By Famiglia Cristiana
Fulvio Scaglione
Forse un poco incanutito, ma nulla più. Monsignor Shlemon Warduni è cambiato poco rispetto a quando si batteva dalla sua Baghdad per sventare l’idea della guerra anglo-americana contro l’Iraq di Saddam Hussein. Era l’inverno del 2002, rullavano i tamburi interventisti. E io ricordo benissimo l’intervista angosciata che mi diede, seduti tra i banchi accanto a una grande statua della Madonna, nella chiesa della sua parrocchia, intitolata appunto a Maria Addolorata. Questa guerra sarà un disastro per tutti gli iracheni, diceva, e in particolare per i cristiani. Oggi dovremmo riconoscergli il titolo del profeta, allora c’era chi lo sbeffeggiava, anche sui grandi giornali italiani. Monsignor Warduni, iracheno di Batnaya, oggi è vescovo e ausiliario del Patriarca della Chiesa cattolica caldea Louis Raphael I Sako, oltre che presidente di Caritas Iraq.
Pochi conoscono quanto lui i drammi del suo Paese.
«Le cose da noi», dice, «vanno sempre peggio. Lo Stato è sull’orlo della bancarotta ed è stato costretto a tagliare i salari dei dipendenti pubblici e le pensioni. Tutto è fermo, progetti già approvati sono stati rinviati a chissà quando. Come il nuovo edificio del Patriarcato caldeo, cominciato sei anni fa e ora bloccato per mancanza di fondi. E poi c’è la questione dell’occupazione dell’Isis e della pace: nessuno sa quando la popolazione della piana di Ninive, tra cui tanti cristiani, potrà tornare ai propri villaggi, alle proprie case».
E i cristiani?
“L’emigrazione purtroppo continua. Quando cerchiamo di convincerli a restare, loro ci dicono: potete garantire per la nostra sicurezza? Potete dare lavoro ai nostri figli? Proviamo a tenere in vita la speranza ma sembra che ci sia un complotto per svuotare dei cristiani non solo l’Iraq ma tutto il Medio Oriente”.
Un complotto di chi?
«Quando non c’è uno sforzo vero, reale di costruire la pace, tutti sono coinvolti. L’Onu dovrebbe difendere i diritti dell’uomo e dei popoli, ma che fa? A noi cristiani iracheni quali diritti sono rimasti? E l’Europa, che parla tanto di diritti? L’America, poi, fa solo i suoi interessi. Il diritto internazionale dice che chi occupa un Paese ha il dovere di gestirlo e conservarlo. Gli Usa, invece, hanno occupato l’Iraq e l’hanno lasciato in condizioni peggiori di prima. D’altra parte, quando il Presidente di una grande nazione come la Francia concede la massima onorificenza a un personaggio come il ministro degli Interni dell’Arabia Saudita, vogliamo raccontarci che stiamo lavorando per la pace? E quando partono le bombe dagli aeroporti italiani, sempre alla volta dell’Arabia Saudita?».
Che cosa bisogna fare per liberarsi dell’Isis?
«Tutto ciò che favorisce la guerra va contro la pace, mi pare ovvio. Quindi, per andare alle radici del problema, bisogna che gli Usa, la Russia e gli altri grandi produttori smettano di vendere armi a chi vuole usarle in Medio Oriente. Da noi, in Iraq, una moltitudine di bambini, vecchi, malati, vedove grida ogni giorno “basta dare soldi a chi vuol fare la guerra”. E poi, ai Paesi che non sono di questa nostra regione diciamo: basta fare i vostri interessi, cominciate a pensare ai nostri. Basta con il principio che dove c’è petrolio si bombarda e dove non c’è non si bombarda».
Se n’era parlato già dopo l’invasione anglo-americana del 2003, e oggi il discorso è ripreso da molti: dividere l’Iraq in tre entità, federate o addirittura autonome. Una sciita, una sunnita e una curda. Che cosa ne pensa?
«Sarebbe una disgrazia. L’Iraq deve restare unito, anzi: l’idea dell’unità dell’Iraq dovrebbe essere promossa nelle scuole fin dalle prime classi. Anche perché in un Iraq diviso quale sarebbe il posto per le minoranze? Noi cristiani, che siamo iracheni da millenni, da molto prima degli altri, dove andremmo a finire? Dietro certe idee ci sono interessi precisi, che non hanno certo a cuore il bene dell’Iraq».
