"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

26 ottobre 2017

La campana della chiesa dell'Immacolata di Mosul sarebbe stata ritrovata

By Baghdadhope*

Secondo quanto riferisce il sito Ankawa.com in una casa appartenente ad un miliziano del Da'esh a Mosul sarebbe stata rinvenuta la campana appartenuta alla chiesa siro-ortodossa dell'Immacolata sita nel quartiere di Al Shifa', nella parte orientale della città. La chiesa ha subito molti danni durante l'occupazione da parte del Da'esh tra i quali la distruzione della croce che ne adornava la facciata.
Per ora non ci sono ulteriori notizie nè diciarazioni da parte della chiesa siro-ortodossa.

Iraq: tensioni tra curdi e iracheni nella Piana di Ninive. Padre Kajo (caldeo) a Sir, “cristiani di nuovo in fuga”

By SIR

“Ci sono stati scontri lo scorso 24 ottobre tra le truppe curde Peshmerga e l’esercito iracheno, nel quale sono comprese anche le ‘Brigate Babilonia’ (milizie di protezione popolare che conta nelle proprie fila anche cristiani, ndr). Durante lo scambio a fuoco alcuni razzi hanno colpito diverse abitazioni e la chiesa. A causa di ciò oltre 850 famiglie hanno lasciato Tellusqof per trovare riparo e rifugio in quelli vicini, come Alqosh e Batnaya. Sono rimasto io con alcuni giovani del villaggio per mantenere la sicurezza ed evitare che le abitazioni dei cristiani vengano prese di nuovo dagli arabi”.
Così il sacerdote caldeo, padre Salar Kajo, racconta al Sir le tensioni nella Piana di Ninive rinfocolate dopo l’esito del referendum del 25 settembre scorso sull’indipendenza del Kurdistan da Baghdad. “Tellusqof è di nuovo deserto. Le famiglie vorrebbero rientrare – spiega il sacerdote la cui presenza nel villaggio è nota sia ai militari curdi che a quelli iracheni – però la situazione non è ancora chiara, non sappiamo come intendono risolverla. Si era parlato di un accordo tra curdi e iracheni per assumere il controllo della zona senza combattere. Ma di questo accordo non abbiamo ancora visto nulla di concreto. Per adesso non è cambiato niente”.  
Chiaro il riferimento di padre Kajo ad un comunicato in cui la Regione autonoma del Kurdistan iracheno auspicava un “immediato cessate-il-fuoco” e ribadiva la disponibilità a “congelare” l’esito del voto così da aprire un canale di dialogo con il governo centrale di Baghdad. Una vera e propria beffa per gli abitanti cristiani soprattutto adesso che la maggior parte delle case danneggiate durante l’occupazione dell’Isis erano state ripristinate e che oltre il 70% delle famiglie espulse dalle milizie nere del Califfo avevano fatto ritorno in città. È andata peggio ad un altro villaggio cristiano della Piana di Ninive, Telkeif: “Prima dell’Isis era interamente cristiano oggi, invece, totalmente abitato da musulmani, tra loro anche famiglie dell’Isis che sono state alloggiate lì. Le case dei cristiani sono state occupate dai musulmani. Difficile prevedere un ritorno delle famiglie cristiane se non cambierà la situazione sul terreno”. A tale riguardo i vescovi iracheni, al termine della loro assemblea svoltasi il 24 e 25 ottobre a Baghdad, hanno diffuso un comunicato in cui esprimono preoccupazione per le tensioni e sottolineato i rischi di un nuovo conflitto che troverebbe nella Piana di Ninive, tradizionalmente abitata dai cristiani, l’ipotetico campo di battaglia. Da qui l’appello ai leader politici “a impegnarsi per la pace attraverso il dialogo”, evitando così la spartizione della Piana tra Iraq e Kurdistan.

La Gendarmeria vaticana regala un pozzo ai cristiani in Kurdistan

By Avvenire
Luca Geronico
25 ottobre 2017

Per ritornare nel piccolo villaggio devastato dai terroristi del Daesh servono due pozzi di acqua potabile alla piccola comunità cristiana di Manghesh, diocesi di Duhok. E un primo pozzo nel villaggio a Nord del Kurdistan iracheno, a breve, sarà costruito grazie alla Fondazione San Michele Arcangelo, che lo scorso 24 settembre, giorno della Festa della Gendarmeria vaticana, durante la celebrazione eucaristica ha offerto il progetto a papa Francesco. Un modo, anche questo, di essere «forti nel servizio», come ha chiesto ai suoi gendarmi dallo stesso papa Bergoglio. Il progetto e il relativo finanziamento di 15mila euro è stato approvato dal cardinale Giuseppe Bertello, presidente della Fondazione San Michele Arcangelo e dal comandate della Gendarmeria vaticana Domenico Giani, vice-presidente della Fondazione.
La Fondazione, ente caritativo della Gendarmeria vaticana, ha così risposto all'appello lanciato qualche mese fa dalla Fondazione Santina onlus presieduta da monsignor Luigi Ginami, dopo un viaggio del sacerdote la scorsa primavera nel Nord Iraq. Il pozzo sarà costruito su un terreno della parrocchia e tutti i documenti necessari «sono stati firmati ed accettati dalle autorità locali. Adesso bisogna portali al governatore della nostra regione. Una volta firmati da questo, poi li porteremo al prefetto della Provincia di Duhok. Appena ricevuto il suo permesso, subito inizieremo i lavori», scrive alla Fondazione Santina il parroco di Mangesh, padre Yoshia Sana.

Le tensioni fra Baghdad ed Erbil preoccupano i cristiani e ostacolano il rientro degli sfollati

