"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

27 ottobre 2008

Monsignor Casmoussa: "Vogliamo la parità di fatto e di diritto per i cristiani"

Radiovaticana:

L’Iraq, un paese in cui è difficile in questo momento vivere per i cristiani. Monsignor Casmoussa, vescovo siro-cattolico di Mosul è stato invitato a discutere di questa situazione a Parigi dalla associazione cattolica Aiuto alla Chiesa che Soffre. Il vescovo chiede al governo iracheno di garantire "parità di fatto e di diritto" per tutte le minoranze, compresi i cristiani.
"Se la situazione non cambia in 10 anni non ci saranno più cristiani. Credo che vi sia un piano per eliminare i cristiani dall'Iraq e da tutto il Medio Oriente. Dobbiamo mantenere la speranza" ha detto Monsignor Casmoussa.

ascolta l'intervista di Monsignor Casmoussa (in francese)

Mgr Casmoussa : "Nous voulons l'égalité de droit et de fait pour les chrétiens"

Radiovaticana

L'Irak, un pays où il est bien difficile en ce moment de vivre pour les chrétiens. Mgr Casmoussa, évêque syro-catholique de Mossoul a été invité à évoquer cette situation à Paris par l'association catholique
Aide à l'Eglise en Détresse. L'évêque demande au gouvernement irakien de garantir "l'égalité de droit et de fait" pour toutes les minorités y compris les chrétiens. "Si la situation ne change pas, dans 10 ans il n'y aura plus de chrétiens. Aujourd'hui je n'ose croire qu'il y a un plan d'élimination des chrétiens de la terre d'Irak et de tout le Moyen - Orient, je n'ose le croire. Nous devons garder l'espérance" interpelle Mgr Casmoussa.

écoutez l'interview de Mgr Casmoussa.

26 ottobre 2008

“La speranza alla prova”. La martyria dei cristiani caldei in Iraq.



La Commissione Diocesana per l’Ecumenismo e il Dialogo, a partire dalle suggestioni contenute nella lettera enciclica Spe salvi e dall’apertura dell’Anno paolino, ha organizzato per

Martedì 28 ottobre p.v. alle ore 16.00 presso la
Pontificia Università del Laterano

un Incontro Ecumenico sul tema
“La speranza alla prova”

Il commento e la presentazione della speranza, nel vissuto e nella teologia dell’Apostolo, costituiranno la via maestra sulla quale incamminarsi per giungere quindi all’ascolto di testimonianze nell’oggi, segnate dalle diverse sensibilità confessionali.
Il prof. Giuseppe Pulcinelli, docente di Sacra Scrittura presso l’Università Lateranense, avrà l’onere di commentare e presentare la lettera ai Romani (5, 1-5) con una relazione dal titolo “La speranza non delude”.
Ad essa seguiranno tre interventi:
- Immigrazione, speranza e radicamento della comunità ortodossa romena in Italia, a cura del Vescovo della Diocesi ortodossa romena d’Italia, S. E. Mons. Siluan
- La martyria dei cristiani caldei in Iraq, a cura del Procuratore del Patriarcato di Babilonia dei Caldei presso la Santa Sede, Mons. Philip Najim
- L’apostolo Paolo, la speranza e i giovani, a cura del prof. Yann Redaliè, docente di Nuovo Testamento presso la Facoltà Teologica Valdese.

Benedetto XVI: IRAQ

All’Angelus, l’appello del Papa per i cristiani in India e in Iraq

Fonte: Radiovaticana

L'appello del Santo Padre stamani all'Angelus perché il mondo non dimentichi le sofferenze patite dai cristiani in alcuni Paesi dell’Oriente:

"Al termine dell’Assemblea sinodale, i Patriarchi delle Chiese Orientali hanno lanciato un appello, che faccio mio, per richiamare l’attenzione della comunità internazionale, dei leaders religiosi e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà sulla tragedia che si sta consumando in alcuni Paesi dell’Oriente, dove i cristiani sono vittime di intolleranze e di crudeli violenze, uccisi, minacciati e costretti ad abbandonare le loro case e a vagare in cerca di rifugio. Penso in questo momento soprattutto all’Iraq e all’India".

Ricordando il contributo che le “piccole, ma operose e qualificate minoranze cristiane danno alla crescita della patria comune”, il Papa ha poi ribadito che “esse non domandano privilegi”, ma solo di “poter continuare a vivere nel loro Paese e insieme ai loro concittadini”

"Alle Autorità civili e religiose interessate chiedo di non risparmiare alcuno sforzo affinché la legalità e la convivenza civile siano presto ripristinate e i cittadini onesti e leali sappiano di poter contare su una adeguata protezione da parte delle istituzioni dello Stato. Auspico poi che i Responsabili civili e religiosi di tutti i Paesi, consapevoli del loro ruolo di guida e di riferimento per le popolazioni, compiano dei gesti significativi ed espliciti di amicizia e di considerazione nei confronti delle minoranze, cristiane o di altre religioni, e si facciano un punto d’onore della difesa dei loro legittimi diritti".

Iraq: Mosul, P. Shamil (Kirkuk). "Il governo prenda misura per far ritornare tutti i cristiani."

Fonte: SIR

“Il governo prenda le necessarie misure di sicurezza affinché tutte le famiglie possano ritornare alle loro case, al loro lavoro e i bambini possano tornare a scuola”. E’ l’appello del sacerdote caldeo di Kirkuk, padre Janan Shamil, in favore dei cristiani di Mosul costretti alla fuga per le violenze di queste settimane che hanno provocato morti e distruzione. “In questi giorni – dichiara al Sir padre Shamil – l’arcivescovo di Kirkuk dei caldei, mons. Louis Sako, sta visitando, insieme ad altri due sacerdoti, le famiglie dei rifugiati di Mosul riparati a Qaraqush, Bartla, Alqosh, Talusqf, Batnaia e Telkef”. “Una visita di solidarietà che ha permesso loro di donare a queste famiglie una somma di 20 milioni di dinari iracheni, equivalenti a circa 16 mila dollari Usa, raccolti nelle messe e negli incontri delle parrocchie”. “Non è molto – precisa il sacerdote – ma rappresenta tuttavia un sollievo alla sofferenza che si legge nei loro volti, specialmente in quello degli anziani e dei bambini. E’ urgente ridare speranza a questa gente ed necessario che il Governo prenda le necessarie misure di sicurezza affinché tutte le famiglie possano ritornare alle loro case, al loro lavoro e i bambini possano tornare a scuola”.

Mosul, Fr. Shamil (Kirkuk). "The government must take the necessary security measures to let Christians go back to their homes"

Source: SIR

Photos: Ankawa.com

"The government must take the necessary security measures to ensure that all families can return to their homes and to their work and that children can return to school."
This is the appeal of a Kirkuk Chaldean priest, Father Janan Shamil, in favor of the Christians in Mosul forced to flee by the violence of recent weeks that caused deaths and destruction. "In these days - said to SIR Father Shamil - the archbishop of Kirkuk of the Chaldeans, Mgr. Louis Sako, is visiting, along with two other priests, the families of refugees repaired from Mosul to Qaraqush, Bartl, Alqosh, Talusqf, Batnaia and Telkef." "A visit of solidarity that enabled them to donate to these families a sum of 20 million Iraqi dinars, equivalent to about 16 thousand U.S. dollars, collected during the masses and the meetings in the parishes." "It is not a big sum - states the priest - but it is nevertheless a relief to the suffering that we can read on their faces, especially those of the elderly and the children. It is urgent to restore hope to these people and the Government must take the necessary security measures to ensure that all families can return to their homes and to their work and that children can return to school."

