"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

20 gennaio 2011

Mons. Warduni alla Camera dei Deputati: "Chi non crede all'esistenza dell'inferno venga in Iraq"

By Baghdadhope*
Fonte della notizia: Radioradicale

Il 19 gennaio la Commissione Affari esteri e comunitari della Camera, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle violazioni dei diritti umani nel mondo, ha ascoltato la testimonianza del patriarca vicario caldeo di Baghdad, Mons. Shleimun Warduni.

"Finalmente avete voluto ascoltarci perchè siete sicuri che siamo in grande difficoltà ed in grave pericolo".
Così ha esordito Mons. Warduni di fronte al
comitato permanente sui diritti umani.
La frase d'esordio, così come quella riferita all'inferno, della cui esistenza nessuno che visiti Baghdad può dubitare, danno il polso di un intervento pacato nei termini ma tragico nella conclusione: se le cose non miglioreranno in Iraq non resteranno più cristiani.
Vari sono stati i punti toccati da Mons. Warduni nel suo intervento e nelle risposte date ai deputati.
Per prima cosa il prelato ha chiarito come, nonostante sia il caso di aiutare "tutti gli iracheni" nel difficile cammino verso la pace e la stabilità, la situazione delle minoranze "peggiori sempre di più", come esse non abbiano alcun tipo di protezione dalle violenze che le colpiscono, come i loro diritti "siano calpestati" nonostante siano "costruttori essenziali" del paese e come, tra esse, quella cristiana abbia sempre dato molto al suo sviluppo.
Mons. Warduni ha poi elencato una serie di suggerimenti da mettere in pratica per riportare l'Iraq alla normalità. Per primo la cooperazione di tutte le parti per il perseguimento della pace in Iraq ma anche in Medio Oriente e nel mondo, seguita dallo stop alla vendita di armi ed allo sviluppo di progetti per dare lavoro ai giovani iracheni che potrebbero così pensare di non lasciare il paese.
Per quanto riguarda i crimini commessi negli ultimi anni a danno della comunità cristiana Mons. Warduni ha suggerito la creazione di un "tribunale internazionale speciale" che faccia luce su di essi, ed ha invitato la classe politica italiana a fare pressioni sui governi dei paesi in cui si sviluppano le tendenze fanatiche che vedono nei cristiani i nemici per la religione da essi professata, perchè il pericolo è che questi atti si diffondano nel mondo, un fenomeno "grave, più grave di una guerra mondiale".
Un invito a fare pressioni su questi governi sulla base delle relazioni internazionali che nelle parole del vescovo abbraccia anche la questione della reciprocità in paesi come l'Arabia Saudita "che non lascia fare niente ai cristiani ma costruisce moschee dappertutto" e che è esteso anche alle Nazioni Unite che non sono, nelle parole di Mons.Warduni, abbastanza decise nell'ergersi a difesa dei diritti umani degli oppressi.
Critiche sono state poi rivolte dal prelato anche alle nazioni europee che sull'onda dei crimini più efferati compiuti contro gli iracheni cristiani hanno proposto di accoglierli nei propri territori, perchè tali proposte possono essere un incitamento alla fuga per coloro che ancora vivono nel paese, ed alle nazioni che stanno rimpatriando forzatamente gli iracheni che in esse hanno trovato rifugio per rimandarli "all'inferno".
Per quanto gli iracheni cristiani abbiano sempre chiesto solo pace e stabilità per tutto l'Iraq, perchè diventi un paese dove diverse etnie e religioni possano convivere serenamente, le parole di Mons. Warduni hanno rivelato, al di là della speranza che sempre un cristiano nutre nella protezione divina, l'amara consapevolezza di rappresentare una comunità cui sono state fatte tante promesse ma che corre in realtà il rischio di essere "sterminata".
"Speriamo ed aspettiamo" dice il vescovo commentando la creazione da parte del governo Al Maliki di una speciale commissione per i cristiani successivamente alla strage della chiesa di Nostra Signora della Salvezza che nella sua drammaticità ha oscurato tutti i crimini commessi in precedenza contro la comunità. Ed aspettano ancora gli iracheni cristiani che i colpevoli di tali crimini vengano catturati e condannati, perchè non è con l'impiccagione di un solo uomo accusato della morte di Mons. Faraj P. Rahho, ucciso a Mosul nel 2008, o con la cattura di una quindicina di terroristi responsabili tra l'altro dell'attacco del 31 ottobre scorso che le ferite della comunità, fatte di morti, feriti, profughi, saranno sanate.
Ma non è solo l'inazione che Mons. Warduni denuncia. E' la crescente islamizzazione dell'Iraq dove è sempre più difficile vivere per i non musulmani, dove alle proposte di laicizzazione dello stato si risponde con una costituzione che non è sharia ma che contiene dei "punti intoccabili" che ledono il diritto alla libertà, dove i cristiani hanno libertà di culto ma non di professare la propria fede in modo pieno, dove le conversioni verso l'Islam non sono ostacolate mentre quelle verso il cristianesimo mettono il convertito in "pericolo di morte", dove ancora, come era già negli ultimi tempi del passato regime, vige la regola per la quale i figli minorenni di un genitore cristiano che dovesse convertirsi all'Islam divengono automaticamente musulmani, dove se è vero che le bombe non distinguono tra le loro vittime è anche vero che "c'è una tendenza all'attacco ai cristiani che prima non c'era."
Una situazione tragica dunque, in cui gli iracheni cristiani vivono ormai da anni.
Anni passati tra i pericoli ed a chiedere aiuto a tutti, inascoltati, a spiegare come una comunità antichissima stia letteralmente sparendo sotto gli occhi indifferenti del mondo, a cercare una soluzione del tragico gioco di potere che si gioca sulla scacchiera irachena a cui i cristiani non partecipano ma di cui sono vittime innocenti.
Per quanto tempo ancora i vescovi iracheni saranno "messaggeri del dolore" della loro comunità?
E cosa farà il governo italiano per aiutarli?
Come dice Mons. Warduni non è più ora di promettere ma di fare.

Fino al 2 di febbraio sarà possibile ascoltare la registrazione audio dell'audizione di Mons. Warduni dal sito di Radioradicale cliccando qui o sul titolo del post.

Confermato a Baghdadhope dallo stesso Mons. Warduni il suo incontro a Milano, il prossimo 25 gennaio, con il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, che lo scorso 13 dicembre gli ha assegnato il riconoscimento speciale del presidente in occasione del Premio per la Pace 2010.
Impossibilitato ad intervenire di persona alla manifestazione milanese perchè impegnato in un incontro al parlamento europeo a Strasburgo da cui però si era collegato via audio Mons. Warduni potrà così incontrare chi, motivando il riconoscimento, ha detto dei cristiani iracheni di voler: "continuare a essere al loro fianco affinché l’Iraq, culla del cristianesimo, non veda la scomparsa della comunità cristiana".

Vescovi caldei: riunione dei sacerdoti ed impegno della chiesa per il benessere della comunità

By Baghdadhope*

Si è tenuta ad Ankawa la terza riunione dei vescovi caldei durante la quale i vescovi presenti hanno preparato il programma della visita pastorale alle diocesi del nuovo Nunzio Apostolico in Iraq e Giordania, Mons. Giorgio Lingua.
Nel corso della riunione, come confermato a Baghdadhope da Mons. Louis Sako, Arcivescovo di Kirkuk e coordinatore di questi incontri che, decisi a Roma lo scorso ottobre si svolgono mensilmente, è stato deciso che il 22 febbraio prossimo si terrà nella sede arcivescovile di Erbil la riunione dei sacerdoti caldei durante la quale sarà possibile dar loro voce riguardo i problemi e le aspirazioni nei campi pastorale, spirituale, culturale e del loro sostentamento espressi in uno specifico documento che sarà preparato a breve.
Ad Ankawa si è inoltre discusso del prossimo sinodo della chiesa come richiesto nel messaggio inviato da Baghdad dal patriarca, Cardinale Mar Emmanuel III Delly. Sinodo che i vescovi presenti hanno auspicato si tenga in Iraq per incoraggiare i cristiani presenti nel paese.
Per quanto riguarda proprio la situazione dei cristiani si è sottolineata l'importanza di un agire unico da parte della chiesa, specialmente nel trattare argomenti sensibili che possono avere una ricaduta sulla situazione della comunità cristiana, chiesa che, si è ricordato, è chiamata ad orientare i politici cristiani per il benessere della comunità.
La riunione si è conclusa con un pranzo offerto dalla sede arcivescovile di Kirkuk.

