By Asia News
Bernardo Cervellera
L'islam curdo è stato sempre moderato e ha vissuto in pace con cristiani, yazidi, zoroastriani... Ma le pressioni fondamentaliste stanno scuotendo la convivenza. "Da noi non c'erano donne velate; adesso se ne vedono qua e là: sono pagate dall'Arabia saudita per portare il velo. Il fondamentalismo è figlio della povertà". La guerra sta risucchiando le risorse del Kurdistan e arricchisce la Turchia.
Bernardo Cervellera
L'islam curdo è stato sempre moderato e ha vissuto in pace con cristiani, yazidi, zoroastriani... Ma le pressioni fondamentaliste stanno scuotendo la convivenza. "Da noi non c'erano donne velate; adesso se ne vedono qua e là: sono pagate dall'Arabia saudita per portare il velo. Il fondamentalismo è figlio della povertà". La guerra sta risucchiando le risorse del Kurdistan e arricchisce la Turchia.
Komane
(AsiaNews) - L'attentato terrorista a Parigi, sta scatenando in Europa
il rifiuto della convivenza coi musulmani. Qui in Iraq - e più
precisamente in Kurdistan - si vedono le cose con più sfumature: c'è la
condanna della violenza settaria, ma vi sono anche spiragli di amicizia.
Verso sera mons. Rabban al-Qas, il vescovo di Duhok, ci accompagna a presentare le condoglianze a una famiglia musulmana, il cui parente è morto. Il vescovo conosce questa famiglia dagli anni '70, da quando questi musulmani curdi, perseguitati da Saddam Hussein, sono stati cacciati da Baghdad. Alcuni di loro hanno passato lunghi periodi in prigione. Mons. Rabban li ha accolti e aiutati a insediarsi nel villaggio dove vivono tuttora, costruendo anche le loro case. La loro gratitudine per il vescovo è grande e lo trattano come un membro della loro famiglia. I figli più giovani lo chiamano "mio zio vescovo".
Verso sera mons. Rabban al-Qas, il vescovo di Duhok, ci accompagna a presentare le condoglianze a una famiglia musulmana, il cui parente è morto. Il vescovo conosce questa famiglia dagli anni '70, da quando questi musulmani curdi, perseguitati da Saddam Hussein, sono stati cacciati da Baghdad. Alcuni di loro hanno passato lunghi periodi in prigione. Mons. Rabban li ha accolti e aiutati a insediarsi nel villaggio dove vivono tuttora, costruendo anche le loro case. La loro gratitudine per il vescovo è grande e lo trattano come un membro della loro famiglia. I figli più giovani lo chiamano "mio zio vescovo".
All'arrivo salutiamo il capo famiglia e i parenti stretti del morto,
un uomo anziano. Salutiamo anche alcune donne, che - a differenza di
quanto ci si possa aspettare nel mondo musulmano - ci stringono la mano
in segno di saluto.
Poi entriamo nella sala delle condoglianze: un salotto ampio con
cuscini tutt'attorno; gli ospiti seduti nella posizione del loto, una
stufa al centro. Alcuni di loro sono i capi del villaggio e portano il
caratteristico copricapo curdo, una kefiah bianca e nera avvolta attorno
alla testa. Si parla del più e del meno, dell'amicizia di mons. Rabban
con loro e della nostra con il vescovo; si ricordano i vecchi tempi e
poi la conversazione cade sul presente: sui profughi, sulla miseria,
sull'insicurezza della guerra, sullo Stato islamico (SI).
Il più vecchio, Hassan, il capofamiglia, dice di avere "vergogna ad
essere musulmano" perché l'SI (loro continuano a chiamarlo "Daesh",
l'acronimo arabo per "Isis, Stato islamico dell'Iraq e del Levante")
compie tutte queste violenze in nome dell'islam.
Uno dei figli di Hassan, che parla anche l'inglese, membro del
Partito curdo di Barzani, taglia corto: "Noi non vogliamo vivere con
l'Isis, non vogliamo vivere con gli arabi: da loro abbiamo avuto sempre
guai". Il riferimento non è solo all'SI, ma anche a Saddam Hussein che
dopo la prima guerra del Golfo, per mantenersi al potere, si è dato arie
da musulmano, pur essendo ateo, favorendo politiche di tipo
fondamentalista.
"Il nostro islam è non violento, è amico dei cristiani: guardi come
ci amiamo con il vescovo e con la sua comunità. Fra le persone che sono
venute oggi a offrirci le condoglianze, almeno metà sono cristiani".
