembre 2021

A Mosul gli Usa finanziano il restauro della chiesa di Mar Korkis, devastata dai jihadisti

By Fides

E’ prevista entro la fine di novembre la cerimonia di riapertura della chiesa principale del monastero di Mar Korkis, nella città irachena di Mosul, gravemente danneggiata dai miliziani dell’autoproclamato Stato islamico (Daesh) durante il tempo dell’occupazione jihadista. Nei giorni scorsi è stato reso noto il completamento dei lavori di restauro eseguiti nel quadro del programma di stabilizzazione del patrimonio iracheno, in collaborazione con l’ordine monastico antoniano di Sant’Ormisda dei Caldei e grazie al supporto finanziario garantito dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America ai progetti di ricostruzione di chiese e monumenti realizzati in Nord Iraq dal Department of Heritage and Civilization dell'Università della Pennsylvania.
Il Monastero di Mar Korkis si trova sul lato destro del fiume Tigri, appena fuori dalla strada che unisce Mosul a Dohuk, a 10 km dal centro della città. La prima fondazione del monastero viene fatta risalire dalle fonti storiche a prima del X secolo dopo Cristo.
Nel marzo 2015, i jihadisti dello Stato Islamico devastarono gravemente la chiesa, senza però raderla al suolo. Furono smentite le informazioni rilanciate da diversi media che in quei giorni avevano accreditato le voci in merito a una totale demolizione del luogo di culto cristiano tramite esplosivo. La furia distruttiva dei jihadisti si era concentrata sulla cupola e sulla facciata della chiesa, caratterizzata da una particolare configurazione architettonica, con i mattoni e le aperture disposti in modo da disegnare una grande croce. Le croci che spiccavano sulla cupola e sul tetto del monastero erano state divelte dai jihadisti già nel dicembre 2014. Foto e documenti pubblicati a quel tempo confermarono che a subire devastazioni era stato soprattutto il cimitero adiacente alla chiesa, dove riposavano anche i corpi di molti soldati iracheni cristiani caduti durante il conflitto Iraq-Iran. Durante il tempo dell’occupazione jihadista, il monastero di San Giorgio era stato usato anche come luogo di detenzione. Nel dicembre 2014 vi erano stati trasferiti almeno 150 prigionieri bendati e ammanettati, compresi alcuni capi tribù sunniti oppositori dello Stato Islamico ed ex membri degli apparati di sicurezza, detenuti in precedenza presso la prigione di Badush (evacuata nella previsione di un possibile attacco da parte della coalizione anti-Califfato).
Le opere di restauro hanno visto coinvolti ingegneri, e architetti e operai locali. Le pareti interne del luogo di culto sono state ricoperte con il marmo di Mosul.

10 novembre 2021

Safe haven: What will Ankawa's new autonomy mean for Kurdistan's Christians?

Michal Kranz
November 4, 2021

For Ankawa, an Assyrian Christian-majority suburb of Iraqi Kurdistan’s capital Erbil, the last decade has been one of change and transformation.
Its population swelled in 2014 as Assyrian Christian refugees from other parts of northern Iraq poured in ahead of the Islamic State’s (IS) onslaught, cementing the town’s status as one of the primary nodes of Iraqi Kurdistan’s Christian community.
Mechanical engineer Liver Dakali moved to Ankawa from Erbil in 2019, well after the wartime surge. Although he wasn’t fleeing war, he too felt the pull of the town’s Christian character.
“We are a minority there in Erbil, so we were alone. It was uncomfortable to celebrate occasions like Christmas,” Dakali said. “So we came here.”
"Ankawa's population swelled in 2014 as Assyrian Christian refugees from other parts of northern Iraq poured in ahead of the Islamic State's onslaught" 
On 4 October, Iraqi Kurdistan’s Prime Minister Masrour Barzani moved to recognise Ankawa’s ethno-religious distinctiveness by announcing that the town would become a separate, autonomous district from Erbil for the first time.
Like others in Ankawa, Dakali said he is hopeful that the change will lead to improved infrastructure, public services, and security. But for him, any additional quality of life benefits for Christians in Ankawa or beyond will be limited at best.
“I don’t think there will be a significant effect,” Dakali said, referring to the move’s impact on the broader Assyrian Christian community in Iraqi Kurdistan.
According to locals and political leaders alike, Ankawa’s new status will be a positive development for the Christian community in Iraqi Kurdistan, and despite some reservations, Dakali and other residents remain optimistic about the town’s future.
Yet many argue that the change does not go far enough, and claim that although Ankawa’s new designation is a step in the right direction, the Kurdistan Regional Government (KRG) must take serious and concrete steps to rectify a host of grievances before Assyrian Christians can feel completely at home in Ankawa or elsewhere in Iraqi Kurdistan.
For activists and community leaders, wedge issues like taxation, land expropriation, and the erasure of Assyrian Christian identity will continue to plague Christians in the KRG despite the shift in Ankawa’s status.
As part of his 4 October announcement, Barzani stated that once its new designation is implemented, Christians in Ankawa would be able to “nominate civic leaders, appoint officials, manage their own security and directly shape their destinies” — something that residents said will allow them to maintain their heritage, upgrade their cityscape, and improve zoning practices to protect residential areas.

Papa Francesco condanna il ‘vile’ attentato al premier iracheno

By Asia News
9 novembre 2021

“Vicinanza nella preghiera a voi e alla vostra famiglia e ai feriti”, unita alla condanna ferma per un “vile atto di terrorismo”.
È il messaggio inviato al primo ministro iracheno Mustafa Al-Kadhimi da papa Francesco, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, in seguito “all’attacco alla vostra residenza a Baghdad”. Il pontefice rinnova dunque la solidarietà all’Iraq e alle sue massime istituzioni, dopo l’attentato del 7 novembre scorso che ha preso di mira l’abitazione del capo del governo. Una vicinanza rafforzata dagli incontri passati e dalla storica visita ufficiale compiuta nel marzo scorso nel Paese arabo.
Il papa esprime “ancora una volta la fiducia che, con la benedizione di Dio onnipotente, il popolo dell’Iraq sarà confermato nella saggezza e nella forza” per perseguire “la via della pace” attraverso “il dialogo e la solidarietà fraterna”. Parole non scontate e che confermano, una volta di più, la vicinanza della Santa Sede del papa stesso ai passi compiuti dal governo e dal premier nella direzione della riconciliazione fraterna dopo anni di violenze politiche, etniche e confessionali.
Un messaggio rilanciato con forza ieri ad AsiaNews dallo stesso patriarca caldeo, il card. Louis Raphael Sako, secondo cui l’attentato mira a “bloccare” il progetto di un Iraq forte, di uno Stato “basato sulla legge, sulla cittadinanza, sull’ordine e la giustizia”.
Oggi, intanto, giunge notizia dell’arresto da parte delle forze di sicurezza irachene di tre persone legate al tentativo di assassinio del premier al-Kadhimi. A riferirlo è un funzionario governativo a Russia Today, il quale non fornisce però ulteriori indicazioni sull’identità dei fermati e il loro ruolo nell’attacco, nel quale sono rimaste ferite alcune guardie del corpo. Alcune voci non confermate affermano che le tre persone arrestate apparterrebbero a una “fazione sciita armata” vicina all’ Iran. In precedenza lo stesso primo ministro aveva affermato di “conoscere bene” identità e matrice dei responsabili.

