By Aiuto alla Chiesa che Soffre
«Il nostro incubo, la nostra più grande angoscia è che in Iraq e in Siria possa accadere quanto avvenuto in Turchia, dove non possiamo quasi più parlare di una presenza cristiana».
Esprime tutta la sua preoccupazione il Patriarca siro-cattolico Ignace Youssif III Younan, durante la conferenza stampa organizzata questa mattina da Aiuto alla Chiesa che Soffre presso l’Associazione stampa estera.
«Il nostro incubo, la nostra più grande angoscia è che in Iraq e in Siria possa accadere quanto avvenuto in Turchia, dove non possiamo quasi più parlare di una presenza cristiana».
Esprime tutta la sua preoccupazione il Patriarca siro-cattolico Ignace Youssif III Younan, durante la conferenza stampa organizzata questa mattina da Aiuto alla Chiesa che Soffre presso l’Associazione stampa estera.
Il prelato siriaco denuncia il dramma dei tanti siriani che oggi muoiono per mancanza di cibo e assistenza medica, notando come «il popolo paghi il prezzo più alto del conflitto».Il Patriarca ricorda quanti cristiani abbiano già lasciato la Siria e l’Iraq e parla con emozione di Qaraqosh, l’enclave cristiana della Piana di Ninive oggi in mano allo Stato Islamico, fino al 2014 abitata principalmente da siro-cattolici.
«Anche in Siria il numero di cristiani è diminuito drasticamente. Negli anni ’50 eravamo circa il 19% ed ora appena il 5%. Molti hanno già lasciato il paese e tanti altri continuano a partire rischiando la morte in mare».
A proposito delle tante tragedie avvenute nel Mar Mediterraneo, il Patriarca Younan ha auspicato la realizzazione di corridoi umanitari e denunciato una cattiva gestione del fenomeno migratorio. «Molti dei profughi siriani erano in Turchia già da tre anni, si doveva programmare meglio la loro emigrazione. Non si deve abbandonare questa gente, servono nuove e più giuste soluzioni».Il prelato esprime profonda gratitudine per tutte le realtà caritative occidentali «che come Aiuto alla Chiesa che Soffre hanno sostenuto e sostengono il nostro popolo. Invito tutti a continuare ad aiutarci attraverso queste istituzioni». Tuttavia il Patriarca Younan accusa i paesi occidentali di aver anteposto i propri interessi geopolitici alla sorte dei cristiani mediorientali. «Ormai anche nei media non si parla quasi più di noi – ha affermato – e mi ferisce profondamente l’indifferenza per la sorte di tanti innocenti».Interrogato su quale possa essere una possibile soluzione militare, il Patriarca siro-cattolico ha risposto che «i bombardamenti aerei per mezzo di droni non sono sufficienti. Se davvero si vuole distruggere Daesh serve un’azione di terra coordinata con gli eserciti nazionali di Siria e Iraq». Il Patriarca preferisce utilizzare l’acronimo arabo con cui è noto lo Stato Islamico e rifiuta espressamente di utilizzare il nome Isis. «È un nome che ricorda un fiore delicato e non può essere usato per dei barbari che uccidono, violentano, schiavizzano e rapiscono donne e bambini». Il prelato ha inoltre notato come l’intervento della Federazione Russa abbia avuto effetti positivi sulle condizioni della popolazione.Younan si rivolge quindi alla comunità islamica e in particolar modo ai leader religiosi musulmani, affinché giunga una chiara ed inequivocabile condanna dei crimini compiuti dagli uomini del Califfato. «Non possono limitarsi a dire che è peccato uccidere i loro fratelli musulmani. Devono condannare anche chi uccide i cristiani e gli appartenenti alle altre minoranze religiose in nome dell’Islam. Ma purtroppo nessuno si è ancora espresso chiaramente in tal senso».
«Anche in Siria il numero di cristiani è diminuito drasticamente. Negli anni ’50 eravamo circa il 19% ed ora appena il 5%. Molti hanno già lasciato il paese e tanti altri continuano a partire rischiando la morte in mare».
A proposito delle tante tragedie avvenute nel Mar Mediterraneo, il Patriarca Younan ha auspicato la realizzazione di corridoi umanitari e denunciato una cattiva gestione del fenomeno migratorio. «Molti dei profughi siriani erano in Turchia già da tre anni, si doveva programmare meglio la loro emigrazione. Non si deve abbandonare questa gente, servono nuove e più giuste soluzioni».Il prelato esprime profonda gratitudine per tutte le realtà caritative occidentali «che come Aiuto alla Chiesa che Soffre hanno sostenuto e sostengono il nostro popolo. Invito tutti a continuare ad aiutarci attraverso queste istituzioni». Tuttavia il Patriarca Younan accusa i paesi occidentali di aver anteposto i propri interessi geopolitici alla sorte dei cristiani mediorientali. «Ormai anche nei media non si parla quasi più di noi – ha affermato – e mi ferisce profondamente l’indifferenza per la sorte di tanti innocenti».Interrogato su quale possa essere una possibile soluzione militare, il Patriarca siro-cattolico ha risposto che «i bombardamenti aerei per mezzo di droni non sono sufficienti. Se davvero si vuole distruggere Daesh serve un’azione di terra coordinata con gli eserciti nazionali di Siria e Iraq». Il Patriarca preferisce utilizzare l’acronimo arabo con cui è noto lo Stato Islamico e rifiuta espressamente di utilizzare il nome Isis. «È un nome che ricorda un fiore delicato e non può essere usato per dei barbari che uccidono, violentano, schiavizzano e rapiscono donne e bambini». Il prelato ha inoltre notato come l’intervento della Federazione Russa abbia avuto effetti positivi sulle condizioni della popolazione.Younan si rivolge quindi alla comunità islamica e in particolar modo ai leader religiosi musulmani, affinché giunga una chiara ed inequivocabile condanna dei crimini compiuti dagli uomini del Califfato. «Non possono limitarsi a dire che è peccato uccidere i loro fratelli musulmani. Devono condannare anche chi uccide i cristiani e gli appartenenti alle altre minoranze religiose in nome dell’Islam. Ma purtroppo nessuno si è ancora espresso chiaramente in tal senso».
Dall’inizio della crisi in Siria nel marzo del 2011, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha realizzato progetti a sostegno della popolazione siriana per un totale di oltre 10milioni e 380mila euro. Di questi, 6milioni e 200mila euro (circa il 60% del totale) sono stati donati nel solo 2015, con particolare attenzione alle città maggiormente colpite dalla guerra, come Homs, Aleppo e Damasco.