Salvatore Cernuzio
Ancora manca una conferma ufficiale da parte della Santa Sede, ma si fa sempre più insistente l’ipotesi di un incontro tra Papa Francesco e il grande ayatollah Ali Sistani, la più alta autorità sciita dell’Iraq, difensore dell’autonomia degli sciiti iracheni e critico dell’Iran, nell’ambito della visita del Pontefice nel Paese mediorientale in programma per il 5-8 marzo.
L’eventualità di un tale appuntamento, che scriverebbe un nuovo capitolo di storia nelle reciproche relazioni tra cristiani e musulmani, era stata preannunciata settimane fa dal cardinale Louis Raphael Sako, patriarca caldeo di Baghdad. In un’intervista con Vatican Insider-La Stampa del 15 gennaio, il porporato, interpellato a riguardo, spiegava che la Chiesa cattolica irachena condivideva con gli sciiti il «desiderio» di un incontro tra il Papa e Ali Sistani a Najaf, la città santa degli sciiti: «Abbiamo parlato con la Santa Sede di quanto sarebbe importante una simile visita. I capi sciiti hanno un ruolo importante nella zona e il Papa è un uomo del dialogo, ha il carisma di parlare con i musulmani», diceva Sako.
Il patriarca spiegava inoltre che l’incontro potrebbe essere l’occasione per siglare congiuntamente il “Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, firmato dal Papa il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi insieme al grande imam di al-Azhar, la più alta istituzione sunnita del Cairo.
«Sarebbe un gesto enorme, con un impatto positivo anche per la presenza cristiana. Al momento, però, non abbiamo risposte», commentava il patriarca caldeo.
«Sarebbe un gesto enorme, con un impatto positivo anche per la presenza cristiana. Al momento, però, non abbiamo risposte», commentava il patriarca caldeo.
Intervenendo invece ieri ad un incontro online promosso dalla Conferenza episcopale francese e dall’organismo francese L’Oeuvre d’Orient, Sua Beatitudine Sako ha quasi confermato che il prossimo 6 marzo potrebbe svolgersi un «incontro privato» tra Papa Francesco e il leader spirituale sciita a Najaf, culla e luogo identitario di questa minoranza dell’islam separata dai sunniti dalla storia e dal sangue.
È proprio la scelta del luogo, al di là della firma della Dichiarazione congiunta dal valore universale, a far assumere una rilevanza storica a questo ipotetico evento, tanto per il dialogo islamo-cristiano quanto per quello intra musulmano.
Najaf è infatti «il luogo che parla al cuore di ogni sciita, e la firma a Najaf è come una firma con l’identità di ciascuno di loro», osserva il giornalista Riccardo Cristiano, tra i maggiori esperti di Medio Oriente. La firma di un documento che ricalca quello siglato anche dalla principale autorità teologica sunnita «entra nella storia della divisione islamica, apre una prospettiva nuova. La prospettiva della cittadinanza, di uno Stato dove tutti siano cittadini con pari diritti… È una visione rivoluzionaria per l’islam».
Najaf è infatti «il luogo che parla al cuore di ogni sciita, e la firma a Najaf è come una firma con l’identità di ciascuno di loro», osserva il giornalista Riccardo Cristiano, tra i maggiori esperti di Medio Oriente. La firma di un documento che ricalca quello siglato anche dalla principale autorità teologica sunnita «entra nella storia della divisione islamica, apre una prospettiva nuova. La prospettiva della cittadinanza, di uno Stato dove tutti siano cittadini con pari diritti… È una visione rivoluzionaria per l’islam».
Come detto, dal Vaticano non è giunta una conferma di tale appuntamento che sembra essere fortemente caldeggiato dal Patriarcato caldeo di Baghdad, ma che manca tuttavia anche della tempistica necessaria per l’organizzazione. Fonti del Patriarcato, interpellate oggi da Vatican Insider in merito, hanno risposto con maggiore prudenza: «Al momento non possiamo confermare, aspettiamo il programma ufficiale della visita dal Vaticano».