“Voi siete una Chiesa viva”: 400 ragazzi e ragazze attesi a Bagdhad per l’incontro della Gioventù caldea

9 novembre 2021

Foto Patriarcato caldeo
“Voi siete una Chiesa viva”.
Le parole pronunciate da Papa Francesco a Baghdad, nell’omelia della concelebrazione liturgica da lui presieduta nella Cattedrale caldea di San Giuseppe durante la sua visita pastorale in terra irachena, sono state scelte come motto dell’Incontro della Gioventù caldea, in programma nella capitale irachena dal 18 al 20 novembre. All’evento, convocato dal Patriarcato caldeo, parteciperanno almeno 400 ragazzi e ragazze di Baghdad e delle altre diocesi caldee sparse per il territorio nazionale.
La kermesse giovanile, scandita da appuntamenti liturgici, tempi di preghiera, dibattiti e momenti di socializzazione, avrà come momento clou un incontro di catechesi guidato dal Patriarca caldeo Louis Raphael Sako sul tema “Noi crediamo nel Signore Gesù Cristo”. Nei diversi momenti comunitari, l’attenzione si concentrerà intorno ad alcune questioni connesse all’incontro con Cristo e alla vita ecclesiale delle giovani generazioni caldee. Per facilitare la riflessione individuale e comunitaria, sono stati già diffusi attraverso i canali di comunicazione del Patriarcato caldeo, alcuni interrogativi relativi al rapporto personale di ciascuno con Cristo stesso, all’efficacia dei corsi di catechesi, alla familiarità con le Sacre Scritture, alle vie più efficaci per rendere ragione agli altri della speranza cristiana e del vivere nella quotidianità la partecipazione universale al sacerdozio di Cristo, condivisa da ogni cristiano in virtù del Battesimo. I ragazzi e le ragazze riuniti a Baghdad saranno anche sollecitati a far conoscere le proprie aspettative in merito al cammino sinodale avviato nella Chiesa cattolica in vista della prossima Assemblea del Sinodo dei Vescovi.
L’esodo impressionante che negli ultimi lustri ha visto buona parte dei cristiani iracheni lasciare il proprio Paese, ha interessato soprattutto le giovani generazioni di battezzati. L’incontro dei giovani convocato dal Patriarcato caldeo rappresenta un tentativo di farsi carico anche di questo fenomeno, e di interrogarsi sui tesori che conviene custodire e le grazie che occorre mendicare per veder fiorire e rifiorire il miracolo della fede in Cristo nelle vite di ragazzi e ragazze irachene.
Le parole e i gesti disseminati da Papa Francesco durante il suo storico viaggio in Iraq continuano a essere carichi di suggestioni per il presente e il futuro dei cristiani nel Paese dei due fiumi. «Oggi – disse il Papa concludendo l’omelia letta in italiano nella messa celebrata nel pomeriggio di domenica 7 marzo a Erbil - posso vedere e toccare con mano che la Chiesa in Iraq è viva, che Cristo vive e opera in questo suo popolo santo e fedele».
Nei pochi giorni del suo breve e intenso pellegrinaggio tra i dolori e le attese del popolo iracheno, l’85enne Successore di Pietro aveva toccato con mano le tribolazioni e rincuorato le speranze di rinascita di tutto il popolo e della locale comunità cristiana. Da Baghdad a Mosul, da Qaraqosh a Erbil, il Successore di Pietro si è imbattuto nel miracolo di una comunità di fede viva, un popolo di Dio umile e povero, reso ancora più esiguo nei numeri dalle traversie degli ultimi anni, che continua a attingere alla sorgente inesauribile della fede degli Apostoli.
Uomini e donne, giovani e bambini gli avevano raccontato anche i patimenti e i colpi subiti nel recente passato senza accusare, maledire o recriminare. Attestando piuttosto – come disse allora il sacerdote siro cattolico Ammar Yako nella testimonianza resa davanti al Papa a Qaraqosh – che perfino gli anni passati come profughi da lui e dai suoi parrocchiani, cacciati dalle proprie case, non sono stati «anni maledetti, ma benedetti dal Signore, che ha mostrato la sua gloria».

Francesco, Al-Tayyeb, Al-Sistani. Il miracolo della triplice intesa

Sandro Magister
9 novembre 2021

Se per Benedetto XVI valeva la “diplomazia della verità”, con Francesco domina la “Realpolitick”. Non potrebbe essere più netto il cambio di passo politico e diplomatico tra i due ultimi pontificati, in particolare nei rapporti con la Cina e l’Islam. È quanto mette a fuoco Matteo Matzuzzi, caporedattore del quotidiano “Il Foglio” e vaticanista sperimentato, in un volume fresco di stampa sulla geopolitica vaticana, dal titolo “Il santo realismo”, edito dalla LUISS University Press.
Con la Cina il cambio di passo è sotto gli occhi di tutti. Lo è meno quello con l’Islam. Ma è proprio su quest’ultimo terreno che i due pontificati compiono i percorsi più diversi, se non opposti, che il libro di Matzuzzi ricostruisce con cura.
Di Benedetto XVI resta nella memoria l’incidente di Ratisbona, quando una sua argomentata critica dell’incerto rapporto nell’Islam tra fede e ragione scatenò una reazione furiosa e violenta nel mondo musulmano.
Pochi però ricordano che non solo papa Benedetto non arretrò di un passo da quanto detto allora, ma proprio da quel suo discorso del 12 settembre 2006 prese vita un dialogo di spessore senza precedenti prima con trentotto e poi con centotrentotto autorevoli personalità musulmane di varie nazioni e di vario orientamento, sunniti e sciiti.
Questo dialogo si sostanziò in impegnative lettere al papa firmate da questi saggi e nella prima visita in Vaticano del re dell’Arabia Saudita e custode dei luoghi santi dell’Islam, oltre che di emissari della più alta autorità sciita al di fuori dell’Iran, il grande ayatollah Sayyid Ali Husaini Al-Sistani. Mentre a sua volta Benedetto XVI, dopo un viaggio in Turchia riuscito oltre ogni previsione nel novembre di quello stesso 2006 – con preghiera silenziosa nella Moschea Blu di Istanbul –, nel tracciare a fine anno un bilancio nel discorso prenatalizio alla curia romana, arrivò a sollecitare apertamente il mondo musulmano a fare anch’esso quella “lunga ricerca faticosa” che – disse – già impegna da tempo i cristiani, cioè “accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione”.
Parlando al corpo diplomatico, nel gennaio del 2006, papa Benedetto non aveva esitato a ravvisare nel tempo presente il reale “pericolo di uno scontro di civiltà”, al quale disse che si doveva opporre “l’impegno per la verità” anche “da parte delle diplomazie”, una verità che “può essere raggiunta solo nella libertà” e “nella quale è in gioco l’uomo stesso in quanto tale, il bene e il male, le grandi mete della vita, il rapporto con Dio”.
Attenendosi senza mai deflettere a questa “diplomazia della verità”, Benedetto XVI pagò dei prezzi. Il più alto all’inizio del 2011, quando ad Alessandria d’Egitto un’autobomba esplose davanti a una chiesa colma di fedeli convenuti per la messa. I morti furono decine. E il 2 gennaio, al termine dell’Angelus, il papa non tacque. Ma nemmeno tacque il grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, che dall'Egitto reagì alla “ingerenza” papale troncando i rapporti con la Santa Sede, lui che più volte in passato s’era detto favorevole agli attentati suicidi in territorio israeliano.
I rapporti con Al-Azhar furono riallacciati solo nel 2016, con un abbraccio a Roma tra Al-Tayyeb e Francesco. Ma appunto, col nuovo papa molto era già cambiato.
Intanto, s’era subito interrotto quel dialogo profondo su fede e ragione con i centotrentotto saggi musulmani. Perché le mosse di papa Francesco nei confronti dell’Islam rispondevano a criteri del tutto diversi, più pragmatici.
Il primo suo gesto, con tanto di digiuno penitenziale, fu nel settembre del 2013 l’offensiva pubblica contro l’incombente attacco occidentale alla Siria di Bashar Al-Assad. Le gerarchie ortodosse e cattoliche di quel paese erano decisamente dalla parte del regime alawita, che faceva loro da scudo all’ostilità di altre correnti islamiche. Ma la mossa di Francesco era a più ampio spettro. Tra i più contrari a un’intervento militare occidentale in Siria c’era Vladimir Putin. E questo indusse il papa a scrivere al leader russo una lettera-appello, come a un alfiere di pace. La mossa andò a segno e da lì in poi i rapporti tra Francesco e Putin furono quanto mai concordi, fino a propiziare, il 12 febbraio 2016, lo storico incontro all’aeroporto dell’Avana tra il papa e il patriarca di Mosca Kirill, con la firma apposta da entrambi a una dichiarazione – nota Matzuzzi – che “di vaticano aveva ben poco e sembrava scritta al Cremlino”.

Telegramma del Santo Padre, a firma del Cardinale Segretario di Stato, al Primo Ministro iracheno Mustafa Al-Kadhimi, per l'attentato accaduto a Baghdad

novembre 2021

HIS EXCELLENCY MUSTAFA AL-KADHIMI PRIME MINISTER OF IRAQ

FOLLOWING THE ATTACK ON YOUR RESIDENCE IN BAGHDAD, HIS HOLINESS POPE FRANCIS WISHES ME TO CONVEY HIS PRAYERFUL CLOSENESS TO YOU AND YOUR FAMILY, AND TO THOSE INJURED. IN CONDEMNING THIS VILE ACT OF TERRORISM, HIS HOLINESS ONCE MORE EXPRESSES HIS CONFIDENCE THAT WITH THE BLESSING OF THE MOST HIGH GOD THE PEOPLE OF IRAQ WILL BE CONFIRMED IN WISDOM AND STRENGTH IN PURSUING THE PATH OF PEACE THROUGH DIALOGUE AND FRATERNAL SOLIDARITY.

CARDINAL PIETRO PAROLIN SECRETARY OF STATE

Iraq: attentato al premier, il patriarca caldeo Sako invita a pregare per il Paese e per il primo ministro Mustafa al-Kazimi

By AgenSIR
8 novembre 2021

Una preghiera per il Paese e per il premier.
La richiesta è del patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, che ieri sera ha presieduto una messa nella chiesa del Sacro Cuore nella capitale irachena.
Durante l’omelia, secondo quanto riferito dal Patriarcato caldeo, il porporato ha invitato i fedeli a pregare per il Primo Ministro Mustafa al-Kazimi dopo che tre droni imbottiti di esplosivo erano lanciati nella notte sulla residenza del premier iracheno nella Zona verde di Baghdad, la più sorvegliata del Paese.
Il premier è rimasto illeso, mentre almeno 6 guardie del corpo sono risultate ferite. Mar Sako ha pregato affinché “l’Iraq continui a camminare con fiducia verso la sicurezza, la stabilità e un futuro prospero”. 
L’attentato di ieri, finora non rivendicato, ha messo in allarme l’Iraq su una nuova escalation di violenza. Da giorni nel Paese si susseguono proteste contro l’esito del voto legislativo dello scorso 10 ottobre, tra accuse di brogli e scontri armati. Il premier al-Kazimi, subito dopo l’attentato, ha scritto su Twitter: “Sto bene, lode a Dio, e chiedo calma e moderazione da parte di tutti per il bene dell’Iraq”.
Il presidente Barham Saledh, ha parlato di un tentativo di “golpe”.
Secondo fonti di sicurezza di Baghdad, i droni “sono stati lanciati da un sito vicino al Ponte della Repubblica”, non distante dalla zona dove centinaia di manifestanti filo-iraniani protestano da giorni contro l’esito del voto. I dimostranti, che avevano dato fuoco ai ritratti del premier, denunciano irregolarità nelle urne, dove le forze del leader sciita nazionalista Moqtada al-Sadr hanno rivendicato la vittoria, mentre il braccio politico delle milizie paramilitari Hashed al-Shaabi vicine all’Iran ha perso numerosi seggi. Condanne dell’attacco sono giunte dalla comunità internazionale, Usa e Ue in testa: “Siamo sollevati nell’apprendere che il primo ministro è rimasto illeso. Questo apparente atto di terrorismo, che condanniamo fermamente, è stato diretto al cuore dello Stato iracheno”, è la reazione degli Usa. “Qualsiasi violenza è inaccettabile e non deve essere consentito di minare il processo democratico”, ha detto l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell.
“Calma, moderazione e dialogo sono essenziali nel periodo post-elettorale”, ha aggiunto Borrell. Una “condanna con fermezza” arriva dall’Italia, che conferma il suo sostegno alla stabilizzazione dell’Iraq.

Card. Sako: l’attentato ad al-Kadhimi per destabilizzare l’Iraq


Un attacco a colpi di droni che mira a “bloccare” il progetto di un Iraq forte, di uno Stato “basato sulla legge, sulla cittadinanza, sull’ordine e la giustizia”.
Così il patriarca caldeo, il card. Louis Raphael Sako, commenta ad AsiaNews l’attentato nella notte fra il 6 e il 7 novembre contro la casa del primo ministro Mustafa al-Kadhimi, rimasto illeso. “Non si sa ancora chi ci sia dietro questo episodio - sottolinea il porporato - ma è chiaro che l’obiettivo è quello di destabilizzare, creare confusione e interrompere il lavoro avviato dal primo ministro, che vuole costruire un progetto di Iraq non isolato” sul piano internazionale.
Il primate caldeo esclude la mano dello Stato islamico (SI, ex Isis) e avanza analogie con gli attacchi - a colpi di razzi e droni - contro l’aeroporto di Erbil, nel Kurdistan iracheno, o l’ambasciata Usa a Baghdad. “Il progetto è di colpire Kadhimi come rappresentante dello Stato. Io stesso ho avvertito le esplosioni, perché il patriarcato non è molto distante dalla Zona Verde”.
In queste ore il premier, scampato al tentativo di omicidio, è apparso in un video diffuso dai suoi collaboratori in cui incontra e discute con i responsabili della sicurezza. In una nota l’ufficio di Kadhimi parla di “codardo attacco terroristico” sferrato da “gruppi armati criminali” che hanno usato tre doni: due di questi sono stati abbattuti, mentre un terzo è riuscito a raggiungere e colpire la residenza ferendo almeno sei delle guardie del corpo del capo del governo, nel centro di Baghdad. Al momento la situazione è di relativa calma e non si sono registrate rivendicazioni ufficiali, mentre sono numerose e unanimi le voci di condanna: dal presidente Barham Salih al leader radicale sciita Moqtada al-Sadr, oltre all’Onu, agli Stati Uniti, all’Iran e all’Arabia Saudita per citarne alcuni.
Analisti ed esperti legano l’attentato alle elezioni parlamentari del 10 ottobre scorso contestate da una parte dello schieramento politico, in particolare dai movimenti sciiti filo-iraniani usciti sconfitti dalle urne anche se i risultati definitivi devono ancora essere ufficializzati. Il 5 novembre scorso le milizie legate a Teheran hanno promosso imponenti manifestazioni di piazza, per rilanciare le accuse di brogli e contestare il responso delle urne. Tensioni che avevano già fatto risuonare più di un campanello d’allarme fra i vescovi caldei, che chiedono un governo forte per frenare la deriva violenta e una situazione di caos che farebbe precipitare il Paese nel baratro.
Nella messa domenicale il patriarca caldeo ha pregato per la salute del primo ministro e di tutto il Paese. “Fra i fedeli - racconta - vi era grande tristezza per l’attacco, ma anche felicità perché si è salvato. In molti credono che il suo lavoro di riforme sia autentico e di beneficio alla nazione. Finora egli non ha mai voluto usare le armi per risolvere i problemi, chiede e rilancia i principi del dialogo e dell’incontro, anche con i suoi nemici o avversari politici”.
È chiaro, prosegue il card. Sako, che l’attentato è legato al processo post elettorale e all’iter che porterà al giuramento del prossimo Parlamento e alla nomina del futuro presidente della Repubblica, dell'Assemblea legislativa e del capo del governo, che potrebbe essere ancora Kadhimi. “A tutti i cristiani d’Iraq - conclude il porporato - chiedo di pregare per il bene del Paese, di aspettare con calma e fiducia, non farsi trasportare dalle tensioni contrapposte, ma restare fonte di equilibrio”.

Israele: Eydar (amb. Israele in Italia), “pronti a normalizzare i rapporti con Iraq. Con Libano disposti a compromesso” su zone economiche esclusive

