By Radiovaticana
I civili siriani stremati, affamati e uccisi sovente barbaramente ogni giorno, in balia di un conflitto endemico che si protrae da quasi cinque anni tra milizie governative e filogovernative e svariati gruppi ribelli, tra cui spiccano i jihadisti dell’Is. Ultimo dramma il massacro compiuto ieri nei sobborghi della città di Deir ez-Zor, importante polo petrolifero siriano: 300 i morti, tra cui 150 decapitati ed altri crocifissi, e 400 ostaggi rapiti. E mentre le operazioni militari internazionali non trovano unità d’intenti, la diplomazia segna il passo in attesa della riunione di fine gennaio a Ginevra tra delegazioni di governo e opposizioni. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei, presidente della Caritas siriana:
Possiamo dire che oggi in Siria la prima cosa e la più terribile sia questa logica della violenza, legittimata da ogni gruppo. E penso anche ci sia tanta gente che voglia continuare questa violenza, soprattutto adesso in vista del 28 gennaio quando ci sarà l’incontro di Ginevra. Penso che sia per loro un’occasione per far montare la violenza e dire così che non c’è alcuna una soluzione politica al problema, ma che si deve continuare a fare la guerra e attuare la logica della violenza. Se non ci sarà una autorità a livello internazionale capace di mettere fine a questa violenza, penso che le cose continueranno come prima.
Mons. Audo, come giudica le azioni condotte finora dalla comunità internazionale per riportare la pace in Siria? Che cosa è mancato?
Penso che, a livello internazionale, siano tanti gli interessi di quelle nazioni impegnate in questo conflitto. Parlano di pace, ma nella realtà ci sono interessi economici ad alto livello, ci sono interessi per vendere armi… Così si continua la guerra! Penso che non ci sia una vera determinazione nel voler arrivare alla pace, questa è la nostra impressone dall’interno della Siria. Come credenti, come cristiani, preghiamo e facciamo di tutto per resistere, per incoraggiare uno spirito di riconciliazione e di pace. Ma da cinque anni le cose sono terribili per noi…
A questo punto, lei non crede più ad una soluzione che arrivi dall’interno del Paese?
Sì, ma con un sostegno a livello internazionale e regionale. Penso che questa lotta, anche quella fra sunniti e sciti a livello regionale, abbia tanti interessi sia da parte dell’Arabia Saudita e della Turchia, sia anche da parte dell’Iran. Nella regione si fa sì che ciascuno cerchi i propri interessi, sostenuti a livello internazionale.
Nei giorni scorsi, si è parlato in sede di Consiglio di Sicurezza dell’Onu della situazione umanitaria in Siria e sono stati fatti appelli per raccogliere una grande cifra – 8 miliardi dollari – per aiutare, si è detto, oltre 20 milioni di siriani in gravissime difficoltà dentro e fuori il Paese. Ma, viene da pensare che i tempi siano davvero stretti se la gente muore, anche barbaramente, ogni giorno…
Ci sono due realtà: quella della violenza e quella dell’insicurezza, la ragione per cui non si riesce ad avere una vita, un lavoro… Per questa ragione, tutta la gente è divenuta povera, soprattutto coloro che vivono all’interno della Siria. Un ingegnere importante, con grandi responsabilità, mi ha chiesto se – come presidente di Caritas Siria – avessi potuto fornire un "basket-food" per 200 famiglie di ingegneri di Aleppo che non ce la fanno a vivere, perché non hanno più alcun mezzo, non hanno lavoro, non hanno soldi… E se gli ingegneri non riescono più a vivere, che cosa dire delle povere famiglie senza formazione e senza mezzi? Ed è così in tutta la Siria.
Per quanto riguarda, invece, i cristiani sappiamo naturalmente che sono stati tra i più colpiti e che gran parte sono fuggiti…
In un certo senso, noi cristiani siamo come tutti gli altri: abbiamo gli stessi problemi di sicurezza e di lavoro. Ma, in secondo luogo, questi gruppi armati possono attaccare i cristiani perché sono senza alcuna difesa. Questo aiuta a far sì che questi gruppi fanatici realizzino una vittoria importante a livello interno, a livello regionale. Il secondo problema è che i cristiani rappresentano una formazione libera a livello internazionale e riuscire a far partire i cristiani rappresenta una vittoria per questi gruppi armati, proprio perché così pongono fine ad una resistenza di moralità, a una convivenza insieme, a un accettare la differenza. Non sono numerosi i cristiani ed è quindi molto facile fare qualsiasi cosa per farli partire dal Paese.