Se tale vertice dovesse avvenire, sarebbe la prima volta nella storia che un esponente di spicco dell’islam sunnita e uno dell’islam sciita si ritroverebbero a condividere con il leader della cristianità lo stesso documento.
«Un testo universale», ha sottolineato ieri Sako, basato sui temi della fratellanza umana cristallizzati dal Pontefice nella sua ultima enciclica “Fratelli Tutti”; pertanto «non sarà necessario cambiarlo» nel caso in cui dovesse essere firmato dal leader sciita.
«Un testo universale», ha sottolineato ieri Sako, basato sui temi della fratellanza umana cristallizzati dal Pontefice nella sua ultima enciclica “Fratelli Tutti”; pertanto «non sarà necessario cambiarlo» nel caso in cui dovesse essere firmato dal leader sciita.
Sulla fraternità è incentrato anche il motto scelto per la visita del Papa: “Voi siete tutti fratelli” è la frase tratta dal versetto del Vangelo di Matteo (Mt 23,8) inserita in caldeo, arabo, inglese e curdo nel logo della visita apostolica. Il logo, circolato sul web prima di essere diffuso ufficialmente, mostra Papa Francesco nel gesto di salutare il Paese, rappresentato in mappa e dai suoi simboli, la palma e i fiumi Tigri ed Eufrate. Nell’immagine anche una colomba bianca che tiene nel becco un ramoscello di ulivo, simbolo di pace, e vola sulle bandiere della Santa Sede e della Repubblica dell’Iraq.
Quanto al programma del viaggio, si attende nelle prossime settimane la pubblicazione da parte della Santa Sede dell’elenco di appuntamenti che scandiranno i tre giorni di Jorge Mario Bergoglio nella Penisola arabica. Il programma ufficiale è suscettibile a variazioni continue tenendo conto delle difficoltà logistiche che tale visita comporta e soprattutto dell’evoluzione della pandemia di Covid. In Iraq al momento si registrano una decina di morti al giorno e meno di un centinaio di casi di contagio, in forte calo rispetto ai mesi scorsi.
Dalle notizie emerse finora, sempre in base alle anticipazioni del patriarca Sako, tra gli appuntamenti fondamentali del viaggio papale ci sarà la cerimonia interreligiosa ad Ur, patria natale di Abramo, alla quale prenderanno parte cristiani e musulmani (sunniti e sciiti), oltre ad una rappresentanza di ebrei, mandei, yazidi. A Baghdad, Francesco dovrebbe invece celebrare una messa in rito caldeo nella cattedrale siro-cattolica “Nostra Signora della salvezza”, luogo simbolo della Chiesa irachena, bersaglio, il 31 ottobre del 2010, di un sanguinoso attentato terroristico in cui rimasero uccisi 48 fedeli, tra cui due sacerdoti.
A Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, il Pontefice dovrebbe incontrare le autorità civili in uno stadio. Poi visiterà la città di Mosul, simbolo della distruzione provocata dalle milizie di Daesh, e il villaggio di Qaraqosh, per la recita dell’Angelus e l’incontro con le comunità cristiane della Piana di Ninive vittime delle violenze e delle persecuzioni jihadiste.
Sarà per loro «un incoraggiamento», ha detto Sako, «a rimanere, perseverare, sperare, ma anche e soprattutto a ricostruire la fiducia con gli altri per un futuro migliore».
Sarà per loro «un incoraggiamento», ha detto Sako, «a rimanere, perseverare, sperare, ma anche e soprattutto a ricostruire la fiducia con gli altri per un futuro migliore».
A gettare un’ombra sull’intera trasferta è la questione sicurezza, alla luce del duplice attentato suicida del 21 gennaio scorso in Piazza Tayaran a Baghdad che ha ucciso una trentina di persone, ed anche dell’esplosione di un proiettile di mortaio, questa mattina, a 35 km a nord di Najaf. «Non ci sono rischi per la vita del Papa», ha detto ancora Sako nel webinar francese. Ma una recrudescenza delle violenze potrebbe far annullare questo viaggio auspicato da Papa Bergoglio sin dall’inizio del pontificato.