Fonte: Asianews
di Layla Yousif Rahema
Da dieci giorni a Najaf non si possono più bere e commerciare alcolici. La decisione delle autorità locali è solo l’ultimo di una serie di episodi che fanno temere la possibilità di un lento scivolare dell’Iraq nell’imposizione della sharia anche ai non musulmani.
Najaf è considerata una città santa perché vi è sepolto il primo imam sciita e il quarto califfo dell’islam, Ali b. Abi Talib.
Il Consiglio provinciale ha deciso all’unanimità che il carattere particolare della città santa sciita rende inopportuno “bere, vendere e far transitare alcol di qualunque tipo, a prescindere dalla quantità”. Il motivo: si tratta di attività incompatibili con l’islam. Chi violerà il divieto, anche se fedele di un’altra religione, dovrà risponderne in tribunale. Il provvedimento si applica a Najaf e a tutta la provincia di cui è capitale, e comprende il divieto di fare pubblicità alle bevande alcoliche.
Si tratta di una decisione “contro la democrazia, le libertà civili e i diritti umani”, commenta mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk. Che aggiunge: “In questo modo, inoltre, si incoraggia il traffico illegale d’alcol, perché la gente continuerà a bere ma dovrà farlo di nascosto”.
Mons. Sako avverte della preoccupante deriva verso la legge islamica, che si sta verificando in alcune città irachene. Da agosto scorso, il Consiglio provinciale di Bassora, la seconda città del Paese, ha proibito la vendita di alcolici su richiesta dei partiti sciiti, dominanti nell’area meridionale. Anche allora, il vice governatore della provincia, Ahmad al Sulaiti - un esponente religioso eletto con il Consiglio Supremo islamico iracheno (ex Sciri) - aveva motivato il divieto di consumare alcolici con il fatto che la Costituzione irachena “proibisce qualunque cosa vìoli i principi dell’islam”.
Il problema, infatti, è interno alla stessa Costituzione. Fin dal varo della nuova Carta, le minoranze religiose e in particolare i cristiani, ne avevano denunciato l’ambiguità. “Essa – spiega l’arcivescovo di Kirkuk – garantisce il rispetto della libertà religiosa, ma allo stesso tempo all’art. 6 stabilisce che non si possono promulgare leggi contrarie alla religione musulmana. Era chiaro fin dall’inizio che questo punto avrebbe creato gravi problemi alle minoranze”.
Il mercato degli alcolici è storicamente in gran parte in mano alla comunità cristiana, per la quale rappresenta un’importante fonte di sostentamento. In questi anni il terrorismo e gli attentati dei fondamentalisti ai negozi di bevande alcoliche avevano costretto molti a chiudere. Ora con le nuovi leggi locali i commercianti si aspettano un duro colpo alle loro già magre finanze.
Per mons. Sako, l’Iraq ha bisogno di una leadership “più realistica, più aperta e intenzionata veramente a far maturare la popolazione”. La Costituzione, ad esempio, “non pensa in concreto a garantire l’uguaglianza fra donna e uomo, a regolare la poligamia o la libertà di convertirsi, cosa vietata dall’islam ma che rientra nelle libertà di coscienza”. Il rischio, conclude il presule, è che “l’Iraq torni indietro di secoli, quando la sharia era imposta a tutta la popolazione”.
Najaf è considerata una città santa perché vi è sepolto il primo imam sciita e il quarto califfo dell’islam, Ali b. Abi Talib.
Il Consiglio provinciale ha deciso all’unanimità che il carattere particolare della città santa sciita rende inopportuno “bere, vendere e far transitare alcol di qualunque tipo, a prescindere dalla quantità”. Il motivo: si tratta di attività incompatibili con l’islam. Chi violerà il divieto, anche se fedele di un’altra religione, dovrà risponderne in tribunale. Il provvedimento si applica a Najaf e a tutta la provincia di cui è capitale, e comprende il divieto di fare pubblicità alle bevande alcoliche.
Si tratta di una decisione “contro la democrazia, le libertà civili e i diritti umani”, commenta mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk. Che aggiunge: “In questo modo, inoltre, si incoraggia il traffico illegale d’alcol, perché la gente continuerà a bere ma dovrà farlo di nascosto”.
Mons. Sako avverte della preoccupante deriva verso la legge islamica, che si sta verificando in alcune città irachene. Da agosto scorso, il Consiglio provinciale di Bassora, la seconda città del Paese, ha proibito la vendita di alcolici su richiesta dei partiti sciiti, dominanti nell’area meridionale. Anche allora, il vice governatore della provincia, Ahmad al Sulaiti - un esponente religioso eletto con il Consiglio Supremo islamico iracheno (ex Sciri) - aveva motivato il divieto di consumare alcolici con il fatto che la Costituzione irachena “proibisce qualunque cosa vìoli i principi dell’islam”.
Il problema, infatti, è interno alla stessa Costituzione. Fin dal varo della nuova Carta, le minoranze religiose e in particolare i cristiani, ne avevano denunciato l’ambiguità. “Essa – spiega l’arcivescovo di Kirkuk – garantisce il rispetto della libertà religiosa, ma allo stesso tempo all’art. 6 stabilisce che non si possono promulgare leggi contrarie alla religione musulmana. Era chiaro fin dall’inizio che questo punto avrebbe creato gravi problemi alle minoranze”.
Il mercato degli alcolici è storicamente in gran parte in mano alla comunità cristiana, per la quale rappresenta un’importante fonte di sostentamento. In questi anni il terrorismo e gli attentati dei fondamentalisti ai negozi di bevande alcoliche avevano costretto molti a chiudere. Ora con le nuovi leggi locali i commercianti si aspettano un duro colpo alle loro già magre finanze.
Per mons. Sako, l’Iraq ha bisogno di una leadership “più realistica, più aperta e intenzionata veramente a far maturare la popolazione”. La Costituzione, ad esempio, “non pensa in concreto a garantire l’uguaglianza fra donna e uomo, a regolare la poligamia o la libertà di convertirsi, cosa vietata dall’islam ma che rientra nelle libertà di coscienza”. Il rischio, conclude il presule, è che “l’Iraq torni indietro di secoli, quando la sharia era imposta a tutta la popolazione”.