By Fides
Un appello a pregare per i manifestanti uccisi e per “quelli oppressi e privati dei più elementari diritti umani” è stato diffuso nelle ultime ore da Habib al Naufali, Arcivescovo caldeo di Bassora auspicando che il governo di Baghdad si attenga a criteri morali nello svolgere il proprio compito, prendendo atto della "profonda ingiustizia” che ha alimentato le sollevazioni popolari.
La rivolta, esplosa nella seconda città irachena per numero di abitanti (più di due milioni, dei quali più del 90 per cento musulmani sciiti) ha visto nei giorni scorsi anche l'assalto dei dimostranti ai palazzi governativi, alla tv di Stato Al-Iraqiya, e al consolato iraniano e alle sedi dei partiti di governo e di opposizione.
L'Arcivescovo caldeo fa riferimento al momento drammatico attraversato dalla metropoli dell'estremo sud iracheno, e si sofferma sulle cause sociali che hanno fatto scattare la rivolta, descritta da molti osservatori con i tratti della guerra civile. “Alle messe di ieri” racconta tra l'altro l'Arcivescovo “la metà dei posti tradizionalmente occupati dai fedeli erano vuoti, perché le persone non potevano raggiungere la chiesa per la chiusura delle strade circostanti”, in una città devastata dagli attacchi ai palazzi del potere e dagli interventi repressivi delle forse armate. Ciò - aggiunge l'Arcivescovo caldeo - non ha impedito anche a fratelli e sorelle musulmani di raggiungere la nostra chiesa per chiedere anche loro la misericordia e l'aiuto di Dio davanti a quello che sta accadendo”. Habib al Naufali definisce “disastro umanitario, sociale e culturale” quello in atto nel capoluogo della provincia potenzialmente più ricca dell'Iraq: "Quando senti che accade a Bassora” sottolinea l'Arcivescovo caldeo “senti vergogna come essere umano”.
La rivolta, cominciata a luglio, è riesplosa ora più forte come effetto dello stato di abbandono e delle condizioni di vita insostenibili in cui si trova gran parte della popolazione, alle prese anche con carenze di approvvigionamento idrico e elettrico, in una delle aree più calde del mondo. La città, circondata dai maggiori giacimenti petroliferi nazionali, è travolta da un livello di disoccupazione più alto che nel resto del Paese. I dimostranti chiedono anche che una parte delle entrate dovute al petrolio siano riservate dal governo centrale alla provincia di Bassora, in maniera analoga a quello che avviene già nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno.La rivolta, pur sostenuta da settori della popolazione sciita, ha assunto anche una connotazione anti-iraniana, con il governo di Teheran accusato di condizionare e pilotare le scelte della leadership politica irachena.
Un appello a pregare per i manifestanti uccisi e per “quelli oppressi e privati dei più elementari diritti umani” è stato diffuso nelle ultime ore da Habib al Naufali, Arcivescovo caldeo di Bassora auspicando che il governo di Baghdad si attenga a criteri morali nello svolgere il proprio compito, prendendo atto della "profonda ingiustizia” che ha alimentato le sollevazioni popolari.
La rivolta, esplosa nella seconda città irachena per numero di abitanti (più di due milioni, dei quali più del 90 per cento musulmani sciiti) ha visto nei giorni scorsi anche l'assalto dei dimostranti ai palazzi governativi, alla tv di Stato Al-Iraqiya, e al consolato iraniano e alle sedi dei partiti di governo e di opposizione.
L'Arcivescovo caldeo fa riferimento al momento drammatico attraversato dalla metropoli dell'estremo sud iracheno, e si sofferma sulle cause sociali che hanno fatto scattare la rivolta, descritta da molti osservatori con i tratti della guerra civile. “Alle messe di ieri” racconta tra l'altro l'Arcivescovo “la metà dei posti tradizionalmente occupati dai fedeli erano vuoti, perché le persone non potevano raggiungere la chiesa per la chiusura delle strade circostanti”, in una città devastata dagli attacchi ai palazzi del potere e dagli interventi repressivi delle forse armate. Ciò - aggiunge l'Arcivescovo caldeo - non ha impedito anche a fratelli e sorelle musulmani di raggiungere la nostra chiesa per chiedere anche loro la misericordia e l'aiuto di Dio davanti a quello che sta accadendo”. Habib al Naufali definisce “disastro umanitario, sociale e culturale” quello in atto nel capoluogo della provincia potenzialmente più ricca dell'Iraq: "Quando senti che accade a Bassora” sottolinea l'Arcivescovo caldeo “senti vergogna come essere umano”.
La rivolta, cominciata a luglio, è riesplosa ora più forte come effetto dello stato di abbandono e delle condizioni di vita insostenibili in cui si trova gran parte della popolazione, alle prese anche con carenze di approvvigionamento idrico e elettrico, in una delle aree più calde del mondo. La città, circondata dai maggiori giacimenti petroliferi nazionali, è travolta da un livello di disoccupazione più alto che nel resto del Paese. I dimostranti chiedono anche che una parte delle entrate dovute al petrolio siano riservate dal governo centrale alla provincia di Bassora, in maniera analoga a quello che avviene già nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno.La rivolta, pur sostenuta da settori della popolazione sciita, ha assunto anche una connotazione anti-iraniana, con il governo di Teheran accusato di condizionare e pilotare le scelte della leadership politica irachena.