"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

10 novembre 2021

Card. Sako: l’attentato ad al-Kadhimi per destabilizzare l’Iraq


Un attacco a colpi di droni che mira a “bloccare” il progetto di un Iraq forte, di uno Stato “basato sulla legge, sulla cittadinanza, sull’ordine e la giustizia”.
Così il patriarca caldeo, il card. Louis Raphael Sako, commenta ad AsiaNews l’attentato nella notte fra il 6 e il 7 novembre contro la casa del primo ministro Mustafa al-Kadhimi, rimasto illeso. “Non si sa ancora chi ci sia dietro questo episodio - sottolinea il porporato - ma è chiaro che l’obiettivo è quello di destabilizzare, creare confusione e interrompere il lavoro avviato dal primo ministro, che vuole costruire un progetto di Iraq non isolato” sul piano internazionale.
Il primate caldeo esclude la mano dello Stato islamico (SI, ex Isis) e avanza analogie con gli attacchi - a colpi di razzi e droni - contro l’aeroporto di Erbil, nel Kurdistan iracheno, o l’ambasciata Usa a Baghdad. “Il progetto è di colpire Kadhimi come rappresentante dello Stato. Io stesso ho avvertito le esplosioni, perché il patriarcato non è molto distante dalla Zona Verde”.
In queste ore il premier, scampato al tentativo di omicidio, è apparso in un video diffuso dai suoi collaboratori in cui incontra e discute con i responsabili della sicurezza. In una nota l’ufficio di Kadhimi parla di “codardo attacco terroristico” sferrato da “gruppi armati criminali” che hanno usato tre doni: due di questi sono stati abbattuti, mentre un terzo è riuscito a raggiungere e colpire la residenza ferendo almeno sei delle guardie del corpo del capo del governo, nel centro di Baghdad. Al momento la situazione è di relativa calma e non si sono registrate rivendicazioni ufficiali, mentre sono numerose e unanimi le voci di condanna: dal presidente Barham Salih al leader radicale sciita Moqtada al-Sadr, oltre all’Onu, agli Stati Uniti, all’Iran e all’Arabia Saudita per citarne alcuni.
Analisti ed esperti legano l’attentato alle elezioni parlamentari del 10 ottobre scorso contestate da una parte dello schieramento politico, in particolare dai movimenti sciiti filo-iraniani usciti sconfitti dalle urne anche se i risultati definitivi devono ancora essere ufficializzati. Il 5 novembre scorso le milizie legate a Teheran hanno promosso imponenti manifestazioni di piazza, per rilanciare le accuse di brogli e contestare il responso delle urne. Tensioni che avevano già fatto risuonare più di un campanello d’allarme fra i vescovi caldei, che chiedono un governo forte per frenare la deriva violenta e una situazione di caos che farebbe precipitare il Paese nel baratro.
Nella messa domenicale il patriarca caldeo ha pregato per la salute del primo ministro e di tutto il Paese. “Fra i fedeli - racconta - vi era grande tristezza per l’attacco, ma anche felicità perché si è salvato. In molti credono che il suo lavoro di riforme sia autentico e di beneficio alla nazione. Finora egli non ha mai voluto usare le armi per risolvere i problemi, chiede e rilancia i principi del dialogo e dell’incontro, anche con i suoi nemici o avversari politici”.
È chiaro, prosegue il card. Sako, che l’attentato è legato al processo post elettorale e all’iter che porterà al giuramento del prossimo Parlamento e alla nomina del futuro presidente della Repubblica, dell'Assemblea legislativa e del capo del governo, che potrebbe essere ancora Kadhimi. “A tutti i cristiani d’Iraq - conclude il porporato - chiedo di pregare per il bene del Paese, di aspettare con calma e fiducia, non farsi trasportare dalle tensioni contrapposte, ma restare fonte di equilibrio”.