8 novembre 2021 

“Se c’è un Paese che intende normalizzare i rapporti con noi, perché no? Noi siamo disponibili. La pace è un vantaggio per tutti”.
È quanto dichiara l’ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar, in una lunga intervista concessa al sito www.strumentipolitici.it. Tanti gli argomenti toccati da Eydar che dal settembre del 2019 ricopre la carica di ambasciatore di Israele in Italia. Parlando degli Accordi di Abramo (13 agosto 2020) che formalizzarono le relazioni diplomatiche tra Israele e gli Emirati Arabi e di lì a poco con il Bahrein, il Marocco, e all’inizio del 2021 con il Sudan, Eydar afferma: “Anche per l’Iraq, saremo lieti di stabilire rapporti di pace e di commercio e sono certo che ci saranno tanti ebrei desiderosi di visitare Baghdad, alla ricerca delle loro radici, me compreso. Questa terra ha dato i natali al primo patriarca, Abramo, ed esistono rapporti storici, lunghi 3000 mila anni. Baghdad storicamente ci ricorda l’antica Babilonia, dove 2600 anni fa viveva la più numerosa comunità ebraica al mondo e lì vi rimase nel corso dei secoli. Il Talmud babilonese, un testo fondamentale per la nostra cultura, fu scritto proprio in quella città”. “Gli ebrei – ricorda l’ambasciatore israeliano – hanno dato un forte contributo alla formazione dell’Iraq moderno in ogni campo: culturale, sociale, economico e anche giuridico e politico. Ma questo non li ha aiutati quando gli arabi iracheni si sono uniti ai nazisti. Alla fine, tutta la comunità è stata costretta a lasciare l’Iraq per trovare rifugio nel neonato Stato d’Israele. Gli ebrei iracheni hanno vissuto per dieci anni in tende e baracche nei campi profughi. Vorrei aggiungere che non sono solo i palestinesi a vivere questa condizione, perché anche gli esuli ebrei purtroppo hanno raggiunto cifre non indifferenti (recenti studi stimano che nel secolo scorso dai soli Paesi arabi e dall’Iran ne furono cacciati 850mila, di cui 135mila dall’Iraq)”. “Siamo aperti ad estendere gli accordi siglati a Washington anche a Baghdad, perché non è un interesse esclusivo d’Israele. Gli accordi – sostiene il diplomatico – 
Gli Accordi di Abramo, che il presidente Usa, Biden, porterà avanti, aggiunge Eydar, “non dipendono dalla volontà di un singolo leader, ma sono il risultato di un lungo processo e gli Stati arabi moderati che vi hanno aderito, lo hanno fatto in virtù dei vantaggi derivanti dalla collaborazione con il nostro Paese, che si traducono in investimenti, turismo, energia, tecnologia, agricoltura. Gli americani hanno sponsorizzato gli Accordi, che proseguono e forse a breve si aggiungerà un altro Paese”. 
Circa i negoziati fra Israele e Libano per la risoluzione della delicata questione delle Zone economiche esclusive l’ambasciatore punta l’indice contro “Hezbollah, cioè l’Iran. Beirut oggi sta attraversando forse una delle peggiori crisi del paese. Israele è disposta a raggiungere un compromesso per il bene della popolazione, ma a bloccare il tavolo dei negoziati è ancora Hezbollah, cioè l’Iran. Il Paese degli ayatollah non intende aiutare Beirut, ma vuole destabilizzare e controllare per circondare Israele”. 
Eydar si sofferma anche sulle relazioni diplomatiche fra Israele e Italia, definite “profonde e in alcuni casi intime. Ci sono collaborazioni in diversi settori: intelligence, cyber security, acqua, hi-tech. In piena pandemia abbiamo portato una delegazione di medici dall’ospedale Sheba in Piemonte, per condividere la nostra esperienza nella lotta al Covid. Il nostro augurio è che la solidità di questo legame possa manifestarsi anche nell’arena internazionale”. In questo ambito il diplomatico israeliano auspica che l’Italia “voti contro il rinnovo del mandato di alcuni organi onusiani, la cui unica ragione d’essere è quella di promuovere un’agenda anti-israeliana”. “Dolorosa”, infine, viene definita da Eydar l’istituzione, voluta dall’Onu, di una commissione d’inchiesta volta a far luce sulle presunte violazioni dei diritti umani in Israele, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania prima e dopo il 13 aprile scorso. “L’Italia si è astenuta e da parte nostra l’astensione significa trattare Israele e Hamas allo stesso modo e questo ci rammarica, perché il mio popolo – conclude – ama l’Italia più di qualsiasi altra nazione in Europa”.

Torneo di calcio “interrituale” tra le parrocchie di Baghdad. Vincono i caldei ai calci di rigore

By Fides
5 novembre 2021

Foto patriarcato caldeo
E’ finita ai rigori la finale del “Torneo Papa Francesco”, la manifestazione sportiva che ha messo in competizione 12 squadre, in rappresentanza delle locali comunità ecclesiali armene, caldee, siriache, latine e copte. 
Alla fine l’ha spuntata la formazione della Cattedrale caldea di San Giuseppe, che ai tiri dal dischetto ha prevalso sulla squadra della chiesa latina di San Giuseppe. Alla finale, giocata davanti ad un folto pubblico di tifosi giovedì 4 novembre e trasmessa in diretta anche su alcuni canali televisivi iracheni, hanno assistito anche il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako e diversi Vescovi iracheni, che alla fine della partita hanno distribuito i premi ai membri della formazione vincitrice e quelli individuali riservati al miglior giocatore, al miglior portiere e al capocannoniere del torneo.
La competizione sportiva è stata organizzata dal Comitato giovanile cattolico, guidato da Mar Basel Salem Yaldo, Vescovo ausiliare caldeo di Baghdad. In un Paese e in una città alle prese da decenni con emergenze (compresa quella pandemica), violenze e tensioni sociali e politiche che rendono travagliata la vita quotidiana di buona parte del popolo iracheno, il torneo di calcio tra le squadre parrocchiali di Baghdad è stato organizzato e vissuto come un momento di convivenza fraterna, segno e auspicio del possibile ritorno a una quotidianità non più stravolta dai veleni del settarismo.
Il torneo di calcio era intitolato a Papa Francesco, anche in memoria della visita compiuta in Iraq dall’attuale Successore di Pietro nel marzo 2020. La sera di domenica 31 ottobre, durante la Liturgia eucaristica da lui presieduta nella Cattedrale caldea di San Giuseppe a Bagdad, il Cardinale e Patriarca Sako si era soffermato proprio sulla professione di fede dell’Apostolo Pietro riportata nel Vangelo di Luca (“Allora domandò: ‘Ma voi chi dite che io sia?’. Pietro, prendendo la parola, rispose: ‘Il Cristo di Dio’ “Lc 9, 20). La fede della Chiesa – ha commentato il Patriarca Sako - “è la fede di Pietro”, e la Chiesa stessa nasce e cresce solo come “frutto dell'esperienza della fede di Pietro, degli Apostoli e dei cristiani”, sperimentata “nel mistero di Dio e di Cristo”.

Il Grande Imam di al-Azhar in Iraq per superare i conflitti confessionali

Georges Fahmi 
28 ottobre 2021 

Durante una conferenza svoltasi qualche anno fa a Beirut, un religioso sciita iracheno aveva dichiarato che i Paesi arabi stavano trascurando le relazioni con gli sciiti del suo Paese, permettendo così all’Iran di accrescere la propria influenza nell’area. Il Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib è pronto a rimediare a questa situazione. Ha infatti annunciato di essere in procinto di recarsi in Iraq per una visita che toccherà Baghdad, Mosul, Erbil e la città santa di Najaf.
La visita a Najaf avrà un’importanza particolare. La città è infatti un importante centro d’insegnamento delle scienze religiose islamiche oltre che luogo di residenza della più alta autorità sciita irachena, se non del mondo: l’Ayatollah al-Sistani. Questi è infatti il riferimento degli sciiti duodecimani dal 1992, e una delle personalità religiose più influenti dell’Iraq degli ultimi tre decenni, specialmente dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003. È nato nel 1931 a Mashhad, in Iran, ma vive a Najaf dal 1951, e la sua autorevolezza ha oltrepassato i confini dell’Iraq per diffondersi in tutto il mondo.
La visita di Al-Tayyib a Najaf giunge in un momento in cui il dialogo interreligioso vive un periodo d’oro. Negli ultimi anni si è infatti assistito a un avvicinamento tra al-Azhar e il Vaticano, culminato nel Documento sulla Fratellanza Umana firmato dal Grande Iman di al-Azhar e da Papa Francesco ad Abu Dhabi nel 2019. Nel marzo di quest’anno poi, l’Iraq ha ricevuto la visita proprio di Papa Francesco, che ha incontrato l’Ayatollah al-Sistani nella sua abitazione di Najaf. 
La visita di Ahmad al-Tayyib è il coronamento queste due iniziative.
Essa persegue una serie di obiettivi non solo religiosi ma anche politici. 
A livello religioso, è un incoraggiamento al dialogo tra la leadership sunnita e quella sciita, ciò che potrebbe ispirare positivamente le comunità arabe in cui convivono sunniti e sciiti, come avviene in Iraq, in Libano e in molti Paesi del Golfo, in modo da stemperare le forti tensioni interconfessionali. In passato sia al-Tayyib che al-Sistani hanno invocato la necessità di porre fine a queste tensioni. In diverse occasioni il Grande Imam ha espresso il suo rifiuto per qualsiasi forma di offesa nei confronti degli sciiti, sostenendo che questi costituiscono insieme ai sunniti le due “ali” della comunità islamica, e che occorre lavorare per porre fine al disaccordo tra le due comunità. Allo stesso modo, l’Ayatollah al-Sistani ribadisce costantemente il bisogno di convivenza pacifica tra sciiti e sunniti e tra questi e le altre religioni dell’Iraq. Al-Sistani si è peraltro opposto ai discorsi che incitavano all’odio settario nella fase degli scontri confessionali in Iraq tra il 2006 e il 2007, affermando l’illiceità per un musulmano di uccidere un altro musulmano.
Sul piano politico, la visita è un nuovo passo per limitare la monopolizzazione della rappresentanza sciita araba da parte dell’Iran. Quest’ultimo infatti tenta sistematicamente di usare la carta confessionale per arrogarsi il diritto di parlare a nome di tutti gli sciiti, specialmente durante le fasi di tensione settaria, presentandosi come il loro difensore in Medio Oriente. Ed è riuscito a promuovere quest’immagine all’interno delle stesse società arabe, al punto che si è diffusa la concezione errata di un legame tra confessione sciita e fedeltà politica all’Iran. In molti sono convinti che tutti gli sciiti siano necessariamente sostenitori del sistema nato dalla Rivoluzione islamica. Questo può essere vero con alcune forze politiche sciite che l’Iran sostiene per estendere la propria influenza nell’area, ma non è il caso di al-Sistani e di una grande fetta degli sciiti iracheni.
In realtà ci sono diverse divergenze tra l’autorità religiosa di Najaf e la Repubblica Islamica d’Iran. Alcune di esse riguardano la religione, altre le politiche iraniane nei confronti dell’Iraq. L’Ayatollah al-Sistani, per esempio, rifiuta il principio della wilāyat al-faqīh, che assegna ai religiosi sciiti un’autorità politica sulle questioni di governo ed è stato adottato in Iran a partire dall’ascesa di Khomenei nel 1979. Di contro, al-Sistani invita a istituire uno Stato civile, rifiutando qualsiasi ruolo politico nella gestione dello Stato iracheno. È una posizione che riflette le sue convinzioni religiose: egli crede infatti nell’autogoverno della umma (e non nel governo dei giuristi-teologi, NdT), dal momento che il potere trae la sua legittimità dal popolo e questo contrasta con il modello della wilāyat al-faqīh fatto proprio dalla Rivoluzione iraniana.