By Asia News

Gli scontri fra milizie curde ed esercito governativo nel nord dell’Iraq “preoccupano anche i cristiani”, perché potrebbero “ostacolare il rientro” delle famiglie nei villaggi della piana di Ninive. È quanto riferisce ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, 41enne sacerdote caldeo di Mosul, commentando le crescenti tensioni fra Erbil e Baghdad; la nuova ondata di violenze rischia di inversite anche la comunità cristiana, che dopo gli anni di esilio per mano dello Stato islamico (SI, ex Isis) si preparavano a tornare nelle loro case e nelle loro terre. “La tensione è alta - aggiunge - ma ritengo improbabile un escalation verso un conflitto aperto, perché non tutti i curdi sono d’accordo con la deriva indipendentista impressa dal presidente [Masoud] Barzani”.
Dietro i pesanti scontri fra esercito irakeno e milizie curde (i Peshmerga), il referendum per l’indipendenza nella regione autonoma del nord, che si è tenuto il 25 settembre scorso e si è chiuso con una schiacciante vittoria dei favorevoli (oltre 90% di sì). In risposta, le truppe regolari hanno lanciato una offensiva nei territori - fra cui Kirkuk - da tempo controllati dai curdi.
Ieri i vertici del Kurdistan irakeno hanno proposto il “congelamento” dei risultati del referendum, per avviare un tavolo di trattative col governo centrale. A stretto giro di vite è arrivata la risposta del Primo Ministro irakeno Haider al-Abadi, il quale ha dichiarato oggi di accettare “solo l’annullamento” e definito inammissibile una temporanea interruzione della deriva indipendentista. “Accettiamo solamente - ha aggiunto il premier in una nota - l’annullamento del referendum e il rispetto della Costituzione”.
Intanto l’esercito irakeno starebbe continuando le operazioni militari nel nord del Paese contro postazioni delle milizie curde. L’ultimo attacco è di questa mattina, in una zona situata nei pressi della frontiera con la Turchia. Gli scontri hanno riguardato anche le cittadine di Baqopa e Tesqopa, nella piana di Ninive, coinvolgendo anche famiglie cristiane. Fonti locali riferiscono che a Teleskuf gli scontri avrebbero provocato diversi feriti fra i civili; centinaia di famiglie cristiane (fino a 700 secondo alcuni testimoni oculari) sono fuggite in direzione di Sharafiya e Alqosh, la speranza è di tornare il prima possibile nelle case, al termine dei combattimenti.
“Fra i cristiani cresce la preoccupazione - sottolinea don Paolo - perché queste violenze creano condizioni negative per il ritorno degli sfollati”. Nelle zone teatro degli scontri, prosegue il responsabile del campo profughi “Occhi di Erbil”, alla periferia della capitale del Kurdistan irakeno, “è forte la paura: in questi giorni colpo di mortaio sono caduti su Teleskuf, la gente è fuggita nei villaggi vicini”. Inoltre, i combattimenti hanno reso “più difficili” i collegamenti con Erbil e “la chiusura di alcune strade crea diversi problemi di logistica e spostamenti”.
Don Paolo auspica che la situazione “sia solo temporanea” e possa tornare presto la calma, anche se l’obiettivo di Baghdad resta quello di “far tornare i curdi alla linea blu”, i confini tracciati prima dell’invasione statunitense del 2003 e della successiva caduta del raìs Saddam Hussein. “Invece, a est di Mosul la situazione è più calma - conclude il sacerdote - e siamo fuori dalla linea di attacco. A Qaraqosh in questi mesi sono tornate più di 3mila famiglie, a Karamles circa 270”.
Infine, ieri a Baghdad si è conclusa la due giorni di Consiglio dei vescovi irakeni, sotto la guida del patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako e alla presenza - fra gli altri - del nunzio apostolico Alberto Ortega Martin. Al centro della discussione anche la crisi fra Erbil e Baghdad, che è fonte di grande “preoccupazione” per la Chiesa irakena. Nella dichiarazione conclusiva i vescovi esortano i leader locali e nazionali a “impegnarsi per la pace” attraverso un “dialogo sincero” e un percorso “basato sulla giustizia, sul rispetto della legge e sulla vera cittadinanza”, auspicando “unità e sicurezza” per le cittadine della piana di Ninive.

Army shells town - but priest refuses to leave

By Aid to the Church in Need
October 25, 2017
John Newton

A senior Iraqi priest refused to leave Teleskov, northern Iraq – even after military forces gathered there for battle.
Chaldean cleric Father Salar Kajo and nine Church workers remained in the Christian-majority town on the Nineveh Plains, around 19 miles north of Mosul, despite Iraqi and Peshmerga armies amassing there over the last 48 hours.
All other inhabitants left Teleskov yesterday (Tuesday 24th October) after mortar shells landed in the town, injuring three children.
Both Kurdish and Iraqi forces are aware of the presence of Father Kajo and his team.
Catholic charity Aid to the Church in Need has received information from various sources including Father Kajo – who was in the UK earlier this month to speak at the launch of the charity’s Persecuted and Forgotten? report – and town elders who have fled to nearby Alqosh.
According to sources, last night was mostly quiet and the sporadic gun fire which occurred earlier this morning has now ceased.
Iraqi forces had moved in heavy weaponry, including armoured vehicles, up to the outskirts of Teleskov, and the Peshmerga had set up defensive positions inside numerous houses. Kurdish forces from Alqosh had been moved towards the town.
With most other Peshmerga militias having reportedly stood down, local Church leaders have questioned why Kurdish forces apparently made a stand at Teleskov, where the majority of the homes damaged during Daesh (ISIS) occupation have been restored.
More than 70 percent of the families that were driven out by Daesh had returned to the town.
But there are signs that further fighting could be averted following a statement issued by the Kurdistan Regional Government today (Wednesday 25th October).
The message called for an immediate ceasefire and halt to all military operations in the region, and promised to “[f]reeze the results of referendum conducted in the Iraqi Kurdistan” so that there could be dialogue between the Kurdistan Regional Government and Iraqi Federal Government.
The statement said: “As Iraq and Kurdistan are faced with grave and dangerous circumstances, we are all obliged to act responsibly in order to prevent further violence and clashes between Iraqi and Peshmerga forces.
“Attacks and confrontations between Iraqi and Peshmerga forces that started on October 16th, 2017, especially today’s clashes, have caused damage to both sides and could lead to a continuous bloodshed, inflicting pain and social unrest among different components of Iraqi society.
“Certainly, continued fighting does not lead any side to victory, but it will drive the country towards disarray and chaos, affecting all aspects of life.”

Aid to the Church in Need has been working with local churches to rebuild Christian towns and villages which were destroyed by extremist group Daesh after they seized the Nineveh Plains.
Neville Kyrke-Smith, national director of Aid to the Church in Need (UK) called for prayer for peace in the Nineveh Plains.
He said: “We have stood by our Iraqi brothers and sisters as they were forced out of their homes, supporting the marvellous work done by the local churches who provided food, shelter and emergency aid for them in their time of crisis.
“With the defeat of Daesh, we have been helping Iraq’s Christians to repair their damaged houses, so that they can at long last return to the places they call home.
“It would be a tragedy if a new round of armed fighting shattered their dreams of going home.
“We ask everyone to pray for those affected – and call on others to do all they can to enable a lasting and stable peace.”

Mr Kyrke-Smith added: “But whatever happens we will stand by our Iraqi brothers and sisters in their hour of need.”

