Fonte: SIR
La recente introduzione, nella città santa di Najaf e nella sua provincia, di norme che vietano, anche a chi non è musulmano, di bere o vendere alcolici, poiché incompatibili con l’Islam, rischia di far cadere l’Iraq nell’applicazione della sharia, la legge islamica. “Si tratta di un rischio – commenta al SIR padre Philip Najim, procuratore caldeo presso la Santa Sede – che allontanerebbe l’Iraq dal cammino verso una democrazia solida, laica, rispettosa dei diritti di tutti, anche quelli delle minoranze. La religione, sia essa musulmana o cristiana, deve contribuire a riconciliare il Paese e la sua gente. I politici devono comprendere che la fede è un valore aggiunto dell’Iraq e della sua voglia di rinascere”. “Credo – aggiunge Najim - che l’Iraq non abbia bisogno dell’introduzione di tali norme ma piuttosto di decisioni concrete che portino alla costruzione di strade, scuole, ospedali, al rilancio dell’economia per creare posti di lavoro e quindi un benessere per tutti”. Tuttavia, riconosce il procuratore caldeo, “la Costituzione irachena è in qualche misura ambigua dal momento che garantisce il rispetto della libertà religiosa, ma nello stesso tempo afferma che non si possono promulgare leggi contrarie alla religione musulmana”.