25 ottobre 2008

Reale libertà religiosa per l’Oriente

Fonte: Avvenire
By Mimmo Muolo

Affidato al Papa un appello sottoscritto fra gli altri da Bertone e dai patriarchi «La Terra Santa, il Libano, l’Iraq e l’India siano garantite da discriminazioni»
Pace nella giustizia. E una reale libertà religiosa per la Terra Santa, il Libano, l’Iraq e l’India. È questo «l’accorato appello» che i patriarchi e gli arcivescovi maggiori cattolici dell’Oriente presenti al Sinodo hanno affidato ieri nelle mani del Papa e rivolto idealmente in più direzioni. Ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà, ai leader religiosi, ma soprattutto «alla comunità internazionale e agli uomini di governo perché garantiscano a livello legislativo la vera libertà religiosa nel superamento di ogni discriminazione e l’aiuto a quanti sono costretti a lasciare la propria terra per motivi religiosi». Il testo – che è firmato anche dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, dal prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, cardinale Leonardo Sandri, dai tre presidenti delegati dell’Assemblea ( William Joseph Levada, George Pell e Odilo Pedro Scherer) oltre che dal segretario generale del Sinodo, l’arcivescovo Nikola Eterovic – è stato diffuso ai giornalisti nella stessa giornata in cui veniva pubblicato il Messaggio del Sinodo e in qualche modo può essere considerato ad esso complementare, anche perché il tema della libertà religiosa è più volte emerso durante le tre settimane dei lavori sinodali. L’appello si apre con la «profonda riconoscenza al Papa per avere sempre prontamente e instancabilmente elevato la supplica a Dio e la voce in favore dei fratelli e delle sorelle dell’Oriente». Per questo, scrivono i firmatari, «sul suo esempio, anche noi, come discepoli di Cristo, padri e capi delle Chiese Orientali Cattoliche, rinnoviamo l’implorazione a Dio e facciamo appello a tutti perché sia confermato ogni intento per favorire ovunque la pace nella libertà, nella verità e nell’amore».
«Avvertiamo nei cuori un fremito – continua il documento – per le sofferenze di tanti nostri figli e figlie dell’Oriente: bambini e giovani; persone in difficoltà estrema per età, salute ed essenziali necessità spirituali e materiali; famiglie sempre più tentate dallo sconforto per il presente e per il futuro. E sentiamo il dovere di farci interpreti delle loro giustificate attese perché una vita dignitosa sia presto garantita a ciascuno in una proficua convivenza sociale». Per giungere a questo traguardo i cardinali, i patriarchi e gli arcivescovi che hanno firmato l’appello indicano una strada precisa. «Opera della giustizia è la pace! – scrivono, infatti – È un imperativo al quale non possiamo e non vogliamo sottrarci. Chiediamo, perciò, in particolare per la Terra Santa, che diede i natali a Cristo Redentore, per il Libano, l’Iraq e l’India la pace nella giustizia, di cui è garanzia una reale libertà religiosa». Non manca poi l’espressione della vicinanza «a quanti soffrono per la fede cristiana e a tutti i credenti impediti nella professione religiosa» e l’«omaggio ai cristiani che recentemente hanno perduto la vita in fedeltà al Signore».
Segue quindi l’appello vero e proprio. «Davanti al Papa e ai padri sinodali, incoraggiati dalla loro fraternità, presentiamo una vibrante richiesta: ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà perché pratichino il rispetto e l’accoglienza dell’altro nella vita quotidiana, facendosi prossimo di quanti sono nel bisogno, vicini e lontani; ai pastori e ai responsabili religiosi di predicare e favorire tale atteggiamento, appoggiando e moltiplicando le iniziative di mutua conoscenza, di dialogo e di soccorso». E naturalmente alle «alla comunità internazionale e agli uomini di governo» come già ricordato. Gli estensori dell’appello ricordano infine un appello di Benedetto XVI: «Possano le Chiese e i discepoli del Signore rimanere là dove li ha posti per nascita la divina Provvidenza; là dove meritano di rimanere per una presenza che risale agli inizi del cristianesimo. Nel corso dei secoli essi si sono distinti per un amore incontestabile e inscindibile alla propria fede, al proprio popolo e alla propria terra». E concludono .«Cristo è la nostra pace'. Questa divina Parola è portatrice di conforto e di speranza, e sprona a cercare vie nuove di pace, che trovino efficacia nella Benedizione di Dio» Il testo reca le firme di 11 patriarchi e arcivescovi dell’Oriente, tra i quali Nasrallah Pierre Sfeir (Antiochia dei Maroniti), Emmanuel III Delly (Babilonia dei Caldei), Varkey Vithayathil (Siro-Malabaresi), Antonios Naguib (Alessandria dei Copti), Gregorios III Laham (Patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti) e Fouad Twal (Gerusalemme dei Latini).

Cardinale di Baghdad spera che la tragedia di cristiani a Mosul risvegli l’attenzione del mondo

Fonte Catholic News Service
By Carol Glatz
Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Il Cardinale Emmanuel-Karim Delly di Bagdad, in Iraq, ha detto di sperare che la tragedia della violenza e delle minacce contro i cristiani di Mosul stimoli i leaders mondiali a lavorare insieme per portare la pace nel suo paese. Il patriarca cattolico caldeo, che ha partecipato dal 5 al 26 di ottobre al Sinodo dei Vescovi sulla Bibbia, si è detto grato per la maggiore attenzione e preoccupazione per la difficile situazione dei cristiani del suo paese.
"Ma avrei preferito che questa si fosse avuta prima” ha detto in un’intervista del 23 ottobre al Catholic News Service. Forse i recenti avvenimenti a Mosul sono stati opera della "divina provvidenza per svegliare le persone dal loro sonno profondo", ha detto. Il cardinale ha espresso tristezza per ciò che considera come una cronica mancanza di attenzione e di azione concreta per fermare la violenza e proteggere tutti i cittadini iracheni. Dicendo che si riferiva "non solo agli americani ma all'intera comunità internazionale" il cardinale ha aggiunto che: "fino ad ora siete stati in silenzio e non avete parlato di noi nonostante tutte le sofferenze che abbiamo dovuto sopportare negli ultimi tre o quattro anni e per più di mezzo secolo". L'Iraq è uno dei paesi più poveri del Medio Oriente, ha detto, pur essendo ricco di risorse naturali come acqua e petrolio.
Il cardinale ha invitato a non essere "avari verso i fratelli e sorelle che vivono in un paese straniero come l'Iraq", ed i politici e le persone di buona volontà ad unirsi per il bene di tutta l'umanità. Il patriarca ha detto che l'Iraq non ha bisogno solo di aiuti materiali ma anche di un concertato "sostegno morale" da parte di tutti i leaders mondiali per garantire che la pace e la normalità siano ristabilite al più presto possibile. Maggiore attenzione e pressione sono necessari perché il governo iracheno "sia giusto e compia il suo dovere verso i suoi cittadini", ha detto. I diritti di tutti gli iracheni, compresi quelli della minoranza cristiana, devono essere rispettati, ha detto. "Noi cristiani non vogliamo privilegi ma i nostri pieni diritti che sono quelli di vivere in pace e tranquillità", e di avere gli stessi diritti dei "nostri concittadini, le nostre sorelle ed i nostri fratelli musulmani, arabi e curdi". Il governo iracheno "vuole fare la cosa giusta", ma è debole e incapace di mantenere le sue promesse, ha detto il cardinale Delly. Il governo "deve essere sostenuto", non solo da parte degli Stati Uniti, ma da tutto il mondo, anche la più piccola o la più povera della nazioni potrebbe fare qualcosa, ha aggiunto. Proprio come è più probabile che un edificio abbandonato possa essere vandalizzato così l'Iraq ha bisogno di essere tenuto sotto l’occhio vigile del mondo, e che il suo futuro abbia un posto prioritario. Purtroppo, ha affermato, ci sono persone in Iraq che non hanno a cuore gli interessi del paese ma che questa situazione potrebbe cambiare "se vedessero che il mondo intero ama l'Iraq, perché anche loro potrebbero amare i concittadini con cui hanno vissuto per molti anni". Il Cardinale Delly ha riferito che il Primo Ministro iracheno Nouri al-Maliki
ha incontrato il suo ausiliario, il vescovo caldeo Shlemon Warduni di Baghdad, e altri leaders cristiani per dei colloqui a Baghdad il 22 ottobre. Per quanto riguarda le violenze e l'emigrazione di massa dei cristiani di Mosul, il primo ministro ha promesso alla delegazione cristiana "di fare tutto il possibile, perché egli stesso ha detto che l'Iraq non può vivere senza il suo cristiani", ha detto il cardinale. Il Cardinale Delly ha detto che pur partecipando al sinodo ha manifestato le sue preoccupazioni attraverso lettere spedite ai leaders in Iraq, tra cui la principale autorità religiosa sciita, il grande ayatollah Ali al-Sistani.
Monsignor Warduni ha incontrato l'ayatollah il 21 di ottobre, ha riferito il cardinale aggiungendo che il leader sciita ha promesso di spiegare ai suoi seguaci che gli iracheni cristiani e musulmani "sono fratelli e sorelle in questo Paese".

