Fonte: Avvenire
di Andrea Lavazza
«Un’altra tappa importante, un impegno ancor più concreto dell’Europa nel combattere le persecuzioni religiose». È visibilmente soddisfatto il ministro degli Esteri Franco Frattini, di ritorno dal Consiglio Affari generali e relazioni esterne della Ue tenutosi a Lussemburgo.
La tenace iniziativa italiana a favore delle minoranze cristiane nel mondo ha ottenuto un significativo consenso che si tradurrà in due direttrici d’azione.
Di che cosa si tratta, ministro Frattini?
In primo luogo, c’è l’impegno perché, in novembre, i ministri degli Esteri dell’Unione approvino un testo sulla libertà religiosa e sulla protezione dei cristiani, nello specifico. Vi saranno quindi conclusioni formali e politiche che riaffermeranno la libertà di tutte le religioni come valore fondante dell’Europa e che indicheranno la necessità di reagire alle persecuzioni contro i cristiani. In secondo luogo, il gruppo di lavoro per i diritti umani, costituito su nostra proposta in settembre, guidato dalla Commissione e dalla presidenza di turno, elaborerà un testo di risoluzione da portare al voto all’Assemblea generale dell’Onu, entro il settembre dell’anno prossimo.
Ma come si manifesterà la reazione alle persecuzioni?
Secondo quanto suggerito dall’Italia e approvato a Lussemburgo, le rappresentanze dell’Unione europea nei Paesi interessati da episodi di violenza faranno passi formali presso i governi, affinché si intervenga con strumenti di repressione e di prevenzione. Finora l’abbiamo fatto quasi soltanto noi. E con qualche risultato. Ad esempio, una mia missione in Iraq ha portato a maggiori controlli di polizia in aree abitate dai cristiani sotto attacco e al mantenimento delle quote riservate alla minoranza negli organismi amministrativi delle province in cui risiede. Con il Pakistan e con l’India avevamo sollecitato la protezione dei fedeli dagli attacchi tesi a farli fuggire dalle proprie case e dai propri villaggi. Se l’intervento di un singolo Stato ottiene qualche effetto, ben di più potrà fare la voce dei 27 membri dell’Unione.
Si può allora dire che le pressioni diplomatiche servono e che spesso il silenzio della comunità internazionale di fronte agli episodi di persecuzione è un atto di colpevole inerzia?
Certo, sollecitare vigilanza e poi chiedere conto ai Paesi, monitorando costantemente la situazione, può portare a benefici tangibili. Basta farsi sentire, e qualcosa si ottiene.Perché allora tanta apparente indifferenza, se non resistenza, da parte delle nazioni europee? Non parlerei di resistenza, ma di un muro di gomma di fronte alle sollecitazioni. Bisogna considerare il clima laicista che prevale in alcune società e di cui anche i politici risentono. Genericamente, si dice che tutte le religioni vanno tutelate, ma poi s’impone il "politicamente corretto". Si pensi, ad esempio, al fatto che in Belgio molti supermercati non vendono a Natale gli elementi del presepe per la volontà di evitare simboli religiosi specifici... Alla fine, una nostra richiesta formale alla presidenza di turno svedese perché il tema andasse all’ordine del giorno ha convinto tutti, davanti all’evidenza dei recenti fatti, a partire dai crocifissi in Sudan.
Date queste premesse, non vi è il rischio che anche i diplomatici Ue non siano particolarmente attivi nelle proteste?
I diplomatici devono essere al servizio delle disposizioni loro assegnate. Sono assolutamente convinto che si faranno parte attiva nel denunciare e nel sollecitare interventi a tutela delle minoranza cristiane perseguitate, dalla Turchia all’Iraq, dal Sudan al Pakistan e all’India.
Condivide quindi l’allarme lanciato all’Onu da monsignor Celestino Migliore, secondo cui i cristiani sono oggi i più discriminati al mondo?
Tutte le religioni devono essere libere di essere professate. Questa è la premessa anche dell’impegno europeo. Ma è un fatto incontrovertibile che negli ultimi anni i cristiani siano coloro che maggiormente sono stati oggetto di discriminazioni e di persecuzioni in molte parti del mondo.