By Fides
Gianni Valente
Un programma ecclesiale sinodale è fecondo se «aiuta tutti a camminare nella fede degli Apostoli custodita dalla Tradizione». Per questo i richiami alle dinamiche sinodali non possono essere usati «per aprire fratture tra i membri della Chiesa su questioni di fede o di morale». Così Mar Awa III, Patriarca della Chiesa della Chiesa assira d’Oriente, offre da una prospettiva orientale coordinate suggestive e utili per guardare anche al processo sinodale avviato nella Chiesa cattolica.
Sabato 19 novembre Mar Awa III ha compiuto la sua visita fraterna a Papa Francesco, che lo ha ricevuto nel Palazzo apostolico. In occasione della sua prima trasferta a Roma da Patriarca, Mar Awa III ha anche tenuto presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum) una conferenza sulla “teologia della sinodalità nella Chiesa dell’Oriente”, nel quadro del Simposio ecumenico internazionale “Listening to the East” (Ascoltare l’Oriente) promosso dall’Angelicum e dalla Fondazione Pro Oriente per ascoltare relazioni, dibattiti e testimonianze sulla sinodalità nella vita e nella missione delle Chiese ortodosse e nelle antiche Chiese orientali.
Nell’intervista a tutto campo, rilasciata all’Agenzia Fides, il Patriarca assiro critica le campagne di “demonizzazione” della Chiesa ortodossa russa e del suo Patriarca Kirill. Mar Awa offre risposte non scontate e illuminanti anche sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente, sulla ricerca di una data comune per la celebrazione della Pasqua, sul cammino verso la piena comunione tra la Chiesa assira d’Oriente e la Chiesa di Roma. Il Primate della Chiesa assira accenna anche al “segreto” della grande progressione missionaria della antica Chiesa d’Oriente, che nei primi secoli cristiani aveva portato l’annuncio del Vangelo fino in Cina, in Mongolia e nella Penisola arabica.
Il 122esimo Patriarca della Chiesa assira d’Oriente, eletto l’8 settembre 2021, viene dagli USA e ha compiuto parte del suo percorso di formazione nelle accademie cattoliche. Nato 47 anni fa a Chicago, e quindi figlio della diaspora assira negli USA, David Royel è stato ordinato diacono già a 17 anni, e in seguito ha conseguito titoli di laurea in sacra teologia presso la Loyola University di Chicago e presso l’University of Saint Mary of the Lake. Successivamente ha conseguito la licenza in Sacra Teologia e il dottorato presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma. È stato ordinato Vescovo dall’allora Patriarca Mar Dinkha IV nel 2008, prendendo il nome di Awa (che in lingua assira significa “padre”) e divenendo il primo Vescovo della Chiesa assira nato negli USA. Prima dell’elezione patriarcale, Mar Awa era Vescovo della diocesi assira di California (USA) e Segretario del Santo Sinodo.
Nel processo sinodale avviato nella Chiesa cattolica, alcuni ancora suggeriscono di guardare alle Chiese d’Oriente per “imparare” la sinodalità. Nell’esperienza delle Chiese d’Oriente quale è il criterio che orienta e può rendere ecclesialmente fecondo l’esercizio della sinodalità?
MAR AWA III: La dinamica sinodale della Chiesa consiste nel camminare insieme nella fede della Tradizione apostolica. La modalità sinodale serve a custodire e confermare l’unità della fede in questo cammino, facilitandolo per tutti e liberando tutti da pesi inutili e prassi ecclesiali che lo intralciano. Quindi il criterio per valutare la validità e la fecondità di un processo sinodale è se esso, nel tempo presente e nell’attuale condizione storica, aiuta tutti a camminare nella fede degli Apostoli custodita dalla Tradizione.
L’esercizio della sinodalità, se davvero è il cammino di tutti i battezzati e di tutti i vescovi come successori degli Apostoli, non può mai essere utilizzato per allontanarsi dall’alveo della Tradizione apostolica, della fede trasmessaci dagli Apostoli, che unisce la Chiesa cattolica e le antiche Chiese d’Oriente. Condividiamo lo stesso Depositum fidei ricevuto dagli Apostoli.
In molti casi il cammino sinodale viene presentato come un processo dialettico tra posizioni diverse che cercano di ottenere un consenso per mantenere o cambiare la posizione della Chiesa su un’agenda di temi ecclesialmente e dottrinalmente sensibili. Con dinamiche che assomigliano a quelle politiche e “parlamentari”.