Baghdad cardinal hopes tragedy of Mosul Christians will waken world

By Carol Glatz

Cardinal Emmanuel-Karim Delly
of Baghdad, Iraq, said he hoped the tragedy of violence and threats against Christians in Mosul finally would spur world leaders to work together to bring peace to his country. The Chaldean Catholic patriarch, who was attending the Oct. 5-26 Synod of Bishops on the Bible, said he was thankful for the increased attention and concern for the plight of his country's Christians.
"But I would have liked this (concern) to be shown before the last minute," he said in an Oct. 23 interview with Catholic News Service. Perhaps the recent events in Mosul were "divine providence in order to wake up people a bit from their deep sleep," he said.
The cardinal expressed sadness over what he viewed as a chronic lack of concern and concrete action to stop the violence and protect all of Iraq's citizens. Saying he was referring to "not just the Americans, but the whole international community," the cardinal said, "Up to now you have been silent and you have not spoken about us despite all of the sufferings we have had to bear the past three or four years and more than half a century."
Iraq is one of the poorest countries in the Middle East, he said, despite being rich in natural resources such as water and petroleum. The cardinal called on people not to be "greedy toward their brothers and sisters who live in a foreign country like Iraq," but for politicians and people of good will to band together for the good of all humanity. The patriarch said what Iraq needs is not just material aid, but the concerted "moral support" of all world leaders to ensure peace and normality return as soon as possible. Greater attention and pressure are needed so that the Iraqi government can "be just and fulfill its duty toward its citizens," he said. The rights of all Iraqis, including those of the Christian minority, must be protected, he said. "We Christians don't want privileges; we want our rights in full, and our rights are to live in peace and tranquillity," and to have the same rights as "our fellow Muslim, Arab, Kurdish brothers and sisters," he said.The Iraqi government "wants to do the right thing," but it is weak and unable to carry out its promises, said Cardinal Delly. The government "must be supported," not just by the United States, but by the whole world; even the smallest or poorest nation could do something, he said. Just as a building that is abandoned is more likely to be vandalized, Iraq needs to be kept on the world's radar and its future at the top of the agenda, he said. He said that, unfortunately, there are people in Iraq who do not have the country's best interests at heart, but perhaps that would change "when they see the whole world loves Iraq and then they, too, will love their fellow brother and sisters with whom they have lived for many years."
Cardinal Delly said Iraqi Prime Minister Nouri al-Maliki met with his auxiliary, Chaldean Auxiliary Bishop Shlemon Warduni of Baghdad, and other Christian leaders for talks in Baghdad Oct. 22.Concerning the violence and mass emigration of Christians from Mosul, the prime minister promised the Christian delegation "he would do whatever was possible because he himself said Iraq cannot live without its Christians," the cardinal said.Cardinal Delly said that while he has been at the synod he has been expressing his concerns through letters to Iraq's top leaders, including the leading Shiite religious authority, the Grand Ayatollah Ali al-Sistani.
Bishop Warduni met with the ayatollah Oct. 21, the cardinal said, adding that the Shiite leader promised to tell his followers that Iraqi Christians and Muslims "are brothers and sisters in this country."

23 ottobre 2008

Iraqi Christians: prayers, meetings and promises

By Baghdadhope

Baghdad, October 22. In the Chaldean church of the Sacred Heart in Baghdad representatives and faithful of different Christian denominations gathered to pray for peace in Iraq and especially in Mosul. After the reading of some passages from the Bible, the Syriac Catholic bishop of Baghdad, Archbishop Matti Shaba Matoka addressed his thoughts and his prayers to what happened in Mosul on last month recalling the murders, the threats and the resulting flight of a huge part of the Christian population of the city, and expressed his hope that the families who now live where they found refuge may soon return to their homes and their lives. The prelate also appealed to all components of the country to work together for its good and its development. The day of fasting and prayer organized by the Chaldean Vicar Patriarch, Msgr. Shleimun Warduni, in addition to the many faithful who filled the church was attended by the Latin bishop of Baghdad, Msgr. Jean B. Sleiman, the Apostolic Nuncio in Iraq and Jordan, Msgr. Francis A. Chullikat, and the director of the governmental office for the affairs of non-Muslims, Mr. Abdallah Al Naufali.
What happened in Mosul was also discussed in a more institutional framework during the meeting between Iraqi Prime Minister, Nouri Al Maliki, and a delegation of Christian religious leaders in Baghdad led by Msgr. Shleimun Warduni, this time accompanied by Msgr. Andraous Abouna, Chaldean Vicar Patriarch for the Affairs of the clergy, Msgr. Jean B. Sleiman and Archbishop Matti Shaba Matoka. According to a report by the Prime Minister office, Al-Maliki committed himself to discover and punish the perpetrators of violence against Christians in Mosul - an insult to the Iraqi people, as he defined it - and to give to the victims all the government support, directly engaging in the matter the Ministry that deals with migration and displaced persons. During the meeting the Prime Minister also reiterated his opposition to the abolition of Article 50 of the law approved by Parliament to rule the forthcoming provincial councils elections which would have ensured the political representation of minorities in six provinces of the country, and his commitment to its reinstatement. According to the note by the ministerial office the delegation of Christian leaders reiterated its firm opposition to the hypothesis of a Christian enclave in the province of Mosul linked to the Kurdish autonomous province saying that Christians want to continue to live with their brothers everywhere in Iraq, from north to Basra, and want to remain under the control of the central government as it has always been, and not to live in a cage.
A position that, if defended by the Catholic churches which represent the majority of Iraqi Christians, does not find much support in churches not related to Rome such as the Assyrian and the Syriac Orthodox, for example, that in recent days had voice in the words of Mor Gallo Shabo, Syriac Orthodox bishop in Scandinavia who, recalling the events of Mosul, prompted the creation of an "administrative unit" for non-Muslim minorities in the Nineveh Plain refuting the accusation that it would become a "Christian ghetto", as the idea had been defined by Msgr. Louis Sako, Chaldean Archbishop of Kirkuk, by affirming that people who belong to all Iraqis ethnic and religious groups live in the Plain and consequently it is impossible to speak of a Christian ghetto.

