By Avvenire
Laura Silvia Battaglia
Laura Silvia Battaglia
La Chiesa di Mar Toma appare così, come un luogo di vita e di preghiera
a cui sia stata tolta licenza di esistere, a partire da un giorno
qualunque degli anni Novanta. Il gesto della Vergine che solleva la
mano benedicente è cristallizzato sotto coltri di polvere color sabbia;
il guano protegge l’altare dal penetrare della luce attraverso le
bifore. Rimane un ostensorio a tentare il brillio, tra i raggi della
luce obliqua del tramonto mediorientale, che arriva sempre troppo
presto. Ma la prima volta che Bassam Alwachi ci entrò fu per tornarci
più volte, col permesso del vescovo, del cardinale della diocesi
caldeo-cattolica e poi del sindaco e del governatore di Bassora. Una
trafila che è durata un anno. Ma che adesso avrà un senso: le autorità
irachene hanno acconsentito che questo luogo di culto, non
particolarmente pregiato, ma storico, venga restaurato.
«Il problema – dice Bassam, ventenne cristiano iracheno impegnato da anni con alcune ong, tra cui “Pax”, nel territorio del Sud dell’Iraq – è come restaurarla. Non è un gran momento per il Paese, per via delle spese che l’esercito affronta nel contrasto a Daesh, ma qui a Bassora la sensibilità per il patrimonio culturale è aumentata». Così Bassam e i suoi colleghi, quasi tutti aderenti all’associazione “Pax” e “ambasciatori della cittadinanza”, per un progetto di sensibilizzazione sul tema, decidono di produrre un breve documentario su Mar Toma. «Vogliamo raccogliere del denaro per restaurarla, anche tramite fondazioni straniere o con l’aiuto della Chiesa Cattolica. L’obiettivo per noi è dare un segno tangibile della coesistenza culturale, etnica e religiosa in Iraq, in un momento in cui il settarismo è imperante, i cristiani e altre minoranze vengono messe all’angolo e il Daesh distrugge il nostro patrimonio culturale».
La prima prova tecnica di coesistenza si fa in piazza. A Bassora, la cosiddetta città vecchia (una sorta di piccola Venezia formata da palazzi sfregiati dall’acqua putrida e petrolifera dei canali semi-diruti) da quattro anni è diventata, faticosamente, un luogo dove le associazioni territoriali tentano l’appropriazione civica. Ogni tanto si svolgono convegni della società civile irachena, piccole mostre di pittura. Ma, soprattutto, il giovedì sera, tempo dello struscio e della pseudo movida da paesotto che ha il sogno economico in testa, accade sempre qualcosa. Di solito, il mercato dei libri che scimmiotta il ben più famoso mercato gemello di Baghdad, nel quartiere di Muthanabbi, la famosa via dei caffè e della letteratura che sembra l’ombra di se stessa se paragonata agli anni Settanta e Ottanta. Ma, nonostante ne sia una copia, l’atmosfera è quasi la stessa: sedie di plastica piazzate sull’erba davanti a un proiettore, in attesa di vedere il piccolo documentario sulla chiesa di Mar Toma e centinaia di ragazzi e ragazze che sfogliano libri e, tra un libro e l’altro, si parlano, in cerca di fidanzamento.
A qualcuno è capitato, un paio di anni fa, di sposarsi tramite questi incontri, anche se non sempre i risultati sono stati positivi. È il caso di Mohammad Ibrahim, soprannome Zizi. Mohammad ha 23 anni e appartiene alla minoranza sabea e all’etnia Maidan, quella che negli anni Ottanta Saddam provvide a far fuori sistematicamente nel Sud del Paese. Sposato (galeotto fu un incontro con l’amica di una parente, qui in piazza) e divorziato, per incomprensioni con la famiglia dell’ex moglie che fece di tutto per fare naufragare questo matrimonio “misto”. Ma Zizi non demorde: «Sono membro dell’associazione Pax e credo in questi progetti concreti di coesistenza. Vedo in tutto l’Iraq tante persone attaccate a Mosul e Ramadi, yazidi perseguitati, donne vendute, e voglio che la gente viva in pace. Mi sento parte in causa: anche io sono parte di una minoranza e pretendo la protezione. Desidero rappresentare una èlite intellettuale che deve fare molto di più per far tornare questo Paese un luogo dove ci sia posto per tutti».