30 ottobre 2021

Sinodo della Chiesa Antica dell'Est in Arizona.

By Baghdadhope*

Il patriarca della Antica Chiesa dell'Est, Mar Addai II, ha convocato il santo sinodo il 28 ottobre 2021 a Phoenix, in Arizona. 
Tra le chiese cristiane storiche presenti in Iraq quella Antica dell'Est è di certo la più giovane e quella che ha meno fedeli. Essa nacque infatti solo nel 1968 quando i suoi fedeli facevano ancora capo alla Chiesa d'Oriente, diventata poi Chiesa Assira dell'Est, che era guidata dal patriarca Mar Eshai Shimoun XXIII che dopo essere stato esiliato dall'Iraq e dopo 7 anni vissuti a Cipro nel 1940 si era stabilito negli Stati Uniti. 
Nel 1964 Mar Shimoun aveva deciso di sostituire al tradizionale calendario giuliano quello gregoriano.
Una decisione che, unita a forti rivalità tribali, spinse alcuni chierici ad opporsi al Patriarca al quale chiedevano anche l'abbandono della consuetudine per la quale il titolo patriarcale da secoli passava da zio a nipote ed il ritorno della sede patriarcale in Iraq.
Da questa richieste inascoltate nacque nel 1968 la Chiesa Antica dell'Est ora guidata da Mar Addai II.

Il sinodo della Chiesa Antica dell'Est è così composto:
Mar Addai II, Patriarca 

Mar Yacoub Daniel, Metropolita Australia e Nuova Zelanda
Mar Shimoun Daniel, Arcivescovo Iraq 

Mar Gewargis Younan, Vescovo USA Est 
Mar Boutrous Tamras,  Vescovo USA ovest
Mar Timatheus Shallita, Vescovo Europa
Mar Zaia Khoshaba, Metropolita Usa e Canada





29 ottobre 2021

Pope Francis sends video to city of Mosul, praying for ‘friendship among the people’

Inés San Martín
October 27, 2021

Eight months after visiting Iraq’s war-torn city Mosul, Pope Francis sent a message to the citizens, saying that he remembers the destruction he witnessed. 
“I pray that the Lord will visit Mosul, and give her consolation after so much suffering,” Francis said. “I pray for all the citizens who died, those who were tortured, those who suffered violence. I pray for the families that today are working to rebuild the city. I pray for friendship among the people of Mosul. All brothers. I pray for Mosul.” 
“I remember the destroyed Churches … May the Lord help everyone to rebuild this city!” he said. 
Pope Francis’s words to Mosul came in the form of a video recorded by historian turned journalist Omar Mohammed, who runs the blog Mosul Eye. 
He played a key role in keeping the world informed of the atrocities perpetrated by the Islamic State Group – called Daesh by its victims – during the 2014-2017 occupation of the city. 
On Tuesday, the pontiff welcomed Mohammed at his residence in the Casa Santa Marta. 
Mohammed sent the video to Crux later that day. 
The journalist shared several moments of his encounter with Francis on Twitter, including that the pope called him personally to make the appointment: “That was the funniest and the most beautiful part of it all. He said, I wanted to do everything myself, call you and invite you. He is so cool and fun,” Mohammed wrote. He also said the pope asked to be recorded, so that he could send a message to the people of Mosul. 
Francis made history earlier this year when he became the first pope to visit Iraq, the land of Abraham. 
On March 7, the city of Mosul did its best to show the pontiff why, before being the stronghold of a terrorist organization, it was known as a crossroads of tolerance.
The Argentine had the opportunity to get a bird’s eye view of the devastation caused by the war during his helicopter ride from the nearby city of Erbil, capital of Kurdistan. 
Mosul is the administrative capital of Nineveh, and for the past 2,500 years it has represented the pluralistic identity of the region. The rise of ISIS, and the war that followed, caused vast damage to the city’s skyline, destroying landmarks such as the Al-Hadba minaret of the Al-Nouri Mosque and the clock tower of the Church of Our Lady of the Hour, the first of its kind in the Middle East. 
The Nineveh Plains is a conglomerate of small villages, many of them historically Christian: Teleskof, Batnaya, Bartella, Karamles, Qaraqosh, and others. During his visit, Francis defined the damaged structures as reminders of the “perennial human desire for closeness” to God.
The clock, he added, “for more than a century has reminded passers-by that life is short and that time is precious.”
With the help of private NGOs such as the papal organization Aid to the Church in Need, the Knights of Columbus and the Hungarian government, thousands of Christian families have been able to go home after the region was liberated. The mosque and the church are being rebuilt through the UN-sponsored program “Revive the Spirit of Mosul,” financed by the United Arab Emirates.
This is a concrete result of Pope Francis’s historic Declaration on Human Fraternity, which he signed in 2019 with the Grand Imam of al-Azhar, Cairo’s Sunni university.
In the former capital of the self-proclaimed Islamic caliphate, Francis reaffirmed the conviction that “fraternity is more durable than fratricide, that hope is more powerful than hatred, that peace more powerful than war.”
French-born Dominican Father Olivier Poquillon, who works in Mosul, told Crux earlier this month that the visit had a “very positive impact on Iraq.” “It was something positive, and Iraqi people were bringing something good to the world, instead of being the suffering ones,” he said. “The vast majority of Iraqis are Muslims, but all of them participated in welcoming the pope.”
As he was leaving Mosul, Pope Francis stopped the car and greeted a group of children who were playing on a nearby street. Poquillon later asked their grandfather if they knew who he was, to which the man said “no, but we know he was a man of God and he visited us.”
The priest said that was the significance of the pope’s visit to Iraq: “He opened the door to the weakest, to a suffering people and brought them back within the [global] community.”

26 ottobre 2021

A Erbil un museo custodirà manoscritti cristiani scampati alle devastazioni jihadiste


