By Fides
Padre Paolo Dall'Oglio SJ, iniziatore della comunità monastica di Deir
Mar Musa, dopo la sua espulsione dalla Siria è stato accolto nella nuova
fondazione monastica di Deir Maryam el Adhra, iniziata da pochi mesi a
Sulaymanya, nel Kurdistan iracheno. L'Arcivescovo caldeo di Kirkuk, Sua
Ecc. Mons. Louis Sako, ha dato il suo consenso all'ingresso del gesuita
islamologo nella comunità monastica che ha trovato ospitalità in una
chiesa della seconda metà dell'Ottocento, dedicata alla Vergine Maria e
situata nel quartiere storico di Sabunkaran, il quartiere dei
«fabbricanti di sapone».
Padre Dall'Oglio, dopo aver auspicato pubblicamente la fine del regime di Assad, aveva lasciato la Siria – dove risiedeva da oltre trent'anni – lo scorso giugno, in obbedienza alle autorità ecclesiastiche del Paese. Il 20 settembre, il ministero degli esteri del governo di Damasco aveva accusato il gesuita di connivenza con i gruppi terroristici, «al-Queda compresa». «Insieme ai fratelli del monastero di Deir Maryam» confida il gesuita all'Agenzia Fides «pregherò per la pace in Siria, nella speranza e nell'attesa di potervi tornare».
La nuova comunità monastica insediatasi a Sulaymanya costituisce una filiazione del monastero siriano di Deir Mar Musa. In un resoconto inviato all'Agenzia Fides, i monaci confermano che padre Paolo «sarà d'ora in poi membro di questa comunità» e raccontano il contesto e i primi passi della loro nuova esperienza. Esprimono gratitudine per l'invito a fondare una comunità nella eparchia di Kirkuk rivolto loro dall'Arcivescovo Sako, rappresentante di quella Chiesa caldea «la quale, non essendo mai stata una Chiesa di Stato, è erede d'una ricchissima esperienza storica di interazione con l'Islam e di apertura verso l'Est, dall'Iran alla Cina».
Sulaymanya viene descritta come una «città curda musulmana, dove vive una comunità cristiana composta da due elementi: i Cristiani le cui origini risalgono in epoca più o meno lontana alle contrade di montagna del Nord (che parlano il caldeo pur sapendo anche il curdo e un po' d'arabo) e quelli che sono fuggiti negli ultimi anni da Baghdad, da Mosul e da altre città del Sud (e parlano l'arabo come prima lingua)».
I monaci di Sulaymanya danno conto del fatto che i giovani dell'area parleranno sempre più il curdo, «sull'onda dell'integrazione sociale, del sistema scolastico e della dinamica nazionale di questa regione». La lettera dei monaci riconosce che «è troppo presto per definire l'identità di questo monastero... Diventerà ciò che le Spirito ispirerà di farne ai vicini, agli abitanti, ai monaci e alle monache, ai visitatori, ai musulmani che a volte vengono qui per pregare di fronte alla piccola icona di Maria». Lo scorso 23 novembre, l'Arcivescovo Sako ha ordinato sacerdote frate Jens, membro della comunità monastica, divenuto da allora Abuna Yohanna.
Padre Dall'Oglio, dopo aver auspicato pubblicamente la fine del regime di Assad, aveva lasciato la Siria – dove risiedeva da oltre trent'anni – lo scorso giugno, in obbedienza alle autorità ecclesiastiche del Paese. Il 20 settembre, il ministero degli esteri del governo di Damasco aveva accusato il gesuita di connivenza con i gruppi terroristici, «al-Queda compresa». «Insieme ai fratelli del monastero di Deir Maryam» confida il gesuita all'Agenzia Fides «pregherò per la pace in Siria, nella speranza e nell'attesa di potervi tornare».
La nuova comunità monastica insediatasi a Sulaymanya costituisce una filiazione del monastero siriano di Deir Mar Musa. In un resoconto inviato all'Agenzia Fides, i monaci confermano che padre Paolo «sarà d'ora in poi membro di questa comunità» e raccontano il contesto e i primi passi della loro nuova esperienza. Esprimono gratitudine per l'invito a fondare una comunità nella eparchia di Kirkuk rivolto loro dall'Arcivescovo Sako, rappresentante di quella Chiesa caldea «la quale, non essendo mai stata una Chiesa di Stato, è erede d'una ricchissima esperienza storica di interazione con l'Islam e di apertura verso l'Est, dall'Iran alla Cina».
Sulaymanya viene descritta come una «città curda musulmana, dove vive una comunità cristiana composta da due elementi: i Cristiani le cui origini risalgono in epoca più o meno lontana alle contrade di montagna del Nord (che parlano il caldeo pur sapendo anche il curdo e un po' d'arabo) e quelli che sono fuggiti negli ultimi anni da Baghdad, da Mosul e da altre città del Sud (e parlano l'arabo come prima lingua)».
I monaci di Sulaymanya danno conto del fatto che i giovani dell'area parleranno sempre più il curdo, «sull'onda dell'integrazione sociale, del sistema scolastico e della dinamica nazionale di questa regione». La lettera dei monaci riconosce che «è troppo presto per definire l'identità di questo monastero... Diventerà ciò che le Spirito ispirerà di farne ai vicini, agli abitanti, ai monaci e alle monache, ai visitatori, ai musulmani che a volte vengono qui per pregare di fronte alla piccola icona di Maria». Lo scorso 23 novembre, l'Arcivescovo Sako ha ordinato sacerdote frate Jens, membro della comunità monastica, divenuto da allora Abuna Yohanna.