Ieri, 13 marzo, era l'ottavo anniversario del ritrovamento del cadavere del vescovo caldeo di Mosul, Iraq, mons. Faraj Rahho, che era stato rapito giorni prima. "Monsignor Rahho è morto. Lo abbiamo ritrovato privo di vita nei dintorni di Mosul. I rapitori lo avevano sepolto": così, allora, il vescovo ausiliario di Bagdad, monsignor Shlemon Warduni, annunciò la triste e terribile notizia. Monsignor Rahho era stato sequestrato il 29 febbraio 2008.
Le cronache dell'epoca ricordarono che due guardie di sicurezza e l'autista del vescovo erano stati uccisi a colpi di arma da fuoco dai sequestratori e aggiungevano che la richiesta di un riscatto aveva fatto sperare che il rapimento potesse concludersi con il rilascio del presule. Mons. Warduni, otto anni fa diceva al SIR: "I rapitori già da ieri ci avevano detto che monsignor Rahho stava molto male, ieri nel pomeriggio ci hanno comunicato che era morto. Stamattina ci hanno telefonato per dirci che lo avevano sepolto. Alcuni nostri giovani hanno seguito le indicazioni fornite dai rapitori per raggiungere il luogo. Qui hanno scavato e hanno visto il vescovo privo di vita. Non sappiamo ancora se sia morto per cause legate alla sua precaria salute o se sia stato ucciso".
L'autopsia eseguita lo stesso 13 marzo 2008 determinò invece che mons. Rahho era stato ucciso cinque giorni prima che i sequestratori facessero sapere dove era il suo cadavere.
La morte di mons. Faraj Rahho "colpisce e addolora profondamente" il Papa, "che è stato subito informato", disse allora il direttore della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi. Benedetto XVI, subito dopo il rapimento, si era detto "amareggiato" per quello che aveva definito un "esecrabile atto, che colpisce profondamente l'intera Chiesa nel paese e in particolare la Chiesa caldea".