19 gennaio 2011

The copenhagen fatwa: end attacks on christians

By Niqash, 19 jan 2011

A group of senior Iraqi clerics have issued a joint Shiite, Sunni and Christian fatwa calling for the end of violence against the Christian minority in Iraq.
They had been meeting at a three-day conference between 12-14 January in the Danish capital, Copenhagen, to discuss the increasing spate of attacks against Iraqi Christians.
The deadliest was the siege on the Our Lady of Salvation Church on 31 October 2010 in Baghdad, which killed more than 50 worshippers, including a priest.
Insurgents from the Islamic State of Iraq, a group linked to al-Qaeda, claimed responsibility, saying they would continue to target Iraqi Christians, unless they exerted pressure on a Coptic Christian church in Egypt to release two women reportedly held by the church for trying to convert to Islam.
The Iraqi security forces stepped up measures to protect Christian churches around the country, but there have been further attacks in residential areas.
On 10 November, a series of bombings on Christian homes in Baghdad killed 6 people, and injured 33.
On New Year’s Eve, another attack on 14 homes in Baghdad left 2 Christians dead and 16 wounded.
There are now fears of a return to sectarian violence, which swept Iraq after the US-led invasion in 2003 and reached its peak in 2006 and 2007.
The attacks have reinforced a deep feeling of insecurity among Christians in Iraq, and many have fled to Kurdistan and neighbouring countries or are seeking asylum in the West.
The Iraqi Minister of Displacement and Migration, Dindar Najman Doski, confirms that more than 5,000 Christian families left the country in 2010. Kurdistan’s interior minister, Kareem Sinjari, released a press statement, stating that more than 1,600 Christian families have fled to Kurdistan since the raid on the Baghdad church and subsequent attacks.
According to other sources, 1,400 Iraqi Christian families have sought asylum in Lebanon, and there are similar numbers in countries such as Jordan and Syria.
The UN Office in Turkey has confirmed that the number of Iraqi Christians who have migrated to Turkey has increased significantly in recent months.
Records of the Chaldean Catholic Archbishop of Istanbul, the major mediator between refugees and Turkish authorities, show that in 2009, about 150 families with more than 600 people arrived in Turkey. In the last few months of 2010, the number of people rose to 12,000.
After Islam, Christianity has the most number of followers in Iraq. The religion is recognized by the Constitution, as is the existence of fourteen Christian holy worship places. Christians live in the main Iraqi cities of Baghdad, Basra, Mosul and Kirkuk, as well as in cities in Kurdistan. They speak several languages, including Arabic, Kurdish, Syriac and Armenian.
At the end of the 1980's, there were nearly two million Christians in Iraq. This number decreased in the 1990's, after the second Gulf war and the economic siege on Iraq, and again after 2003, with the outbreak of sectarian violence and suicide bombings. Today, there are an estimated 700,000 Christians living in Iraq.
Christian clerics have warned that Iraq may soon be devoid of Christians - just as there are practically no longer any Jews living here. In the mid 1990‘s, there were around 120,000 Jews. But they left because of persecution, and today only 6 Jews remain, all elderly.
“There is a campaign of genocide against Christians in Iraq and we have to find a way of stopping it”, says the Christian MP, Yunadim Kanna, one of the participants at the Copenhagen conference.
Most of those who attended the meeting in Copenhagen were members of the Iraqi interfaith dialogue council, which was set up in 2006. Their names* remained confidential for security reasons until their arrival in the Danish capital, according to the Danish Ministry of Foreign Affairs.
“We invited the most influential Shiite, Sunni and Christian personalities in Iraq”, said the organiser, Canon Andrew White, vicar of the St George’s Anglican church in Baghdad and head of the NGO, British Foundation for Relief and Reconciliation in the Middle East (FRRME).
“Christians are facing a serious problem, because they do not feel safe in their country and want to leave", he said, adding that "It is not Islam that is making them afraid, but the threat of terrorism."
The conference, called the “Emergency Summit for Inter-faith Dialogue in Iraq”, was the second of its kind, after the one held in 2008 in the same city. It was organised with assistance from the Copenhagen Church and funding from the Danish Foreign Ministry.
It ended with the signing of the Copenhagen Relief and National Reconciliation Agreement, which stressed the need to address the targeting of Christians in Iraq and to press the government to activate the recommendations of the Iraqi Council of Representatives in this regard as quickly as possible.
It also called upon the relevant authorities to adopt a moderate religious discourse and to make the incitement of sectarian, religious and cultural hatred a criminal offence. Finally, it recommended that the forthcoming Arab summit conference in Baghdad should put this subject on their agenda.
The conference coincided with the arrest in Copenhagen of five people of planning a terrorist attack on the Jyllands-Posten newspaper, which published the controversial cartoons of Prophet Mohammed on 30 September 2005, that offended and angered the Muslim world, and led to death threats against the cartoonist.
The five suspects were all Swedish residents of Arab origin. One of them - a 26-year-old Iraqi asylum-seeker - was released last Thursday, although he still faces charges against him.
Magnus Ranstorp, an expert on terrorism at the Swedish National Defence College, believes that even though these suspected terrorists were unsuccessful, their impact is clear. “People have become scared and this is the essence of terrorism."
Certainly, this “essence of terrorism” has been spreading for years among Christians in Baghdad and other provinces of Iraq, which is why they have been fleeing their country in such large numbers.
The question now is whether the Copenhagen fatwa will be able to end the killing of Christians in Iraq and stop their migration. If not, then Iraq will lose one of its ancient communities.

* The participants in Copenhagen were: Sheikh Abdul Latif Hameem, secretary general of the Muslim Scholars and Iraq's Intellectuals group, Khaled Al-Mulla, al-Sayyed Jawad al-Khoei, Sheikh Abdul-Haleem al-Zuhairi, MP Yunanem Kanna, His Eminence Archbishop, Avak Asadourian, the Primate of the Diocese of the Armenian Church of Iraq, MP Majid al-Hafeed, Imam and preacher of the Great Mosque in Sulaymaniyah, Abdul-Razzaq Shamkhi, the representative of the Sabean Mandaeans (from the second day), and Canon Andrew White. Ammar Abu Ragheef, a Shiite clergyman, was unable to attend.

Police release most Iraqi deportee protesters

By The Local

70 protesters against Iraqi expulsions arrested
(18 Jan 11)
UN slams Sweden over Iraqi deportations
(18 Jan 11)
Iraq calls on Sweden to halt forced deportations
(9 Jan 11)

Police were still holding one unidentified person, but had released the other 24 shortly after removing them from the protest site, Stockholm police spokesman Ulf Göranzon told AFP.
The 25 were reportedly part of a group of between 50 and 100 protesters demonstrating outside the detention centre near Stockholm in a bid to block the deportation of up to 20 Iraqis denied asylum in Sweden.
The Swedish section of Amnesty International, which has asked Immigration Minister Tobias Billström to halt the return of Iraqis, said some 14 people would be sent back Wednesday, while tabloid Aftonbladet said 20 Iraqis would be on the plane. Swedish border police refused to say if the deportation had taken place.
Wednesday's arrests came a day after some 70 people were detained after demonstrating outside offices of the Swedish National Migration Board (Migrationsverket) near the southwestern city of Gothenburg and amid rising criticism of the deportations.
In addition to Amnesty, the Christian Council of Sweden has called for a suspension of deportations to Iraq, especially of members of ethnic or religious minority groups in that country.
The United Nation's refugee agency, UNHCR, on Tuesday expressed strong concern at reports that Sweden planned to send 25 Iraqis back to Baghdad despite repeated warnings that conditions are unsafe there.
The agency has over the past year repeatedly cautioned the UK and several Nordic nations not to send Iraqis back to central parts of Iraq because of persistent violence.
Swedish immigration authorities ruled in 2007 that "there is no armed conflict in Iraq" and that it was therefore acceptable to return Iraqi citizens to their country. The ruling meant that Iraqis were no longer automatically granted asylum.
Tens of thousands of Iraqis have fled the war in their country to resettle in Sweden, with official statistics showing 117,900 people born in Iraq lived in the Scandinavian country in 2009, up from 49,400 in 2000.

By The Telegraph
:

Ambulance packed with explosives detonates in Iraq, (Jan 19, 2011)

Suicide bomber kills 50 in Saddam Hussein's home town (Jan. 18, 2011)

18 gennaio 2011

Middle East Christians on Arab summit agenda

By Ahram Online

"Muslims and Christians of the Arab world have always lived together; the past, present and the future of this nation is shared amongst us all,"
said Arab League Secretary-General Amr Moussa. "They are partners," he added.
Speaking to Ahram Online by phone from Sharm El-Sheikh, the venue of the second Arab Economic Summit that will open Wednesday, the Arab League Chief said that this matter "of the unity of the peoples of the Arab world" will be present in the works of the summit that is essentially designed to address socio-economic matter.
In his presentation of the matter to the summit, Moussa said, he will not indulge in the details of the shocking attacks on Christians both in Iraq and Egypt during the past few weeks. "What I am proposing relates to the social side of the issue; it is about the preservation of the joint cultural heritage that we have jointly made and that we can keep from the harm of terrorists," he said.
Moussa categorically rejected all questions suggesting that this initiative on his side was coming in reaction to criticism leveled in several world capitals, and for that matter in the Vatican, on the threats facing Christians in the Middle East in the wake of recent attacks and in light of threats of further terrorist attempts.
"Absolutely not," Moussa said. "I actually insist that this matter should be dealt with away from any exercise of patronizing foreign intervention," he added.
Moussa was in Iraq last week for meetings on the preparations of the next Arab summit. During his visit, he made a point to meet with several Christian church leaders to listen to their views and concerns on the matter.
Also while in Iraq, Moussa attended a mass at the Notre-Dame du Perpetuel Secours Church, which was the prior target of a terror attack.
In Cairo, prior to his trip to Iraq, the Arab League Secretary-General had already met with Pope Shenouda, the patriarch of Egypt's Orthodox Church, to convey condolences for the loss of innocent lives in the attack on the Two Saints Church in Alexandria.
During his meetings with the Christian leadership both in Egypt and Iraq, Moussa offered assurances over the commitment of the Arab organization to promote the causes of continued peaceful co-existence. His interlocutors also underlined commitment to resolve all causes for possible sectarian anxiety within the framework of their own societies.
"It is a matter of equal citizenship in all Arab societies that we are all committed to," he told Ahram Online.
This is going to be the first time that the file of Christians in the Middle East would be tabled on the works of an official Arab meeting. Moussa, speaking Ahram Online, refused to share plans for follow-up, but said the file is a highly sensitive one that the Arab organisation will "carefully approach".

Helping Iraqi Christians

By New York Times
IRAP’s January 18th Letter to the Editor, published in the New York Times, calling on Secretary of State Hillary Clinton to designate additional Priority-2 groups of Iraqis at imminent risk of death or torture for expedited processing to the United States.
A version of this letter appeared in print on January 18, 2011, on page A24 of the New York edition.


To the Editor:
Two million Iraqis have already left their country, including 600,000 of the estimated 1.2 million Christians in Iraq in 2003. The new wave of violence against Christians in Iraq (“Under Siege,” editorial, Jan. 6) makes clear that the Iraqi refugee crisis will worsen before it improves.
So far, the international community has fallen short on assisting vulnerable Iraqis. Instead of providing an expedited route to safety, the United States refugee system includes redundant and onerous documentation requirements and forces Iraqi families to wait for months or years.
The United States must expedite the evacuation of Iraqi minority groups at imminent risk of death or torture, including Christians.
The United States can give vulnerable groups of Iraqis accelerated processing under the Refugee Crisis in Iraq Act, but currently does so only for Iraqis who assisted the United States mission, leaving behind thousands in need. Secretary of State Hillary Rodham Clinton should immediately look into creating new priority groups for religious minorities, victims of sexual slavery and lesbian, gay, bisexual and transgender Iraqis.

Becca Heller
Director
Iraqi Refugee Assistance Project
New York, Jan. 6, 2011

Iraq: «Non ingannate i cristiani!»

By Aiuto alla Chiesa che Soffre

Nel corso di un’intervista con Aiuto alla Chiesa che Soffre, l’arcidiacono Emanuel Youkhana, che coordina gli aiuti umanitari per le famiglie cristiane in Iraq, ha chiesto al mondo occidentale ed al governo iracheno «che la verità sia detta chiaramente a proposito del fatto che i cristiani vengono regolarmente attaccati e spinti a lasciare l’Iraq». Ha deplorato il fatto che il governo iracheno neghi tutto questo e che , anche nei media internazionali, vi sono voci che affermano che il terrore è diretto «non contro i cristiani ma contro tutti». Tuttavia gli attentati sono chiaramente diretti contro i cristiani. Ha fatto appello «a non ingannare» i cristiani iracheni. Non ci sono piani per opporsi al «progetto volto a espellere i cristiani dall’Iraq». Né il governo iracheno, né la comunità internazionale stanno facendo abbastanza.
L’arcidiacono Emmanuel Youkhana ha sottolineato che non è sufficiente condannare ciò che è successo. Più di cinquanta persone sono morte a seguito di un attentato dello scorso ottobre nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Bagdad, dopo che un altro attentato era già stato compiuto nel 2004. «Le condanne non sono servite a nulla», si è rammaricato.
Padre Youkhana ha dichiarato che i cristiani iracheni non hanno paura per gli attentati attuali ma temono per l’avvenire e «ciò che ancora potrà arrivare». Temono soprattutto l’islamizzazione in costante aumento nella società. Già oggi numerose donne cristiane non osano lasciare le loro case se non con il velo poiché la pressione sociale è enorme e le persone diverse non sono accettate. Recentemente la facoltà di musica dell’Università di Bagdad è stata chiusa poiché la musica è incompatibile con la sharia. Inoltre i vertici religiosi musulmani hanno chiesto la separazione per sesso nell’università.
Padre Youkhana ha poi criticato il fatto che la Costituzione irachena discrimina i cristiani. Dispone, ad esempio, che vi siano sempre dei rappresentati religiosi musulmani tra i giudici della Corte Costituzionale del Paese. «La Costituzione deve riconoscere uguale trattamento ai cristiani e non deve renderli cittadini di seconda o terza categoria» ha poi aggiunto. Non è più sufficiente «limitare le nostre richieste ad una maggiore protezione delle chiese; che cosa ne è infatti delle scuole, delle abitazioni, della vita di tutti i giorni?».
Ha portato ad esempio il caso di un ingegnere cristiano che di recente è stato esortato dalla polizia a non lasciare la sua abitazione. Gli è stato detto di farsi fare la spesa dai vicini e di non aprire la porta a nessuno. «Come può una famiglia vivere in simili condizioni?» si chiede il religioso. Allo stesso tempo ha definito un’ingenuità il fatto che i Paesi occidentali accolgano i rifugiati iracheni. Questo non fa altro che contribuire indirettamente a svuotare l’Iraq della sua presenza cristiana. Bisognerebbe invece aiutare la gente a vivere nella propria patria.
La vita dei cristiani subisce sempre maggiori limitazioni. Non hanno più fiducia e molti non pensano ad altro che a fuggire. Secondo i dati in suo possesso, del milione abbondante di cristiani che vivevano in Iraq un tempo, non ne restano che 300.000. Ogni settimana quattro aerei lasciano Bagdad diretti nella capitale libanese Beirut e la maggior parte dei passeggeri sono cristiani. La cosa sorprendente è che spesso numerose famiglie sembrano prendere spontaneamente la decisione di abbandonare il Paese quando sono riunite la sera.
«In una sola sera decidono di lasciarsi alle spalle la casa, il lavoro e tutto ciò che i loro antenati gli hanno lasciato nel corso dei secoli» ha dichiarato padre Youkhana. In molti si rifugiano in regioni più sicure dove non c’è violenza perché non vedono un avvenire per loro e per le loro famiglie.
Secondo lui l’obiettivo più importante per la Chiesa consiste nel ridare speranza e fiducia alla sua gente. «Anche prima del collasso del Paese, le persone erano spezzate dentro. L’intero Paese è traumatizzato» ha dichiarato. È necessario intervenire soprattutto sui bambini ed i giovani. Bisogna riparare il danno sociale causato nel Paese dalle guerre e dai violenti conflitti interni e ristabilire la coscienza della dignità umana. La Chiesa gioca un ruolo chiave poiché trasmette alla gente un messaggio di speranza: «Non abbiate paura!». Ma è altrettanto importante il sostegno materiale. Lo stesso Gesù non ha soltanto pregato ma ha dato un aiuto concreto e materiale.
È necessario aiutare soprattutto le famiglie che fuggono da Bagdad e dai suoi cinque milioni di abitanti per recarsi nelle piccole città del nord. Hanno spesso un diploma di scuola superiore ma non trovano lavoro e devono ricostruire da capo la loro vita. «Il primo giorno all’indomani della fuga la sola cosa che conti è il poter dormire da qualche parte al sicuro ma poi è necessario un lavoro, infrastrutture, scuole» ha dichiarato padre Youkhana.
Secondo lui l’avvenire dei cristiani in Iraq non dipende che da se stessi. Il governo non fa nulla, i cristiani sono «senza difesa» ma non «senza speranza». La speranza non si può fondare solo sulle parole. È importante che i media rendano conto della situazione dei cristiani. La Chiesa universale e le opere di beneficenza come Aiuto alla Chiesa che Soffre offrono una «solidarietà morale e materiale forte» ma la Chiesa non ha i mezzi per fornire tutte le infrastrutture né per provocare cambiamenti politici. Per padre Youkhana è su questo punto che i governi devono intervenire.
Gli esperti dicono che la peggior persecuzione anticristiana dell’epoca contemporanea ha luogo in questo momento in Iraq. Appena qualche settimana fa un gruppo terroristico iracheno appartenente alla rete di Al-Quaeda ha dichiarato che tutti i cristiani del Medio Oriente sono «legittimi obbiettivi» di attentati. Ed infatti attentati e rapimenti continuano a verificarsi.

Iraq: "Don't betray the Christians!"

By Aid to the Church in Need
by Eva-Maria Kolmann

Archdeacon Emanuel Youkhana
, who is coordinating the humanitarian aid for Christian families in Iraq, spoke recently to the international Catholic charity Aid to the Church in Need (ACN) and called on the Western world and the Iraqi government "to tell the truth, namely that Christians are being systematically attacked with the intention of driving them out of Iraq".
He criticised the fact that the Iraqi government denies this and that in the international media too there are voices that assert that the terror is directed "not against Christians but against everyone".
And yet the target of the attacks were unequivocally Christians, he insisted, adding that against this "deliberate plan to drive Christians out of Iraq" there is no counter plan. Neither the Iraqi government nor the international community is doing enough, he believes.
Archdeacon Youkhana insisted that it is not enough to condemn the events that have already happened. For example, the church of Our Lady of Perpetual Succour in Baghdad, where over 50 people were killed in an attack last October, had already previously been attacked in 2004. "The condemnations achieved nothing", he lamented.
He also said that Iraqi Christians were not principally afraid about the current wave of attacks, but were fearful for the future and about what "is yet to come". Above all they feared the constantly advancing Islamisation of their society. Already today, many Christian women no longer dare leave their houses without wearing a veil, since the social pressure is so high and those who are seen as different are not accepted. Only recently, he added, the music faculty of Baghdad University had been closed, since music was regarded as incompatible with the sharia law. On top of this, some senior Muslim clerics had demanded the segregation of the sexes at the universities.
Youkhana also criticised the fact that the Iraqi constitution discriminates against Christians. For example, it lays down that in the Constitutional Court of the country senior Islamic clerics must always be present as judges. "The constitution must recognize Christians as having equal rights and must not be allowed to make them into second or third class citizens", he insisted. It was also not enough, he said "to limit our demands to better protection of the churches, for what about the schools, the homes, their normal everyday life?"
He gave the example of a Christian engineer whom the police had recently warned to leave his house. He had been told that he should get his neighbours to do the shopping for him and not to open the door when anybody knocked. "But how is a family to live in such circumstances?", he asked. At the same time though, he described as "naive" the notion that Western countries were willing to take in Iraqi refugees. In this way, he said, they were indirectly helping to empty Iraq of its Christian presence. Instead, people should be helped to stay on in their own homes.
Christians are finding their lives more and more circumscribed, he said, and have little hope left. Many are thinking only of fleeing. Of the more than one million Christians who once lived in Iraq there are now only around 300,000 left, he reckons. Every week four flights leave Baghdad bound for the Lebanese capital Beirut. Most of the passengers are Christians.
He also wondered at the fact that many families seem to make the decision to flee spontaneously, while they are sitting together in the evening.
"In a single evening they make the decision to leave their homes, their workplaces and everything their forefathers have handed down to them over the long centuries", Archdeacon Youkhana said, adding that many people are fleeing even from the safe regions where there is no violence, simply because they can see no future for themselves and their families.
The most important task for the Christian Churches, he believes, is to give the people reasons for greater confidence and hope. "Even before the collapse of the country, people were inwardly broken. The entire country is traumatised", he observed. Trauma therapy was becoming important, above all for children and young people. The social damage caused to the country by the war and the violent internal conflicts must be overcome and a sense of human dignity restored. In this the Church plays a key role, since she can bring people a message of hope and tell them "Do not be afraid!", he believes. But of course material support is also crucial, he said. After all, "Jesus himself did not merely preach but helped people in real and practical ways". Above all those families must be helped, he told ACN, who are fleeing from the 5 million strong city of Baghdad into the smaller towns in the north. Often they have a university level education, yet can find no work and are forced to rebuild their lives again from scratch. "On the first day after they have fled all that matters is a safe place to sleep, but later they are going to need jobs, infrastructure schools", Youkhana pointed out.
And yet the future of Christians in Iraq did not depend on themselves, he said. The Iraqi government was doing nothing. The Christians were "helpless but not hopeless", he added. But hope cannot be based on words alone. It is very important, he believes, that the media should report on the situation of the Christians. The universal Church and charities such as ACN were indeed offering "powerful moral and material solidarity", he acknowledged, but the Church did not have the capacity to provide the entire infrastructure or to effect political changes. This is where the country's rulers had to step in, Youkhana insisted.
A number of experts suggest that what is happening in Iraq is the worst persecution of Christians of the present time. Only a few weeks ago, an Iraqi group belonging to the Al Qaeda terrorist network declared all Christians in the Middle East to be "legitimate targets" of their attacks. And attacks and abductions are happening over and over again.

Irak: “¡No engañéis a los cristianos!”

By Zenit

El archidiácono Emanuel Youkhana, coordinador de la ayuda humanitaria a familias cristianas en Irak, exigió en una conversación con la asociación católica internacional Ayuda a la Iglesia Necesitada que el mundo occidental y el Gobierno iraquí “llamen a las cosas por su nombre, a saber, que los cristianos son víctimas de ataques sistemáticos con el fin de echarlos del país”.
El padre Emanuel Youkhana criticó que el Gobierno iraquí lo niegue y que en la comunidad internacional surjan cada vez más voces que afirman que el terror “no se dirige contra los cristianos, sino contra todos”.
Para el sacerdote, está claro que los ataques se dirigen contra los cristianos, por lo que pide que no se les sigua engañando, pues no existe un plan para contrarrestar “el plan premeditado de ahuyentar a los cristianos de Irak”.
El archidiácono Youkhana recalcó que no basta con condenar lo ocurrido. Así, por ejemplo, la iglesia de Nuestra Señora del Perpetuo Socorro en Bagdad, donde en octubre pasado murieron más de cincuenta personas a raíz de un atentado, ya había sido objeto de un atentado en 2004. “Las condenas no han servido de nada”, se lamentó.
El padre Youkhana explicó que el mayor temor de los cristianos no son los atentados, sino el futuro, “lo que está por venir”.
Temen la creciente islamización de la sociedad. Así, muchas mujeres cristianas sólo abandonan sus casas tocadas con velo, porque la presión social es muy fuerte y la gente no acepta a los que no son como ellos.
El archidiácono explicó que hace poco se cerró la Facultad de Música de la Universidad de Bagdad porque la música no es compatible con la sharia. Además, algunos líderes musulmanes exigen que en las universidades haya separación por sexos.
El sacerdote criticó que la constitución iraquí discrimine a los cristianos al imponer que el Tribunal Constitucional del país cuente siempre con destacados líderes espirituales musulmanes.
“La Constitución debe conceder a los cristianos los mismos derechos y no convertirlos en ciudadanos de segunda o de tercera”, exigió el archidiácono, añadiendo que tampoco basta con “limitarse a proteger mejor las iglesias, porque ¿qué pasa entonces con las escuelas, las viviendas y la vida cotidiana?”.
El padre Youkhana citó el caso de un ingeniero cristiano, al que la policía advirtió hace poco que no abandonara su vivienda, que pidiera a los vecinos que le hicieran la compra y que no abriera a nadie la puerta.
“¿Pero cómo va a vivir una familia en estas condiciones?”, se preguntó.
Por otro lado, califica de “ingenuo” el ofrecimiento de los países occidentales a acoger a refugiados iraquíes, pues con ello contribuyen de forma indirecta a la desaparición de la presencia cristiana en Irak. A su modo de ver, hay que ayudar a la gente a que se quede en su país de origen.
El sacerdote señala que la vida de los cristianos sufre limitaciones cada vez mayores, que ya apenas se fían, y muchos sólo piensan en huir. Del millón de cristianos que había ya sólo quedan unos trescientos mil, asegura.
Cada semana, salen cuatro vuelos de Bagdad a la capital libanesa Beirut, y la mayoría de los pasajeros son cristianos. A menudo, se entera de que familias enteras toman la decisión de huir de repente, cuando se reúnen por la noche. Toman la decisión en una noche y dejan todo por lo que sus antepasados han luchado durante siglos, sus casas, sus empleos, todo, se maravilla Youkhana. Algunos huyen incluso de zonas seguras donde no hay violencia, porque ya no ven un futuro para sus familias.
En su opinión, la tarea más importante de las Iglesias cristianas es infundir confianza y esperanza. “Ya antes de que el país cayera, la gente se derrumbó psicológicamente. Todo el país está traumatizado”, explica, y precisa que las terapias para tratar los traumas son especialmente importantes para los niños y los jóvenes.
El archidiácono considera que hay que remediar el daño social fruto de las guerras y los violentos conflictos internos y restablecer la conciencia de la dignidad humana.
Para él, la Iglesia desempeña aquí un papel clave, porque transmite un mensaje de esperanza y porque dice: “¡No temáis!”. Pero reconoce que también es importante el apoyo material, al tiempo que señala que tampoco Jesús se limitó a predicar, pues ayudó de forma concreta y material.
El padre Youkhana señaló que hay que ayudar sobre todo a las familias que huyen de Bagdad, de cinco millones de habitantes, a las ciudades más pequeñas del norte. A menudo son personas con licenciaturas que luego no encuentran trabajo y que tienen que empezar de cero. “En el primer día tras la huida lo único que cuenta es tener un lugar seguro donde dormir, pero luego también se necesita trabajo, infraestructuras, escuelas”, explicó.
En su opinión, el futuro de los cristianos iraquíes no depende de ellos. El Gobierno iraquí no hace nada y los cristianos están “indefensos, pero no desesperanzados”. El archidiácono subrayó que la esperanza no puede basarse en palabras, pero que, no obstante, es importante que los medios de comunicación informen sobre la situación de los cristianos.
La Iglesia Universal y asociaciones como Ayuda a la Iglesia Necesitada constituyen una “fuerte solidaridad moral y material”, pero la Iglesia no dispone de recursos para preparar todas las infraestructuras o para operar cambios políticos. Aquí, señala el padre Youkhana, tienen que actuar los gobernantes.
Hay expertos que aseguran que la actual persecución de los cristianos en Irak es la peor de nuestros tiempos. Hace pocas semanas, una célula iraquí del grupo terrorista Al Qaeda declaró a todos los cristianos de Oriente próximo “objetivos legítimos” de atentados. Y los atentados y secuestros no cesan.

17 gennaio 2011

Haunted By Violence, Iraqi Christians Flee to Turkey

By AFP in AINA
By Nicolas Cheviron

Istanbul (AFP) -- Terrorised by mounting extremist attacks, more and more Iraqi Christians are fleeing in panic to neighbouring Muslim-majority Turkey, among them lone minors sent away by desperate parents.
In Istanbul, a tiny Chaldean Catholic community has embraced the refugees, serving as their first point of shelter before the United Nations or local civic groups extend a helping hand.
The number of arrivals, available statistics show, has sharply increased since October 31 when gunmen stormed a Baghdad church, killing 44 worshippers, two priests and seven security guards, in an attack claimed by Al-Qaeda's local affiliate.
"We saw many newcomers after the attack. We saw they had made no preparation and had no savings," said Gizem Demirci, an activist at the Association for Solidarity with Asylum-Seekers and Migrants.
"Moreover, we began to receive minors... whose families are still in Iraq but had just enough money to send away a son or a daughter," she added without offering any specific figures.
The violence prompted an emergency summit by Iraq's top Muslim clergy in Copenhagen this week that issued a fatwa Friday that "condemns all atrocities against the Christians," said Andrew White, a participant and British vicar at St. George's Church in Baghdad.
The Shiite and Sunni religious leaders, who gathered at Denmark's initiative, urged Baghdad to criminalise inciting religious hatred and to "put the issue on the agenda of the next Arab Summit" to be held in the Iraqi capital in March, White told AFP in Copenhagen.

In Istanbul, among the newest refugees is 21-year-old Sandra, whose family fled Baghdad in mid-November, alarmed by the church carnage and ensuing threats by Islamist extremists. Christians represent less than two percent of the population in Muslim-majority Iraq.
"Some of our neighbours were killed in that attack," Sandra told AFP at the Chaldean Catholic Church in Istanbul. "At any time, it would have been our turn, the turn of our church."
Her father, a cook, made the decision to flee when the family felt the menace had reached their doorstep.
"We were at home with my mother and sister. At about 10:30 pm, some men stormed in and made us lie down. They told us: 'Either you become Muslims or you go. Otherwise we kill you'," Sandra recounted.
In her dreams, Australia is the final destination in a journey to a new life. Going back home is not even an option.
"Going back to what? Getting killed?" she grumbled.

For Israel Hannah too, Iraq is now a lost homeland after an arson burnt down his grocery, destroying also any remaining resolve he had to stand strong and carry on.
The 61-year-old looks forward to a new start, probably in North America or Australia, as he already savours the little joys of tranquil life in Istanbul, where a modest, tiny flat accommodates his five-member family.
"You feel free any time. You go to church at any time on Sundays, or you visit this or that. We feel safe and we are thanking God," he said, still astonished at having celebrated Christmas in broad daylight, amid Muslim neighbours.
The Chaldean Catholic Archbishop of Istanbul is alarmed over the rising number of refugees, stressing they now come even from the country's relatively peaceful Kurdish-majority north that used to serve as a safe haven. But Archbishop Francois Yakan said some southern Iraqi Christians who had fled to the north no longer feel safe there, either.
According to church records, some 150 Christian families, or more than 600 people, arrived in Turkey in December, almost the same as during the whole of 2009.
"What worries us is that Christians in northern Iraq too are now scared. There are now people who come from Arbil, Zakho and Sulaimaniyah," the archbishop said, referring to three cities in Iraq's Kurdish autonomous region.
"These are people who lived in peace previously," he said.

For migrants' activist Demirci, the October bloodshed at the Baghdad church was the landmark event that fuelled the exodus.
"They were scared and left just like that," she said of the Iraqi Christians.
Figures by the Turkey office of the UN High Commissioner for Refugees tend to confirm the trend: the number of asylum applications by Iraqi Christians has more than doubled in three months -- from 183 in October to 428 in December.

