"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

25 giugno 2010

Iraq: Il nemico invisibile.I cristiani a Mosul: parla il loro arcivescovo

By SIR

Venerdi 25 Giugno 2010
Risale al 2 maggio l’ultimo grave attacco contro la comunità cristiana di Mosul. Quel giorno un convoglio di bus che trasportava studenti cristiani dal villaggio di Qaraqosh all’università di Mosul fu oggetto di un attentato terroristico che provocò diversi morti e oltre 150 feriti. Nonostante siano passati circa due mesi senza particolari violenze non si può certo dire che la comunità cristiana di Mosul viva giorni tranquilli almeno a sentire le parole dell’arcivescovo caldeo della città, mons. Emil Shimoun Nona, che il SIR ha intervistato.
“Ogni giorno – dice – dobbiamo fronteggiare quel nemico invisibile che è la paura”.
Mons. Nona, si può parlare di situazione migliorata per i cristiani di Mosul?
“La situazione negli ultimi due mesi si è un po’ calmata, non registriamo particolari episodi di violenza contro i cristiani. Tuttavia la sensazione è sempre quella di essere nel mirino di qualcuno, non sappiamo di chi e perché, che vuole farci del male. La paura di essere colpiti in ogni momento resta elevata”.
Come reagisce la comunità cristiana locale a questa pressione che di fatto la blocca in ogni iniziativa e attività anche quotidiana?
“La paura continua è un nemico invisibile con cui siamo costretti a convivere. Essa instilla il dubbio verso tutti e tutto, verso ogni persona che incontriamo al punto da temere che ci possa far male da un momento all’altro. Passerà molto tempo prima che questa paura cessi del tutto”.
Avete supporto e protezione dalla Polizia e dall’Esercito?
“I luoghi frequentati dai cristiani, come le chiese, sono controllate e protette. Ora più che in passato proprio per il fatto che la situazione è un po’ più calma e per non rischiare di ripiombare nella violenza. Rischio che non è mai cessato del tutto”.
Questa calma relativa sta spingendo le famiglie cristiane fuggite per la violenza da Mosul a fare rientro in città?
“Difficile fare stime, certamente molte famiglie sono tornate. Tuttavia c’è anche chi non fa più rientro preferendo emigrare direttamente all’estero e sono quelli che hanno maggiori possibilità economiche o maggiore istruzione come medici, professionisti e professori. A restare sono le famiglie più povere quelle che hanno maggiormente bisogno di aiuto e sostegno. Questo pone delle difficoltà anche sul piano pastorale avendo una comunità sempre più piccola e a tratti scoraggiata. Oggi a Mosul città ci sono circa 1.000 famiglie cristiane per un totale di poco meno di 5.000 fedeli. Nella diocesi intera le famiglie salgono a circa 3.500 per arrivare a circa 10 mila cristiani. Prima eravamo più del doppio”.
Ad alimentare questa situazione è anche l’assenza di un nuovo governo a circa 4 mesi dal voto del 7 marzo?
“Il vuoto di potere certamente non aiuta la popolazione e non solo quella cristiana. L’Iraq ha estremo bisogno di stabilità. Il vuoto si riflette anche nelle varie province che non hanno la forza di governare, di garantire la sicurezza e i servizi di base necessari alla vita di tutti i giorni, come l’erogazione dell’elettricità, per esempio”.
È di questi giorni la notizia che il premier al-Maliki ha accettato le dimissioni del ministro dell’Elettricità, nell’occhio del ciclone per le interruzioni di corrente che privano gli iracheni dell’aria condizionata e dell’acqua durante l’afa estiva…
“Quello dell’elettricità è un problema grave per gli iracheni. In questa stagione c’è un caldo opprimente che tocca anche i 45°. L’elettricità viene erogata solo per 6-8 ore nell’arco della giornata quindi le famiglie sono costrette a ricorrere a dei generatori o ad acquistare energia elettrica da chi ne possiede con molte speculazioni sul costo della corrente. Il che è incredibile se pensiamo che l’Iraq è un Paese ricco di risorse e di petrolio i cui proventi potrebbero garantire benessere a tutti”.
Da pastore come vive e affronta questa realtà così difficile?
“Incoraggiando i miei fedeli a mantenere la fede e la speranza. Per due anni sono stati senza vescovo, a causa della morte avvenuta durante il suo rapimento di mons. Paulos Farahj Raho, ed hanno vissuto un periodo molto duro. Ho scelto di vivere in città con loro e questa presenza è motivo di coraggio e di speranza”.
Eccellenza, ha paura per se stesso, usufruisce di una scorta?
“No, non ho paura. Vivo nella curia e mi muovo quando c’è da andare per qualche evento o incontro. Non ho una scorta ma adotto delle precauzioni, quando esco cerco di dare il meno possibile nell’occhio affidandomi a Dio”.