By Asia News
Rebwar Audish Basa*
Rebwar Audish Basa*
P. Ragheed Ganni è “l’emblema della persecuzione anti-cristiana
nel nuovo Iraq”. Una spirale di violenza iniziata con l’invasione
statunitense nel 2003 e che è culminata nell’ascesa dello Stato
islamico. È quanto scrive il sacerdote irakeno p. Rebwar Basa, amico
personale del parrocco di Mosul massacrato
- insieme a tre diaconi - nel giugno 2007 da un commando estremista
islamico. Di recente p. Basa, che svolge la propria missione sacerdotale
a Roma, ha accompagnato i parenti di p. Ragheed a Dublino, in Irlanda,
dove hanno incontrato papa Francesco in occasione del raduno mondiale delle famiglie.
Durante il breve colloquio, il pontefice ha elogiato la scelta
coraggiosa dei familiari di p. Ragheed di scegliere “il perdono e la riconciliazione, piuttosto
che l’odio e il rancore”. Essi hanno visto, ha aggiunto il papa, “che il
male si può contrastare solo col bene e l’odio superare solo col
perdono. In modo quasi incredibile, sono stati capaci di trovare pace
nell’amore di Cristo, un amore che fa nuove tutte le cose”.
Un amore che si spinge fino al martirio, ricorda p. Basa, e che
indica una volta di più che la convivenza fra cristiani e musulmani si
deve basare sui diritti umani e sulla libertà religiosa. “Questo -
conclude il sacerdote - è l’insegnamento dei martiri che hanno vissuto e
hanno dato la loro vita per la loro fede, come il servo di Dio p.
Ragheed e i suoi tre compagni suddiaconi”.
Di seguito, il ricordo di p. Rageed che il sacerdote e amico p. Basa ha affidato ad AsiaNews:
Di seguito, il ricordo di p. Rageed che il sacerdote e amico p. Basa ha affidato ad AsiaNews:
La figura di p. Ragheed Aziz Ganni rappresenta l’emblema della
persecuzione anti-cristiana nel nuovo Iraq. In seguito all’invasione
statunitense del 2003, p. Ragheed è stato il primo sacerdote cattolico
ucciso dai terroristi musulmani insieme a tre giovani suddiaconi
(Waheed, Bassman e Ghassan) a Mosul il 3 giugno 2007. Prima di lui, l’11
ottobre 2005, era stato ucciso un suo amico sacerdote della Chiesa
siro-ortodossa: p. Paulos Eskander.
Con la storia di questi primi martiri del terzo millennio comincia la
feroce ondata della persecuzione, che culmina con l’invasione dello
Stato islamico (SI, ex Isis) protagonista di un vero e proprio genocidio
contro le minoranze religiose irakene. Come è necessario conoscere la
splendida testimonianza del santo sacerdote Massimiliano Maria Kolbe
nella tenebrosa storia del nazismo ad Auschwitz, così è necessario
conoscere la splendida testimonianza di p. Ragheed nella tenebrosa
storia di al Qaeda e Daesh [acronimo arabo per l’Isis] a Mosul e nella
piana di Ninive.
L’importanza della testimonianza di p. Ragheed supera i confini
dell’Iraq. Perché egli e i suoi tre compagni martiri sono testimoni di
Cristo, e quindi esempio per tutti i cristiani. Oggi la chiesa li
riconosce come servi di Dio e il processo della loro beatificazione è
ufficialmente cominciato.
P. Ragheed ha vissuto per cinque anni il martirio quotidiano per le
continue minacce e intimidazione che riceveva e i ripetuti attacchi
contro parrocchia e parrocchiani. Ed è stato ucciso in modo barbaro dai
terroristi musulmani, perché si era rifiutato di chiudere le porte della
parrocchia. Un martirio divenuto oggi ancor più drammatico: nel recente
articolo “I cristiani irakeni, confusi fra sopravvivenza e migrazione”,
il patriarca caldeo card. Louis Raphael Sako ha dato numeri e
statistiche precisi, che rispecchiano questo martirio quotidiano.
Due cose non dimentico di p. Ragheed. Il primo è il suo insegnamento.
È stato mio professore di teologia ecumenica a Baghdad nel 2004. Lo
ricordo come un giovane docente competente, convinto di quello che
insegnava e sempre sorridente. Il suo atteggiamento sull’ecumenismo,
l’ha confermato con il suo sangue versato per Cristo. Perciò egli è un
grande esempio dell’ecumenismo del sangue.
Un altro ricordo importante per me è la sua partecipazione alla mia
ordinazione sacerdotale a Mosul il 10 settembre 2004. Pensando a come
egli abbia vissuto il suo sacerdozio con gioia, coraggio, fede e amore,
in una situazione che lui stesso descriveva come “peggio dell’inferno”,
il suo esempio è fonte di incoraggiamento e consolazione.
Oggi il ritorno dei cristiani a Mosul, dopo la tragedia dell’Isis,
rappresenta il ritorno alle radici bibliche e cristiane, alla terra del
profeta Giona. La continuazione della nostra presenza è anche un atto di
fedeltà verso i cristiani che hanno versato il loro sangue per la fede
in quella terra in questi duemila anni. In particolare p. Paulos
Eskander, il vescovo Paulos Faraj Rahho, i tre compagni martiri Faris,
Rami e Samir, e p. Ragheed Ganni con i suoi tre diaconi.
Il loro insegnamento è basilare: il diritto di vivere e praticare la
propria fede in piena libertà. È inutile, per non dire ridicolo, parlare
del dialogo interreligioso mentre non c’è la libertà religiosa e il
riconoscimento dei diritti umani. Se le fondamenta non ci sono, pur
costruendo il tutto è destinato a crollare con un semplice colpo di
vento. La distruzione di Mosul con l’invasione dell’Isis ne è un esempio
concreto. Quando non c’è una cultura di convivenza bastata sui diritti
umani, la libertà religiosa, l’onesta e il rispetto reciproco, tutto
crolla investendo tutti.
Per un vero e autentico dialogo dobbiamo partire dalle esperienze
concrete, altrimenti rischia di rimanere teoria. Perciò non bastano gli
slogan e le conferenze per garantire una vera convivenza fra i cristiani
e i musulmani. La garanzia è il pieno riconoscimento della libertà
religiosa. Purtroppo, questa libertà manca nei Paesi a maggioranza
musulmana, e manca persino ai musulmani stessi
Vorrei pertanto fare un appello finale a chi si occupa del dialogo
fra cristiani i musulmani: per favore, mettete al centro come pilastro
fondamentale la libertà religiosa. E se qualcuno rifiuta di riconoscere i
diritti umani e la libertà in tutte le sue forme, non crede nel
dialogo; egli non è degno di entrare nel dialogo, perché è ipocrita. E
chi si adatta a questo tipo di ideologia che ignora i diritti umani e la
libertà, contribuisce a creare terreno fertile per l’estremismo e il
terrorismo.
Questo, a mio avviso, è l’insegnamento dei martiri che hanno vissuto e
hanno dato la loro vita per la loro fede, come il servo di Dio p.
Ragheed e i suoi tre compagni suddiaconi.
* Sacerdote caldeo irakeno