MAR AWA III: Qualcuno mi ha parlato di questo. Forse si può correre questo rischio, quando si passa da una gestione centralizzata in cui tutto è nelle mani di una sola persona a una modalità sinodale di conduzione delle dinamiche ecclesiali. Eppure il modello sinodale praticato nelle Chiese d’Oriente non è interessante perché è più vicino ai sistemi di gestione moderna del potere, ma perché è più congeniale a manifestare il consenso intorno al Depositum fidei, e a custodirlo insieme. Un’autentica dinamica sinodale nasce proprio dal fatto che i vescovi e tutti i battezzati camminano insieme nella stessa fede, e convergono nel cercare insieme le forme e le prassi più adatte a testimoniare la stessa fede nel tempo presente. Immagino che anche la gran parte dei vescovi cattolici condividano il desiderio e la volontà di mantenere la dottrina tradizionale, anche su questioni come il matrimonio.
Se le dinamiche sinodali esprimono il camminare di tutta la Chiesa nel solco della fede degli Apostoli, non possono essere usate per aprire fratture tra i membri della Chiesa su questioni di fede o di morale. Piuttosto, l’esercizio della sinodalità serve anche a mantenere l’unità nello stesso cammino di sensibilità diverse, comprese quelle di chi auspica un maggiore adattamento alla mentalità del mondo attuale.
Molti cristiani vanno via dal Medio Oriente. Il Patriarcato assiro è invece tornato in Mesopotamia da pochi anni, dopo otto decenni di “esilio” prima a Cipro e poi negli USA. Ora Lei risiede a Erbil, nel Kurdistan iracheno. Dal suo punto di vista in Iraq, quali sono le cose davvero necessarie per custodire la presenza dei cristiani in Medio Oriente?
MAR AWA III: Ci vuole impegno a livello delle autorità politiche e militari affinché sia garantita sicurezza, e che non ritorni un giorno, magari tra qualche anno, un altro “Stato Islamico” a spargere paura e angoscia tra i cristiani. Serve anche creare opportunità di lavoro per garantire un minimo di sicurezza economica. Adesso la situazione appare difficile per tutti, e lo è ancor più per i gruppi sociali più deboli e minoritari. E la corruzione diffusa nel paese peggiora tutto. Ma ci sono luoghi dove i buoni segni di speranza si vedono, come accade appunto nel Kurdistan iracheno.
Il Patriarca latino emerito di Gerusalemme Michel Sabbah ha detto che il futuro dei cristiani in Medio Oriente non è una questione di numeri, ma di fede.
MAR AWA III: Se non c’è vincolo di affetto e gratitudine con le terre in cui si è nati e dove si è ricevuto il dono della fede, poi è più facile che per legittimi motivi tante persone preferiscano andar via. Non tutto si spiega solo con le discriminazioni e i maltrattamenti subiti. I cristiani possono rimanere solo se si ravviva in loro il legame di affetto con una terra e una storia ricca di fede, come testimoniano i nostri antichi monasteri. E anche su questo punto le autorità civili possono fare qualcosa. Ho suggerito a Masrour Barzani, il Primo Ministro della Regione autonoma del Kurdistan, di incentivare il turismo religioso e i pellegrinaggi nei monasteri antichi e nei luoghi cari alla memoria delle nostre Chiese. Così anche la nostra gente emigrata e i loro discendenti nati nella diaspora possono tornare a visitare gli antichi villaggi d’origine, con le loro chiese, e ravvivare il vincolo con le terre dei loro padri.
Il dialogo di Papa Francesco con autorevoli esponenti dell’islam, focalizzato sulla riscoperta della fratellanza universale e ispirato dal Documento di Abu Dhabi, che riflesso ha sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente?
MAR AWA III: Magari qualcuno può pensare che il dialogo sulla fratellanza esprima una prospettiva idealistica con scarse possibilità di generare conseguenze concrete. Ho parlato anche di questo, nel mio incontro con Papa Francesco. Io credo che questi incontri e questi dialoghi siano comunque utili, anche quando rimangono a livello di auspici e dichiarazioni d’intenti. È comunque confortante vedere che il Papa e gli altri Capi delle Chiese hanno a cuore la sorte dei cristiani in Medio Oriente, e anche per questo tessono rapporti e dialoghi fraterni con Capi musulmani. Anche i concittadini musulmani, quando vedono i loro capi dialogare con alti rappresentanti delle Chiese, possono liberarsi da pregiudizi e sentimenti ostili verso i cristiani. Questo non risolve magicamente tutti i problemi, ma comunque aiuta molto.
