By AgenSIR
“L’ascolto è un arte. Chiediamo a questo Sinodo di imparare ad ascoltare
gli altri e gli altri ora sono i giovani. Oggi è più importante
ascoltare”.
È la voce di un giovane seminarista iracheno che studia a Roma, Youhanan Zaytouna, 24 anni. È uno dei 305 partecipanti alla riunione pre-sinodale che si sta svolgendo in questi giorni in Vaticano (fino al 24 marzo) in vista del Sinodo sui giovani di ottobre. Il giovane porta la voce della sua terra.
“È molto difficile dire ai nostri giovani, alle nostre famiglie, non andate via. Perché io non posso essere sicuro che se qualcuno decide di rimanere, non venga ucciso. E in un contesto così, mi chiedo: dove è il futuro dei giovani che vivono in Iraq? Il problema è la sicurezza e alla mancanza di sicurezza si aggiunge anche la difficoltà di trovare un lavoro, l’impossibilità di mantenere una famiglia, di poter vivere. Se l’Iraq ridiventa terra sicura, se l’Occidente aiuta l’Iraq in questo processo, senza derubarci delle nostre ricchezze, la gente può tornare perché tutti vogliono tornare. All’estero stanno soffrendo tanto ma almeno hanno la certezza di non essere uccisi con una pallottola o una coltellata”.
È la voce di un giovane seminarista iracheno che studia a Roma, Youhanan Zaytouna, 24 anni. È uno dei 305 partecipanti alla riunione pre-sinodale che si sta svolgendo in questi giorni in Vaticano (fino al 24 marzo) in vista del Sinodo sui giovani di ottobre. Il giovane porta la voce della sua terra.
“È molto difficile dire ai nostri giovani, alle nostre famiglie, non andate via. Perché io non posso essere sicuro che se qualcuno decide di rimanere, non venga ucciso. E in un contesto così, mi chiedo: dove è il futuro dei giovani che vivono in Iraq? Il problema è la sicurezza e alla mancanza di sicurezza si aggiunge anche la difficoltà di trovare un lavoro, l’impossibilità di mantenere una famiglia, di poter vivere. Se l’Iraq ridiventa terra sicura, se l’Occidente aiuta l’Iraq in questo processo, senza derubarci delle nostre ricchezze, la gente può tornare perché tutti vogliono tornare. All’estero stanno soffrendo tanto ma almeno hanno la certezza di non essere uccisi con una pallottola o una coltellata”.