Fulvio Scaglione
Forse un poco incanutito, ma nulla più. Monsignor Shlemon Warduni è cambiato poco rispetto a quando si batteva dalla sua Baghdad per sventare l’idea della guerra anglo-americana contro l’Iraq di Saddam Hussein. Era l’inverno del 2002, rullavano i tamburi interventisti. E io ricordo benissimo l’intervista angosciata che mi diede, seduti tra i banchi accanto a una grande statua della Madonna, nella chiesa della sua parrocchia, intitolata appunto a Maria Addolorata. Questa guerra sarà un disastro per tutti gli iracheni, diceva, e in particolare per i cristiani. Oggi dovremmo riconoscergli il titolo del profeta, allora c’era chi lo sbeffeggiava, anche sui grandi giornali italiani. Monsignor Warduni, iracheno di Batnaya, oggi è vescovo e ausiliario del Patriarca della Chiesa cattolica caldea Louis Raphael I Sako, oltre che presidente di Caritas Iraq.
Pochi conoscono quanto lui i drammi del suo Paese.
«Le cose da noi», dice, «vanno sempre peggio. Lo Stato è sull’orlo della bancarotta ed è stato costretto a tagliare i salari dei dipendenti pubblici e le pensioni. Tutto è fermo, progetti già approvati sono stati rinviati a chissà quando. Come il nuovo edificio del Patriarcato caldeo, cominciato sei anni fa e ora bloccato per mancanza di fondi. E poi c’è la questione dell’occupazione dell’Isis e della pace: nessuno sa quando la popolazione della piana di Ninive, tra cui tanti cristiani, potrà tornare ai propri villaggi, alle proprie case».
E i cristiani?
“L’emigrazione purtroppo continua. Quando cerchiamo di convincerli a restare, loro ci dicono: potete garantire per la nostra sicurezza? Potete dare lavoro ai nostri figli? Proviamo a tenere in vita la speranza ma sembra che ci sia un complotto per svuotare dei cristiani non solo l’Iraq ma tutto il Medio Oriente”.
Un complotto di chi?
«Quando non c’è uno sforzo vero, reale di costruire la pace, tutti sono coinvolti. L’Onu dovrebbe difendere i diritti dell’uomo e dei popoli, ma che fa? A noi cristiani iracheni quali diritti sono rimasti? E l’Europa, che parla tanto di diritti? L’America, poi, fa solo i suoi interessi. Il diritto internazionale dice che chi occupa un Paese ha il dovere di gestirlo e conservarlo. Gli Usa, invece, hanno occupato l’Iraq e l’hanno lasciato in condizioni peggiori di prima. D’altra parte, quando il Presidente di una grande nazione come la Francia concede la massima onorificenza a un personaggio come il ministro degli Interni dell’Arabia Saudita, vogliamo raccontarci che stiamo lavorando per la pace? E quando partono le bombe dagli aeroporti italiani, sempre alla volta dell’Arabia Saudita?».
Che cosa bisogna fare per liberarsi dell’Isis?
«Tutto ciò che favorisce la guerra va contro la pace, mi pare ovvio. Quindi, per andare alle radici del problema, bisogna che gli Usa, la Russia e gli altri grandi produttori smettano di vendere armi a chi vuole usarle in Medio Oriente. Da noi, in Iraq, una moltitudine di bambini, vecchi, malati, vedove grida ogni giorno “basta dare soldi a chi vuol fare la guerra”. E poi, ai Paesi che non sono di questa nostra regione diciamo: basta fare i vostri interessi, cominciate a pensare ai nostri. Basta con il principio che dove c’è petrolio si bombarda e dove non c’è non si bombarda».
Se n’era parlato già dopo l’invasione anglo-americana del 2003, e oggi il discorso è ripreso da molti: dividere l’Iraq in tre entità, federate o addirittura autonome. Una sciita, una sunnita e una curda. Che cosa ne pensa?
«Sarebbe una disgrazia. L’Iraq deve restare unito, anzi: l’idea dell’unità dell’Iraq dovrebbe essere promossa nelle scuole fin dalle prime classi. Anche perché in un Iraq diviso quale sarebbe il posto per le minoranze? Noi cristiani, che siamo iracheni da millenni, da molto prima degli altri, dove andremmo a finire? Dietro certe idee ci sono interessi precisi, che non hanno certo a cuore il bene dell’Iraq».