By Baghdadhope*
Intervista a Mons. Shleimun Warduni, Patriarca Vicario caldeo
Altre fonti: Ankawa.com, Asianews, Adnkronos
Dopo gli attentati che ieri hanno colpito due chiese a Mosul causando morti e feriti le misure di sicurezza attorno ai luoghi di culto cristiani sono state rafforzate. Il governatore di Ninive, Athiel Abudul Aziz An-Nujaifi, ha presieduto oggi una riunione con i responsabili della sicurezza dell'area per discutere le modalità degli attacchi di ieri e stabilire nuove e più stringenti misure di sicurezza in occasione delle prossime festività cristiane. Il portavoce del Ministero della Difesa, Mohammed Al-Askari, ha da parte sua rivelato come già da una decina di giorni vi fossero informazioni, anche se non dettagliate, su possibili attacchi alle chiese nel periodo natalizio specialmente nei governatorati di Ninive, Baghdad e Kirkuk aggiungendo l'impegno del governo a difendere i luoghi di culto cristiani principalmente in vista della quasi esatta concomitanza delle festività natalizie con il capodanno islamico che quest'anno cadrà il 18 di dicembre.
Episodi di violenza come quelli di ieri però oltre che a scatenare la fuga dei cristiani di Mosul sempre più consapevoli di essere vittime di ciò che oggi con franchezza Mons. Louis Sako ha definito "pulizia etnica e religiosa" ridanno vita anche al dibattito all'interno della chiesa caldea che pur non essendo stata ieri colpita direttamente * funge, perchè maggioritaria e con maggiori e migliori contatti all'estero e con i media, da "portavoce non ufficiale" della comunità cristiana.
Così alla richiesta di Mons. Sako di maggiore coesione comunitaria in grado di creare un "potere forte" da opporre alle violenze, e di una dichiarazione a nome delle chiese e dei partiti politici cristiani che ribadisca la ricerca della pace e la fedeltà dei cristiani al paese fa eco quella del patriarca caldeo, il Cardinale Mar Emmanuel III Delly, che da una parte insiste nel più volte ripetuto discorso della necessità della completezza del mosaico iracheno composto da diverse tessere etniche e religiose ma dall'altra, seguendo una linea di estrema prudenza, tende ad abbassare i toni ricordando come nonostante gli attacchi non si possa parlare di violenza anticristiana ma di clima violento generalizzato, aggiungendo che il governo iracheno sta già adempiendo ai suoi doveri in tema di sicurezza nei confronti di tutti i suoi cittadini.
Che l'Iraq sia una paese avviato ad aumentare il numero delle nazioni protagoniste delle "guerre dimenticate" è ovvio. Che gli episodi di violenza colpiscano tutta la comunità è altrettanto ovvio.
Ovvio è però anche ciò che il vescovo latino di Baghdad, Mons. Jean Sleiman, ha scritto nel suo libro "Nella trappola irachena" quando proprio ricordando il clima di violenza generalizzato ha sottolineato come esso sia percepito in modo diverso dalle comunità. La piccola, indifesa e pacifica comunità cristiana, infatti, non può non "sentire" ogni attacco come un tentativo di costringerla alla fuga, cancellarla materialmente dal paese. E questo sia che si tratti di una chiesa fatta crollare sia che si tratti di criminalità comune.
Un concetto, questo, ribadito a Baghdadhope da Mons. Shleimun Warduni che ha sottolineato come gli iracheni cristiani siano spinti alla fuga perchè "non ben protetti" dal governo e dagli occupanti, sempre pronti a mostrare solidarietà ed a dispiegare ingenti misure di sicurezza nei momenti immeditamente successivi agli attacchi salvo poi "allentare i controlli" con il tempo malgrado le violenze siano continue e certamente non "frutto del caso" ma di un piano prestabilito di cui però i mandanti sono ancora ufficialmente sconosciuti.
"Di tutti gli attacchi di questi anni" ha spiegato infatti Mons. Warduni "non si conoscono i colpevoli, i mandanti." "Tutti sono sempre pronti a dichiarare solidarietà e vicinanza alla comunità cristiana ma in realtà i cristiani non sono così amati" continua il vescovo, "noi siamo presi di mira anche politicamente perchè ogni parte politica vuole attirarci nella sua orbita per i propri fini. Ci hanno sempre fatto molte promesse ma vogliamo i fatti. Non abbiamo mai fatto del male, mai agito con violenza, abbiamo sempre auspicato la pace per tutto l'Iraq. Perchè ci attaccano?"
"Come facciamo noi, capi delle chiese, a chiedere ai nostri fedeli di non fuggire, di non cancellare la memoria della cristianità in Iraq volgendole le spalle, se quegli stessi fedeli temono per la propria vita? A parole tutti ci ricordano quanto la comunità cristiana sia stata, sia e sarà importante per la rinascita dell'Iraq ma con i fatti nessuno agisce per arginare il fiume della fuga. Troppe promesse non sono state mantenute."
Quelle di Mons. Warduni sono parole amare. Parole che riflettono il senso di impotenza che un'intera comunità che sta disperdendosi nei rivoli della diaspora sta vivendo nel colpevole disinteresse del mondo.