Iracheni cristiani: preghiere, incontri e promesse

By Baghdadhope

Baghdad, 22 ottobre. La chiesa caldea del Sacro Cuore di Baghdad ha visto raccogliersi in preghiera per la pace in Iraq e specialmente a Mosul i rappresentanti ed i fedeli di diverse confessioni cristiane. Dopo la lettura di alcuni brani della Bibbia il vescovo siro cattolico di Baghdad, Monsignor Matti Shaba Matoka ha indirizzato il suo pensiero e le sue preghiere a ciò che è avvenuto a Mosul nell’ultimo mese ricordando gli assassinii, le minacce e la conseguente fuga di una buona parte della popolazione cristiana della città, ed augurandosi che le famiglie che ora vivono dove hanno trovato rifugio possano presto tornare alle proprie case ed alla propria vita. Il prelato si è inoltre appellato a tutte le componenti del paese perchè operino insieme per il suo bene ed il suo sviluppo. Alla giornata di digiuno e preghiera organizzata dal Patriarca Vicario caldeo, Monsignor Shleimun Warduni, oltre ai molti fedeli che hanno riempito la chiesa hanno partecipato il vescovo latino di Baghdad, Monsignor Jean B. Sleiman, il Nunzio apostolico in Iraq e Giordania, Monsignor Francis A. Chullikat, ed il direttore dell’ufficio governativo per gli affari dei non musulmani, Mr. Abdallah Al Naufali.
Di quanto è successo a Mosul si è anche parlato in una cornice più istituzionale durante l’incontro tra il Primo Ministro iracheno, Nouri Al Maliki, ed una delegazione dei capi religiosi cristiani di Baghdad guidata da Monsignor Shleimun Warduni, questa volta accompagnato da Monsignor Andraous Abouna, Patriarca Vicario caldeo per gli Affari del Clero, da Monsignor Jean B. Sleiman e da Monsignor Matti Shaba Matoka.
Secondo una nota dell’ufficio del Primo Ministro, Al Maliki si è impegnato a scoprire e punire i responsabili delle violenze contro i cristiani di Mosul – un insulto all’intera popolazione irachena, come li ha definiti – ed a dare alle vittime tutto il sostegno del governo impegnando in ciò direttamente il Ministero che si occupa dell’emigrazione e degli sfollati
Durante l’incontro il Primo Ministro ha anche ribadito la sua contrarietà alla cancellazione dell’articolo 50 dalla legge elettorale approvata dal Parlamento a regolazione delle prossime elezioni dei consigli provinciali che avrebbe assicurato la rappresentatività politica delle minoranze in sei province del paese, e il suo impegno alla sue reintegrazione.
Sempre secondo la nota diffusa dall’ufficio ministeriale la delegazione dei capi cristiani ha ribadito la propria ferma contrarietà all’ipotesi di un’enclave cristiana nella provincia di Mosul legata alla provincia autonoma curda affermando che i cristiani vogliano continuare a vivere con i loro fratelli dovunque in Iraq, dal nord fino a Bassora, e vogliono rimanere sotto il controllo del governo centrale così come è sempre stato, e non vivere in una gabbia.
Una posizione, questa, che se difesa dalla chiese cattoliche che rappresentano la maggior parte degli iracheni cristiani non trova molto appoggio nelle chiese non legate a Roma, quella Assira e quella Siro Ortodossa ad esempio, che proprio nei giorni scorsi hanno avuto voce con le parole di Mor Gallo Shabo, vescovo siro ortodosso in Scandinavia che, proprio ricordando gli avvenimenti di Mosul, ha richiesto la creazione di una “unità amministrativa” per le minoranze non musulmane nella Piana di Ninive controbbattendo all’accusa di voler creare un “ghetto cristiano” come era stata definita l’idea da Monsignor Louis Sako Arcivescovo caldeo di Kirkuk, con la constatazione che appartenenti a tutti i gruppi etnici e religiosi iracheni vivono nella Piana e che di conseguenza parlare di ghetto cristiano è impossibile.


* Nella foto da sinistra a destra: Mons. Warduni, Mons. Chullikat, Mons. Matoka, Mons. Sleiman

22 ottobre 2008

UNHCR starts to help hundreds of Iraqi Christian refugees in Syria

Source: UNHCR
By Sybella Wilkesin in Qamishli, Syria

The UN refugee agency has begun helping hundreds of Iraqi Christians who fled to Syria to escape violence and threats in the northern Iraq city of Mosul.
Thousands of Christians have left Mosul over the past fortnight. Most have found shelter in villages elsewhere in Ninawa province, but about 400 have crossed into Syria. It is still not clear who is behind the intimidation.
said L"Many Christians from Mosul have been systematically targeted recently and are no longer safe there. We are ready to provide support for those Iraqis that seek refuge in neighbouring countries,"said Laurens Jolles, UNHCR's representative in Syria. "We are grateful that Syria continues to welcome refugees," he added of a country that is hosting at least 1.2 million Iraqi refugees.
UNHCR has fast-tracked the registration of Christian refugees from Mosul who have turned up at the agency's offices in the cities of Damascus and Aleppo, while a team of field officers has travelled to the Qamishli area close to Iraq, where some people have been arriving. Following registration, families facing financial difficulties are assessed for emergency grants and food assistance.
Field officers have met 20 families from Mosul in the Qamishli area in the past few days, while more than 20 Iraqi Christian families have sought the agency's help in Aleppo in recent days.
Those interviewed have told similar stories of sudden flight from Mosul. Many left with limited financial resources and need help extending their visas to Syria. All said they hoped to be able to return to their homes in the Iraqi city soon.
Sara* and her mother left Mosul early last week, two days after someone called one of her colleagues at work and said that all Christians should leave the city immediately or be killed. "My colleagues wept as all the Christians in the office rushed out of the building," she recalled.
Sara was unnerved, but decided to leave only after hearing reports that 11 friends had been killed at a checkpoint by militiamen dressed as police officers. "We heard that they were killed on the spot after their identity cards were examined showing the Christian faith of the person," she explained.
She and her mother escaped with a couple of bags and all the money that they had in the house – they did not dare go to the bank to remove their savings. They had visited Syria on holiday earlier in the year and met the ancient Christian community in the city of Saidnaya, north of Damascus. The two women, who felt the Church would support them, approached UNHCR in Damascus.
Nina*, a nurse by profession, fled Mosul almost two weeks ago. "The threats started months ago, with phone calls, letters and even messages on our door," she said, adding that she tried to ignore them at first.
But when churches closed and friends and acquaintances began falling victim to the violence, including a friend shot dead in front of his son, Nina began reconsidering her position. It was difficult because she had an invalid mother.
Nina hung on in Mosul until October 10, when she received a new threat. She immediately took her mother to a village outside Mosul and then carried on across the border into Syria with her sister's young family. Nina has no phone and has not been able to reach her mother since she left. She says she's frightened to go back to Iraq, but is very worried about her mother and is considering returning to try to bring her to Syria.
Mariam* hung on even longer in Mosul and only left with her son Farah* after a wheelchair-bound Christian man was murdered. "We were the hard core that never wanted to leave Iraq, even with the tense environment. My brother in Syria has been begging me to leave for a long time, but I never agreed," she said, adding: "As we felt the knife close to our throats, we had no choice but to flee."
Her two daughters and their families took refuge in villages near Mosul. "They tell us that there is nowhere for them to go. They are in the streets," said a softly weeping Mariam, who is trying to arrange a visa to Syria for them.
She dreams of going back, but dreads to think what she will find. She left her keys with Muslim neighbours but has heard that the homes of friends were destroyed with dynamite soon after they left. "I lived in my home for 35 years and had to pack in 30 minutes," said the devastated mother as she talked to UNHCR in the living room of her brother's modest home in Qamishli.
UNHCR has registered around 220,000 Iraqi refugees in Syria, of whom 15,000 originate from Ninewa province where Mosul is located. UNHCR is mid-way through a food distribution for more than 190,000 Iraqi refugees throughout Syria, while approximately 38,000 Iraqi refugees benefit from financial assistance.
* Names changed for protection reasons.

Vescovo caldeo di Kirkuk: A Mosul si cancellano i cristiani per motivi politici

Fonte: Asianews

Dall’inizio di ottobre a Mosul si registra una ennesima ondata di violenze contro cristiani. La città e la comunità dei fedeli ha già pagato un grande contributo di sangue in passato, con la morte di mons. Paulo Farj Rahho, quella di p. Ragheed Gani, e di decine di altri. Mosul, città multietnica, vede la presenza di cristiani delle diverse confessioni, sunniti e sciiti, yaziti, arabi, turcomanni e curdi. Queste uccisioni di tipo confessionale rendono sempre più difficile la convivenza e aumentano le accuse fra il governo curdo, responsabile dell’ordine a Mosul, e il governo centrale. Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, ha voluto condividere coi lettori di AsiaNews le sue preoccupazioni riguardo agli avvenimenti.
Cosa sta succedendo a Mosul ? Come si può definire questa carneficina continua? In una settimana vi sono stati 12 morti; 1000 famiglie hanno lasciato le loro case verso i villaggi della piana di Ninive; 5 case sono state distrutte con esplosioni. Paura, solitudine e timori dominano nella minoranza cristiana. La memoria di Dora
[1] a Bagdad non è dimenticata. Se la situazione continua in questo modo, i cristiani saranno costretti a nuove “fughe di massa”.
Gli attentati di Mosul hanno però un carattere speciale: essi non sembrano essere legati a bande di delinquenti, perché questa volta essi non chiedono alcun riscatto. È possibile che dietro gli assassini vi siano dei fondamentalisti. Ma come spiegare il silenzio e l’immobilità delle autorità locali e centrali quando una macchina con altoparlante gira per le vie del quartiere di Sukkar, gridando e ordinando ai cristiani di andarsene via?
Io penso che dietro tutte queste violenze vi sia un movente politico.
Questa campagna per far fuggire i cristiani potrebbe nascondere vantaggi di carattere politico in prossimità della tornata elettorale del gennaio 2009 e la controversia sull’approvazione della legge per le elezioni provinciali. L’attuale legge cancella la quota riservata per tradizione ai cristiani (e alle altre minoranze). Intimidirli e cacciarli via fa tutt’uno con la negazione della loro rappresentanza. Ma non va esclusa nemmeno l’ipotesi che le violenze contro i fedeli servano a rafforzare l’ipotesi di un’enclave cristiana nella piana di Ninive.
Chiediamo con forza l’intervento del governo per proteggere tutti gli irakeni in difficoltà, ma soprattutto i cristiani, attualmente i più esposti. Questo sarebbe un compito anche per le forze di occupazione.
Chiediamo l’intervento della comunità internazionale per proteggere le minoranze in Iraq, specie in occasione delle prossime elezioni provinciali. E domandiamo con particolare urgenza l’intervento dell’Onu e dell’Unione europea perché solleciti il governo di Baghdad a rispettare le minoranze nelle prossime elezioni.
Il parlamento irakeno ha votato una legge che non riconosce i diritti delle minoranze. Questo porterà alla distruzione definitiva delle minoranze etniche e religiose di questo paese ed accelererà l’esodo dei cristiani.
Chiediamo ai cristiani d’occidente di non essere solo preoccupati delle borse e dell’economia, ma di denunciare ogni forma di violenza e di mostrare verso di noi solidarietà e condivisione.