Tra la Chiesa di Roma e la Chiesa assira d’Oriente non c’è stata mai nessuna rottura diretta su questioni dogmatiche e teologiche. Nel dialogo teologico tra le due Chiese si sono ottenuti risultati importanti. Papa Francesco, nel discorso rivolto a Lei, ha auspicato che la Chiesa assira diventi la prima tra le antiche Chiese d’Oriente con cui la Chiesa di Roma possa ritrovare la piena comunione sacramentale.
MAR AWA III: Non c’è stato nessun anatema tra la antica Chiesa Assira d’Oriente e la Chiesa di Roma. La separazione è cominciata dal Concilio di Efeso, nel 431, ma il Depositum fidei che celebriamo prima di Efeso è condiviso, e siamo chiamati a custodirlo insieme. Nel 2025 si celebrano i 1700 anni del Concilio di Nicea. Si è iniziato a parlare della possibilità di avere un incontro per celebrare quel Concilio tutti insieme: la Chiesa di Roma, le Chiese ortodosse, le antiche Chiese d’Oriente… Nicea ci unisce. Nicea è di tutti. In tutte le nostre diverse liturgie recitiamo il Credo di Nicea, anche se non siamo in piena comunione.
A che punto è il cammino del dialogo ecumenico tra Chiesa assira e Chiesa di Roma, dopo la fondamentale dichiarazione cristologica comune firmata da Giovanni Paolo II e dal Patriarca Mar Dinkha IV?
MAR AWA III: Nel 2017 abbiamo firmato un testo in cui cattolici e assiri riconoscono mutuamente la validità dei sacramenti celebrati e amministrati nella Chiesa cattolica e nella Chiesa assira d’Oriente. Quindi si può dire che la seconda tappa del cammino si è conclusa con successo. Adesso siamo entrati nella terza fase del nostro dialogo, che tratta della Costituzione della Chiesa. E ovviamente in questa fase è implicata anche la questione del primato del Vescovo di Roma e la questione della comunione e del primato a livello locale e anche universale.
Il consenso sulla validità dei sacramenti cosa comporta?
MAR AWA III: Non siamo ancora arrivati alla piena e incondizionata possibilità di ricevere i sacramenti amministrati da sacerdoti e vescovi dell’altra Chiesa. Ma già dal 2001, con un accordo entrato in funzione già all’epoca di Papa Giovanni Paolo II e Mar Dinkha IV, può essere praticata tra le due Chiese una “ospitalità sacramentale” speciale, per motivi pastorali di necessità. Questo rimane. E in più si è aggiunto il riconoscimento che la Chiesa cattolica e la Chiesa assira concordano nella dottrina e nella teologia sacramentale. Però, arrivare alla piena comunione è un cammino a lungo termine e sarebbe un cammino da condividere con tutte le altre Chiese non cattoliche, un cammino guidato dalla preghiera intensa e dallo stesso Spirito Santo.
Il Cardinale Louis Raphael Sako, come Patriarca della Chiesa caldea – che condivide con la Chiesa assira lo stesso patrimonio liturgico e teologico – ha proposto di avviare un cammino di riunificazione tra le due Chiese, ambedue “eredi” dell’Antica Chiesa d’Oriente…
MAR AWA III: Coi caldei, che sono certo i nostri fratelli, noi siamo sempre pronti a parlare di unità e della riunificazione in una unica Chiesa d’Oriente. Però rifiutiamo totalmente l’uniatismo, il quale è stato alle origini dello scisma di 1552. La proposta del Patriarca Sako credo sia questa: i due Patriarchi, il caldeo e l’assiro, si dimettono dai loro incarichi, e i vescovi assiri e caldei eleggono insieme un altro Patriarca della Chiesa d’Oriente, ma poi quel Patriarca deve essere in comunione gerarchica con il Papa. E questa procedura non mi sembra percorribile. La strada è quella di ritrovare le radici della Chiesa d’Oriente, risalire a prima del 1552, vedere quale era l’ecclesiologia condivisa nel momento della separazione.
Anche nell’incontro tra Lei e Papa Francesco è stata toccata la questione di trovare una data comune per celebrare la Santa Pasqua. Ritiene che questa sia davvero una possibilità all’orizzonte?
MAR AWA: Noi nel Sinodo del 2019, sotto il mio predecessore Mar Gewargis III, abbiamo accettato l’idea di trovare con le altre Chiese una data comune fissa per celebrare la Pasqua. Per quanto ne so, su questa possibilità concordano anche i copti e i siro ortodossi. Papa Francesco su questo è molto disponibile. E ultimamente ha espresso apertura anche Bartolomeo I, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Magari si potrebbe provare a trovare prima un accordo sulla data comune per la celebrazione della Pasqua tra la Chiesa cattolica, la Chiesa Assira e le altre antiche Chiese d’Oriente. Gli ortodossi potrebbero poi unirsi progressivamente, se di volta in volta matura il consenso in ogni singola Chiesa ortodossa.