Mons. Rabban mi spiega che l'islam curdo è stato sempre moderato e ha
vissuto in pace con cristiani, yazidi, zoroastriani,... Ma le pressioni
fondamentaliste stanno scuotendo la convivenza. Gli uomini seduti
attorno alla stanza parlano dell'influenza dell'Iran, della Turchia, ma
soprattutto dell'Arabia saudita. "Da noi non c'erano donne velate;
adesso se ne vedono qua e là: sono pagate dall'Arabia saudita per
portare il velo. Il fondamentalismo è figlio della povertà".
Naturalmente essi accusano l'Arabia saudita di finanziare l'islam
radicale dell'Isis, simile a quello saudita per crudeltà e fanatismo.
Anche la Turchia ha il suo peso. Qua e là nella zona di Duhok si
vedono moschee grandi e piccole che ricalcano il modello della Moschea
Blu di Istanbul, con una grossa cupola centrale e almeno due minareti
sottili come matite che si levano ai lati.
La Turchia ha interesse a sbriciolare l'Iraq perché in questo modo
risulta ancora più difficile uno Stato curdo, autonomo o addirittura
indipendente, che darebbe forza alla minoranza curda presente in Turchia
(circa 16 milioni). Nel timore di vedersi strappare la parte sud del
Paese, la Turchia aiuta l'Isis: permette loro di trovare rifugio al
confine; lascia che vi siano campi di addestramento; compra il loro
petrolio...
Allo stesso tempo, dato che la guerra sta risucchiando le risorse del
Kurdistan, la Turchia si arricchisce di tutto quanto il Kurdistan può
vendere. Con l'Iraq diviso in due dallo Stato islamico (il nord curdo,
il sud sciita e in mezzo Daesh), il commercio curdo può solo prendere la
strada dell'Iran e della Turchia, i due Paesi confinanti. Ci sarebbe
anche la Siria, ma essa annega nella guerra. Ogni giorno da Erbil
partono lunghe file di camion e autocisterne che portano petrolio,
kerosene, benzina, prodotti agricoli, verso Diyarbakir, nella zona
curda, nel sud-est della Turchia. Il governo curdo sta costruendo una
ampia autostrada che da Erbil porta fino a Zakkho, l'ultimo posto curdo
sulla frontiera che a causa della guerra sta diventando una grande
città con cantieri, negozi, banche.
Il membro del Partito curdo mi supplica: "Dica all'Italia di aiutarci
nel divenire autonomi o addirittura indipendenti. Con questi vicini
diventa impossibile la pace. L'Italia è stata fra le prime ad aiutarci
ai tempi di Saddam Hussein. Fate qualcosa per noi anche oggi".
Il fondamentalismo è anche figlio dell'ignoranza. Per questo il vero
modo di combatterlo è l'educazione. Mons. Rabban batte questa pista da
almeno 10 anni. Nel 2003 ha coinvolto Chiesa e governo in un progetto
per far nascere una scuola, la International School of Duhok, dove sono ospitati fino a 500 studenti, maschi e femmine insieme,
di tutte le religioni, cristiani e musulmani, dove si impara a
convivere e a non aver timore l'uno dell'altro. La scuola copre il
percorso dalle medie al liceo. I corsi, molto qualificati, sono tenuti
in inglese e francese. Questo permette ai giovani che escono da questa
scuola di concorrere per borse di studio all'estero. Molti ex studenti
sono ora nelle università di Gran Bretagna, Francia, Germania e Stati
Uniti.
Nella scuola si insegna la lingua curda, l'arabo e perfino l'antico
aramaico. Tutte le famiglie fanno a gara a inserire i loro figli perché
la scuola dà buone prospettive per il loro futuro. Ma anche il loro
presente ha un frutto: i giovani sono disinibiti, le ragazze col velo
non si vergognano a mostrarsi truccate, a stare vicini ai loro compagni
maschi; cristiani e musulmani rispettano le reciproche feste e costumi.
Una situazione molto diversa da quanto succede a Mosul. Mi raccontano
che un ragazzo cristiano giocava sempre con un suo amico coetaneo
musulmano. A un certo punto un giorno il musulmano dice all'altro: "Non
gioco più con te. Mio zio mi ha detto che non devo giocare con i
cristiani". E l'amicizia è finita. Almeno per ora.