[1] Dora, quartiere di Baghdad dove negli anni scorsi sono avvenuti uccisioni di cristiani, rapimenti di fedeli e sacerdoti, attentati a chiese. Queste violenze hanno portato all’esodo di centinaia di migliaia di persone. Una maggiore sicurezza è stata riconquistata dopo l’operazione militare “Surge” da parte di militari americani e irakeni.

Chaldean bishop of Kirkuk: Christians being driven out of Mosul for political reasons

Source: Asianews

Since the beginning of October, Mosul has seen yet another wave of violence against Christians. The city and the community of the faithful have already paid a high price in blood in the past, with the killing of Archbishop Paulos Faraj Rahho, Fr. Ragheed Gani, and dozens of others. Mosul, a multiethnic city, is inhabited by Christians of various confessions, Sunnis and Shiites, Yazidi, Arabs, Turkmen, and Kurds. These killings of a confessional nature make coexistence increasingly difficult, and are increasing the accusations between the Kurdish government, responsible for order in Mosul, and the central government. Louis Sako, archbishop of Kirkuk, wanted to share with the readers of AsiaNews his concerns about these events.
What is happening in Mosul? How can this constant carnage be defined? In one week, there have been 12 deaths; 1,000 families have left their homes for villages in the plane of Nineveh; 5 homes have been destroyed in explosions. Fear, solitude, and apprehension dominate the Christian minority. The memory of Dora [1] has not disappeared in Baghdad. If the situation continues in this way, Christians will be forced to a new "mass emigration."
But the attacks in Mosul have a special character: they do not seem to be connected to gangs of criminals, because this time they are not asking for any ransom. It is possible that there are fundamentalists behind the killings. But how can the indifference of the local and central authorities be explained when a vehicle with a loudspeaker is driven around the neighborhood of Sukkar, ordering the Christians to leave?
I think that there is a political motive behind all this violence.
This campaign to drive out the Christians could conceal benefits of a political nature ahead of the upcoming elections in January of 2009, and the controversy over the approval of the provincial election law. The current law eliminates the quota reserved by tradition for Christians (and other minorities). Intimidating them and driving them out goes hand in hand with denying them representation. But the hypothesis cannot be excluded that the violence against the faithful also serves to reinforce the proposal for a Christian enclave in the plane of Nineveh.
We forcefully ask for government intervention to protect all Iraqis in difficulty, but above all the Christians, who are currently the most vulnerable. This is also a responsibility of the forces of occupation.
We are calling for the intervention of the international community to protect the minorities in Iraq, especially in the upcoming provincial elections. And we ask with particular urgency for the intervention of the United Nations and the European Union, that they call upon the Baghdad government to respect minorities in the upcoming elections.
The Iraqi parliament has approved a law that does not recognize the rights of minorities. This will lead to the definitive destruction of ethnic and religious minorities in this country, and will accelerate the exodus of the Christians.
We ask the Christians of the West not to be concerned solely about stock markets and the economy, but to denounce every form of violence and demonstrate solidarity and fellowship with us.

[1] Dora is a Baghdad neighborhood where in recent years there have been killings of Christians, abductions of faithful and priests, and attacks on churches. This violence has led to the exodus of hundreds of thousands of people. Greater security was restored after the "surge" by the American and Iraqi military.

P. Amer Youkhanna: "I cristiani sono perseguitati perché professano la fede che non accetta la violenza"

Fonte: SAT2000 TV 20 ottobre 2008

Intervista a Padre Amer N. Youkhanna, sacerdote di Mosul, la città dove vivere è sempre più difficile per i cristiani.
Di Maurizio Di Schino
Per vedere l’intervista clicca
qui e cerca l’edizione di lunedì 20 ottobre
Qui di seguito il testo trascritto da Baghdadhope

“La speranza è l’aria che respira ogni iracheno per affrontare la propria vita perché vivere in Iraq non è facile per tutti.”
La preoccupazione di Padre Amer è per le persecuzioni dei cristiani in Iraq, soprattutto di quelli ancora rimasti a Mosul, la terra a nord del paese dove è maturata la sua vocazione sacerdotale. Padre Amer sta studiando a Roma ed ogni volta che sente i confratelli per lui è una pena sentire come si allunga la lista dei cristiani uccisi e come Mosul si sta svuotando dei cristiani. Dall’inizio dell’anno si contano almeno 34 cristiani uccisi tra cui un disabile in carrozzella di 25 anni, e solo negli ultimi giorni da Mosul sono scappate 2400 famiglie. Nella città in questo momento si contano a malapena 200 famiglie cristiane.
“I sacerdoti piangono perché vedono partire giorno per giorno i propri parrocchiani, e quelli che sono rimasti a Mosul sono quelli che non possono andare in un altro posto perché sono poveri.”
A Mosul è frequente vedere scorrazzare bande di islamici che uccidono cristiani a sangue freddo anche alla luce del giorno o li terrorizzano costringendoli a vivere barricati nelle case senza poter mandare i figli a scuola. Tutti li vedono ma nessuno li ferma.
“I cristiani sono perseguitati perché professano la fede che non accetta la violenza”
Padre Amer pensando ai cristiani perseguitati in Iraq parla di massacro ed in molti casi si tratta anche di martirio perché non sono pochi gli iracheni uccisi per la loro fede cristiana.
“Serve una commissione di indagine internazionale che non abbia nessun interesse politico in Iraq e possa dire la verità senza paura per far capire al mondo chi c’è dietro questo massacro dei cristiani.”

Fr. Amer Youkhanna:"Christians are persecuted because they profess the faith that does not accept violence"

Source: SAT2000 TV October 20, 2008

Interview to Father Amer N. Youkhanna, priest from Mosul, the city where life is ever more difficul for Christians.
By Maurizio Di Schino
Text of the interview transcripted and translated by Baghdadhope

“The hope is the air that every Iraqi breathe to deal with his life because life in Iraq is not easy for everyone.”
The concern of Father Amer is the persecution of Christians in Iraq, particularly those still remaining in Mosul, the northern land of the country where his priestly vocation grew. Father Amer is studying in Rome and every time he talks to his brethren it is a pain for him to know how much the number of Christians killed is growing, and how Mosul is emptying of Christians. Since the beginning of the year at least 34 Christians were killed in Mosul, including a disabled 25 years old boy in his wheelchair, and only in recent days 2400 families have fled Mosul. In these days in the city there are barely 200 Christian families left.
“The priests cry because day by day they see their parishioners leaving, and those who remain in Mosul are those who don’t have another place to go because they are poor.”
It is frequent in Mosul to see Islamic gangs killing Christians in cold blood in broad daylight or spreading terror forcing them to live barricaded in their homes without being able to send their children to school. Everyone sees them but no one stops them.
“Christians are persecuted because they profess the faith that does not accept violence” Thinking of persecuted Christians in Iraq Father Amer speaks of a massacre, and in many cases it is also martyrdom because no few Iraqis were killed for their Christian faith.
“We need an international investigation commission with no political interest in Iraq that can tell the truth without fear, to make the world understand who is behind this massacre of Christians.”