Lei, prima di venire a Roma e incontrare Papa Francesco, ha incontrato Kirill, il Patriarca di Mosca.
MAR AWA III: Sì, la settimana prima ero andato in Russia, a incontrare la nostra comunità in quel Paese, e ho incontrato a Mosca anche il Patriarca Kirill. Abbiamo parlato a lungo sulla condizione attuale dei cristiani del Medio Oriente. Lui mi ha detto anche di portare i suoi saluti sinceri a Papa Francesco, cosa che ho fatto qualche giorno dopo.
Il Patriarca Kirill viene attaccato come complice e quasi corresponsabile della guerra in Ucraina. Lei come lo ha trovato? E cosa pensa delle misure prese contro di lui e contro la Chiesa ortodossa russa?
MAR AWA III: Il Patriarca Kirill mi è apparso molto sincero. E comunque ogni demonizzazione della Chiesa russa o dello stesso Kirill non è giusta. Lui è a capo di una Chiesa, non guida la politica del Paese. E si capisce che lui sta in una posizione molto difficile. Bisogna tener conto anche di questo. Anche la decisione dell’Unione Europea di porre sanzioni ad personam contro di lui è una cosa inopportuna, crea un precedente grave e contraddice tutti i richiami a distinguere sfera ecclesiale e sfera politica, Chiesa e governo secolare. Se si prende questa strada, può accadere lo stesso a altri Capi e esponenti ecclesiali che siano fatti oggetto di valutazioni negative da parte di qualche apparato politico.
La guerra in Ucraina è anche una grande tragedia cristiana. Con Kirill ne avete parlato?
MAR AWA III: Io ho espresso il desiderio che si arrivi presto a un cessate il fuoco, e si arrivi a una soluzione per far cessare le sofferenza del popolo. Ucraini e russi condividono lo stesso battesimo, attingono alla stessa sorgente spirituale. E non ho trovato giuste nemmeno le pressioni operate per marginalizzare gli ortodossi russi negli incontri ecumenici, come si è tentato di fare nell’Assemblea del Consiglio Ecumenico delle Chiese (WCC) ospitata tra agosto e settembre a Karlsruhe, in Germania. Bisogna sempre lasciare aperte le porte al dialogo. Mentre se si seguono certi ragionamenti, bisognerebbe per coerenza eliminare tutti i cappellani militari, che benedicono soldati inviati a fare la guerra, da una parte o dall’altra.
La teologia e la spiritualità della Chiesa assira sottolineano con forza la natura umana di Cristo. Questa prospettiva spirituale non potrebbe essere maggiormente valorizzata per l'annuncio cristiano nel tempo che stiamo vivendo?
MAR AWA III: Nei manuali classici di teologia si scrive che la Chiesa assira mette l’accento con forza sull’umanità di Cristo. Ma prima occorre chiarire che noi confessiamo l’unità di divinità e umanità nella singola persona di Cristo. Come mostra la Scrittura e come è affermato anche vari Padri comuni della Chiesa, riconosciamo che arriviamo a contemplare il mistero della divinità di Cristo attraverso i gesti concreti della sua umanità. Questo fa parte dell’esperienza quotidiana dei cristiani quando pregano, quando vanno a messa e ricevono l’eucaristia.
Annunciando il Vangelo con questo accento, l’antica Chiesa assira d’Oriente ha vissuto una delle avventure missionarie più impressionanti della storia. Cosa può suggerire quell’esperienza dei primi secoli del cristianesimo ai missionari di oggi?
MAR AWA III: Nel 1904 a Turfan, nell’attuale provincia cinese dello Xinjiang, hanno trovato un libro di preghiere in cui le formule erano in siriaco e le rubriche erano riportate nella lingua locale. Si continuano a trovare resti di chiese e monasteri appartenuti a quella cristianità nell’attuale Mongolia e in tutta la Penisola arabica. I missionari della antica Chiesa d’Oriente erano un “esercito” di tipo spirituale. Erano soprattutto monaci e monache, e si recavano in contesti plasmati da altri pensieri, da antiche culture e mentalità religiose. Avvincevano i cuori delle persone con dolcezza, e non per dinamiche di conquista. E poi aiutavano le popolazioni locali a trovare i segni grafici per mettere in forma scritta le loro lingue e le loro parlate. E ogni urgenza, ogni problema concreto della vita diveniva occasione per fare il bene, diventando amici e fratelli con tutti.