Zeinab Waleed, una gradevole ragazzona sunnita con lo sguardo puntuto, si dice «fiera di stare qui». Anche lei è “ambasciatore di cittadinanza” a Bassora, come Bassam, e il suo obiettivo è «la difesa del patrimonio artistico». Ma anche la protezione della diversità che lei chiama «colori» della società di Bassora. «Non dobbiamo più permettere – dice con forza – che gli orrori del passato prendano di nuovo corpo qui e possiamo farlo solo attraverso una cittadinanza attiva». Sia lei che Hassan Salam, giovanissimo sciita di Bassora, potrebbero fare scuola e doposcuola a molti europei annoiati, che danno per scontati i diritti acquisiti dall’esser nati nelle democrazie e dal godere di cittadinanze di serie A. Dice: «Anche se fai parte della maggioranza, non puoi rimanere indifferente di fronte a certe storture e ingiustizie. È tempo di esporsi in prima persona».
Ci pensa Bassam a sottolineare il cuore di questa iniziativa: «Quel che vogliamo far passare è il concetto di cittadinanza. Questo è un Paese dove ci sono passaggi della costituzione che non sono attivi e che penalizzano le minoranze. Speriamo che vengano attivate tutte le leggi nella loro integrità: solo così sarà possibile parlare di un vero diritto alla cittadinanza, identico per tutti».La mancanza di attivazione del principio di cittadinanza nella costituzione irachena è il punto sul quale si adoperano anche i religiosi cristiani. Habib Jajou, arcivescovo dell’arcidiocesi caldeo-cattolica di Bassora, lo spiega con estrema precisione, accogliendoci nella Cattedrale di Nostra Signora: «Le lobby irachene sono formate da musulmani. Noi lo sappiamo e anche la composizione del Parlamento parla da sola. Molti articoli della costituzione andrebbero cambiati e bisognerebbe abolire l’uso di introdurre la fede religiosa tra le informazioni presenti nella carta d’identità. Perché senza questi cambiamenti non c’è vera cittadinanza: la distanza tra il cittadino e il potere deve essere la stessa per tutti. Invece siamo cittadini di serie B; anzi i cristiani sono ormai cittadini di serie C, visto che i sunniti si lamentano di essere divenuti cittadini di serie B. Ma c’è bisogno di molto lavoro e della pressione internazionale per costringere il governo iracheno a modificare gli articoli della costituzione. Da anni sopportiamo un sistema secolare di disuguaglianza e ora un governo tecnocratico. Come Chiesa cerchiamo solo di aprire una porta e dare ai nostri fratelli una ragione in più per restare qui».
Il senso della segregazione della minoranza cristiana in Iraq è semplicemente nell’aria. Nel cortile e nel salone parrocchiale, solo una famiglia prepara i festoni per il battesimo di domani e una sola bambina si diverte a lanciare palloncini, ma sta bene attenta a non scaraventarli al di là dal muro, sulla strada militarizzata.
Gli altri fedeli son chiusi in casa: è sempre meglio non dare troppo nell’occhio.
«Il problema – dice Bassam, ventenne cristiano iracheno impegnato da anni con alcune ong, tra cui “Pax”, nel territorio del Sud dell’Iraq – è come restaurarla. Non è un gran momento per il Paese, per via delle spese che l’esercito affronta nel contrasto a Daesh, ma qui a Bassora la sensibilità per il patrimonio culturale è aumentata». Così Bassam e i suoi colleghi, quasi tutti aderenti all’associazione “Pax” e “ambasciatori della cittadinanza”, per un progetto di sensibilizzazione sul tema, decidono di produrre un breve documentario su Mar Toma. «Vogliamo raccogliere del denaro per restaurarla, anche tramite fondazioni straniere o con l’aiuto della Chiesa Cattolica. L’obiettivo per noi è dare un segno tangibile della coesistenza culturale, etnica e religiosa in Iraq, in un momento in cui il settarismo è imperante, i cristiani e altre minoranze vengono messe all’angolo e il Daesh distrugge il nostro patrimonio culturale».
La prima prova tecnica di coesistenza si fa in piazza. A Bassora, la cosiddetta città vecchia (una sorta di piccola Venezia formata da palazzi sfregiati dall’acqua putrida e petrolifera dei canali semi-diruti) da quattro anni è diventata, faticosamente, un luogo dove le associazioni territoriali tentano l’appropriazione civica. Ogni tanto si svolgono convegni della società civile irachena, piccole mostre di pittura. Ma, soprattutto, il giovedì sera, tempo dello struscio e della pseudo movida da paesotto che ha il sogno economico in testa, accade sempre qualcosa. Di solito, il mercato dei libri che scimmiotta il ben più famoso mercato gemello di Baghdad, nel quartiere di Muthanabbi, la famosa via dei caffè e della letteratura che sembra l’ombra di se stessa se paragonata agli anni Settanta e Ottanta. Ma, nonostante ne sia una copia, l’atmosfera è quasi la stessa: sedie di plastica piazzate sull’erba davanti a un proiettore, in attesa di vedere il piccolo documentario sulla chiesa di Mar Toma e centinaia di ragazzi e ragazze che sfogliano libri e, tra un libro e l’altro, si parlano, in cerca di fidanzamento.