20 ottobre 2008

Mosul, da dove fuggono i cristiani. Monsignor Warduni: Baghdad “Basta promesse, vogliamo i fatti”

By Baghdadhope

Continuano a Baghdad gli incontri volti a trovare una soluzione al problema delle violenze anticristiane avvenute nelle scorse settimane a Mosul e la conseguente fuga verso zone più sicure di migliaia di famiglie.
Di questo si è parlato durante un incontro tra il Presidente iracheno, Jalal Talabani e Monsignor Shleimun Warduni, il Patriarca vicario caldeo, incontro cui hanno partecipato anche il vice primo ministro Barham Saleh, uno dei due vicepresidenti, Tareq Al Hashimi, il presidente del Governo Regionale Curdo, Massoud Barzani, quello del Parlamento del Kurdistan, Jawhar N. Salem, un consigliere del Primo Ministro iracheno Nouri Al Maliki, ed il ministro dell’industria iracheno, Fawzi Hariri.
“Ho chiaramente denunciato il ritardo con cui il mondo, ed anche il governo, hanno reagito alla tragedia che si stava compiendo a Mosul” ha dichiarato a Baghdadhope Monsignor Warduni, che ha aggiunto di essere comunque grato al governo di aver inviato nella città le forze di polizia che comunque “preferiremmo fossero sostituite totalmente dall’esercito perché la gente ha più fiducia nei soldati.”
“Ho anche detto che dopo tante promesse è arrivata l’ora di fare qualcosa, i bambini devono tornare a scuola, i ragazzi all’università, gli uomini a lavorare, ed il Presidente Talabani ha dato ampie rassicurazioni che verrà fatto tutto il possibile perché Mosul torni ad essere sicura e le famiglie possano tornarci a vivere. Abbiamo anche discusso della cancellazione dell’articolo 50 che garantiva la rappresentatività delle minoranze alle prossime elezioni dei consigli comunali ed anche in questo campo il Presidente Talabani ha assicurato che il Consiglio della Presidenza da lui guidato reintegrerà l’articolo 50, se non nel corpo della legge almeno in forma di annessione ad esso. I nostri diritti sono stati calpestati. Noi non accusiamo nessuno per ciò che è successo a Mosul ma vogliamo che il governo scopra i colpevoli e ci garantisca la sicurezza. Per quanto riguarda le accuse che in questi giorni sono state fatte contro i curdi il Presidente del KRG, Massoud Barzani, ha negato qualsiasi loro coinvolgimento nei crimini commessi contro i cristiani. Dei nostri diritti calpestati, non some cristiani ma come cittadini, ho avuto anche occasione di parlare con l’Ambasciatore francese in Iraq, Jean-François Girault cui ho chiesto di riportare le nostre condizioni in Europa visto che la Francia è in questo periodo presidente dell’Unione Europea, e con un rappresentante della Lega Araba che ha confermato la condanna di ciò che è avvenuto a Mosul ed al quale ho chiesto che la Lega faccia pressione sul governo iracheno perché garantisca la sicurezza e la pace ai cittadini che vogliono tornare a Mosul. Nei giorni scorsi ci sono state voci di una proposta del ministero per l’emigrazione di concedere ad alcune delle famiglie fuggite dei piccoli appezzamenti di terreno per costruire delle case. Non so esattamente dove sarebbero questi terreni ma in ogni caso non è la soluzione giusta: i cittadini di Mosul devono poter tornare dove sono nati e dove hanno sempre vissuto. Questo è ciò che dirò anche al Grand Ayatollah Ali Al Sistani che incontrerò oggi a Najaf. Mercoledì, inoltre, si terrà nella chiesa del Sacro Cuore una giornata di digiuno e preghiera cui parteciperanno i cattolici della capitale, fedeli, sacerdoti, vescovi ed il nunzio apostolico Monsignor Francis A. Chullikat.”

Interrogato su quante fossero le famiglie fuggite da Mosul Monsignor Warduni ha precisato che la cifra totale si aggira sulle 2500 famiglie delle quali 2400 registrate nei villaggi cristiani del nord e le altre fuggite nella capitale o in altre città del paese, e che una trentina hanno però già fatto ritorno in città grazie alla presenza delle forze di sicurezza irachene.
“Sì, anche a me è stato detto che circa trenta famiglie sono tornate a Mosul, ma anche che l’hanno fatto perché le condizioni in cui stavano vivendo erano insopportabili.” A parlare così a Baghdadhope è Padre Amer Youkhanna che in contatto con la comunità cristiana di Mosul ne riporta le notizie ma anche gli umori e che aggiunge: “le chiese ieri erano aperte anche se per poche decine di fedeli. Mi hanno anche riferito che venerdì scorso gli imam, che nella maggior parte dei casi la precedente settimana avevano taciuto su ciò che stava accadendo in città hanno invece dichiarato il proprio appoggio ai concittadini cristiani ricordano come la religione islamica imponga la loro protezione.”
Perché hanno taciuto ed ora parlano?
“La presenza dei soldati li ha resi più sicuri. Hanno meno timore di poter essere attaccati se dimostrano la propria vicinanza ai cristiani.”
Qual è comunque la sensazione che si respira nella comunità?
“Dalle conversazioni che avuto con alcuni miei concittadini direi che l’opinione comune è che un terzo dei cristiani che hanno lasciato Mosul vi faranno prima o poi ritorno, un terzo rimarrà a vivere in altre zone del paese ed un terzo cercherà invece di espatriare. La speranza di tutti però è che i crimini commessi vengano puniti e che non si risolvano come è stato nel caso della morte di Monsignor Rahho con l’incriminazione di un singolo che funga da capro espiatorio. Gli iracheni cristiani devono sentirsi tutelati ma per ora non hanno molte speranze.”

Mosul, from where Christians are fleeing. Msgr.Warduni: Baghdad "Stop promises, we want facts"

By Baghdadhope

The meetings in Baghdad aimed at finding a solution to the problem of anti-Christian violence occurred in recent weeks in Mosul and of the resulting flight to safer areas of thousands of families continue.
This topic has been discussed during a meeting between Iraqi President, Jalal Talabani and Msgr. Shleimun Warduni, Chaldean Patriarch vicar, a meeting attended also by the Deputy Prime Minister Barham Saleh, one of two vice-presidents, Tareq Al Hashimi, the chairman of Kurdish Regional Government, Massoud Barzani, the President of Kurdistan parliament, Jawhar N. Salem, an adviser to Iraqi Prime Minister Nouri Al Maliki and the Iraqi industry minister, Fawzi Hariri.
"I clearly denounced the delay of the world, and even of the government, in reacting to the tragedy that was occurring in Mosul," said to Baghdadhope Msgr. Warduni, who added to be grateful to the Government for having sent police forces to the city that in any case "we would prefer to be totally replaced by the army because people have more confidence in soldiers."
"I also said that after so many promises it’s now time to do something, children must go back to school, students to university, men to work, and President Talabani gave broad assurances that it will be done everything is possible to render Mosul safe again and let families come back. We also discussed the deletion of Article 50 which guarantees the representation of minorities in the forthcoming elections of municipal councils and also in this case President Talabani said that the Council of the Presidency that he leads will reinstate Article 50, if not in the body of the law at least in the form of annexation to it. Our rights have been trampled. We are not accusing anybody for what happened in Mosul but we want the government to find the culprits and to guarantee us security. As for the accusations that in recent days have been made against the Kurds the KRG President, Massoud Barzani, denied any involvement of the Kurds in the crimes committed against the Christians. Of our trampled rights, not as Christians but as citizens, I also had occasion to speak with the French Ambassador to Iraq, Jean-François Girault to whom I asked to report our conditions in Europe as France is now chairman of the European Union, and to a representative of the Arab League who confirmed the condemnation of what happened in Mosul and to whom I asked for the League to pressure the Iraqi government to guarantee security and peace to the people who want to return to Mosul.
In recent days there have been rumours about a proposal by the Ministry of emigration to grant to some of the families that fled from Mosul small plots of land to build houses. I do not know exactly where these plots of land would be, but in any case this is not the right solution: the citizens of Mosul should be able to go back where they were born and where they have always lived. This is what I will say to the Grand Ayatollah Ali Al Sistani whom I will meet today in Najaf. On Wednesday in the Church of the Sacred Heart there will be a day of fasting and prayer attended by Catholics of the capital, faithful, priests, bishops and the apostolic nuncio
Msgr.Francis A. Chullikat."
When questioned about how many families fled from Mosul Msgr. Warduni stated that the total figure is around 2500 families,2400 of which registered in the Christian villages in the north and the other fled toward the capital or other cities throughout the country, and that about thirty families have, however, already returned to the city thanks to the presence of Iraqi security forces.
"Yes, I also was told that about thirty families returned to Mosul, but that they did so because the conditions they were living were unbearable." To speak in this way to Baghdadhope is Father Amer Youkhanna in contact with the Christian community in Mosul of which he reports the news but also the mood and who added: "Yesterday the churches were opened although there were only few dozen faithful. I was also been told that last Friday the imams, who in most cases the previous week had kept the silence on what was happening in the city, have declared their support for fellow Christians recalling how the Islamic religion imposes their protection."
Why were they silent before and why are they speaking now?
"The presence of soldiers made them feel safer. They have less fear of being attacked if they demonstrate their closeness to the Christians."
What is the general feeling of the community?
"From the conversations I had with some of my fellow citizens I would say that the common opinion it is that one third of the Christians who left Mosul will go back sooner or later, one third will remain to live in other parts of the country and one third will try instead to expatriate. The hope of everyone is however that the crimes committed will be punished not as it was in the case of the death of Msgr. Rahho with the indictment of an individual to act as scapegoat. Iraqi Christians need to feel themselves protected, but so far they do not have much hope."