Christians who fled IS displaced again as Iraqi and Kurdish forces clash

By WorldWatch Monitor
October 25, 2017

Fighting has erupted between Iraqi and Kurdish forces in a predominantly Christian town in northern Iraq, causing residents to flee.
Around 900 families have fled Telskuf and its surrounding villages – part of the Nineveh Plains region of northern Iraq liberated last year from the Islamic State group – to seek refuge in Alqosh and Dohuk, further north.
Two teenage boys have been injured in the fighting – 12 and 14 years old respectively. Some ‘caravans’ (portacabins used to shelter internally displaced people during IS’s onslaught) are now in use again to host those who fled.
“This is a huge drawback and disappointment for the whole Christian community,” said a spokesperson for Open Doors, a charity that supports Christians under pressure for their faith. “During the time of displacement, Open Doors had supported a refugee camp through a local partner. Over the past months the camp had emptied down to only two families still living there… until yesterday.
“Now all the 40 caravans are filled again with families from those three villages that were hit. That two children of only 12 and 14 got wounded by this eruption of violence is making an especially deep impression on the Christians. We pray they will be okay.”
A local priest, Father Salar Kajo, refused to leave the town and called for aid.
A source told World Watch Monitor by email last night: “Iraqis intend to begin bombardment of Telskuf in the morning using heavy weapons. They sent word to Fr Salar that everyone needed to leave the town tonight. He has sent away all the families, but he has refused to leave. Several of his young workers are staying with him.”
Iraqi government forces continue to jostle with Kurdish forces for control of the region, which the Kurds helped to liberate from IS last year.
Christians have been on high alert since the recent Kurdish referendum, when Iraqi Kurds voted overwhelmingly in favour of independence, scared at the prospect of another wave of violence.
“We have the Kurds claiming territory that is not theirs, and the Iraqis claiming territory that is not theirs, and the Christians, whose land it rightfully is, being used as acceptable collateral damage once again,” the source added.
“It has been a very busy and terrifying 24 hours,” another source told World Watch Monitor by email. “It seems to have stopped now, but the damage has been done.”
The Open Doors spokesperson added that the latest fighting was “all the more disappointing because the Kurds have said they will freeze the results of the referendum and start dialogue to prevent it ending up in a war”.
Father Poulos, a priest from the town of Bashiqa, south of Telskuf, told World Watch Monitor last week he had been expecting a government response since the referendum.
The priest said the Peshmerga had told him they would withdraw from the town and, shortly after their departure, the Iraqi army arrived and took control.
He said he had a sleepless night and that people were afraid. “My phone kept ringing. Many people called me asking about the situation. I tried to comfort them telling them they shouldn’t worry,” he said.
Since IS’s defeat, small numbers of Iraqi Christians have started to return to the towns and villages in the Nineveh Plains region. Father Poulos and around 200 Christian families were among them, returning home to Bashiqa a few months ago.
As World Watch Monitor reported on 17 October, experts had warned that fresh large-scale fighting in the disputed territory could further drain the region of Christians.

Tensioni nella Piana di Ninive: nuovo appello al dialogo dei Vescovi iracheni

By Fides

Le “Brigate Babilonia” hanno attribuito alle truppe curde Peshmerga la responsabilità delle operazioni militari che la sera e la notte di martedì 24 ottobre hanno spinto gli abitanti di Telkeif* – centro urbano delle Piana di Ninive, abitato da cristiani – a lasciare precipitosamente le proprie case per trovare rifugio nelle città e nei villaggi vicini. Secondo i vertici delle “Brigate Babilonia” - formazione armata guidata da Rayan al Kildani (Rayan il caldeo), e comprende nelle sue file anche cristiani - sono stati lanciati dai Peshmerga i colpi di artiglieria che hanno raggiunto un quartiere abitato della città, ferendo anche alcuni bambini e provocando l'esodo immediato di più di 600 famiglie, che avevano potuto far ritorno alle proprie case solo dopo la sconfitta dei jihadisti dello Stato Islamico (Daesh). Altre fonti anonime, citate dai media, sostengono che l'evacuazione sarebbe stata messa in atto sulla base di indicazioni provenienti da emissari dell'esercito governativo, in vista di un aumento del livello di scontro con i Peshmerga. Nella città deserta, e priva di corrente, sono rimasti il sacerdote caldeo Salar Kajo e alcuni suoi collaboratori.
Intanto i Vescovi cattolici iracheni, alla fine del loro incontro annuale – svoltosi a Baghdad il 24 e 25 ottobre – hanno di nuovo espresso preoccupazione per le tensioni e le nuove minacce di conflitto a tutto campo che incombono in una delle aree di tradizionale radicamento delle locali comunità cristiane. Nel documento finale dell'incontro, pervenuto all'Agenzia Fides, i Vescovi cattolici iracheni hanno invitato i leader politici nazionali “a impegnarsi per la pace attraverso il dialogo”, e hanno chiesto che le città dislocate nella Piana di Ninive non diventino oggetto di spartizione tra forze militari contrapposte.

* Secondo il sito Ankawa.com che riporta la notizia si tratta del villaggio di Tellesqof e non di quello di Telkeif.
Nota di Baghdadhope

25 ottobre 2017

Nuovi venti di guerra sulla Piana di Ninive. I cristiani costretti ancora a fuggire

Foto Ankawa.com
By Fides

I cristiani di Telkaif, cittadina irachena situata nella Piana di Ninive, nella tarda serata di martedì 24 ottobre hanno abbandonato in massa le loro case e si sono trasferiti con automobili, furgoni e pullman ad al Qosh e in altri villaggi vicini, messi in fuga dagli allarmi sulle imminenti operazioni militari che potrebbero presto vedersi scontrare in quell'area le truppe dell'esercito iracheno e le milizie curde Peshmerga, che fanno capo al governo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno.
Foto Ankawa.com
L'agenzia di notizie Ankawa.com ha riferito che nella stessa giornata di martedì 24 alcuni colpi di mortaio erano già caduti sul centro abitato di Telkaif*, provocando, secondo fonti locali, anche la morte di due persone. Un esodo analogo ha coinvolto anche gli abitanti della vicina cittadina di Baqofah.
La fuga precipitosa da Telkaif e Baqofah richiama alla memoria l'esodo di massa che si verificò nella Piana di Ninive nell'agosto 2014, quando più di 100mila cristiani furono costretti ad abbandonare in fretta e furia i villaggi che da tempo immemore rappresentavano i capisaldi storici delle comunità autoctone nello spazio dell’antica Mesopotamia. Nella notte tra il 6 e il 7 agosto, a Qaraqosh, Kramles, Telkaif, Bartalla e negli altri centri della Piana, l’offensiva delle milizie dell’autoproclamato Califfato Islamico travolse la resistenza rappresentata dai Peshmerga curdi. Tanti fuggirono verso Erbil e Kirkuk, portandosi dietro solo i vestiti che avevano addosso.
Intanto, il governo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno ha diffuso una nota in cui si dice disponibile a “congelare” i risultati del referendum indipendentista, svoltosi lo scorso 25 settembre per sancire la propria secessione di fatto dall'Iraq. L'iniziativa è stata presentata come un tentativo di aprire canali di dialogo con il governo centrale di Baghdad. I leader di Erbil hanno anche auspicato il “cessate il fuoco immediato”, dopo gli scontri armati registrati nei giorni scorsi tra esercito iracheno e Peshmerga curdi nella regione di Kirkuk. 


* In realtà si tratta, secondo il sito Ankawa.com del villaggio di Tellesqof e non di quello di Telkeif.
Nota di Baghdadhope 

