By Vatican News
Giancarlo La Vella
In Iraq, il sedicente Stato Islamico è drammaticamente tornato protagonista, portando a termine una serie di raid e attentati, il più grave dei quali la settimana scorsa con il duplice attacco suicida nel centro di Baghdad che ha causato 32 morti e più di cento feriti. Nella nostra intervista, il patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Louis Raphaël I Sako, si sofferma sulle sofferenze e le speranze del popolo iracheno e della comunità cristiana del Paese, a poche settimane dal viaggio in Iraq del Papa. Una visita, afferma, dalla quale si attende un messaggio di conforto, di speranza e di pace.
Eminenza, in Iraq è tornata la paura del terrorismo. Come si sta vivendo questo aumento della tensione avvenuto soprattutto negli ultimi giorni?
C’è una grande preoccupazione e anche una tristezza da parte della gente. Questi che sono stati ammazzati sono gente povera, veramente povera. Purtroppo questi attacchi hanno un fine politico, rappresentano un messaggio al governo e anche al nuovo presidente americano. Intanto il governo ha preso delle misure.
La popolazione, nonostante questo momento difficile, continua a sperare nella pace per l’Iraq?
Si, c'è questa speranza, la gente chiede sempre quando arriverà la pace, la difesa della dignità umana, anche se da quasi 20 anni siamo in una situazione simile, c’è confusione, anarchia. Dunque, ci vuole tempo. Ma prima del tempo ci vuole buona volontà da parte dei politici. Se non c'è questo, non ci sarà pace. Anche le milizie devono ubbidire al governo iracheno e il governo deve imporre il ritiro delle armi. Tutto deve rimanere nelle mani del governo e non dei partiti politici.
Come i cristiani sta (sic!) vivendo in questo momento? Oggi c’è un’iniziativa di preghiera e digiuno di tre giorni…
Contro di noi finora non c'è stato niente, già da qualche anno. Ma noi facciamo parte dell’Iraq, non viviamo da soli siamo con tutti gli altri. Il loro dolore è il nostro Dunque siamo fratelli e sorelle di una grande famiglia che si chiama Iraq. Con i tre giorni di preghiera vogliamo dire che tutti siamo figli di Dio, il Dio di tutta l'umanità. Perciò questo gesto di andare a Ninive in preghiera ha un doppio significato: prima di tutto affermare che Dio guarda indistintamente a tutti; poi è una forte richiesta al Signore affinché ci salvi dalla pandemia in corso. E noi oggi viviamo con tanta paura del coronavirus. Dunque, dobbiamo pregare e chiedere l'aiuto di Dio per essere salvati e perché finisca questa pandemia per tutto il mondo. Noi non pensiamo solo a noi in Iraq, ma a tutti gli uomini nel mondo. La nostra media dei contagi non è alta: ogni giorno si registrano 500 o 600 contagi.
Come procede la preparazione del viaggio del Papa in Iraq a marzo?
In Iraq, il sedicente Stato Islamico è drammaticamente tornato protagonista, portando a termine una serie di raid e attentati, il più grave dei quali la settimana scorsa con il duplice attacco suicida nel centro di Baghdad che ha causato 32 morti e più di cento feriti. Nella nostra intervista, il patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Louis Raphaël I Sako, si sofferma sulle sofferenze e le speranze del popolo iracheno e della comunità cristiana del Paese, a poche settimane dal viaggio in Iraq del Papa. Una visita, afferma, dalla quale si attende un messaggio di conforto, di speranza e di pace.
Eminenza, in Iraq è tornata la paura del terrorismo. Come si sta vivendo questo aumento della tensione avvenuto soprattutto negli ultimi giorni?
C’è una grande preoccupazione e anche una tristezza da parte della gente. Questi che sono stati ammazzati sono gente povera, veramente povera. Purtroppo questi attacchi hanno un fine politico, rappresentano un messaggio al governo e anche al nuovo presidente americano. Intanto il governo ha preso delle misure.
La popolazione, nonostante questo momento difficile, continua a sperare nella pace per l’Iraq?
Si, c'è questa speranza, la gente chiede sempre quando arriverà la pace, la difesa della dignità umana, anche se da quasi 20 anni siamo in una situazione simile, c’è confusione, anarchia. Dunque, ci vuole tempo. Ma prima del tempo ci vuole buona volontà da parte dei politici. Se non c'è questo, non ci sarà pace. Anche le milizie devono ubbidire al governo iracheno e il governo deve imporre il ritiro delle armi. Tutto deve rimanere nelle mani del governo e non dei partiti politici.
Come i cristiani sta (sic!) vivendo in questo momento? Oggi c’è un’iniziativa di preghiera e digiuno di tre giorni…
Contro di noi finora non c'è stato niente, già da qualche anno. Ma noi facciamo parte dell’Iraq, non viviamo da soli siamo con tutti gli altri. Il loro dolore è il nostro Dunque siamo fratelli e sorelle di una grande famiglia che si chiama Iraq. Con i tre giorni di preghiera vogliamo dire che tutti siamo figli di Dio, il Dio di tutta l'umanità. Perciò questo gesto di andare a Ninive in preghiera ha un doppio significato: prima di tutto affermare che Dio guarda indistintamente a tutti; poi è una forte richiesta al Signore affinché ci salvi dalla pandemia in corso. E noi oggi viviamo con tanta paura del coronavirus. Dunque, dobbiamo pregare e chiedere l'aiuto di Dio per essere salvati e perché finisca questa pandemia per tutto il mondo. Noi non pensiamo solo a noi in Iraq, ma a tutti gli uomini nel mondo. La nostra media dei contagi non è alta: ogni giorno si registrano 500 o 600 contagi.
Come procede la preparazione del viaggio del Papa in Iraq a marzo?
Noi stiamo preparando tutto insieme con il governo. Per tutti è un evento straordinario. Il Papa verrà a dire: ‘basta, basta guerre, basta violenza, cercate la pace e la fraternità e la tutela della dignità umana’. Secondo me Lui ci porterà due cose: conforto e speranza, che finora ci sono stati negati. Dunque, è una visita, io direi, dai connotati piuttosto spirituali, nella quale non si darà tanta importanza al folklore, alla festa. Sarebbe perdere il vero senso della visita. E’ un evento molto importante per noi cristiani, ma tutti in Iraq aspettano questo incontro, anche i musulmani, altre realtà religiose e i vertici di governo.