By Radiovaticana
Una Università cattolica e una Porta Santa per milioni di profughi del Kurdistan. Sono i due doni che mons. Nunzio Galantino, segretario della Conferenza episcopale italiana, ha portato ai rifugiati iracheni scappati dalla Piana di Ninive a causa della violenza dei jihadisti. Oltre due milioni di euro derivanti dall'8 per mille sono serviti per l’inaugurazione dell’ateneo di Erbil, i cui primi corsi saranno di economia, lingue e informatica.
Invece nel piccolo villaggio di Enishke, al confine con la Turchia, mons Galantino insieme al parroco padre Samir Yousif e alla comunità yazida, ha aperto una Porta Santa avviando anche qui un cammino giubilare del tutto speciale.“Sono importanti segni di speranza”, racconta lo stesso padre Samir al microfono di Gabriella Ceraso:
Cominciare questa Università è stato un segnale di speranza. L’apertura poi è stata una gioia, una festa. Prima di tutto, per far lavorare i cristiani e i non cristiani all’interno, poi per farli studiare in un comune spazio di convivenza, al livello culturale. E questa per noi è una cosa grande.
Quindi dialogo culturale ma anche futuro dignitoso, perché questi giovani hanno visto il loro futuro cancellato?
Sì, veramente. Perché le università in Kurdistan erano quasi tutte piene. Ci sono tre milioni di profughi qui in Kurdistan. Abbiamo delle scuole che fanno quattro turni. Molti dicevano che era inutile studiare, perché non c’erano abbastanza università per aiutarli a finire i loro studi. Non c’era posto. Aprire allora questa Università significa dare futuro.
Lei ha parlato con questi ragazzi iracheni, cristiani e non, hanno voglia di andare avanti o hanno più paura di quello che sta succedendo?
Nonostante le difficoltà, le situazioni difficili, c’è questa voglia di andare avanti, di studiare. Oggi il mondo sta vivendo un momento difficile, un momento di paura. Allora non dobbiamo fermarci, la vita continua. E questa è la Porta della misericordia: aprire il cuore alla speranza, andare avanti. La croce è pesante, ma se noi portiamo la croce con fede, con speranza, la croce si può portare, altrimenti ci uccide. Stamattina, mentre uscivo di casa, guardavo questi bambini yazidi andare a scuola - la Chiesa ha trovato il modo per mandarceli, infatti – nonostante vivano in case abitate da cinque o sei famiglie. Questo è un segnale di vita.
So che lei ha voluto anche la presenza di mons. Galantino per aprire simbolicamente la Porta Santa di Enishke, proprio in questo Kurdistan iracheno così devastato. Perché ha voluto questa Porta e che cosa rappresenta per voi lì iniziare un Giubileo?
La Porta come dice Papa Francesco è simbolo: potrebbe essere cuore, potrebbe essere parola, vita, il nostro passato. Aprire questa Porta vuol dire aprire una via nuova. Enishke è un villaggio come quello di Betlemme ai tempi della nascita di Gesù. Venire, dunque, ed aprire qui questa Porta, significa dire che Gesù continua ad entrare nelle nostre vite, nelle nostre zone, nelle nostre Chiese, nelle nostre parrocchie, non solo dove c’è sempre la luce, ma anche dove ci sono zone dimenticate.
Il Papa ha detto anche che questo sarà un anno in cui crescere nella convinzione della misericordia. Per gli iracheni del Kurdistan, l’essere misericordiosi in questo momento è una prova dura, difficile, che cosa significa?
Sì, veramente, ci sono persone che sono state perseguitate, violentate, famiglie che hanno visto uccidere i loro figli. Misericordia vuol dire non fare come gli altri. Non è che noi dimentichiamo quello che ci hanno fatto, non è che noi possiamo parlare con loro senza problema, ma non proviamo odio dentro di noi. Possiamo perdonare, nel senso di aprire una pagina nuova. Preghiamo per loro. Oggi ci sono dei musulmani sunniti qui tra i profughi e mi hanno detto: “Padre, noi ci vergogniamo, perché vi abbiamo cacciato dalle vostre case; noi vi abbiamo fatto del male - non loro, ma la loro gente - invece voi come Chiesa ci avete raccolto, ci aiutate. Noi adesso capiamo cosa voglia dire l’amore nel Vangelo”.