Leader cristiani e musulmani riuniti a Baghdad contro le violenze religiose in Iraq

By Radiovaticana

“La comunità irachena è un corpo unico”:
all'ondata di violenze perpetrata dagli estremisti islamici, leader cristiani e musulmani rispondono con un'unica voce, esprimendo la volontà di fare fronte comune contro i tentativi di sradicare dal territorio dell'Iraq la presenza delle minoranze. In un incontro – di cui riferisce L’Osservatore Romano - dal titolo “Il dialogo delle religioni”, i rappresentanti del Sunni endowment e del Christian endowment in Iraq, Ahmed Abdul Ghafour al-Samarrai e Abdullah al-Naftali, hanno affermato con forza che gli attentati e le altre forme di attacchi non saranno capaci di dividere la nazione usando come pretesto la religione. Si è trattato del primo incontro tra i due organismi, che ha avuto luogo la scorsa settimana presso la moschea di Um al-Qura.
Nel Paese sono ancora aperte le ferite per l'attentato compiuto ai danni della chiesa siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, a Baghdad, lo scorso ottobre, e per quelli più recenti avvenuti a fine anno contro le abitazioni di cristiani in diversi quartieri della capitale. “La comunità irachena - ha sottolineato Ahmed Abdul Ghafour al-Samarrai - è un corpo unico”. La serie degli ultimi attacchi è stata rivendicata dal cosiddetto “Stato islamico iracheno”, che ha intimato ai cristiani di lasciare il Paese.
Anche il presidente sunnita del Parlamento iracheno, Osama al-Nujaifi, ha ribadito recentemente la linea della fermezza e dell'unità: “Non consentiremo nessun tentativo di attentare alla coesione del popolo iracheno. I cristiani sono una componente fondamentale della nostra società e le loro sofferenze sono quelle dell'intero popolo”.
Da parte sua, il rappresentante del Christian endowment, Abdullah al-Naftali, ha voluto porre l'accento sul contributo alla costruzione della pace che da sempre caratterizza l'impegno della comunità cristiana: “I cristiani in Iraq non sono nemici di nessuno e mai alcuno ha alzato le armi e ha mai combattuto per costringere i musulmani ad abbandonare le loro case”.
In particolare, il leader cristiano si è voluto riferire all'esodo delle famiglie cristiane verso altri luoghi in Iraq considerati più sicuri o addirittura in altri Paesi, come la Giordania o la Siria. Un migliaio di nuclei familiari - secondo le stime delle Nazioni Unite - si sono diretti verso il nord dell'Iraq a seguito dell'attentato alla chiesa siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso. La difficile situazione dei profughi era stata, lo scorso novembre, al centro di un incontro dei vescovi caldei dell'Iraq che avevano chiesto una fatwa alle autorità religiose musulmane “per aiutare a chiarire che le violenze contro i cristiani sono illegittime e contrarie ai principi della religione islamica”. La richiesta era stata accompagnata anche dall'appello ai cristiani a non fuggire dall'Iraq. In un altro intervento, l'arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, Louis Sako, ha evidenziato che “nel Vicino Oriente i cristiani vivono come cittadini autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro doveri ed è naturale che essi possano godere di tutti i diritti di cittadinanza, di libertà di coscienza e di culto e anche di libertà nel campo dell'educazione e nell'uso dei mezzi di comunicazione”. (R.G.)

Aggredito un medico cristiano a Mosul

By Asia News
di Layla Yousif Rahema

Ancora un’aggressione mirata contro i cristiani d’Iraq. Il 15 gennaio pomeriggio, un gruppo di criminali non identificato è entrato nell’ospedale Al Rabi'e, una clinica privata, nel quartiere al Sukar a Mosul e hanno sparato a freddo contro un medico cristiano che lavorava lì. L’arma da fuoco aveva il silenziatore e il dottore fortunatamente è stato è stato solo gravemente ferito.
Nuyia Youssif Nuyia è un cardiologo specialista, il più conosciuto dalla regione; era il medico privato del defunto mons. Faraj Rahho e di tanti preti e religiosi e religiose. Era medico militare e professore alla Facoltà di medicina dell’università di Mosul. Nuyia è sposato, con 4 figli. Chi lo conosce racconta che Nyuia è un caldeo cattolico, molto attaccato alla sua fede e alla sua Chiesa.
I responsabili dell’accaduto per ora rimangono ignoti. Intanto, dalla comunità cristiana in Iraq arriva un’altra denuncia verso l’indifferenza occidentale alla causa, nonostante la strage di copti del 31 dicembre ad Alessandria d’Egitto o quello alla cattedrale di Baghdad: “L'occidente non può fare niente per i cristiani perché l'occidente nega le sue radici cristiane ed è indifferente a tutte le religioni. E un’altra cosa che l'occidente non capisce è che per questi Paesi musulmani ‘democrazia’ vuole dire ‘caos’”.
Intanto a Copenaghen, in Danimarca, nel fine settimana si sono riuniti a porte chiuse leader religiosi cristiani e musulmani d’Iraq, di cui i nomi sono top secret per motivi di sicurezza, per tentare di smorzare la violenza settaria che ha sconvolto la comunità cristiana. Ma più attesa ancora c’è per l’annuncio di un incontro simile a Najaf nel Sud dell’Iraq.

Christian doctor assaulted in Mosul

By Asia News
by Layla Yousif Rahema

Another targeted attack against Christians in Iraq.
On the afternoon of 15 January a group of unidentified criminals entered the Rabi'a hospital, a private clinic in the Sukar district in Mosul and shot a Christian doctor who worked there at point blank rabge. The gun had a silencer, and the doctor was fortunately only seriously wounded.

Nuyia Youssif Nuyia is a specialist cardiologist, very well known in the region. He was the private physician of the late Msgr.
Faraj Rahho and many priests and religious. Formerly a military doctor and professor at the Faculty of Medicine, University of Mosul, Nuyia is married with four children. Those who know him said that Nyuia is a Chaldean Catholic, very attached to his faith and his Church.

Those responsible for the incident remain unknown for now.
Meanwhile, the Christian community in Iraq has again denounced Western indifference to their plight, despite the Dec. 31 massacre of Copts in Alexandria and the cathedral in Baghdad: "The West can not do anything for Christian, because the West denies its Christian roots and is indifferent to all religions. And another thing that the West does not understand is that in these Muslim countries 'democracy' means 'chaos'. "

Meanwhile, this weekend in Copenhagen, Denmark Iraq’s Christian and Muslim religious leaders met in closed session, in complete secrecy security reasons, in an attempt to try to counter the sectarian violence that has rocked the Christian community. But there's even greater anticipation for the announcement of a similar meeting in Najaf in southern Iraq.

13 gennaio 2011

Veglia di preghiera per i cristiani uccisi. Folla alla cerimonia nella basilica del Sacro Cuore


Gremita di fedeli la basilica del Sacro Cuore per la veglia di preghiera in memoria delle vittime dei recenti attentati alle comunità cristiane in Iraq, Egitto e Nigeria. Tra loro anche il sindaco Gianni Alemanno, il presidente della Provincia Nicola Zingaretti e la governatrice della Regione Lazio, Renata Polverini.
La veglia è stata promossa da molte realtà del mondo cattolico che hanno raccolto l'invito di Benedetto XVI "per ricordare tutti gli uomini, le donne e i bambini che nel mondo sono vittime di attentati contro i cristiani e per chiedere che tutto ciò abbia fine".
Roberto Mineo, presidente del Ceis (Centro italiano di solidarietà don Mario Picchi), ha dichiarato che "con questa veglia si vuole far sentire alle comunità cristiane perseguitate che non sono sole. Siamo in tanti e insieme chiediamo ai governi di tutto il mondo di garantire la libertà religiosa, qualunque fede si professi".
Assenti i rappresentanti di altre comunità religiose, anche se l'incontro è aperto a tutti: in particolare quella musulmana, cui non sembra non essere arrivato alcun invito a partecipare.

Hizbullah gives aid to displaced Iraqi Christians

By The Daily Star (Lebanon)



Beirut: A Hizbullah delegation offered 700 aid packages to displaced Iraqi Christians in Mount Lebanon during a visit Wednesday to the Archbishopric of Chaldean Assyrians.

According to the National News Agency, Chaldean Monsignor Michel Kassarji said during the meeting that “the initiative that Hizbullah offered through its generosity toward our people in Lebanon deserves considerable appreciation … it marks the good works and openness of Hizbullah.”
Hizbullah representative Bilal Dagher, who was joined by officials from the Free Patriotic Movement and the Marada Movement, said the aid symbolized the brotherhood between Muslims and Christians in Lebanon, Iraq and the Arab World.

12 gennaio 2011

Domani sera, a Roma, Veglia di preghiera per i cristiani perseguitati nel mondo.


Una Veglia di preghiera in memoria delle vittime dei recenti attentati alle comunità cristiane in Iraq, Egitto e Nigeria e a sostegno di tutti i cristiani perseguitati nel mondo si svolgerà domani, alle ore 19, nella Basilica del Sacro Cuore a Roma.
A presiedere l’incontro, organizzato da una ventina di movimenti e associazioni del mondo cattolico, sarà Mons. Guerino Di Tora, Vescovo ausiliario della Diocesi di Roma.
Al microfono di Adriana Masotti ascoltiamo Benedetto Coccia, presidente dell’Azione Cattolica romana, tra i promotori dell’iniziativa.

