By Patriarcato caldeo
Il Natale è un progetto teologico sul piano della fede, dell’uomo e della vita che aiuta le persone a recuperare i valori spirituali e morali per vivere nell’amore e nella pace con gli altri.
Il Natale non è solo una celebrazione di un anniversario di duemila anni fa, o una celebrazione di folclore con fascino esteriore come le decorazioni, i regali e le visite, il Natale ci insegna la consapevolezza e la fede nella continuazione della presenza di Dio nella nostra vita, una presenza eterna con il suo amore e la sua misericordia. Un inno natalizio dice: “Quando la mia anima si dissolve nell’essere di Dio, io sono nel Natale”.
Cristo è venuto per riunirci e avvicinarci, per sviluppare le nostre relazioni in uno spirito di fraternità e tranquillità, quindi accogliamolo con spirito nuovo per raggiungere la pienezza dei valori umani e spirituali che ci ha insegnato, e non lasciamo che la festa passi come i giorni del calendario, come ha detto Papa Francesco tre settimane fa nell’Angelus.
Il Natale non finirà e la speranza di una nuova umanità che viva nella pace, nell’amore e nel perdono rimane un desiderio vivo nel cuore di ogni essere umano: “La notte di Natale è cancellato l’odio, la terra fiorisce, la guerra è abolita, l’amore germoglia”.
Questa speranza deve continuare.
È un peccato che questo Natale arrivi in un momento in cui il mondo soffre di crisi sempre più gravi come la guerra micidiale tra Ucraina e Russia, e divisioni, conflitti e ingiustizie in Iraq, Palestina, Siria, Libano e Yemen, dove i cittadini, e in particolare le minoranze, sono diventati oppressi, oggetto di violenza, e rapina, poveri e sfollati a causa del conflitto su posizioni e interessi.
Il mondo intero deve rendersi conto che le guerre sono fallimenti e i conflitti sono una perdita; questo metodo dovrebbe finire e si deve intraprendere il dialogo diplomatico per risolvere i problemi; inoltre le persone perverse devono rendersi conto che il male non durerà, che Dio li riterrà responsabili e che solo il bene rimane, e, anche se di poca entità, è una benedizione.
Gesù ha vissuto quello che viviamo oggi: le personalità religiose ebraiche lo hanno attaccato come Anna e Caifa; i politici, come il re Erode e il governatore romano Pilato, lo hanno temuto e hanno agito per liquidarlo e metterlo in croce, ma Dio lo ha risuscitato dai morti, motivo per cui i nostri fratelli musulmani lo chiamano “Gesù il vivente”.
Le nostre paure e i nostri desideri trovano nella nascita e nella risurrezione di Cristo la speranza di un lieto fine: “Quando riempiamo i cuori di speranza, siamo nel Natale”. Questa speranza dovrebbe dare energia ai cuori dei buoni e unire i loro sforzi per porre fine alla sofferenza delle persone costruendo un ambiente migliore in cui ogni cittadino, indipendentemente dal colore, dal sesso o dalla religione, viva con dignità, libertà e fierezza.
Il Natale ci insegna ad essere operatori di pace, di carità, di difesa degli oppressi, di sollievo per gli orfani, le vedove e i poveri, e non possiamo crescere e svilupparci senza una vita spirituale, i valori morali e la cooperazione per ristabilire l’armonia in questo mondo, creato bello da Dio, che ce lo ha affidato per organizzarlo, conservarlo e farlo prosperare.
L’Iraq è un paese di civiltà, di culture e di glorie, con grandi persone di tutte le religioni e categorie. È tempo di tornare alla nostra originalità e ai nostri valori, costruire fiducia sociale ed educarci ad accettare la diversità, consolidare la convivenza e la lealtà verso la patria che abbraccia tutti secondo la regola della cittadinanza paritaria. Questo progetto non è compito del solo Primo Ministro, ma i cittadini hanno una grande responsabilità con il loro sostegno, la cooperazione e la cura per proteggere l’unità e la sovranità del paese e il suo progresso in modo che tutti possano vivere in pace e felicità. Onestamente, non c’è altro modo.
Preghiamo e diciamo: o Signore della pace, dona pace e stabilità al nostro Paese e al mondo.
Buona Festa e Buon Anno. Viva l’Iraq!