By Asia News
L’appello di papa Francesco è fonte “di grande conforto” per tutti gli irakeni, non solo i cristiani, a maggior ragione in un momento in cui Europa e Stati Uniti “non fanno nulla e restano in attesa di vedere cosa succede”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Shlemon Audish Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad e braccio destro del patriarca caldeo, commentando il nuovo appello lanciato ieri dal pontefice che guarda con “preoccupazione” alla “situazione” in Iraq. I giovani in piazza, aggiunge il prelato, hanno bisogno di sentire “la nostra solidarietà e vicinanza” in un periodo di forte tensione e di cambiamento nella storia recente del Paese.
L’appello di papa Francesco è fonte “di grande conforto” per tutti gli irakeni, non solo i cristiani, a maggior ragione in un momento in cui Europa e Stati Uniti “non fanno nulla e restano in attesa di vedere cosa succede”. È quanto racconta ad AsiaNews mons. Shlemon Audish Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad e braccio destro del patriarca caldeo, commentando il nuovo appello lanciato ieri dal pontefice che guarda con “preoccupazione” alla “situazione” in Iraq. I giovani in piazza, aggiunge il prelato, hanno bisogno di sentire “la nostra solidarietà e vicinanza” in un periodo di forte tensione e di cambiamento nella storia recente del Paese.
Le parole del papa - aggiunge - vengono “da una persona che vuole il
bene del nostro Paese e di tutto il mondo, senza interessi e senza
fanatismo”. Quando il pontefice “dice di non far male ai manifestanti è
una cosa molto bella” perché testimonia il fatto che “ha a cuore” il
futuro di tutta la nazione visto che “la grande maggioranza delle
persone in piazza sono musulmani”.
Tuttavia, queste settimane di protesta anti-governativa “hanno
mostrato che anche i cristiani sono vicini ai loro fratelli” e che tutti
“possiamo vivere insieme. Anzi, è proprio nelle piazze - aggiunge mons.
Warduni - che nascono nuovi rapporti di amicizia fra cristiani e
musulmani. Vi sono tantissimi giovani che hanno bisogno di conforto, che
hanno bisogno di star bene e diventare una comunità. Sono giovani che
hanno scritto sui muri che ‘Dio è amore’”.
Sul fronte politico, intanto, ieri l’Assemblea ha accettato le dimissioni del premier Adel Abdul Mahdi, travolto da settimane di manifestazioni anti-governative che, dal primo ottobre, scuotono il Paese e represse
con la forza dalla polizia. Il capo del governo è stato oggetto di
pesanti critiche anche della massima autorità religiosa sciita, il
grande ayatollah Ali al-Sistani. “Il Parlamento irakeno - si legge in
una nota - chiederà al capo dello Stato di nominare un nuovo Primo
Ministro”.
I deputati hanno inoltre deciso che l’attuale esecutivo, compreso lo
stesso Mahdi, resteranno in carica per l’ordinaria amministrazione fino
alla nomina di un nuovo governo. Secondo quanto prevede la Costituzione,
ora la palla passa al presidente Barham Salih che chiederà al blocco
più numeroso in Parlamento di nominare un nuovo Primo Ministro, il quale
dovrà poi formare l’esecutivo. Analisti ed esperti ritengono che questa
nuova fase di incertezza politica e istituzionale rischia di sfociare
in settimane di ulteriori tensioni e scontri fra fazioni diverse.
Le dimissioni del capo del governo non basteranno però a placare gli
animi della protesta, come emerge dalle cronache delle ultime ore. Ieri i
manifestanti hanno incendiato, per la seconda volta in
una settimana, il consolato iraniano a Najaf. Migliaia di persone
continuano a riempire vie e piazze della capitale, Baghdad, e delle più
importanti città del sud, regione a maggioranza sciita.
Sempre ieri le forze di sicurezza hanno ucciso un manifestante a
Baghdad, altri nove sono rimasti feriti. Due vittime si sono registrate
anche a Nassiriya. In due mesi il numero dei morti ha toccato quota 450,
migliaia di feriti in una lunga scia di sangue che non sembra avere
fine. A Bassora una folla ha marciato per le vie della città vestita di
nero, in omaggio alle vittime. Nel fine settimana sono scesi in piazza
anche gli studenti universitari di Mosul, Tikrit, Anbar e Kirkuk, aree a
maggioranza sunnita e meno coinvolte sinora nella protesta. Ieri gli
studenti hanno voluto manifestare la loro solidarietà alle vittime delle proteste a Nassiriya, Najaf e Baghdad, rilanciando le immagini della marcia anche sui social.
“Dietro questo movimento di protesta - afferma mons. Warduni - vi è
il popolo irakeno e la Chiesa è vicina ai loro sentimenti, alle loro
richieste. Se il governo vuole davvero il bene della nazione deve
affrontare i problemi dalle fondamenta. Cambiare il Primo Ministro o
qualche nome nell’esecutivo non basta”. Ai governanti, conclude il
prelato, “dico di fare tesoro delle parole del papa che esorta a non
nuocere ai giovani che hanno diritto di lavorare, vivere una vita
serena, pensare al futuro”.