I civili siriani stremati, affamati e uccisi sovente barbaramente ogni giorno, in balia di un conflitto endemico che si protrae da quasi cinque anni tra milizie governative e filogovernative e svariati gruppi ribelli, tra cui spiccano i jihadisti dell’Is. Ultimo dramma il massacro compiuto ieri nei sobborghi della città di Deir ez-Zor, importante polo petrolifero siriano: 300 i morti, tra cui 150 decapitati ed altri crocifissi, e 400 ostaggi rapiti. E mentre le operazioni militari internazionali non trovano unità d’intenti, la diplomazia segna il passo in attesa della riunione di fine gennaio a Ginevra tra delegazioni di governo e opposizioni. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei, presidente della Caritas siriana:
Possiamo dire che oggi in Siria la prima cosa e la più terribile sia questa logica della violenza, legittimata da ogni gruppo. E penso anche ci sia tanta gente che voglia continuare questa violenza, soprattutto adesso in vista del 28 gennaio quando ci sarà l’incontro di Ginevra. Penso che sia per loro un’occasione per far montare la violenza e dire così che non c’è alcuna una soluzione politica al problema, ma che si deve continuare a fare la guerra e attuare la logica della violenza. Se non ci sarà una autorità a livello internazionale capace di mettere fine a questa violenza, penso che le cose continueranno come prima.
Mons. Audo, come giudica le azioni condotte finora dalla comunità internazionale per riportare la pace in Siria? Che cosa è mancato?
Penso che, a livello internazionale, siano tanti gli interessi di quelle nazioni impegnate in questo conflitto. Parlano di pace, ma nella realtà ci sono interessi economici ad alto livello, ci sono interessi per vendere armi… Così si continua la guerra! Penso che non ci sia una vera determinazione nel voler arrivare alla pace, questa è la nostra impressone dall’interno della Siria. Come credenti, come cristiani, preghiamo e facciamo di tutto per resistere, per incoraggiare uno spirito di riconciliazione e di pace. Ma da cinque anni le cose sono terribili per noi…
A questo punto, lei non crede più ad una soluzione che arrivi dall’interno del Paese?
Sì, ma con un sostegno a livello internazionale e regionale. Penso che questa lotta, anche quella fra sunniti e sciti a livello regionale, abbia tanti interessi sia da parte dell’Arabia Saudita e della Turchia, sia anche da parte dell’Iran. Nella regione si fa sì che ciascuno cerchi i propri interessi, sostenuti a livello internazionale.
Nei giorni scorsi, si è parlato in sede di Consiglio di Sicurezza dell’Onu della situazione umanitaria in Siria e sono stati fatti appelli per raccogliere una grande cifra – 8 miliardi dollari – per aiutare, si è detto, oltre 20 milioni di siriani in gravissime difficoltà dentro e fuori il Paese. Ma, viene da pensare che i tempi siano davvero stretti se la gente muore, anche barbaramente, ogni giorno…
Ci sono due realtà: quella della violenza e quella dell’insicurezza, la ragione per cui non si riesce ad avere una vita, un lavoro… Per questa ragione, tutta la gente è divenuta povera, soprattutto coloro che vivono all’interno della Siria. Un ingegnere importante, con grandi responsabilità, mi ha chiesto se – come presidente di Caritas Siria – avessi potuto fornire un "basket-food" per 200 famiglie di ingegneri di Aleppo che non ce la fanno a vivere, perché non hanno più alcun mezzo, non hanno lavoro, non hanno soldi… E se gli ingegneri non riescono più a vivere, che cosa dire delle povere famiglie senza formazione e senza mezzi? Ed è così in tutta la Siria.
Per quanto riguarda, invece, i cristiani sappiamo naturalmente che sono stati tra i più colpiti e che gran parte sono fuggiti…
In un certo senso, noi cristiani siamo come tutti gli altri: abbiamo gli stessi problemi di sicurezza e di lavoro. Ma, in secondo luogo, questi gruppi armati possono attaccare i cristiani perché sono senza alcuna difesa. Questo aiuta a far sì che questi gruppi fanatici realizzino una vittoria importante a livello interno, a livello regionale. Il secondo problema è che i cristiani rappresentano una formazione libera a livello internazionale e riuscire a far partire i cristiani rappresenta una vittoria per questi gruppi armati, proprio perché così pongono fine ad una resistenza di moralità, a una convivenza insieme, a un accettare la differenza. Non sono numerosi i cristiani ed è quindi molto facile fare qualsiasi cosa per farli partire dal Paese.