23 ottobre 2017

Il ritorno dei cristiani nella Piana di Ninive

By La Stampa - Vatican Insider
Cristian Uguccioni

«Martedì 17 ottobre, a Qaraqosh, nella Piana di Ninive (Iraq), dopo settimane di lavori compiuti da un’impresa locale, abbiamo riaperto la nostra scuola elementare, che era stata saccheggiata e danneggiata dai jihadisti dell’Isis. Abbiamo accolto 400 bambini tornati qui con le loro famiglie. A breve – grazie al decisivo aiuto della Fondazione Avsi (che ci segue da tempo) – riapriremo anche l’asilo, che era stato bruciato». Sono le parole di suor Silvia Batras, domenicana irachena. Originaria di Alqosh, 36 anni, oggi vive a Erbil, nel Kurdistan iracheno: guida la comunità domenicana locale, insegna catechismo ed è vicepreside della scuola costruita per i profughi cristiani. Da Erbil segue il ritorno delle proprie consorelle nella Piana di Ninive, dove si reca spesso. A Vatican Insider racconta la fuga dei cristiani dopo l’invasione dell’Isis, i patimenti da loro vissuti, la speranza che li sostiene, la liberazione. Racconta vite passate attraverso il fuoco della tribolazione. E rimaste aggrappate al Signore.
Torniamo all’estate del 2014: lei quando fuggì dalla Piana di Ninive? 
«Venerdì 1 agosto 2014, con l’avanzata delle milizie dell’Isis, le mie sette consorelle ed io lasciammo il convento di Tilkef per rifugiarci ad Alqosh presso un’altra nostra comunità. Il giorno 6 iniziò a circolare la voce che l’Isis stava arrivando: le mie consorelle partirono in giornata; io rimasi per aiutare i miei familiari che vivevano in città: alle 23 decidemmo di scappare anche noi, insieme a migliaia di altri cristiani. E cominciammo a camminare: ricordo la paura, la rabbia, il dolore, l’affanno, il pianto dei bambini. Il mattino seguente eravamo in Kurdistan, salvi. Nei giorni successivi ci dissero che i cristiani fuggiti dalla Piana di Ninive erano circa 150mila: fu un vero esodo. Non dimenticherò mai quella notte: prego sempre il Signore che nessuno debba mai sperimentare ciò che abbiamo vissuto noi».  
Quali pensieri agitavano la sua mente quella notte? 
«Ero impaurita. Tutte le donne, in particolare, temevano di fare la fine delle yazide: rapite, violentate e vendute. Ero anche arrabbiata con il Signore perché non capivo cosa stesse accadendo, mi sembrava di essere finita in mezzo al mare su una barca squassata dalla tempesta. Poi, con il tempo, prestando soccorso ai profughi, ho compreso che Gesù è sempre stato sulla nostra barca, proprio come era sulla barca dei Suoi discepoli quando scoppiò la tempesta (Lc 8,22-25; Mc 4,35-41; Mt 8,18.23-27). Lui non ci ha mai abbandonato».  
Quanti cristiani, approssimativamente, sono tornati a vivere nella Piana di Ninive sino ad oggi?  
«Difficile dirlo, i numeri variano di settimana in settimana e non esistono dati ufficiali: penso comunque un buon numero. La Fondazione Pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre” (che di recente ha varato un importante progetto per sostenere il ritorno dei cristiani), citando fonti del Comitato per la Ricostruzione di Ninive, stima abbiano fatto rientro nelle loro case circa 3mila famiglie, ossia approssimativamente 15mila persone. Noi suore domenicane, obbedendo alla richiesta della Chiesa che voleva fossimo presenti per sostenere queste famiglie, ci siamo stabilite, per il momento, in due centri: tre suore vivono a Telskuf, dieci a Qaraqosh. Verso Natale, dopo aver finito di sistemare la casa, tre andranno a Bartella. Purtroppo, nessun villaggio della Piana è stato risparmiato dalla furia dell’Isis. Nei mesi scorsi, dopo la liberazione nell’ottobre del 2016, abbiamo potuto vedere ciò che l’Isis aveva fatto: uno scempio disumano». 
Può descriverlo? 
«La maggior parte delle case sono state saccheggiate o bruciate o lesionate dalle bombe, ci sono aree minate, le chiese sono state distrutte, i conventi dati alle fiamme, i cimiteri profanati. Quando le mie consorelle, dopo la liberazione, sono andate per la prima volta a Qaraqosh hanno trovato la scuola e il convento danneggiati: i miliziani dell’Isis avevano rubato o incendiato ogni cosa, anche i libri della biblioteca. Dopo una settimana le mie consorelle sono tornate perché volevano portare alcuni libri: hanno visto il convento quasi completamente distrutto: qualcuno, giorni prima, aveva portato lì un’auto imbottita di esplosivo e l’aveva fatta saltare in aria». 

Quali attività svolgono attualmente le sue consorelle?  
«A Qaraqosh lavorano nella scuola e nell’asilo. A Telskuf sono impegnate nell’asilo, frequentato da 70 bambini, e stanno finendo di sistemare il convento. Una di loro insegna nella scuola pubblica. In questi due centri inoltre affiancano i sacerdoti nell’attività pastorale facendo catechismo e sono sempre a disposizione di quanti cercano consolazione, sostegno, incoraggiamento». 
Qual è la situazione adesso nei centri della Piana di Ninive? 
«Si continuano a ricostruire o riparare le case e le chiese danneggiate, sono stati aperti diversi negozi, anche qualche ristorantino. In quindici scuole sono già riprese le lezioni. La vita, lentamente e faticosamente, sta ricominciando. Tuttavia resta moltissimo da fare. So che diverse famiglie originarie della Piana ora emigrate all’estero hanno offerto – per un anno a titolo gratuito – le loro case ancora in buono stato alle famiglie le cui abitazioni sono state danneggiate. Inoltre, dopo la liberazione, la Chiesa – che in Kurdistan ha pagato ai profughi la metà dell’affitto – si è subito resa disponibile a finanziare parte delle spese sostenute dalle famiglie per la ricostruzione delle abitazioni. Il senso della comunità non è andato perduto: le persone si aiutano, si sostengono reciprocamente».  
Qual è il desiderio più grande delle famiglie tornate nelle loro cittadine? 
«Desiderano la pace, sperano di vivere in tranquillità e di far crescere i loro figli in un ambiente sereno: tutti preghiamo che le armi tacciano definitivamente. L’opera di ricostruzione richiederà molto tempo: dovremo avere pazienza. Noi suore domenicane desideriamo continuare a portare la carezza di Gesù a queste persone che hanno molto sofferto: a volte basta poco per infondere coraggio, risollevare gli animi: un sorriso, una parola gentile, uno sguardo di comprensione». 
Le efferatezze compiute dall’Isis, la fuga precipitosa dalle loro case quali segni hanno lasciato nei bambini che frequentano le vostre scuole? 
«Avevamo appena aperto la scuola a Erbil quando un giorno scoppiò un forte temporale; tuonava: i bambini si spaventarono moltissimo, cominciarono a gridare che l’Isis stava arrivando e che dovevano fuggire. Nonostante siano passati tre anni, sono ancora spaventati. E purtroppo sono aggressivi, litigano spesso, si picchiano: noi insegnanti cerchiamo in tutti modi di calmarli, di farli sentire al sicuro, protetti, ma non è facile perché la loro vita è stata stravolta».   
La fede dei cristiani della Piana di Ninive è stata duramente messa alla prova in questo difficilissimo passaggio della storia. 
«L’Isis, durante l’invasione della Piana, costringeva i cristiani a scegliere tra una di queste tre opzioni: convertirsi all’Islam, pagare una tassa (la jizya) o lasciare la propria città. Dopo aver raggiunto il Kurdistan, molte persone – che avevano preferito fuggire piuttosto che rinnegare Gesù – hanno cominciato a domandarsi perché il Signore le avesse abbandonate, perché avesse permesso il male. La loro fede ha vacillato. È umano: una simile domanda affiora sempre sulle labbra di chi patisce soprusi, violenze, ingiustizie. Ricordo in particolare una mamma che non si dava pace: i miliziani dell’Isis avevano rapito la sua bambina di tre anni e con gli occhi colmi di lacrime continuava a chiedere perché Dio lo avesse permesso. Molte altre persone, invece, sin dall’arrivo in Kurdistan, hanno sostenuto con forza e convinzione che il Signore non ci aveva abbandonato, che se non fosse stato al nostro fianco saremmo morti. Tutte queste persone hanno continuato a confidare in Lui, certe della Sua vicinanza. E sono state quindi capaci di aiutare chi aveva iniziato a sentirsi abbandonato dal Signore». 
Avete avuto qualche notizia della bambina rapita? 
«Sì, è stata liberata quest’anno dai soldati dell’esercito iracheno. Purtroppo la piccola ha dimenticato quasi tutto della sua precedente vita in famiglia (ad esempio, non parla più l’aramaico ma solo l’arabo), tuttavia con l’amore e le cure dei genitori si riprenderà». 
In questi anni i cristiani della Piana di Ninive hanno sentito la vicinanza, il sostegno della Chiesa? 
«Sì, molto. Questo è stato un dono grande che il Signore ci ha fatto, del quale non finiremo di ringraziare. Non ci siamo sentiti abbandonati: la Chiesa si è presa cura di tutti noi con la preghiera e con opere e raccolte fondi realizzate da associazioni umanitarie e singole comunità. Vorrei menzionare in particolare l’aiuto (una benedizione!) profuso in Kurdistan dalla Chiesa locale, che sin dall’inizio ha aperto i propri edifici per accogliere i profughi e ha garantito molti servizi offrendo cibo e altri beni di prima necessità, e il sostegno grande che ci è stato offerto in questi anni dalla Fondazione Pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre”: ad esempio, nel 2014, pochi mesi dopo la fuga dei cristiani dalla Piana, ha fornito loro case prefabbricate, a Erbil ha aperto una clinica e anche un asilo e una scuola dove lavoriamo noi domenicane. Tutti gli aiuti ricevuti hanno mitigato i molti disagi e le privazioni che le famiglie hanno vissuto e ancora vivono in Kurdistan». 
Quale dono pensa stiano offrendo i cristiani della Piana di Ninive alle comunità cristiane del mondo? 
«Penso portino in dono il coraggio di stringersi al Signore qualunque cosa accada e la convinzione salda che Lui ci è sempre vicino. Racconterò un episodio: durante il primo anno di permanenza a Erbil organizzammo un incontro dedicato alla Parola di Dio con i giovani: un ragazzo volle leggere a tutti l’ultimo versetto del Vangelo di Matteo nel quale Gesù afferma: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Poi disse che queste parole, per lui, erano vere, che Gesù stava mantenendo la promessa, era davvero con noi tutti giorni e lo sarebbe stato sempre. Gli altri ragazzi annuirono. Questa è la nostra fede».