A qualcuno è capitato, un paio di anni fa, di sposarsi tramite questi incontri, anche se non sempre i risultati sono stati positivi. È il caso di Mohammad Ibrahim, soprannome Zizi. Mohammad ha 23 anni e appartiene alla minoranza sabea e all’etnia Maidan, quella che negli anni Ottanta Saddam provvide a far fuori sistematicamente nel Sud del Paese. Sposato (galeotto fu un incontro con l’amica di una parente, qui in piazza) e divorziato, per incomprensioni con la famiglia dell’ex moglie che fece di tutto per fare naufragare questo matrimonio “misto”. Ma Zizi non demorde: «Sono membro dell’associazione Pax e credo in questi progetti concreti di coesistenza. Vedo in tutto l’Iraq tante persone attaccate a Mosul e Ramadi, yazidi perseguitati, donne vendute, e voglio che la gente viva in pace. Mi sento parte in causa: anche io sono parte di una minoranza e pretendo la protezione. Desidero rappresentare una èlite intellettuale che deve fare molto di più per far tornare questo Paese un luogo dove ci sia posto per tutti».
Zeinab Waleed, una gradevole ragazzona sunnita con lo sguardo puntuto, si dice «fiera di stare qui». Anche lei è “ambasciatore di cittadinanza” a Bassora, come Bassam, e il suo obiettivo è «la difesa del patrimonio artistico». Ma anche la protezione della diversità che lei chiama «colori» della società di Bassora. «Non dobbiamo più permettere – dice con forza – che gli orrori del passato prendano di nuovo corpo qui e possiamo farlo solo attraverso una cittadinanza attiva». Sia lei che Hassan Salam, giovanissimo sciita di Bassora, potrebbero fare scuola e doposcuola a molti europei annoiati, che danno per scontati i diritti acquisiti dall’esser nati nelle democrazie e dal godere di cittadinanze di serie A. Dice: «Anche se fai parte della maggioranza, non puoi rimanere indifferente di fronte a certe storture e ingiustizie. È tempo di esporsi in prima persona».
Ci pensa Bassam a sottolineare il cuore di questa iniziativa: «Quel che vogliamo far passare è il concetto di cittadinanza. Questo è un Paese dove ci sono passaggi della costituzione che non sono attivi e che penalizzano le minoranze. Speriamo che vengano attivate tutte le leggi nella loro integrità: solo così sarà possibile parlare di un vero diritto alla cittadinanza, identico per tutti».La mancanza di attivazione del principio di cittadinanza nella costituzione irachena è il punto sul quale si adoperano anche i religiosi cristiani. Habib Jajou, arcivescovo dell’arcidiocesi caldeo-cattolica di Bassora, lo spiega con estrema precisione, accogliendoci nella Cattedrale di Nostra Signora: «Le lobby irachene sono formate da musulmani. Noi lo sappiamo e anche la composizione del Parlamento parla da sola. Molti articoli della costituzione andrebbero cambiati e bisognerebbe abolire l’uso di introdurre la fede religiosa tra le informazioni presenti nella carta d’identità. Perché senza questi cambiamenti non c’è vera cittadinanza: la distanza tra il cittadino e il potere deve essere la stessa per tutti. Invece siamo cittadini di serie B; anzi i cristiani sono ormai cittadini di serie C, visto che i sunniti si lamentano di essere divenuti cittadini di serie B. Ma c’è bisogno di molto lavoro e della pressione internazionale per costringere il governo iracheno a modificare gli articoli della costituzione. Da anni sopportiamo un sistema secolare di disuguaglianza e ora un governo tecnocratico. Come Chiesa cerchiamo solo di aprire una porta e dare ai nostri fratelli una ragione in più per restare qui».
Il senso della segregazione della minoranza cristiana in Iraq è semplicemente nell’aria. Nel cortile e nel salone parrocchiale, solo una famiglia prepara i festoni per il battesimo di domani e una sola bambina si diverte a lanciare palloncini, ma sta bene attenta a non scaraventarli al di là dal muro, sulla strada militarizzata.
Gli altri fedeli son chiusi in casa: è sempre meglio non dare troppo nell’occhio.