17 ottobre 2008

Iraq: 1.000 famiglie cristiane lasciano Mosul in 24 ore. Aiuto alla Chiesa che Soffre invia 30.000 dollari per l'emergenza

Fonte: ZENIT

Di fronte alla drammatica situazione che si vive nella città irachena di Mosul, dove i cristiani continuano ad abbandonare le proprie case per sfuggire alla violenza, l'organizzazione caritativa Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) ha deciso di inviare 30.000 dollari di aiuti per far fronte all'emergenza.
Nel weekend scorso, spiega un comunicato di ACS ricevuto da ZENIT, si è raggiunto il picco degli abbandoni della città da parte dei cristiani: più di 1.000 famiglie hanno lasciato Mosul nell'arco di 24 ore.
I cristiani hanno iniziato a fuggire dalla seconda città dell'Iraq il mese scorso, dopo che gli estremisti islamici hanno dato il via a una campagna di violenze e intimidazioni costringendo la gente a scegliere tra il convertirsi all'islam, l'essere uccisi o il vedere la propria casa devastata.
Secondo alcune stime, le persone uccise sarebbero 20, mentre almeno cinque case sono state fatte saltare in aria dopo che gli occupanti erano stati costretti ad andarsene per non aver accettato di convertirsi.
ACS sta inviando 30.000 dollari nelle città e nei villaggi cristiani fuori Mosul, dove gli sfollati si sono riuniti in grandi numeri.
Il presidente internazionale dell'organizzazione, Fr. Joaquin Alliende, ha affermato che i rapporti che si ricevono da Mosul “sono terribili e in un momento di crisi il sostegno che ACS sta fornendo è il minimo che può fare per aiutare”.
“ACS esiste per aiutare i nostri fratelli e le nostre sorelle che soffrono per la loro fede – e pochi stanno soffrendo più di quanti se ne vanno per le uccisioni, i bombardamenti e le continue intimidazioni che ha subito Mosul negli ultimi giorni”, ha osservato.
“Chiediamo a tutti gli amici e i benefattori di Aiuto alla Chiesa che Soffre di pregare Cristo che ha dato la propria vita per noi e che attraverso la sua resurrezione ci offre la vera speranza – ha aggiunto –. Preghiamo per tutti coloro che sono perseguitati in questo momento terribile”.
La risposta d'emergenza di ACS arriva dopo che l'Arcivescovo iracheno Louis Sako ha avvertito che gli sforzi compiuti dal Governo di Baghdad per fermare la violenza sono stati troppo esigui e sono arrivati in ritardo, e che l'esodo minaccia di estinguere la presenza cristiana a Mosul.
Le violenze contro i cristiani nella seconda città irachena sono state denunciate anche dall'organizzazione della Conferenza islamica (Oic), della quale fanno parte 57 Paesi musulmani.
Il suo presidente, Ekmeleddin Ihsanoglu, ha chiesto alle autorità di Baghdad di “perseguire i responsabili per porre fine alle sofferenze dei nostri fratelli cristiani e provvedere alla loro protezione”, ricorda “L'Osservatore Romano”.
Contemporaneamente all'appello dell'Oic, è arrivato l'annuncio da Baghdad dell'invio di una commissione governativa a Mosul per “muoversi rapidamente per dare sostegno agli sforzi in materia di sicurezza con massicce operazioni militari e per rassicurare i cittadini”, come ha dichiarato il portavoce del Governo.

Iraq. Moussalli (Giordania) "Cacciare i cristiani da Mosul significa cacciarli dall'Iraq"

Fonte: SIR
di Daniele Rocchi

Padre Raymond Moussalli: cacciare i cristiani da Mosul è cacciarli dall'Iraq
"Un volantino intriso di minacce passato sotto la porta è forse il modo più gentile per dire che è ora di andartene. Altrimenti vengono a bussare direttamente all'ingresso di casa, ti buttano fuori e appiccano fuoco a tutto costringendoti a guardare inerme la distruzione di quanto hai costruito con fatica e lavoro".
Le storie di tante famiglie cristiane irachene filtrano anche attraverso questi racconti, vere e proprie testimonianze di quanto sta avvenendo oggi in Iraq contro la minoranza cristiana. In questi giorni Mosul rappresenta il paradigma dell'inferno per i cristiani iracheni così come l'Orissa lo è per quelli indiani. Prima che sia troppo tardi...
"Mosul è la antica capitale religiosa in Iraq - spiega al SIR mons. Raymond Moussalli, vicario del vescovado caldeo in Giordania e che da tempo si occupa dei circa 20 mila rifugiati cristiani iracheni nel regno Hashemita - qui affondano le radici della cristianità irachena. Le liturgie vengono celebrate ancora in aramaico, la lingua di Gesù. Le persecuzioni contro i cristiani hanno un valore altamente simbolico. Scacciarli da Mosul significa, simbolicamente, mandarli via da tutto l'Iraq. Mosul ha dato teologi, sacerdoti, gente di cultura, filosofi. Prima di essere trasferito a Baghdad nel 1958, il patriarcato aveva sede a Mosul. Stiamo assistendo ad una vera e propria guerra al cristianesimo, bisogna rendersene conto, prima che sia troppo tardi. Un Iraq senza cristiani sarà un Paese più povero e ciò avrà ripercussioni negative sui cristiani di tutto il Medio Oriente. Pensiamo a Betlemme, prima era una città cristiana oggi non più...".
Il terrore negli occhi. Ascoltando le testimonianze dei rifugiati da Mosul e di molti che sono rimasti in città, padre Moussalli non usa mezzi termini: "Si parla di persecuzione ma sarebbe meglio dire genocidio. A Mosul ci sono migliaia di famiglie in fuga, alcuni cristiani sono stati freddati davanti le loro abitazioni o nei loro negozi. Sui muri e nelle strade si leggono scritte, inneggianti all'integralismo, che intimano ai cristiani di abbandonare subito la città".
I gruppi armati non sanno aspettare, bisogna correre se non si vuole perdere la vita insieme alle proprietà e ai propri beni. E così uomini, donne e bambini in fuga verso luoghi più protetti. "L'alternativa? Pagare la tassa di protezione - dice il vicario - vestire il velo, convertirsi all'Islam. Alcuni cristiani hanno raccontato di giovani donne che hanno dovuto sposare dei musulmani, obbligando di fatto la propria famiglia alla conversione".
La violenza non guarda in faccia a nessuno ma a soffrire di più sono i poveri e i bambini. "I primi - spiega il vicario caldeo - perché non hanno niente, non hanno possibilità economiche che consentono loro di andare via, o trasferirsi in altre zone della città più tranquille, magari in affitto. E restano nel terrore, lo stesso terrore che ha spento i volti dei bambini. Non giocano più, non possono andare a scuola, non possono vivere come fanno tanti altri bambini nel mondo. È drammatico, soprattutto per loro, vedere la propria casa in fiamme, i propri genitori, amici e familiari uccisi o maltrattati. I più piccoli che giungono qui in Giordania dall'Iraq sono scioccati e per questo abbiamo dei medici e degli psicologi che cercano di aiutarli. Qualcuno si è visto addirittura puntare un fucile in faccia".
Con le armi del dialogo. Non ci sono tempo e possibilità per chiedere protezione o per denunciare le violenze, e forse nemmeno voglia di sapere chi c'è dietro questa ondata di crimini e violenze, se Al Qaeda o i peshmerga curdi, come da più parti si comincia a dire. "La fuga è l'unica via di salvezza - sembra ammettere padre Moussalli - qualcuno ha pensato anche a difendersi ma i cristiani iracheni non hanno mai imbracciato armi, hanno sempre fatto del dialogo, della tolleranza, del rispetto il loro stile di vita. Non potremo mai puntare una pistola contro qualcuno".
In qualche caso questo atteggiamento di accoglienza e apertura è stato ripagato con l'amicizia e la solidarietà. "Da Mosul giungono anche storie di speranza che hanno visto protagoniste famiglie musulmane accudire e proteggere i loro vicini cristiani. Anni, secoli, di convivenza non possono essere cancellati con la violenza. Ma non basta ora è urgente che la comunità internazionale agisca concretamente per aiutare i cristiani iracheni. Le condanne non bastano più servono azioni concrete, non c'è più tempo da perdere".

