By Asia News
di P. Samir Khalil Samir
L’Instrumentum laboris (IL) reso pubblico dal papa a Cipro, dal punto di vista della struttura globale non è cambiato rispetto ai Lineamenta . Lo sviluppo interno di ogni punto è però diverso perché sono state integrate almeno 100 risposte giunte da tutte le parti: Egitto, Iraq, Palestina, Israele, Siria, Giordania, Libano e dall’emigrazione: da Parigi, America,…
Alcuni paragrafi sono quasi identici ma nel complesso almeno 2/3 dell’IL è nuovo, dovendo rispondere a diverse sollecitazioni e critiche.
La situazione dei Cristiani è profondamente cambiata negli ultimi decenni
La struttura rimane quella prevista in partenza: la prima parte, abbastanza sviluppata, è sullo status questionis, dove si cerca di dire qual è la situazione dei cristiani oggi e perché emigrano. Si spiega che i motivi sono spesso il cambiamento subito dalla società mediorientale negli ultimi decenni:
- in primo luogo l’islamizzazione generalizzata (in particolare in Egitto);
il peggioramento della situazione politica di tutti i Paesi, sottomessi ad autoritarismi e dittature, oppure alla guerra civile in Libano e la conseguente perdita d’influsso dei cristiani;
- il prolungamento del conflitto israelo-palestinese che influenza l’instabilità di tutta la regione;
- la guerra in Iraq, che si è aggiunta negli ultimi tempi e che accresce le ansie dei cristiani.
In Medio oriente, ciò che succede in un Paese, si ripercuote negli altri. Del resto, molti immigrati irakeni, ad esempio, si trovano ormai in altri paesi arabi: Giordania soprattutto, Siria (molti), Libano, Egitto…
L’emigrazione dei Cristiani
Lo sviluppo interno del cristianesimo è segnato da un’emigrazione lenta, ma continua, i cui risultati, dopo quasi 30-40 anni, sono sotto gli occhi di tutti.
In Libano ad esempio, al tempo della Costituzione nel ’46, circa 60 anni fa, vi era una piccola maggioranza cristiana, rispetto a musulmani e drusi. Ora nessuno vuole fare un censimento, ma i cristiani sono scesi al di sotto del 40% (forse anche 35%). E questo fa una grande differenza, anche politica.
In Libano si dice: “Se questo fenomeno continua, fra qualche decennio saremo meno del 30%. Avremo ancora la libertà di decidere sul futuro del paese? Saremo ancora uno Stato islamo-cristiano?”. Molti cristiani dicono: “Io rimarrei nel mio Paese, ma i miei figli potranno ancora vivere la loro fede?”.
Questo vale ancora di più per gli altri Paesi, dove la percentuale dei cristiani non supera il 10%, come in Egitto. Altrove essa è del 6, del 5, del 3%. In altri Paesi della regione, come in Turchia, si vede la caduta in picchiata della presenza cristiana: in un secolo da circa il 20% si è giunti al 1%.
L’ecumenismo
Questa situazione spinge ormai a pensare questi problemi non più solo come “cattolici”, ma come “cristiani”. E questa è una caratteristica del Sinodo attuale.
Nel mese di maggio sono stato invitato a Monaco al “2. Ökumenischer Kirchentag”, il più grande incontro ecumenico con circa 100.000 persone, per parlare del Sinodo per le Chiese del Medio oriente. Con me c’era un professore greco ortodosso libanese, che insegna a Münster. Esso ha detto “Questo Sinodo è importante per noi ortodossi come nient’altro al mondo”.
È necessario pensare alla presenza degli ortodossi al Sinodo, facendo sì che essi siano presenti non solo con qualche rappresentante, ma lavorando insieme a una rappresentanza folta, proprio insieme.
La questione dell’unità fra i cristiani che scompaiono; le sfide sociali e politiche; la libertà religiosa, che in Medio oriente non esiste (esiste libertà di culto – e non sempre – ma quella di esprimere la propria religione è negata anche in Algeria, Tunisia, ecc.); sono tutte tematiche che vanno affrontare insieme.
Ma anche i musulmani devono poter essere presenti, per comprendere che è tempo per loro di evolvere, senza perdere la loro personalità, ma affrontando la questione dei diritti umani, più importanti e primari di quelli della religione.
L’immigrazione cristiana internazionale
Un altro problema comune, che le Chiese non hanno ancora affrontato in pieno è l’immigrazione cristiana internazionale da Filippine, Sri Lanka, India, Etiopia, Sudan ... verso i Paesi del Medio oriente.
Giorni fa a Beirut, ascoltavo alla radio il ministro libanese della giustizia che sottolineava l’urgenza di affrontare il problema delle domestiche straniere in Libano, per trattarle con giustizia in conformità con i diritti umani. Questa presa di coscienza è dovuto senz’altro ai numerosi attivisti cristiani in difesa di queste persone.
In tutto il Medio oriente le colf giungono oltre ad 1 milione. Molte di loro sono cattoliche e sono trattate come schiave. C’è una presa di coscienza e questo è dovuto proprio all’impegno dei cattolici. Pur essendo una minoranza, siamo fra i più attenti ai problemi dei diritti umani, della persona, della società.