Manoscritti e libri antichi, sia cristiani che islamici, sottratti in anni recenti alla possibile distruzione da parte dei jihadisti dello Stato Islamico (Daesh) saranno raccolti e custoditi in un museo-centro studi costituito ad hoc per volontà dei Vescovi della Chiesa caldea.
La decisione di costituire il nuovo centro di conservazione e esposizione è stata presa dagli stessi Vescovi caldei, riunitisi sabato 23 ottobre a Erbil, capoluogo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, sotto la presidenza del Patriarca Louis Raphael Sako.
Il museo sorgerà a Ankawa, distretto di Erbil abitato in maggioranza da cristiani, in un edificio adiacente all’istituto che ospita sacerdoti e seminaristi caldei. L’iniziativa vedrà il coinvolgimento diretto della locale comunità dei Padri Domenicani, da sempre impegnati nella conservazione e nello studio di libri e manoscritti antichi, che rappresentano anche una testimonianza preziosa del radicamento delle comunità cristiane autoctone di origine apostolica nelle terre dell’attuale Iraq.
Il patrimonio che confluirà nel museo è stato presentato alla riunione dei Vescovi caldei da Najib Mikhail Moussa, attuale Arcivescovo caldeo di Mosul e membro dei Frati predicatori. Prima di assumere nel 2019 la guida dell’Arcidiocesi caldea nella città che era stata occupata per lunghi anni dai jihadisti di Daesh, padre Najib Mikhail ha dedicato gran parte della sua vita alla cura e allo studio di manoscritti e testi antichi appartenenti alle antiche Chiese d’Oriente raccolti dai Padri Domenicani.
Nato nel 1955 a Mosul, fin dal 1990 padre Najib Mikhail era stato direttore del Centro di digitalizzazione dei manoscritti orientali nella metropoli nord-irachena. Fino al 2007, il patrimonio di migliaia di manoscritti e libri antichi curato dai Domenicani era custodito presso il complesso della chiesa domenicana di Mosul. Già a partire da quell'anno, per motivi di sicurezza, le opere più preziose e gli 850 manoscritti più antichi in aramaico, arabo e armeno erano stati trasferiti a Qaraqosh, città a maggioranza cristiana a trenta chilometri da Mosul.
Alla fine di luglio del 2014, la preoccupazione davanti all'avanzare dei jihadisti di Daesh – che avevano già conquistato Mosul dal 9 giugno precedente – avevano convinto i Domenicani a iniziare il trasferimento dei manoscritti e dei libri antichi nel capoluogo del Kurdistan iracheno, per salvarli dalle devastazioni iconoclaste e dai roghi di libri perpetrati dai jihadisti nelle terre da loro occupate.
Nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2014, anche padre Najib Mikhail era fuggito insieme a migliaia di cristiani dalla Piana di Ninive verso Erbil, portando con sé su un furgone un buon numero di manoscritti e documenti antichi dal valore inestimabile, mentre le città della Piana finivano sotto il dominio di Daesh. Negli anni successivi padre Najib Mikhail aveva coinvolto anche decine di profughi rifugiati a Erbil nell'opera di restauro di manoscritti e libri antichi sottratti alla possibile distruzione da parte dei jihadisti. La piccola impresa culturale animata dai rifugiati iracheni ha rappresentato uno sviluppo oltremodo significativo dell'opera di tutela del patrimonio culturale iracheno che da secoli vedeva impegnati in quelle terre gli appartenenti all'Ordine dei frati predicatori, fondato da San Domenico di Guzmàn (1170-1221). In quegli anni difficili, tanti profughi, cristiani e musulmani, hanno potuto acquisire competenze professionali in quest'opera di salvaguardia del patrimonio culturale della regione.

25 ottobre 2021

Preparativi finali per l'incontro a Najaf tra il Grande Ayatollah sciita Ali al-Sistani e il sunnita Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyeb

By Il Sismografo Blogspot

Una delegazione di alto livello in rappresentanza del sunnita Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyeb (Egitto) è arrivata sabato scorso in Iraq per chiudere i preparativi della visita che il dignitario egiziano farà prossimamente per incontrare a Najaf il Grande Ayatollah sciita Ali al-Sistani.
Un evento storico non solo per il mondo musulmano che segue il precedente, ugualmente storico e di natura interreligiosa, tra l'anziano leader spirituale dei sciiti e Papa Francesco (sabato 6 marzo 2021 - Allocuzioni del viaggio).
La delegazione sunnita, che per primo ha visitato Najaf, ha avuto diversi incontri con le autorità irachene e ha anche effettuato dei sopralluoghi a diverse istituzioni di rilevante significato religioso per l'Islam, in particolare per i due rami, sciiti e sunniti.
I membri della delegazione in questi giorni hanno in programma altri sopralluoghi simili in altre due città importanti: Karbala e Baghdad, la capitale. Fonti vicine alla delegazione hanno voluto sottolineare alla stampa locale che la visita del Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyeb, prima della fine del 2021, va inquadrata in due circostanze storiche da non sottovalutare: la prima è che l'Iraq è la terra dove si è visto nascere l'ISIS, cosa che ha causato enorme sofferenze al Paese, nella regione e in altri luoghi del mondo. L'altra circostanza riguarda la ricchezza della diversità etnica e religiosa che fa parte di questi popoli dell'area. Tra queste ricchezze il portavoce della delegazione ha sottolineato il contributo che le culture locali e molti intellettuali musulmani hanno dato alla costruzione della tolleranza e della fratellanza.
Questo è lo spirito che anima il Grande Imam di al-Azhar e questa sua disponibilità è alla base del suo prossimo incontro con il Grande Ayatollah sciita Ali al-Sistani, ha concluso.

Elezioni, vescovi caldei: ‘tensione’ preoccupante, un governo contro il baratro


I risultati delle elezioni parlamentari in Iraq del 10 ottobre hanno innescato una situazione di “tensione” in tutto il Paese che preoccupa la Chiesa caldea, il cui patriarca Sako era intervenuto alla vigilia del voto auspicando una partecipazione in massa contro i brogli.
Per questo i vescovi hanno lanciato un appello in cui chiedono ai politici di “seguire i valori della nazione e della fraternità”, guardando all’interesse pubblico più che alle “agende di partito”.
Alla classe dirigente giunge l’invito a procedere in maniera “spedita” alla formazione di un “governo di competenze nazionali” alla luce di un risultato che ha decretato la vittoria di Moqtada al-Sadr, che però non ha la maggioranza assoluta per formare un esecutivo. Egli dovrà trovare accordi in Parlamento per controllare i 165 seggi necessari.
Intanto il Gulf Centre for Human Rights denuncia attacchi ad attivisti e membri della società civile e dei mezzi di informazione, in un quadro definito “preoccupante” di violazioni ai diritti umani e torture dei civili.
Nel complesso le autorità hanno registrato almeno 77 violazioni durante la tornata elettorale a Baghdad, Kirkuk, Basra, Erbil, Nineveh, Diyala, Anbar, Wasit e Diwaniyah, con tentativi di brogli e intimidazioni degli avversari.
Polemiche si registrano anche sull’assegnazione dei cinque seggi riservati ai cristiani.
Interpellato dal sito curdo Rudaw, l’ex parlamentare Joseph Sliwa ha detto che i nuovi deputati non sono rappresentativi, perché il 90% dei loro voti non vengono da elettori cristiani, ma da sciiti e curdi, che hanno dirottato parte delle loro preferenze in modo da eleggere candidati affini o “manipolabili”.
Immediata la replica degli eletti, secondo cui il processo si è svolto in modo regolare e le denunce sono frutto del malcontento degli sconfitti. Fra quanti non riconoscono i risultati delle urne vi sono i membri della coalizione (sciita) Fatah, vicini all’Iran, che hanno indetto manifestazioni a Baghdad e in altre città fra cui Bassora, Kerbala e Kirkuk.
In risposta, la Commissione elettorale ha concesso un nuovo conteggio di 300 urne, in un clima diffuso di malcontento che preoccupa la Chiesa irachena.

Di seguito il testo del messaggio lanciato dal card. Sako e dai vescovi caldei in Iraq.
Alla luce della situazione attuale di “tensione” in Iraq, innescata dai risultati delle elezioni parlamentari, i vescovi caldei in Iraq, riuniti sotto la presidente di sua beatitudine il patriarca Louis Raphael Sako nella residenza estiva di Ankawa/Erbil, il 23 ottobre 2021, si rivolgono a tutti con questo appello:
Invitiamo tutti i politici iracheni a seguire i valori della nazione e della fraternità, al fine di garantire priorità all’interesse pubblico più che alle agende partigiane e di partito. Questo obiettivo può essere raggiunto mettendosi insieme e dando vita a un dialogo calmo e civile, all’interno del quale si possano esprimere i diversi punti di vista, per porre fine alla situazione attuale di tensione generata dalle recenti elezioni politiche.
I vescovi caldei hanno lanciato ripetuti appelli alla classe dirigente irachena, perché proceda in maniera spedita alla formazione di un governo di competenze nazionali, in grado di realizzare le richieste del popolo iracheno e di impedire al Paese di “scivolare” in una situazione sempre peggiore. Ribadiamo con forza che minacciare o usare le armi per risolvere i problemi fra i cittadini è uno dei principali “peccati” in ogni uso e tradizione, perché le armi devono essere solo un mezzo di difesa della madrepatria.
[In questi tempi bui] Possa l’Iraq essere preservato e protetto nelle coscienze dei suoi fedeli cittadini.