16 ottobre 2008

Scambi di accuse tra curdi e arabi per gli attacchi ai cristiani di Mosul

Fonte: Asianews

Ma chi c’è dietro gli attacchi ai cristiani di Mosul? Il governo iracheno dice di non credere che sia al Qaeda, fonti di stampa notano che la maggior parte delle persone colpite abitava nella zona controllata dalle milizie curde, il governo regionale curdo denuncia gli “sforzi maligni” di quanti vogliono “nascondere i veri colpevoli”, denuncia “fanatici religiosi” e “ordina” a tutti i ministri di aiutare coloro che sono stati colpiti.
Lo scambio di accuse sulle responsabilità degli attacchi contro i cristiani di Mosul sembra confermare la natura almeno prevalentemente politica di quanto sta accadendo in una città che è al centro delle rivendicazioni di curdi e “arabi”, nonché di una regione ricchissima di petrolio. La condanna degli attacchi ai cristiani da parte della massima autorità sciita, il grande ayatollah Ali Sistani, sembra andare nella stessa direzione.
A dire “di non pensare che ci sia al Qaeda dietro agli attacchi ai cristiani di Mosul” è stato il portavoce del Ministero degli interni di Baghdad, Abdulkarim Khalaf. E uno dei maggiori quotidiani iracheni, Azzaman, nel riferire le dichiarazioni del portavoce, nota che “la maggior parte delle vittime e di coloro che sono fuggiti abitava nella parte occidentale della città, sotto controllo delle milizie curde, essendo abitata in maggioranza da curdi. La maggior parte dei cristiani sulla sponda orientale del fiume Tigri, settore prevalentemente arabo, si riferisce che ha preferito rimanere”. “Le violenze anticristiane sono concentrate in aree nelle quali le milizie curde esercitano un controllo quasi assoluto”. “Ma gli abitanti raccontano che una bomba collocata all’ingresso di una antica chiesa del quartiere arabo è esplosa martedì, causando alcuni danni materiali, ma senza provocare feriti”.
Da parte sua, il governo regionale curdo accusa “fanatici religiosi e gruppi terroristici” e, riferisce l’agenzia AINA, “ha ordinato a tutti i ministri, dipartimenti e gruppi rilevanti di assistere ed aiutare le vittime più che sia possibile”. Il governo curdo, poi, “condanna con forza” gli attacchi e quanti accusano i curdi e “rinnova il sostegno per tutti i diritti dei cristiani nei consigli provinciali, previsti dall’articolo 50 della Legge elettorale provinciale”. Si tratta della norma che riservava una rappresentanza a tale livello alle minoranze e che il Parlamento, al momento dell’approvazione della legge, ha cancellato. Di fronte alle proteste dei cristiani ed alle critiche internazionali, la presidenza della Repubblica ha promesso che il principio sarà reintrodotto.

Kurds and Arabs exchange accusations over attacks on Christians in Mosul

Source: Asianews

Who is behind the attacks on Christians in Mosul? The Iraqi government says it does not believe that this is al Qaeda, while media sources note that most of the people struck lived in the area controlled by Kurdish militias. The Kurdish regional government denounces the "malign efforts" of those who want to "conceal the truly guilty," denounced as "religious fanatics," and "orders" all ministers to help those who have been struck.
The exchange of accusations over responsibility for the attacks against Christians in Mosul seems to confirm the at least predominantly political nature of what is taking place in a city that is at the center of Kurdish and "Arab" claims, in addition to being a region extremely rich in oil reserves. Condemnation of the attacks against Christians on the part of the highest Shiite authority, grand ayatollah Ali Sistani, seems to point in the same direction.
The spokesman for Baghdad's interior ministry, Abdulkarim Khalaf, says "I do not think al-Qaeda is behind the attacks against Mosul Christians." One of the leading Iraqi newspapers, Azzaman, in reporting the statements by the spokesman, notes that "Most of the victims and the fleeing refugees lived on the left bank of the city where Kurdish militias are in control as it is mainly a Kurdish-inhabited area. Most of the Christians on the right bank of the Tigris River, a predominately Arab sector, are reported to have preferred to stay. Anti-Christian violence has concentrated in areas where Kurdish militias exercise almost full control. But residents say an explosive charge placed at the entrance of an ancient church in the Arab quarter went off on Tuesday, inflicting some material damage but causing no injuries."
For its part, the Kurdish regional government accuses "religious fanatics and terrorists groups," and, the news agency AINA says, "has ordered all ministries, departments and relevant parties to assist and help the victims as much as possible." The Kurdish government also "forcefully condemns" the attacks and those who accuse the Kurds, and "we reiterate our support for the full rights of the Christians in provincial councils, under article 50 of the provincial election law." This is the norm that reserved representation at this level for the minorities, and which parliament, at the moment of approving the law, struck down. In the face of the protests of Christians and international criticisms, the president of the republic promised that the principle will be reintroduced.

Mosul, leaders religiosi europei: "I musulmani proteggano i cristiani"

Fonte: SIR

“I musulmani iracheni proteggano i loro fratelli cristiani”:
è l’appello che oggi lancia il Consiglio europeo dei leader religiosi (Ecrl), congiuntamente con il network Religions for peace, intervenendo così sul massacro che le comunità cristiane stanno subendo da tempo in Iraq e specialmente in questi ultimi giorni nella città di Mosul.
“Quando i cristiani vengono sistematicamente uccisi solo per la loro appartenenza religiosa – dichiara il moderatore dell’Ecrl, il vescovo Gunnar Stålsetttutti i leader religiosi debbono condannare queste cose e lavorare per prevenirle. In ogni società c’è la responsabilità di dare spazio vitale alle minoranze. I leader religiosi non devono solo focalizzare la loro attenzione su sciiti e sunniti, ma fare in modo che gli sforzi interreligiosi coinvolgano anche la minacciata minoranza cristiana. Il dialogo religioso – conclude – è una tra le questioni più cruciali in Iraq

Mosul, European religious leaders: "The muslims should protect the Christians"

Source: SIR

"The Iraqi Muslims should protect their Christian brothers”: this appeal was launched by the European Council of Religious Leaders (ECRL) today, together with the network Religions for peace.
It was its intervention on the massacre, which the Christian communities have been suffering for long in Iraq and particularly in the city of Mosul in the last few days. “When the Christians are systematically killed just for their religious faith – declared the moderator of ECRL, bishop Gunnar Stålsettall religious leaders are supposed to condemn these things and work to prevent them. In any society, there is the responsibility to give vital room to minorities. Religious leaders should focus on Scythians and Sunnis but should also work out things in such a way that interreligious efforts may involve the threatened Christian minority, too. Religious dialogue – he concluded – is one of the most crucial questions in Iraq”.