In Kurdistan 32 partiti difendono la linea “indipendentista”

By Fides

I rappresentanti di 32 Partiti politici presenti nel Kurdistan iracheno, comprese almeno 8 organizzazioni politiche animate da cristiani, si sono riuniti a Erbil ieri, domenica 22 ottobre, e hanno sottoscritto un documento di appoggio alla presidenza e al governo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, deplorando le operazioni militari ordinate dal governo iracheno per riaffermare il proprio controllo sulla regione petrolifera di Kirkuk. Le sigle politiche, nel documento sottoscritto dai loro rappresentanti, hanno chiesto di “non rinunciare” agli effetti del referendum indipendentista svoltosi nella regione lo scorso 25 settembre, che ha sancito la volontà della leadership curda del Kurdistan di procedere verso la proclamazione di piena indipendenza dall'Iraq. Nel testo sottoscritto si deplorano anche le misure di embargo economico e politico disposte da Baghdad nei confronti del Kurdistan dopo il referendum. Si ribadisce la disponibilità al dialogo sulla base della Costituzione, accusando il governo di Baghdad di aver sabotato ogni apertura al confronto, ricorrendo al linguaggio “dell'aggressione e dell'arroganza militare”.
Tra i Partiti che hanno sottoscritto il documento figurano anche almeno 8 sigle politiche animate da dirigenti e militanti cristiani, come il Partito democratico “Bet Nahrain”, il Consiglio nazionale caldeo e il Partito democratico caldeo. Intanto, il partito curdo Gorran, principale forza d'opposizione all'attuale linea politica del governo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, ha chiesto le dimissioni di
Ma'sud Barzani – attuale Presidente della Regione autonoma - accusandolo di aver gestito in maniera disastrosa i rapporti con il governo di Baghdad e di aver imposto il referendum indipendentista scegliendo male i tempi e ignorando le messe in guardia che provenivano da diverse potenze regionali, a partire da Turchia e Iran. Oggi, lunedì 23 ottobre, è in programma a Mosca un incontro tra il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, e il ministro degli esteri iracheno, Ibrahim al-Jaafari, per discutere della situazione creatasi in Kurdistan dopo il referendum indipendentista.

Da Aleppo e Karachi due vescovi scrivono ai benefattori ACS: «Il 2 novembre fate celebrare le sante messe per i vostri cari ai sacerdoti perseguitati»

By Aiuto alla Chiesa che Soffre

«Donando per la celebrazione di Sante Messe, i cattolici italiani offriranno sollievo non solo ai cari defunti, ma anche ai tanti sacerdoti nel mondo che, afflitti da persecuzioni o povertà, celebrano per loro e si sostengono con le loro offerte».
Così scrive monsignor Antoine Audo in una lettera indirizzata alle migliaia di benefattori di Aiuto alla Chiesa che Soffre, nella quale il vescovo caldeo di Aleppo invita, in occasione della commemorazione dei defunti del 2 novembre, a far celebrare Sante Messe per i loro cari da sacerdoti della Chiesa sofferente in tante regioni del pianeta, innanzitutto in Siria.
ACS offre infatti la possibilità ai propri benefattori di far celebrare delle Sante Messe, secondo le loro intenzioni, da sacerdoti della Chiesa che soffre. Tale sostegno costituisce l’unica “entrata” per migliaia di ministri di Dio che in molte aree povere del mondo non possono contare sulle offerte dei propri fedeli, ma al contrario devono sostenere anche economicamente il proprio gregge. Ogni anno ne vengono celebrate più di un milione. Nel 2016 sono state 1.435.888, ovvero una ogni 22 secondi. I contributi donati hanno permesso di sostenere 43.027 sacerdoti – ovvero uno ogni nove nel mondo – in particolare in Africa (14.403) e in Asia (11.293).
«Ancora grazie per la vostra generosità», scrive monsignor Audo ai benefattori italiani di ACS, ringraziandoli a nome delle «martoriate comunità siriane» e dei tanti «nostri fratelli nel mondo che con il vostro aiuto sono ancora presenti in alcune aree del mondo nonostante i fondamentalismi». «Questa realtà descrive magnificamente una comunità unita nella carità!»
Un ringraziamento ai benefattori ACS che donano per le intenzioni di Sante Messe giunge anche dal Pakistan, da monsignor Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale pachistana. «È anche grazie a voi – scrive il presule – se in Pakistan la Chiesa cattolica consente alla comunità cristiana, tra le più povere del Paese, di far fronte alle necessità quotidiane e di istruire i più giovani».