Appeal of the Chaldean Bishops in Iraq

By Chaldean Patriachate 

In light of the current “tense” situation in Iraq, created by the elections, the Chaldean Bishops in Iraq, assembled under the Chairmanship of His Beatitude Patriarch Louis Raphael Cardinal Sako at the Summer Patriarchal Residence in Ankawa / Erbil, on Saturday morning, October 23, 2021 addressed the following appeal:
Calling upon all Iraqi politicians to follow the national and fraternal values, in order to give priority to the public interest rather than partisan agendas. This can be achieved by getting together in a calm and civilized dialogue explaining each other’s point of view, to end the current tension generated by the recent election.
Chaldean Bishops urged Iraqi politicians to expedite the formation of a government of national competencies, capable of realizing the demands of Iraqi people and preventing the country from “slipping” for the worse.
Knowing that threatening or using weapons to solve problems between citizens is one of the major “sins” in all customs, as weapons are for the defense of the homeland only.
May Iraq be preserved and protected in the consciences of its loyal citizens.

22 ottobre 2021

Chiesa caldea: Ordinazione episcopale di Mons. Thabet Habeb Yousif Al Mekko

By Baghdadhope* - Patriarcato Caldeo

Foto Patriarcato caldeo
Si è svolta oggi ad Erbil la cerimonia di ordinazione episcopale di Mons. Thabet Habeb Yousif Al Mekko, vicario episcopale della diocesi caldea di Alqosh con diritto di successione.
Mons. Al Mekko è nato il 14 febbraio del 1976 a Karamles, uno dei villaggi cristiani della Piana di Ninive, nel nord Iraq. Ha due fratelli e tre sorelle.  
Dopo essersi laureato in Geologia ha conseguito la laurea in Teologia ed il dottorato in Scienze Patristiche presso l'Istituto Patristico "Augustinianum" di Roma, istituzione universitaria cattolica aggregata alla Pontificia Università Lateranense. 
Ordinato sacerdote il 25 luglio 2008 ha prestato servizio sacerdotale nella chiesa di Mar Addai a Karamles dal 2011 al 2014 quando ha iniziato ad operare ad Erbil a favore dei cristiani rifugiati cacciati dalle loro case di Mosul e della Piana di Ninive dall'ISIS. Dal 2017 è tornato a prestare servizio a Karamles contribuendo alla ricostruzione del villaggio devastato durante l'occupazione da parte dell'ISIS.     
Attualmente insegna Patristica presso la facoltà teologica Babel College.
La cerimonia di ordinazione è stata presieduta dal patriarca della chiesa caldea, Cardinale Mar Louis Raphael Sako, assistito dal vescovo di Alqosh, Mons. Mikha P. Maqdassi e dall'arcivescovo di Mosul Mons. Moussa Najib Mikhael O.P 
Presenti alla cerimonia per la chiesa caldea i vescovi Mons. Basel Yaldo, Mons. Robert Jarjis, Mons. Felix Shabi, Mons. Bashar M. Warda CSsR, Mons. Shleimun Warduni, Mons. Habib Al Naufali e Mons. Thomas Yousif Mirkis O.P, il Nunzio Apostolico in Iraq Mons. Mitja Leskovar e numerosi altri rappresentanti di altre chiese come quella siro-cattolica, quella siro ortodossa, quella assira e quella antica dell'est.  

“Uniti in Cristo”. Il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako rende visita a Mar Awa III, nuovo Patriarca della Chiesa assira d’Oriente

By Fides - Patriarcato caldeo

Foto Patriarcato caldeo
La condizione delle comunità cristiane autoctone nella delicata fase storica attraversata dall’Iraq e il futuro che le attende nelle terre del loro radicamento millenario sono state al centro della visita resa giovedì 21 ottobre dal Patriarca caldeo Louis Raphael Sako a Mar Awa III, neo-eletto Patriarca della Chiesa assira d’Oriente. 
Il Cardinale Sako, alla guida di una piccola delegazione caldea, è stato ricevuto dal Patriarca Mar Awa nella sua residenza a Ankawa, sobborgo a maggioranza cristiana della città di Erbil, capitale della Regione autonoma del Kurdistan iracheno. Oltre ad esprimere felicitazioni per la nomina patriarcale, il Patriarca caldeo ha augurato al suo omologo assiro di poter servire con dedizione e letizia l’antica Chiesa assira d’Oriente operando anche a favore dell’unità dei battezzati. Il Cardinale iracheno - riferiscono le fonti ufficiali del Patriarcato caldeo - ha portato in dono a Mar Awa un anello e alcuni libri liturgici.

Mar Awa, all’anagrafe David Royel, è stato eletto 122esimo Patriarca della Chiesa assira d’Oriente lo scorso 8 settembre, succedendo al Patriarca Mar Gewargis III Sliwa, che già nel febbraio 2020 aveva annunciato la sua rinuncia all’ufficio patriarcale per motivi di salute. 
Nella prima lettera di congratulazioni che il Cardinale Sako aveva inviato il 9 settembre a Mar Awa da Budapest – città dove stava prendendo parte al 52esimo Congresso Eucaristico internazionale -, il Patriarca Sako aveva manifestato la piena disponibilità della Chiesa caldea “a cooperare con voi” nel comune servizio ai battezzati e a tutti i cittadini iracheni.
Il nuovo Patriarca assiro Mar Awa, come già riferito dall’Agenzia Fides, viene dagli USA e ha studiato nelle accademie cattoliche, compreso il Pontificio Istituto Orientale. Prima di essere eletto Patriarca, era Vescovo della diocesi assira di California (USA) e Segretario del Santo Sinodo. Nato 46 anni fa a Chicago, e quindi figlio della diaspora assira negli USA, David Royel è stato ordinato diacono già a 17 anni, e in seguito ha conseguito titoli di laurea in sacra teologia presso la Loyola University di Chicago (fondata nel 1870 dai Gesuiti) e presso l’University of Saint Mary of the Lake, nota anche come “Mundelein Seminary”, storico istituto incaricato della formazione teologica e spirituale dei sacerdoti cattolici dell’Arcidiocesi di Chicago. Successivamente ha conseguito la licenza in Sacra Teologia e il dottorato presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma. È stato ordinato Vescovo dall’allora Patriarca Mar Dinkha IV nel 2008, prendendo il nome di Awa (che in lingua assira significa “padre”) e divenendo il primo Vescovo della Chiesa assira nato negli Usa. La Chiesa assira d’Oriente non ha mai avuto conflitti dogmatici diretti con il Vescovo di Roma. Il dialogo teologico ufficiale tra Chiesa cattolica e Chiesa assira d’Oriente è stato avviato nel 1984, e ha portato alla dichiarazione cristologica comune del 1994, che ha confessato la fede in Cristo condivisa tra cattolici e assiri. Adesso, tale dialogo teologico fraterno sta proseguendo sul tema dei sacramenti e della vita sacramentale della Chiesa. Già dal 2001 la Chiesa assira d’Oriente ha autorizzato esperienze di ospitalità eucaristica con la Chiesa caldea, in situazioni pastorali che lo richiedono. Un futuro documento congiunto tra Chiesa cattolica e Chiesa assira d’Oriente potrebbe attestare ufficialmente il riconoscimento reciproco della validità dei sacramenti celebrati e amministrati nelle due Chiese.
La teologia e la spiritualità della Chiesa assira e della Chiesa caldea sottolineano con forza la natura umana di Cristo. Tale prospettiva spirituale non potrebbe essere maggiormente valorizzata come una via feconda per l'annuncio cristiano nel tempo presente.
Nel settembre 2013 Louis Raphael Sako, divenuto da pochi mesi Patriarca della Chiesa caldea, aveva rivolto all’allora Patriarca assiro Mar Dinkha IV un invito ufficiale a iniziare insieme un cammino di dialogo per ripristinare la piena comunione ecclesiale tra la comunità cristiana caldea – unita al Vescovo di Roma – e quella assira. “Colgo l'occasione” aveva scritto allora il Patriarca caldeo al Patriarca assiro “per esprimere il desiderio della Chiesa caldea riguardo all'attivazione di un dialogo per l'unità, che è il desiderio di Gesù. L'inizio di questo dialogo è oggi urgente, di fronte alle grandi emergenze che minacciano la nostra sopravvivenza. Senza unità, non c'è futuro per noi. L'unità può aiutare a custodire la nostra presenza.”  Il proposito non ha avuto di fatto sviluppi, anche se all'inizio di ottobre 2013 il Patriarca Mar Dinkha aveva risposto positivamente all'appello del Patriarca caldeo, suggerendo la creazione di un “Comitato congiunto” come strumento per affrontare insieme le urgenze condivise dalle due Chiese sorelle, che hanno in comune lo stesso patrimonio liturgico, teologico e spirituale.