La sottolineatura sugli immigrati cristiani dall’Oriente è importante anche in un altro senso. Essi sono una testimonianza e un sostegno ai cristiani locali. Sono comunità vive, piene di canto e gioia. Sottolineare la loro presenza è importante anche per l’Arabia saudita, dove non è permesso alcun culto, ma vi sono più di un milione di cristiani che vi lavorano e lo Stato non può rifiutarsi all’infinito di trovare una soluzione.
Il rapporto con i cristiani d’Occidente
Sulla comunione con le Chiese dell’occidente, nell’IL si dice poco, e si domanda loro di aiutare la situazione politico-sociale del Medio oriente influenzando i rispettivi governi occidentali (dove è possibile).
Va detto che il rapporto fra Chiese d’Oriente e d’Occidente è cambiato dal tempo delle Crociate o dei protettorati libanesi. Noi ci rendiamo conto che l’occidente ormai non è più cristiano. Una volta la Francia era definita “la figlia primogenita della Chiesa”; oggi sarebbe piuttosto definita “la figlia che ha rinnegato la madre”!.
D’altra parte vi è la presa di coscienza che, noi cristiani d’Oriente, abbiamo un’identità propria. E devo dire che nel documento non si trova nemmeno una riga sul colonialismo, sulle piaghe prodotte dall’occidente, ecc… Noi non abbiamo questo complesso, neppure il rigetto dell’occidente. Abbiamo un’identità chiara in dialogo con esso.
Per un verso pensiamo che l’Occidente ha da dare ancora molto all’Oriente, anche dal punto di vista spirituale. I discorsi del papa (dei vari papi) sono ascoltati con rispetto e stima da molti, cristiani e non, per la loro spiritualità e la loro attenzione a una giusta evoluzione della società. Durante un corso a Beirut, una professoressa ortodossa d’oriente mi ha spiegato che lei reputa importante questo Sinodo e lei e la sua Chiesa lo vivono come una cosa “loro”.
Tutte le infrastrutture della Chiesa cattolica in Libano, in Egitto e altrove in Oriente, sono possibili grazie all’aiuto finanziario e di personale dei missionari cattolici, orientali e occidentali. E questo rinnova lo stile negli ospedali e nelle scuole.
Il lavoro sociale a favore dei sindacati, dei diritti dei lavoratori, e in genere della giustizia, sono avvenuti grazie all’influenza di religiosi occidentali. In Egitto il lavoro sociale viene svolto anche dai musulmani, e loro stessi riconoscono di aver imparato questo dagli occidentali cristiani.
Il ruolo dei cristiani nella società mediorientale
Nel documento si sottolinea che noi cristiani d’Oriente abbiamo un ruolo unico: anzitutto verso i governi, per dire loro che il motivo per cui rimaniamo – e non emigriamo tutti – è la nostra missione in questa terra e il lavorare per il suo benessere. I cristiani hanno un ruolo che è insostituibile e specifico. Siamo uno dei punti più acuti della coscienza civile.
In secondo luogo va detto questo ai cristiani: anche se siamo una piccola minoranza, che potrebbe anche ridursi in futuro, abbiamo un ruolo anche se siamo un piccolo numero. Del resto il documento ricorda che anche gli apostoli erano un gruppetto piccolissimo eppure in tre secoli hanno cambiato il mondo di allora.
La Comunione
Partendo poi dal sottotitolo dato dal papa al Sinodo, “Comunione e testimonianza”, abbiamo due altre parti.
Nella seconda parte si parla della comunione nella Chiesa cattolica tra i fedeli, e tra fedeli e clero; mentre nella terza parte si parla della testimonianza verso le altre Chiese e i non cristiani (Ebrei e Musulmani).
Personalmente, io avrei inserito, in questa seconda parte sulla comunione, anche le sezioni sulla catechesi, sul rinnovamento della liturgia nella fedeltà alla Tradizione propria (che deve esser fatto possibilmente insieme agli ortodossi) e sull’ecumenismo (che sono ora nella terza parte), perché questi ambiti sono strumenti di vera comunione fra i cattolici e con gli altri cristiani. Gesù Cristo nell’Ultima cena ha pregato per l’unità dei cristiani. E se i cristiani sono disuniti, la testimonianza perde senso.
La testimonianza verso ebrei e musulmani
La terza parte, la testimonianza è focalizzata soprattutto verso i non cristiani (ebrei e musulmani) e verso l’impegno nella città, per costruire una società più umana, più degna dell’Uomo.
In questa parte, vi sono sezioni riguardanti il dialogo religioso e teologico con l’ebraismo e con l’islam.
Questa parte è stata tutta riveduta, soprattutto per ciò che riguarda l’ebraismo. In altre parti si affronta la questione politica, in vista di una pace nella giustizia. Ma in queste sezioni abbiamo voluto affrontare la questione teologica.