20 ottobre 2017

Iraq, padre Benoka: a Ninive cristiani come rifugiati

By Radiovaticana

In Iraq la sconfitta delle milizie jihadiste del sedicente stato islamico non sembra ancora assicurare una stabile cornice di pace. Il futuro delle comunità cristiane, in particolare, è minacciato da varie incognite. La Piana di Ninive, dove molti cristiani sono tornati negli ultimi mesi, è al centro di forti tensioni tra l’esecutivo di Baghdad e il governo indipendentista del Kurdistan. Il patriarca caldeo Louis Raphael Sako, in un appello alla nazione consegnato al presidente della Repubblica Fuad Masum, sottolinea che la priorità è  “proteggere le persone prima ancora dei pozzi petroliferi”.
situazione dei cristiani in Iraq, si sofferma, al microfono di Fabio Colagrande, il sacerdote iracheno, padre Benham Benoka, raggiunto telefonicamente ad Ankawa, nel Kurdistan iracheno:


Non solo i cristiani di Ankawa, ma soprattutto quelli che vivono nella Piana di Ninive si sentono molto in pericolo, soprattutto in questa situazione, in cui un esercito prende il posto di un altro esercito.
Il patriarca caldeo Sako ha lanciato, nei giorni scorsi, un appello rivolto al governo di Bagdad ed ha chiesto che si ricordi sempre che il popolo viene prima dei pozzi petroliferi. Quindi ha detto: “No ai nuovi conflitti. I leader iracheni cooperino tra loro per evitarli”...
Il patriarca caldeo cerca di proteggere tutti gli iracheni e l’unità del Paese, ma anche e soprattutto i cristiani che sono i più deboli fra gli indifesi in questo Paese. I cristiani non sopportano più un minimo conflitto tra Bagdad e il Kurdistan o altre parti sui loro territori. Ora i cristiani sono veramente in grave pericolo; ogni conflitto può definitivamente svuotare l’Iraq dei cristiani.
Qual è la situazione della comunità cristiana di cui lei si occupa ad Ankawa? Si tratta di persone che avevano le loro abitazioni nella parte centrale dell’Iraq  e che non sono potute rientrare ancora nelle loro case?
I cristiani cercano di tornare nelle loro case, però hanno bisogno di aiuti che li sostengano a continuare la loro esistenza nella Piana di Ninive. Molti cristiani sono tornati nelle loro case, ma bisogna chiedersi in che condizione si trovano le loro case. Le case sono ancora bruciate, molte sono distrutte. All’interno delle città i cristiani della Piana di Ninive si trovano come i rifugiati.
Alcuni cristiani sono rimasti ad Ankawa?
Sì, alcuni sono rimasti, ma sono pochi rispetto a quelli che sono tornati.
E lei potrà tornare a Mosul? È già tornato?
A Mosul la situazione è ancora  gravissima. La questione non riguarda lo stato islamico. La gente non torna a Mosul a causa dell’ideologia che ha devastato la cultura della gente di Mosul. In alcuni casi, i cristiani si sono sentiti minacciati quando sono tornati nella città appena liberata.

I jihadisti sono stati cacciati, ma all'Università di Mosul si entra solo col velo

By Fides

Foto Ankawa.com
La città nord-irachena di Mosul non è più sotto il controllo delle milizie jihadiste dello Stato Islamico dal luglio scorso. Ma all'Università gli studenti continuano a doversi adeguare, almeno parzialmente, a costumi e regole di ascendenza islamica anche nel modo di vestire. Un grande cartello posto all'ingresso dell'Ateneo ricorda agli studenti il tipo di abbigliamento e l'acconciatura che devono osservare per entrare negli edifici universitari e seguire le lezioni. Il “dress code” obbligatorio prescrive l'uso del velo a tutte le studentesse, musulmane o non musulmane.
L'Università ha ripreso le proprie attività e gli studenti hanno ricominciato a frequentare i corsi, anche se ampie sezioni degli edifici universitari sono state distrutte dai bombardamenti e non risultano ancora ripristinate. Oltre ai disagi logistici, studenti cristiani – riporta l'Agenzia d'informazione Ankawa.com – esprimono preoccupazione per gli atteggiamenti di rigidezza intollerante espressi da alcuni dei loro colleghi musulmani.
Nell'Università di Mosul la pressione esercitata dal radicalismo islamista aveva costretto tante studentesse cristiane a indossare il velo già a partire dagli anni 2004-2005, ben prima che la città cadesse nelle mani di Daesh. Adesso, passata la parentesi tragica del regime jihadista, rientrano in vigore codici di comportamento e disposizioni che sembrano comunque connessi a un progetto di islamizzazione della vita sociale. Mentre si moltiplicano i segnali della crescente “delusione” delle comunità cristiane locali rispetto agli effetti delle campagne militari condotte per sconfiggere il sedicente Stato Islamico.

19 ottobre 2017

Appello del patriarca caldeo: Il popolo viene prima dei pozzi petroliferi, no a nuovi conflitti


In una lettera consegnata al presidente della Repubblica mar Sako auspica “cooperazione” fra leader irakeni. L’obiettivo è dar vita a una nazione “civile moderna e forte”, capace di avviare riforme economiche, sociali e cultura. L’esercito irakeno strappa ai curdi ampie porzioni di Ninive e Diyala. Timori per Teleskof e Alqosh. Serve una “cooperazione” fra i leader irakeni, per dare vita a un “fronte comune” contro il pericolo di “nuovi conflitti”, perseguendo l’obiettivo primario di “proteggere le persone prima ancora dei pozzi petroliferi”. È quanto sottolinea il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, in un appello alla nazione consegnato ieri al presidente della Repubblica Fuad Masum e inviato ad AsiaNews. Nella lettera il primate della Chiesa irakena auspica la creazione di una “nazione civile moderna e forte, sotto una consolidata guida politica”, in grado di “avviare riforme nei settori economico, sociale e culturale”. E rinnova l’invito già espresso più volte in passato di un dialogo sincero fra Baghdad ed Erbil, mettendo da parte “lo spirito di vendetta, il sospetto, le rappresaglie o i discorsi di fuoco”.
Intanto l’esercito irakeno dopo la presa di Kirkuk ha conquistato altre porzioni di territorio fino a poco tempo fa nelle mani dei curdi, concentrate nella provincia di Ninive e di Diyala. In una nota ufficiale i militari confermano che le forze governative “hanno ripreso il controllo di Khanaqin e Jalawla” e di Makhmur, Bashiqa, Sinjar e della diga di Mosul. Secondo alcune fonti le forze irakene avrebbero inoltre intimato ai Peshmerga (i combattenti curdi) di ritirarsi dalla piana di Ninive, in particolare dalle cittadine cristiane di Teleskof e Alqosh, Il timore è che possano divampare nuovi scontri nelle prossime ore.
In una situazione di forte tensione, mar Sako ha rinnovato l’invito alle parti per un dialogo sincero per trovare una soluzione alla crisi.
Di seguito, la lettera-appello del Patriarca caldeo.

In questi giorni il nostro Paese sta attraversando eventi mai sperimentati prima, i quali sono il risultato di tutto quello che è successo in Iraq, da nord a sud, nel corso degli anni e fino ad oggi. Pertanto, questa fase critica necessita di una collaborazione nazionale e a tutti i livelli, per poter andare oltre questa crisi e muoversi in direzione di una soluzione della stessa. Per la creazione di una partnership concreta e su scala nazionale; per la nascita di un nuovo Iraq.
Gli eventi che sono occorsi in quest’ultimo periodo sono parte di conflitti che hanno determinato una tensione permanente e il collasso della stabilità nel Paese. E come sempre, i civili innocenti sono le prime vittime di queste tensioni di cui non hanno alcuna colpa.
Se in queste ore l’unità dell’Iraq ha catturato l’attenzione della comunità internazionale, sia per benefici di natura strategica o quanto piuttosto per questioni di principio, questa stessa unità è il ritornello comune di tutti i partiti irakeni. Una unità che viene nominata in termini di responsabilità per la sua conservazione o come accusa per un suo eventuale fallimento.
Tutte le componenti originarie della terra irakena che sono interessate a una vita comune, in questo momento sono chiamate ad andare oltre questa situazione di fragilità adottando lo spirito di cittadinanza e lo stato di diritto, clemenza e perdono; al contempo è necessario mettere da parte lo spirito di vendetta, il sospetto, le rappresaglie o i discorsi di fuoco.
In questa dichiarazione, con senso della misura e di amore, noi ci rivolgiamo alla leadership irakena - al governo centrale e alle istituzioni regionali [curde] - per andare avanti e per salvare il Paese anche a fronte di ciò che è successo in questi ultimi anni. È responsabilità di tutti noi prenderci cura dell’Iraq e, oggi più che mai, vi è un estremo bisogno di un processo vero di riconciliazione nazionale, per indirizzare il processo politico sul giusto cammino. Serve instaurare un dialogo coraggioso, onesto, improntato alla civiltà, per discutere di tutte quelle materie che sono oggetto di confronto e basandosi sulla Costituzione. Questo è il volere sincero e comune del saggio popolo irakeno, e deve essere confermato da una autorità saggia nell’esercitare la sua leadership.
Questa riconciliazione nazionale può fornire rispose concrete e appropriate per uscire da questa crisi, e non solo per la questione legata al referendum. I problemi che investono questo Paese non riguardano stranieri provenienti da luoghi lontani, ma investono persone fra loro fratelli e cittadini che vivono nella stessa terra. Per questo la soluzione non può essere raggiunta senza il negoziato e la giusta elaborazione del pensiero.
Questo metodo porterà ad offrire coraggiose concessioni reciproche e la cooperazione fra i vari leader irakeni, dando vita a un fronte comune contro il pericolo di nuovi conflitti; vale a dire, per proteggere le persone prima ancora dei pozzi petroliferi. L’obiettivo è quello di formare una nazione civile moderna e forte, sotto una consolidata guida politica, che contribuisca a sviluppare l’establishment di governo e avviare riforme nei settori economico, sociale e culturale. Questo progresso sarà sostenuto da una rinnovata fiducia, dall’implementazione di misure di sicurezza, di stabilità, sostenendo il processo di ricostruzione, e preparando il terreno per il ritorno degli sfollati nella loro terra natale, in un Iraq basato sulla coesistenza e la civiltà.

Louis Raphael Sako

Patriarca caldeo di Baghdad e presidente della Conferenza episcopale irakena

A Call to Iraqi Leaderships


These days, our country is going through unprecedented circumstances that are the result of all that happened in Iraq from the north to the south for years and until now. Therefore, this critical phase requires a comprehensive and national collaboration to go beyond this crisis and move forward to the solution of the crisis, the creation of a national and real partnership, and the rise of a new Iraq.
The incidents that took place during the last period was a part of conflicts that led to permanent tension and the collapse of the stability. In every instance, the innocent civilians were the first innocent casualties.
If the unity of Iraq drew the attention of the international community, whether for strategic benefits or for principled stance, this unity is the share of all Iraqi parties, whether in terms of the responsibility of preserving it or in causing it to fail. As the original components in Iraq are concerned in common living, they are calling to bypass this fragile situation by adopting the spirit of citizenship and law, clemency and forgiveness, and not the spirit of revenge, suspicion, reprisal, or loud voices.
In this declaration, we in caution and love are calling the Iraqi Leaderships in the Center and the Region, to move forward to rescue what happened in the last years. For Iraq is the responsibility of us all, and it is in an urgent need now for a real, national reconciliation to ease the political process on the right path. A courageous, honest, and civilized dialogue should be initiated to discuss all matters on the basis of the constitution; this is a sincere wish of wise people, confirmed by the wise authority.
This national reconciliation can lead to practical and proper ways out of the whole crisis, not the referendum only. The problems occurring in the country are not between strangers from places afar but they are among brethren and citizens living in the same homeland. Therefore, the right solutions cannot be reached without negotiations and reform of thinking. This method shall lead to offering mutual concessions courageously and the cooperation of Iraq's various leaderships as one front against the danger of creating new conflicts; namely, to protect the people first before the oil wells. The goal is the rise of a modern and strong civil country under a consolidated political command to help develop the governmental establishment and to reform the economic, social, and cultural sectors. All this progress shall be supported by building confidence, developing security measures, securing stability, supporting the reconstruction process, and paving the way for the return of the displaced to the homeland, in the Iraq of coexistence and civilizations.

18 ottobre 2017

Card. Parolin: ad Acs, “rinnovo il mio sostegno al progetto per riportare i cristiani in Iraq”

By SIR

“Un’iniziativa degna di lode e assolutamente necessaria, che sostengo e raccomando di sostenere non solo ai cristiani ma a tutte le persone di buona volontà”.

Così il Segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, in una lettera indirizzata ai vertici di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), torna a sostenere il progetto di ricostruzione della Piana di Ninive per consentire il rientro dei cristiani negli scorsi anni scacciati da Daesh. Nel testo, diffuso da Acs, il Segretario di Stato ricorda che “il Santo Padre, il quale segue da vicino la situazione in Medio Oriente che sente vicino al suo cuore, ha ugualmente espresso il proprio apprezzamento e incoraggiamento nei confronti di questo nobile e difficile impegno”.
Il cosiddetto “Piano Marshall” di Acs per i cristiani è stato ricordato anche dal Patriarca caldeo Louis Raphael I Sako in occasione dell’incontro del Pontefice con i Patriarchi e gli Arcivescovi maggiori. Nella lettera ad Acs, il card. Parolin ha ribadito l’impegno della Santa Sede in favore di quanti sono “devastati dalla guerra”, nella convinzione che “soltanto un impegno condiviso possa permettere ai nostri fratelli e sorelle iracheni di trovare e sperimentare quella pace a cui essi aspirano”.

17 ottobre 2017

Iraqi Priest Caring for Vulnerable Christians Issues Prayer Appeal

By Indipendent Catholic News
John Pontifex


A priest caring for persecuted Christians in northern Iraq has called on people to pray for peace in northern Iraq amid fears that a return to full-scale war could threaten the survival of one of the world's oldest Church communities.
Father Salar Kajo, who cares for Christians in towns and villages in northern Nineveh Plains, highlighted his fears following clashes outside the centre of Kirkuk between Kurdish Peshmerga forces and the Iraqi federal military.
With concerns that a descent into war may endanger Iraq's ancient Christian community, Father Kajo warned that numbers of faithful could continue to haemorrhage below 200,000 and called on people to pray for peace in the region.
Speaking in an interview with Catholic charity Aid to the Church in Need, Father Kajo, vicar general of Alqosh and parish priest of Teleskeof, Batnaya and Bakofa, said: "We hope very much that -- in spite of the violence we have just seen -- a peaceful path will be pursued between the Kurds and the Iraqi federal authorities.
"We must pray that, whatever happens, war does not break out."
"If full-scale war were to return to Iraq, we are afraid that Christians would not survive it."
His comments come amid fears that the violence could undo the work of resettlement in which thousands of Iraqi Christians displaced by Daesh (ISIS) have returned to their homes in Nineveh.
Father Kajo has overseen repairs to basic services and homes in Teleskeof and Baqofa, enabling the return of more than 1,000 Christian families to the district.
Stephen Rasche, who oversees Iraqi Christian resettlement programmes in Nineveh, working closely with Father Kajo, told ACN: "We will have to see how the next two to three days play out -- history shows that in this part of the world nobody's crystal ball works at all well.
"But we must all pray that the people who have suffered so much will not have more suffering inflicted upon them."
Aid to the Church in Need has prioritised help for Christians in Iraq, providing emergency help since they fled Nineveh in 2014 and helping rebuild homes in the region to enable resettlement to get underway.
To date, at least 15,000 Christians have returned to Nineveh, with 80,000 or more still in displacement.
The charity is also helping to repair churches desecrated in Nineveh, including Father Kajo's parish church of St George, in Teleskeof.
Father Kajo and Mr Rasche were keynote speakers at ACN events last week in the North-West of England and in London's Westminster Cathedral Hall, where the charity held a day of prayer and information on Saturday (14th October).

Nuovi venti di guerra sulla Piana di Ninive

By Fides

Le “Brigate Babilonia”, formazione delle milizie di protezione popolare che contano nei propri ranghi anche miliziani cristiani, hanno intimato alle milizie curde Peshmerga di abbandonare tutte le aree della Piana di Ninive sotto il loro controllo, ricevendo il rifiuto dei contingenti militari che rispondono al governo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno. Nei giorni scorsi, proprio i Peshmerga avevano arrestato alcuni membri del clan familiare di Ryan al Keldani (Ryan “il Caldeo”), capo delle cosiddette “Brigate Babilonia”. Fonti curde hanno riferito che i Peshmerga dispiegati nella Piana di Ninive risponderanno militarmente a tutte le componenti armate che proveranno ad attraversare il confine delle aree da loro controllate.
Le intimazioni delle “Brigate Babilonia” e l'ipotesi di un loro attacco alle postazioni Peshmerga sono solo un sintomo dei nuovi conflitti che dopo il referendum indipendentista del Kurdistan sembrano incombere su ampie regioni nord-irachene appena liberatesi dall'occupazione o dall'assedio jihadista del sedicente Stato Islamico (Daesh).
Fra le “aree contese” tra il governo di Baghdad e le forze indipendentiste del Kurdistan, oltre alla regione petrolifera di Kirkuk, figura anche la Piana di Ninive, area di tradizionale radicamento delle comunità cristiane autoctone. Le tensioni tra “Brigate Babilonia” e i Peshmerga curdi alimentano preoccupazioni anche tra i cristiani che negli ultimi mesi erano tornati ai propri villaggi della Piana di Ninive, dopo aver vissuto a lungo come profughi, negli anni in cui Mosul e una parte della provincia di Ninive erano in mano ai jihadisti di Daesh. I profughi cristiani ritornati alle proprie case temono di vedere la Piana di Ninive di nuovo trasformata in terreno di battaglia, stavolta tra i curdi Peshmerga contrapposti all'esercito iracheno, o alle “Brigate Babilonia e a altre forze di mobilitazione popolare (prevalentemente sciite) che hanno preso parte alle operazioni militari contro i jihadisti di Daesh.

16 ottobre 2017

Chaldean Synod 2017 – Decrees


The Chaldean Synod was held in Rome between 5-8 October 2017. It was led by His Beatitude the Patriarch Mar Louis Raphael Sako and was attended by all the Chaldean bishops around the world except by the retired bishop Jacques Ishaaq for health reasons. The synod began with a special audience with the Holy Father Pope Francis the morning of 5 October. Then the sessions began with a brotherly atmosphere by all the participants. There were many debates and each was given the freedom to speak one’s mind. The body of Bishops were one working for the unity and the building up of the Church in service of her children and the glory of God.
1.    The first act was the election of a bishop for Mar Addai Chaldean Diocese in Canada. There was also a dialogue and debate regarding the current needs and problems in other dioceses including Mosul, Zakho, Tehran, Iran to name some. Many suggestions were given but for these other dioceses, all decisions were tabled for the next synod which will take place in the first half of 2018.
2.    Establishment of a Patriarchal Tribunal.
3.    The Liturgical texts that were approved in the 2014 synod were promulgated to be used in all of the Chaldean dioceses and parishes as the official approved text under trial (ad experimentum) for the next five years. After which, the Chaldean Church Fathers will review them and then will have them sent to the Holy See to have them finalized. The liturgical texts are the Mass (revised in 2016 and awaiting approval from the Eastern Congregation), Rite of Baptism, Rite of Marriage, and the form for absolution. The Chaldean Fathers also adopted the daily readings for the Mass that was prepared by the Patriarchate. This is also under trial with the knowledge that this particular lectionary is not found in the Chaldean Church but today’s needs call out for such a trial.
4.    The Chaldean Fathers chose the color white as the official liturgical color for the feasts of Christmas, Epiphany and Easter. This would entail that the celebrant and all the servers be vested in white, instead of the current practice of all different colors. First Communion celebration was also added to this list.
5.    The adoption of Chaldean ecclesiastical renaissance in the façade of the Church and when possible the usage of historical structures such as the Ishtar Gates in the Church architecture was emphasized for all new projects.
6.    The Fathers Studied the effects of migration and the unstable situation in the east on vocations to the priesthood as well as to the religious life especially in Iraq. The Synodal Fathers emphasized the necessary spiritual formation in the seminaries and monasteries as well as the ongoing formation of priests. A suggestion was given to have a gathering of all the Chaldean priests in the world.
7.    The Fathers carefully studied the current situation of the Chaldean monks. They sent a request to the Congregation of the Eastern Churches in this regard.
8.    The Synod Fathers studied the future of Chaldeans in Iraq, Syria, Iran and the new countries that they have migrated to. The Fathers stressed the Chaldean identity and language and rejected other labels and titles. They also renewed their support for the Chaldean League and identified a need for a lobby that would identify and seek help for the Chaldean needs in the world.
9 – The fathers studied the situation of the displaced Persons in Iraq and refugees in Lebanon, Turkey and Jordan and expressed their solidarity with them, and His Beatitude asked the diocese to help them.
10- The father studied the Canon 1036 art. 1, concerning the minimum and maximum amount of money that the bishop and the patriarch can use. The amount was set to the maximum limit of $250,000 and with the approval of the Finance office. The law also forbids the sale of houses and properties within the patriarchal geographical area except with the approval of the Patriarch and the Holy See.
11. The laws of sui juris of the Chaldean Church have not yet been translated into English to be decided by the Holy See.
12 The Father discussed the upcoming meeting with His Holiness Pope Francis The visit ad liminal on the 5th of February 2018. His Beatitude asked every Bishop of to prepare a report on his diocese and to send a copy of it to the Patriarchate and a to the congregation of the Oriental Churches Eastern Synod.
13. The final act of the synod was a Mass of thanksgiving followed by the writing of a pastoral letter for all the Chaldean faithful as well as a political statement.