Il patriarca Sako celebra i primi laureati dell’università cattolica di Erbil


Foto Patriarcato caldeo
“Questa università è un luogo meraviglioso per la cultura, l’educazione, il dialogo e per questo va sostenuta”.
È quanto ha affermato ieri sera il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, durante la solenne cerimonia di laurea del primo gruppo di giovani che hanno concluso il curriculum di studi all’università cattolica di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Un ateneo che ha aperto le porte alla fine del 2015, quando gran parte dell’Iraq era sotto la minaccia dello Stato islamico (SI, ex Isis), che aveva scelto Mosul come sua roccaforte a poche decine di chilometri dal confine con la regione autonoma. “A nome mio e della Chiesa caldea - ha proseguito il primate - desidero esprimere le mie più vive congratulazioni alla diocesi di Erbil, al suo arcivescovo, alla città di Ankawa, al personale universitario e al primo gruppo di laureati”.
La cerimonia solenne, arricchita da un intrattenimento musicale, si è svolta ieri nei giardini dell’ateneo, ad Ankawa. All’evento hanno partecipato numerose personalità religiose e civili, intellettuali, politici, il patriarca della Chiesa assira d’oriente Mar Awa III, il nunzio apostolico in Iraq, vescovi, suore, sacerdoti e parenti degli studenti. Nel corso della serata sono intervenuti anche il figlio del presidente della regione autonoma curda Idris Barzani, alcuni ministri e accademici, oltre al fondatore dell’università mons. Bashar Warda.
I presenti hanno potuto ascoltare, grazie a due filmati realizzati in precedenza e trasmessi durante la cerimonia, le testimonianze di alcuni universitari, i loro sogni e le loro aspirazioni in una realtà che non sempre ha favorito il loro percorso di studi. “La Chiesa cattolica - ha proseguito il card. Sako .- si è distinta fin dai primi secoli per le istituzioni culturali e sociali: scuole, università, enti di beneficienza per poveri, ospedali e cliniche caritative”.
L’università cattolica come il Maryamana Hospital, sempre a Erbil, sono “progetti vitali” che rafforzano il ruolo e la presenza della Chiesa stessa nella società. Nei giorni scorsi vi è da registrare l’apertura di un centro per l’autismo a Kirkuk e la posa della prima pietra del Centro Thalassima e di una struttura per i malati di Alzheimer quasi ultimata a Sulaymaniyah. Queste iniziative sociali, culturali, educative e sanitarie “preparano un futuro di convivenza” nel Paese, osserva il porporato, e offrono occasioni di conoscenza, scambio di esperienze, permettono di prepararsi alle sfide future.
Parlando delle scuole, il primate caldeo auspica che “l’educazione religiosa” sia offerta a tutti gli studenti e che non sia solo cristiana o musulmana, ma abbracci le diverse fedi perché gli studenti “possano conoscere i punti in comune ed evitare l’estremismo”. Oggi, prosegue, vi sono due “tendenze” fra i fedeli delle religioni: la prima è una visione intransigente e radicale, che non ammette revisioni rispetto a un passato immutabile. La seconda legge le religioni “in profondità” e ne ricerca “l’essenza”, o il messaggio, senza perderne “vitalità e slancio”, soprattutto in questa epoca “digitale”. Perché la religione “ha un ruolo importante” nella cosa pubblica e “non può limitarsi a riti e culto”. Il compito delle religioni “è servire le persone” preservandone libertà e dignità, conclude il porporato, e come sottolinea papa Francesco “la fratellanza umana e la fede in Dio, centro di tutte le religioni, devono unirci” rispettando “diversità e pluralismo”.

21 ottobre 2021

Polemiche post-elezioni sulla distribuzione dei seggi riservati a candidati cristiani


A pochi giorni dalle elezioni parlamentari irachene, svoltesi domenica 10 ottobre, torna anche stavolta lo strascico di prevedibili polemiche post-elezioni intorno alla distribuzione dei 5 seggi parlamentari riservati dal sistema elettorale a candidati cristiani. Le obiezioni più esplicite ai risultati relativi alla quota di seggi garantita a politici appartenenti alle locali comunità cristiane, sono state espresse dall’ex parlamentare cristiano Yussef Juseph Sliwa, spintosi a dichiarare in un’intervista diffusa dal network curdo Rudaw, che i cinque nuovi parlamentari aggiudicatari dei seggi di tale quota, in realtà non rappresentano i cristiani iracheni, visto che a suo dire il 90% dei voti espressi a loro favore in realtà non sarebbero arrivati da elettori cristiani.
L’accusa, emersa anche in occasione delle elezioni politiche irachene del 2018, chiama in causa formazioni politiche maggiori, di matrice sciita e curda, che avrebbero dirottato una parte dei propri voti sui candidati in corsa per la conquista dei seggi riservati ai cristiani, in modo da piazzare in quei seggi dei parlamentari totalmente allineati alle proprie strategie politiche. Sliwa, nella sua intervista, ha ribadito che i politici appartenenti a comunità cristiane locali – siri, caldei e assiri – non avrebbero dovuto farsi coinvolgere nei conflitti che contrappongono partiti sciiti a partiti sciiti e sigle curde ad altre formazioni politiche curde.
Alle accuse di Sliwa ha risposto a stretto giro Evan Faeq Yakoub Jabro, ex ministra per i rifugiati e le migrazioni nel governo uscente guidato da Mustafa al Kadhimi, eletta con quasi 11mila preferenze al nuovo Parlamento nelle file del “Movimento Babilonia”, dopo aver gareggiato per occupare il seggio riservato a candidati cristiani nella città di Baghdad.
In un’intervista rilanciata dal Rudaw Media Network, l’ex ministra ha difeso la trasparenza del processo elettorale, sottolineando che nella distribuzione dei seggi riservata ai cristiani si è registrata una eloquente affermazione delle candidate donne (due su cinque), segno che “la nostra società ha iniziato a fare passi avanti verso una certa apertura intellettuale”. Evan Jabro ha liquidato anche le accuse di manipolazione elettorale espresse da Sliwa e da esponenti politici cristiani come reazione comprensibile di sigle politiche uscite sconfitte dal confronto elettorale. Il “Movimento Babilonia”, come riferito dall’Agenzia Fides, ha ottenuto ben 4 dei 5 seggi riservati a candidati cristiani dal sistema elettorale nazionale. Il quinto seggio, assegnato nel distretto di Erbil, è stato assegnato al candidato indipendente Farouk Hanna Atto.
Il Movimento Babilonia è nato come proiezione politica delle cosiddette “Brigate Babilonia”, milizia armata formatasi nel contesto delle operazioni militari contro i jihadisti dello Stato Islamico (Daesh) che portarono alla riconquista delle aree nord-irachene cadute nelle mani jihadiste nel 2014. Guidate da Ryan al Kildani (Ryan “il caldeo”), le “Brigate Babilonia” avevano sempre rivendicato la propria etichetta di milizia composta da cristiani, anche se risultava documentato il loro collegamento con milizie sciite filo-iraniane come le Unità di Protezione popolare (Hashd al Shaabi). Anche la sigla politica del “Movimento Babilonia” viene considerata vicina alla “Organizzazione Badr”, movimento politico che alle elezioni è confluito nella Alleanza Fatah, cartello che raggruppava nove sigle e organizzazioni sciite di orientamento filo-iraniano, uscite sconfitte dalla tornata elettorale dell’8 ottobre.
I risultati delle elezioni irachene, oltre alla sconfitta del blocco Fatah, hanno fatto registrare anche la crescita del Partito Sadrista, guidato dal leader sciita Muqtada al Sadr che nel Parlamento precedente controllava 58 seggi e siederà come prima forza nella nuova assemblea parlamentare, avendo conquistato 73 dei 329 seggi del Parlamento. La coalizione Fatah ha ottenuto solo 15 seggi a fronte dei 48 controllati dalle stesse sigle della coalizione nel precedente Parlamento, e non ha riconosciuto i risultati del voto, invitando i sostenitori a scendere in piazza.
A Baghdad i manifestanti si sono radunati nei pressi della “Zona Verde”, area dove sono concentrati gli uffici del governo e le ambasciate. Proteste analoghe si sono registrate negli ultimi giorni anche a Bassora, Kerbala e Kirkuk.
Ai seggi si è recato solo il 41% degli aventi diritto al voto, soglia che rappresenta il minimo storico delle 6 elezioni parlamentari tenutesi in Iraq dal 2003, dopo la fine del regime di Saddam Hussein. L’appuntamento elettorale, fissato per il 2022, era stato anticipato dopo le proteste popolari che nell’autunno 2019 avevano manifestato scontento generalizzato verso l’intera dirigenza politica irachena, accusata di corruzione e cattiva gestione.
I risultati delle elezioni irachene hanno registrato un'affermazione importante della presenza femminile in Parlamento. 97 deputate sono state elette, molto di più rispetto alla quota del 25% assegnata per legge (83 su un totale di seggi di 329).