Per rispondere in qualche modo all’invito rivolto dal Papa nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno, cioè l’invito a pregare per i fratelli cristiani che soffrono violenze, per essere vicini a loro e per ricordare le vittime di queste violenze; vittime che proprio in quest’ultimo periodo vanno crescendo di giorno in giorno. In particolare, come cristiani di Roma ci sentiamo partecipi della vocazione universale della Chiesa e del nostro vescovo, il Papa, e quindi particolarmente vicini a tutti cristiani del mondo.


A promuovere la Veglia dai preghiera sono molte Associazioni e Movimenti del mondo cattolico. E’ anche un’occasione, questa, per vivere un momento di unità tra realtà della Chiesa che, magari in modo diverso, lavorano quotidianamente per la pace e per il dialogo?

Assolutamente sì. E’ una sensibilità che ci accomuna tutti e si rivolge anche ai non cristiani e alle persone di buona volontà, a tutti coloro che hanno a cuore la dignità della persona che, nel momento in cui si vede negata la libertà religiosa, viene essa stessa negata.

Spesso, alla base dei conflitti tra appartenenti a religioni diverse ci sono anche motivazioni politiche, interessi economici, povertà – pensiamo alla Nigeria, per esempio. Elementi di cui, forse, bisognerebbe tener conto per prevenire queste violenze…

Sì, negare la libertà religiosa in realtà vuol dire negare uno dei principi fondamentali della libertà di ogni uomo. Ecco perché la libertà religiosa ha anche una valenza di civiltà politica e in qualche modo giuridica. Non a caso il Papa, nel suo Messaggio, si rivolge anche agli Stati. Certamente, anche la precarietà economica che vede in questo momento molti Paesi soffrire e quindi molte società in difficoltà, non fa che acuire talvolta la difficoltà di dialogo esistenti purtroppo tra le diverse religioni in diverse società del mondo.

Sostenere i cristiani perseguitati nel mondo, approfondire il dialogo con tutti: è importante che questi due impegni vengano portati avanti contemporaneamente?

Sì, ed è altrettanto importante una conoscenza reciproca, perché spesso conoscere le altre religioni vuol dire anche comprendere le altre culture e spesso vuol dire scoprire che, in realtà, anche negli altri messaggi religiosi non c’è alcuna traccia di violenza. Questi sentimenti di odio e di violenza spesso vengono istillati e veicolati attraverso la religione, ma con la religione non hanno niente a che vedere.

Riguardo all’impegno per la pace e per il dialogo, che cosa sta facendo l’Azione cattolica in particolare qui, a Roma?

L’Azione cattolica da sempre dedica l’intero mese di gennaio al tema della pace. L’Azione cattolica svolge un servizio pastorale nelle comunità parrocchiali, soprattutto orientato alla formazione dei cristiani, e per questo l’intero mese di gennaio è dedicato, in tutti i gruppi parrocchiali, a questo tema. In particolare, domenica 30 gennaio si svolgerà la tradizionale carovana della pace dei ragazzi di Acr, che terminerà a mezzogiorno con l’Angelus del Papa e il lancio delle colombe, quale segno di speranza e di pace. Quello sarà un momento molto bello, perché i bambini e i ragazzi testimonieranno per le vie di Roma la loro volontà e il loro desiderio di pace e soprattutto il loro desiderio di farsi costruttori di pace nella società.

Baghdad vuole fermare i rimpatri forzati di iracheni dall’Europa

By Asia News

Continua il calvario dei profughi iracheni immigrati in Nord Europa dove le autorità non smettono di operare rimpatri forzati. Gran Bretagna, Francia, Olanda, Norvegia e Svezia, in diversi tempi e in diverse modalità hanno scelto questa strada per “sistemare” i richiedenti asilo iracheni la cui domanda veniva respinta. Ora il governo di Baghdad pare intenzionato a trovare una soluzione.
L’ambasciatore iracheno a Stoccolma, Hussain al-Ameri, ha detto alla radio Sveriges che il suo Paese vuole mettere la parola fine sulla pratica già condannata anche dall’Unione europea. “Il governo iracheno è pronto ad accettare chi torna volontariamente, ma ci sono questioni serie che riguardano i rimpatri forzati” ha dichiarato il diplomatico.
Un accordo tra Svezia e Iraq sul rientro degli immigrati è entrato in vigore nel 2008. Da allora, circa 5mila iracheni sono tornati volontariamente, mentre più di 800 sono stati rimandati indietro contro la loro volontà, stando alle cifre fornite dal quotidiano svedese Svenska Dagbladet (SvD).
Così, il ministro iracheno per l’Immigrazione, Dindar Najman Shaifiq al-Dosky, ha deciso di aprire un dialogo con Stoccolma e altri governi europei per garantire il giusto trattamento ai richiedenti asilo respinti.

Un accordo da interpretare

Secondo l’accordo, agli iracheni non ritenuti bisognosi di protezione e che non vogliono tornare a casa volontariamente “viene ordinato di lasciare la Svezia”, ma si prevede anche che il rimpatrio avvenga “umanamente, su basi ragionevoli e in modo organizzato”.
Spesso però, a quanto raccontano gli stessi profughi, queste clausole non vengono rispettate: i “deportati” arrivano all’aeroporto di Baghdad, vengono esaminati dalle autorità irachene e poi trattenuti dalla polizia per verificare i documenti prima di essere mandati a casa. Succede spesso, però, che il tempo di custodia duri anche una settimana intera: famiglie con donne e bambini fermi per giorni in stazioni di polizia con la prospettiva di uscire in strada ed essere di nuovo alla mercé di terrorismo e criminalità.
A ottobre 2009, un’inchiesta della Radio svedese aveva denunciato la deportazione di iracheni, soprattutto tra quelli appartenenti a minoranza religiose e notoriamente più esposti a persecuzione. Secondo i reportage dell’emittente, i criteri dell’Ufficio immigrazione per determinare se un profugo è o meno in pericolo nel suo Paese d’origine, sono del tutto arbitrari. Amnesty International ha fatto notare che la maggior parte delle nuove domande dei richiedenti asilo iracheni sono state respinte dopo che il Consiglio svedese per l'immigrazione e la Corte d'appello per l’immigrazione hanno deciso nel 2009 che “in Iraq non vi è un conflitto armato interno”.
Baghdad sta cercando di chiarire l’interpretazione svedese dell’accordo sui rimpatri, mentre il ministro per l’Immigrazione di Stoccolma, Tobias Billström non vede motivi validi per interrompere le deportazioni e sottolinea come il governo iracheno non abbia mai avanzato la proposta di rinegoziare l’accordo.
Voli charter con “deportati” dalla Svezia sono stati fermati più volte prima dell’inizio dell’inverno su richiesta della Corte europea per i diritti dell’uomo che sta esaminando l’appello sporto dai richiedenti asilo iracheni. (LYR)

Baghdad wants to stop the forced return of Iraqis from Europe

By Asia News

The plight of Iraqi refugees immigrants in Northern Europe continues, where authorities are pressing ahead with forced returns. Britain, France, Netherlands, Norway and Sweden, in different ways and forms, see this as the “quick fix” to the drama of Iraqi asylum seekers whose applications have been rejected. Now the Iraqi government seems intent on finding a solution.
The Iraqi ambassador in Stockholm, Hussain al-Ameri, told Sveriges Radio that his country wants to put an end to the practice already condemned by the European Union. "The Iraqi government is ready to accept those who return voluntarily, but there are serious issues that concern forced repatriation," said the diplomat.
An agreement between Sweden and Iraq on the return of migrants came into force in 2008. Since then, about 5 thousand Iraqis have returned voluntarily, while more than 800 were sent back against their will, according to figures provided by the Swedish daily Svenska Dagbladet (SVD).
Thus, the Iraqi Minister for Immigration, Dindar Najman Shaifiq al-Dosky, decided to open a dialogue with Stockholm and other European governments to ensure fair treatment to failed asylum seekers.