In Medio oriente, né musulmani, né ebrei distinguono fra politico e religioso, e in generale, l’odio è il denominatore comune. Fra i cristiani, una parte fa la distinzione; un’altra parte proietta sulla teologia ciò che si vive nella politica. Vi sono cristiani – pure cattolici – che affermano che l’Antico Testamento è un testo “brutto, che non viene da Dio”, proprio come i musulmani, che ne riconoscono in teoria l’ispirazione divina, ma poi dicono che questi testi sono stati manipolati (il tahrîf).
Nel documento si insiste sul fondamento teologico nel legame con l’ebraismo, sul rapporto fra il Nuovo Israele e l’Antico: per la teologia orientale questa è una sfida. Molte Chiese vivono chiuse nell’orizzonte del mondo arabo. Eppure, soprattutto quelle di Terra Santa, si devono confrontare nella vita quotidiana anche con il mondo ebraico.
Un contributo importante a questa apertura l’ha data il Patriarcato di Gerusalemme. I contributi giunti da Gerusalemme dicono: per noi il problema non è l’islam, ma l’Israele religioso, che nella vita concreta ha molti aspetti simili all’islam.
L’attenzione al mondo ebraico e alle radici ebraiche della fede cristiana è fondamentale: vi sono cristiani che si rifiutano di leggere l’Antico testamento perché si parla di Israele. In Palestina tempo fa si pensava di “purgare” tutti i salmi delle parti i cui si parlava di “Israele”, recitando una preghiera monca, a causa dell’ambiguità che gli Ebrei stessi facevano usando questa parola.
Alcuni collaboratori musulmani hanno lamentato che la parte dedicata all’islam è breve. Da un certo punto di vista è vero, ma vi è l’essenziale. Per il resto, quando si parla della testimonianza nella città (l’ultima parte dell’IL), dell’ambiguità della modernità e della collaborazione per affrontarla religiosamente e spiritualmente, di fatto si parla non solo dei cristiani, ma anche dei musulmani.
Sul tema della testimonianza nella città non si può separare fra noi e loro. Del resto, una fonte di ispirazione per l’IL sono stati i 10 documenti dei Patriarchi d’Oriente, ricchissimi di spunti; due di questi sono esclusivamente dedicati all’islam.
La conclusione: abbiamo una missione in questa regione, che ci da speranza
Infine vi è la conclusione, in cui si sottolinea la speranza: abbiamo una missione e anche se siamo una minoranza, questo non deve scoraggiarci.
Questa speranza cristiana riesce ad infiammare anche la situazione politico-sociale, che invece è spesso “statica” e “stantia”? Non molto.
Il documento sottolinea una speranza contro ogni speranza, una speranza fondata su Cristo, più che sulla positività dei fatti di cronaca. In Medio oriente abbiamo l’impressione che la situazione è bloccata e sfugge dalle mani. Una parte dei palestinesi e una parte degli israeliani non vogliono la pace. Entrambi questi due gruppi hanno interesse a mantenere uno stato di tensione.
D’altronde le grandi potenze sono deboli: la Russia è fuori da tempo dall’area medio-orientale; gli Stati Uniti sono uniti mani e piedi ad Israele, per motivi loro. C’era qualche speranza con Obama, ma nella pratica non si vede nulla. Abbiamo il sentimento che la situazione ci sfugge.
Ma restiamo ad affermare che solo nella legalità e nel rispetto di tutte le decisioni della comunità internazionale rappresentata dall’ONU, e nella garanzia dei “due Stati” (israeliano e palestinese), come nel rispetto della giustizia, vi è la pace della regione. Nessuna soluzione può provenire dalla forza e dalla violenza; solo il dialogo fondato sulla giustizia e il rispetto delle decisioni internazionali potranno condurre alla pace.
Comunque, qualcosa giustifica la nostra speranza. Fino a 10 anni fa, in Libano, il progetto degli sciiti era costruire uno Stato islamico sul modello iraniano. Ora anche gli sciiti dicono che non vogliono uno Stato islamico, perché hanno avuto la prova in Iran che questo sarebbe un regresso. Dunque, qualcosa va avanti, a piccoli passi.
Anche i tentativi in Egitto di restringere il più possibile la sharia, lasciando qualche spazio in più ai cristiani è un fatto notevole. Da alcuni anni questo è divenuto un tema in forte discussione. Ogni anno in Egitto, di fronte a migliaia di cristiani che si convertono all’islam (spesso per motivi di famiglia), vi sono forse 1000 musulmani che si convertono al cristianesimo e questi non sono più uccisi (magari sono emarginati, o praticano in modo sotterraneo): questo mostra che si va verso un’evoluzione in positivo. La nostra presenza di cristiani, dunque, non è inutile.
L’ultima parola è che, noi cristiani siamo coscienti di avere una missione in questo Medio Oriente. Lì è nato il cristianesimo che ha fecondato il mondo, lì continuare a fecondare questa terra benedetta da Dio. Diventerà davvero “Terra Santa” se noi cristiani sapremo vivere il Vangelo ed esserne i Testimoni, fino alla Testimonianza ultima se necessario!
Per il testo completo dell’Instrumentum Laboris, vedi qui: