"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

29 dicembre 2022

Mosul ha accolto il Papa ma non dà il bentornato ai cristiani

By Baghdadhope* - Al 'Alam Al Jadeed

Secondo un articolo pubblicato oggi da Al 'Alam Al Jadeed il ritorno dei cristiani iracheni alle loro abitazioni nella Piana di Ninive dopo la loro cacciata ad opera dell'ISIS nel 2014 è molto ridotto ed addirittura in alcune zone "inesistente." 
Stessa, se non peggior sorte, sta toccando a Mosul dove, come nel caso della Piana di Ninive, la diffusa sfiducia tra i cristiani in ambito sociale e di sicurezza personale, unita alla crisi economica ed alla mancanza di opportunità di lavoro, maggiore invece nella vicina regione autonoma del Kurdistan iracheno, ha portato solo 70 famiglie al ritorno delle migliaia che ci vivevano prima della presa della città da parte dell'ISIS. 
Questi dati sono stati confermati ad Al 'Alam Al Jadeed dal sacerdote responsabile della comunità siro-cattolica di Mosul, Padre Ra'ed Adel che stima al massimo a 150 il numero complessivo di cristiani tornati in città. 
Le ragioni che spingono i cristiani di Mosul a non far ritorno in città sono, secondo il sacerdote, molteplici.
La mancanza di ricostruzione delle infrastrutture distrutte durante l'occupazione da parte dell'ISIS e della guerra per liberare la città è uno di essi.
Solo tre chiese, ad esempio, San Tommaso, San Paolo e quella dell'Annunciazione, sono state ricostruite e sono aperte al culto mentre le altre chiese ed i monasteri, più di trenta in tutto, sono ancora o distrutti o in via di ricostruzione.    
Un altro fattore riguarda le proprietà dei cristiani i cui documenti di proprietà sono stati falsificati e poi rivenduti e dei quali solo alcuni sono stati recuperati tramite azione giudiziaria. 
A confermare queste tristi affermazioni sono le dichiarazioni rilasciate dall'Arcivescovo caldeo di Mosul, Monsignor 
Moussa Najib Mikhael O.P, che descrive il calo del numero dei cristiani in città come un indicatore pericoloso e critica il governo iracheno per aver permesso la violazione dei diritti dei cittadini cristiani e la loro discriminazione in termini di assegnazione di incarichi, opportunità di lavoro e uguaglianza di fronte alla legge. 
Oltre a ciò, pur senza rivelare con precisione a quali "pressioni" si stesse riferendo, l'arcivescovo caldeo le ha però citate come uno dei fattori che hanno contribuito a far fallire i tentativi suoi e del governatore della provincia di Ninive, Najim Al Jubouri, di frenare il cambiamento demografico in atto nelle aree tradizionalmente abitate dai cristiani che di certo non ne sta favorendo il ritorno. 
Le denunce dell'arcivescovo però non si fermano qui. 
Se ciò non bastasse, la rinascita della comunità cristiana nel nord dell'Iraq sta fallendo anche perché "il 95% dei cristiani non ha ricevuto nessun indennizzo" per i danni subiti ai tempi dell'occupazione da parte dell'ISIS ed a ciò si aggiunge il fatto che tutte le organizzazioni che avrebbero voluto aiutare le chiese si sono ritirate a causa degli ostacoli posti dal governo e le percentuali che lo stesso governo vuole ricavare: "Le organizzazioni danno il loro aiuto gratuitamente ma il governo le ricatta" ha concluso l'arcivescovo.   
Eppure i motivi non sono solo questi.
E' il ricercatore cristiano Samer Elias Sa'ed che ricorda come la maggior parte delle case dei cristiani siano state saccheggiate e svuotate dai loro stessi vicini. 
Come è successo a lui stesso la cui casa, nei pressi dell'Università di Mosul, è stata prima sequestrata dall'ISIS quando hanno costretto la sua famiglia ad abbandonarla, nel luglio del 2014, ma dopo la cacciata degli islamisti e la liberazione della città è passata nelle mani dei sostenitori dell'allora governatore della provincia di Ninive, 
Atheel al-Nujaifi, che hanno finito di distruggerla. 
Ad avere parole dure per chi ha di fatto ostacolato il ritorno dei cristiani in Iraq in generale ed a Mosul in particolare è anche il patriarca della chiesa caldea, Cardinale Mar Louis Raphael Sako, che, citando le 20 famiglie cristiane che ogni mese lasciano la patria, addossa la colpa al
"caos, alla frammentazione e al nepotismo  creati dalle milizie settarie” con un chiaro riferimento, secondo Al 'Alam Al Jadeed, alla 30a Brigata delle Forze di mobilitazione popolare, brigata formata in maggioranza da Shabak (musulmani sciiti) che impone la sua autorità assoluta sulla Piana di Ninive, ed è accusata di aver favorito il cambiamento demografico sequestrando immobili di proprietà di cristiani e musulmani sunniti.
"Chi deve proteggere questi cristiani pacifici e fedeli alla loro patria se non il governo?" chiede retoricamente il Cardinale Sako aggiungendo addirittura un appello allo stesso governo: "Se non vuole che i cristiani rimangano come cittadini a tutti gli effetti nel loro paese, l'Iraq, allora che lo dichiari francamente in modo da darci la possibilità di gestire la questione prima che sia troppo tardi."  
Eppure ufficialmente le dichiarazioni sono tutte e sempre a favore del ritorno dei "fratelli cristiani," "cittadini originari del paese."
Un politicamente corretto che si scontra con le testimonianze sopra riportate e trova conclusione nelle scoraggianti parole di W
illiam Isho: "Ciò che si dice sulla costruzione di ponti e sulla tolleranza sono solo parole che non riflettono la realtà e che sono a favore dei mezzi di comunicazione. L'ideologia dell'Isis è ancora presente nonostante ci siano musulmani che rispettano i cristiani ed è il motivo principale per cui i cristiani non tornano a Mosul. "