By SIR
“Un lavoro ben preparato in quanto si è tenuto conto di tutte le risposte giunte dal clero, dai religiosi e dai vescovi della regione. Tuttavia, il testo da solo non basta per garantire l’efficacia e la concretezza del lavoro sinodale”. Mostra ottimismo condito da una buona dose di realismo, mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, che in un’intervista al SIR (leggi), commenta l’“Instrumentum laboris” del Sinodo dei vescovi per le Chiese in Medio Oriente pubblicato lo scorso 6 giugno a Cipro da Benedetto XVI. Una convocazione, quella del Sinodo di ottobre 2010, che lo stesso mons. Sako chiese di persona al Papa nel corso della visita ad limina dei vescovi caldei del gennaio 2009. Il rischio paventato dall’arcivescovo di Kirkuk è che “alle parole dell’‘Instrumentum’ potrebbero aggiungersene altre ancora da parte dei vescovi” se questi, nel corso dei lavori non avranno “il coraggio di parlare chiaro. I problemi descritti nel documento, come per esempio l’emigrazione, la libertà religiosa, la pace, il dialogo e l’ecumenismo, devono essere affrontati con coraggio, ricercando iniziative concrete per promuovere, in primis, la nostra comunione che è debole. Ogni chiesa – afferma il vescovo caldeo – lavora per se stessa”.
Per muovere passi in avanti e garantirsi il futuro, le Chiese del Medio Oriente devono trovare “modalità nuove di testimonianza dei valori cristiani. Il mondo islamico, almeno quello moderato, si attende qualcosa da noi in termini di una presenza responsabile. Nelle nostre Chiese, e l’‘Istrumentum laboris’ lo riconosce, la tensione missionaria si è affievolita. Dobbiamo riaccenderla ma per arrivare a questo risultato occorre ricercare la comunione e l’unità. Senza di queste – spiega mons. Sako – non c’è futuro per i cristiani in Medio Oriente. La Chiesa mediorientale deve rinnovarsi per testimoniare ai fedeli delle altre religioni i valori evangelici”. Per questo motivo “serve una pastorale comune, in lingua araba”. Nell’intervista (leggi) mons. Sako tocca anche altri temi, la liturgia, l’emigrazione dei cristiani che si può frenare “aiutandoli a riscoprire la loro vocazione e identità” promuovendo anche un “un maggiore impegno sociale”. Circa il futuro per le Chiese del Medio Oriente l’arcivescovo nutre speranza anche se “con realismo devo dire che se anche dopo questo Sinodo non riprenderemo il cammino missionario, allora la presenza cristiana è a rischio”.