Una Università cattolica e una Porta Santa per milioni di profughi del Kurdistan. Sono i due doni che mons. Nunzio Galantino, segretario della Conferenza episcopale italiana, ha portato ai rifugiati iracheni scappati dalla Piana di Ninive a causa della violenza dei jihadisti. Oltre due milioni di euro derivanti dall'8 per mille sono serviti per l’inaugurazione dell’ateneo di Erbil, i cui primi corsi saranno di economia, lingue e informatica.
Invece nel piccolo villaggio di Enishke, al confine con la Turchia, mons Galantino insieme al parroco padre Samir Yousif e alla comunità yazida, ha aperto una Porta Santa avviando anche qui un cammino giubilare del tutto speciale.“Sono importanti segni di speranza”, racconta lo stesso padre Samir al microfono di Gabriella Ceraso:
Cominciare questa Università è stato un segnale di speranza. L’apertura poi è stata una gioia, una festa. Prima di tutto, per far lavorare i cristiani e i non cristiani all’interno, poi per farli studiare in un comune spazio di convivenza, al livello culturale. E questa per noi è una cosa grande.
Quindi dialogo culturale ma anche futuro dignitoso, perché questi giovani hanno visto il loro futuro cancellato?
Sì, veramente. Perché le università in Kurdistan erano quasi tutte piene. Ci sono tre milioni di profughi qui in Kurdistan. Abbiamo delle scuole che fanno quattro turni. Molti dicevano che era inutile studiare, perché non c’erano abbastanza università per aiutarli a finire i loro studi. Non c’era posto. Aprire allora questa Università significa dare futuro.
Lei ha parlato con questi ragazzi iracheni, cristiani e non, hanno voglia di andare avanti o hanno più paura di quello che sta succedendo?
Nonostante le difficoltà, le situazioni difficili, c’è questa voglia di andare avanti, di studiare. Oggi il mondo sta vivendo un momento difficile, un momento di paura. Allora non dobbiamo fermarci, la vita continua. E questa è la Porta della misericordia: aprire il cuore alla speranza, andare avanti. La croce è pesante, ma se noi portiamo la croce con fede, con speranza, la croce si può portare, altrimenti ci uccide. Stamattina, mentre uscivo di casa, guardavo questi bambini yazidi andare a scuola - la Chiesa ha trovato il modo per mandarceli, infatti – nonostante vivano in case abitate da cinque o sei famiglie. Questo è un segnale di vita.
So che lei ha voluto anche la presenza di mons. Galantino per aprire simbolicamente la Porta Santa di Enishke, proprio in questo Kurdistan iracheno così devastato. Perché ha voluto questa Porta e che cosa rappresenta per voi lì iniziare un Giubileo?
La Porta come dice Papa Francesco è simbolo: potrebbe essere cuore, potrebbe essere parola, vita, il nostro passato. Aprire questa Porta vuol dire aprire una via nuova. Enishke è un villaggio come quello di Betlemme ai tempi della nascita di Gesù. Venire, dunque, ed aprire qui questa Porta, significa dire che Gesù continua ad entrare nelle nostre vite, nelle nostre zone, nelle nostre Chiese, nelle nostre parrocchie, non solo dove c’è sempre la luce, ma anche dove ci sono zone dimenticate.
Il Papa ha detto anche che questo sarà un anno in cui crescere nella convinzione della misericordia. Per gli iracheni del Kurdistan, l’essere misericordiosi in questo momento è una prova dura, difficile, che cosa significa?
Sì, veramente, ci sono persone che sono state perseguitate, violentate, famiglie che hanno visto uccidere i loro figli. Misericordia vuol dire non fare come gli altri. Non è che noi dimentichiamo quello che ci hanno fatto, non è che noi possiamo parlare con loro senza problema, ma non proviamo odio dentro di noi. Possiamo perdonare, nel senso di aprire una pagina nuova. Preghiamo per loro. Oggi ci sono dei musulmani sunniti qui tra i profughi e mi hanno detto: “Padre, noi ci vergogniamo, perché vi abbiamo cacciato dalle vostre case; noi vi abbiamo fatto del male - non loro, ma la loro gente - invece voi come Chiesa ci avete raccolto, ci aiutate. Noi adesso capiamo cosa voglia dire l’amore nel Vangelo”.