Reading between the lines of the agreement

Under the deal, the Iraqis not considered in need of protection and who do not want to return home voluntarily "are ordered to leave Sweden”, but it is also expected that the repatriation takes place “humanly, on reasonable grounds and in an organized way. " Often, however, according to the refugees themselves, these terms are not met: the "deported" arrives at Baghdad airport, is questioned by Iraqi authorities and then detained by the police to check documents before being sent home. It often happens, however, that the deported are detained for a serious length of time, even a whole week: families with women and children are kept in police stations for days with the prospect of being thrown back out onto the streets at the mercy of terrorism and crime.
In October 2009, an investigation by Swedish Radio reported on the deportation of Iraqis, especially those belonging to religious minorities and most notoriously vulnerable to persecution. According to the report, the Immigration Office's criteria for determining whether a refugee is or is not in danger in his country of origin, are completely arbitrary. Amnesty International has noted that most of the new Iraqi asylum claims were rejected after the Swedish Migration Board and the Court of Appeals for Immigration decided in 2009 that " there is a internal armed conflict in Iraq. "
Baghdad is trying to clarify the Swedish interpretation of repatriation, while the Stockholm Minister for Immigration, Tobias Billström sees no compelling reasons to stop the deportations and highlights how the Iraqi government has never made a proposal to renegotiate the 'Agreement.
Charter flights of the "deported" from Sweden have been stopped several times before the winter at the request of the European Court of Human Rights, which is examining appeals lodged by Iraqi asylum seekers. (LYR).

11 gennaio 2011

Un italiano nuovo rappresentante OSCE contro le persecuzioni dei cristiani

By ZENIT, 10 gennaio 2010

In vista dell’inaugurazione del suo mandato, che avverrà all’Hofburg di Vienna (Austria) il 12 gennaio, il Ministro degli Esteri della Lituania, Audronius Azubalis, presidente di turno per l’anno 2011 dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), ha nominato l’italiano Massimo Introvigne “Rappresentante OSCE per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, con un’attenzione particolare alla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni”.
L’OSCE è la maggiore organizzazione internazionale nel campo della sicurezza e della promozione dei diritti umani.
I suoi 56 Paesi membri comprendono tutti quelli dell’Europa (compresa la Santa Sede, che è membro fondatore) e dell’Asia Centrale ex-sovietica, più gli Stati Uniti e il Canada, con una partnership speciale con altri Paesi del Mediterraneo (fra cui il Marocco e Israele) e dell’Asia (fra cui il Giappone e la Corea del Sud) e con l’Australia.
L’importanza crescente dell’OSCE è stata confermata dal vertice del dicembre 2010 ad Astana, in Kazakistan, al quale hanno partecipato numerosi Capi di Stato e di Governo e altre autorità, tra cui il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, il Segretario di Stato statunitense Hillary Clinton, il Primo Ministro russo Medvedev e quello italiano Berlusconi.
L’OSCE agisce attraverso Rappresentanti, che dipendono direttamente dal presidente di turno. Il mandato del Rappresentante per la lotta alla discriminazione comprende la vigilanza e le iniziative contro il razzismo, la xenofobia, e la discriminazione nei confronti dei cristiani e dei membri di tutte le religioni diverse dall’ebraismo e dall’islam (per queste due religioni nell’OSCE esistono infatti due ulteriori rappresentanti).
L’OSCE svolge da anni un importante ruolo di vigilanza nel settore dei diritti umani e della libertà religiosa. La presidenza lituana vuole sviluppare anche il momento culturale ed educativo di tale vigilanza attraverso convegni e iniziative in diversi Paesi.
Massimo Introvigne, sociologo delle religioni, è nato a Roma nel 1955 e vive e lavora a Torino. E' autore di sessanta volumi, molti dei quali dedicati al pluralismo e alla libertà religiosa.
È viceresponsabile nazionale di Alleanza Cattolica e direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni (CESNUR), e da anni è impegnato nella denuncia delle persecuzioni contro le minoranze religiose, soprattutto contro i cristiani.
Introvigne succede a un altro italiano, l’europarlamentare Mario Mauro, e la sua candidatura è stata sostenuta anche dalla diplomazia della Santa Sede, coordinata dal sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, monsignor Ettore Balestrero.

All'OSCE contro l'intolleranza e la discriminazione anticristiane

di Massimo Introvigne


Discrimination des chrétiens : le programme de Massimo Introvigne à l’OSCE

El sociólogo italiano Introvigne, representante de la OSCE


En la OSCE, contra la intolerancia y la discriminación anticristianas

Vescovo irakeno: dalle parole del papa, un rinnovato impegno a rimanere nella nostra terra

By Asia News

Nel discorso al corpo diplomatico di ieri, Benedetto XVI ha denunciato con forza violenze e ingiustizia contro i cristiani – con riferimenti a Iraq, Egitto e Nigeria – e ha posto l’accento sulla libertà religiosa, definita “la fondamentale per la costruzione della pace”. AsiaNews riceve e pubblica un commento di mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk (nord Iraq), al discorso. Il prelato ringrazia Benedetto XVI perché “pastore unito nel profondo al suo gregge” e sottolinea che le sue parole sono fonte di forza nella lotta “per la nostra terra e le nostre chiese”.


Il punto più importante per la nostra regione, il Medio Oriente, è la libertà religiosa, cioè la libertà di coscienza di ogni individuo. Noi irakeni viviamo nel concreto una intolleranza religiosa, atti discriminatori e persecuzioni sia come cristiani, sia fra gli stessi musulmani. Il papa è al corrente di ciò che sta succedendo e lo chiarisce quando afferma che le violazioni, le tante violazioni, cruente o no, nascono da qui. Il loro elenco comincia da Oriente e conferma che è l’Asia il continente ove la libertà religiosa è più violata.
Il fanatismo religioso è diventato, purtroppo, un fenomeno che rappresenta una vera e propria sfida per una convivenza armonica fra religioni diverse. Per questo il papa sottolinea con forza che la libertà religiosa è alla base della pace: “Libertà religiosa – chiarisce – come la via fondamentale per la costruzione della pace”.
Le nazioni dell’area mediorientale sono governate, in un modo o nell’altro, da teocrazie. Questi Paesi dovrebbero capire meglio delle nazioni che hanno un governo laico, il valore della libertà religiosa individuale che influisce su ogni relazione e attività. È più facile comprendere la parola di Benedetto XVI quando afferma: “La pace, infatti, si costruisce e si conserva solamente quando l’uomo può liberamente cercare e servire Dio nel suo cuore, nella sua vita, nelle sue relazioni con gli altri”. Questo rispetto è legato alla dignità della persona umana, come valore assoluto dopo Dio.
È assurdo commettere omicidi in nome di Dio, il quale è amore per noi cristiani ed è misericordioso per i nostri fratelli musulmani! La violazione di una vita umana è una offesa a Dio creatore della vita e all’umanità intera. La religione imposta con la forza, non proviene da Dio!
Il papa è un pastore, un padre unito nel profondo al suo gregge; egli soffre per lui e cerca di proteggerlo con tutta la forza morale. Per questo parla della tragedia dei cristiani in Iraq, in Egitto e altrove. È un quadro che comincia con l’Iraq, dove “gli attentati hanno seminato morte, dolore e smarrimento tra i cristiani”, “al punto da spingerli a lasciare la terra dove i loro padri hanno vissuto lungo i secoli” e prosegue verso l’Egitto, con la recente strage di Alessandria.
Bisogna ripeterlo ancora una volta? In Medioriente i cristiani sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro doveri nazionali. È naturale che essi possano godere di tutti i diritti di cittadinanza, di libertà di coscienza e di culto, di libertà nel campo dell’insegnamento e dell’educazione, nell’uso dei mezzi di comunicazione.
Con queste parole di incoraggiamento espresse dal papa, siamo riconfortati nell’impegno a resistere per rimanere nella nostra terra e nelle nostre chiese. Per testimoniare l’amore del Signore e il suo perdono che abbraccia tutti.

Iraqi bishop: Pope’s words encourage commitment to remain in our land

In yesterday's speech to the diplomatic corps, Benedict XVI has strongly denounced the violence and injustice against Christians - with references to Iraq, Egypt and Nigeria - and emphasised religious freedom, defined as "fundamental for peace-building." AsiaNews receives and publishes a commentary by Msgr. Louis Sako, Chaldean Archbishop of Kirkuk (northern Iraq), on the speech. The prelate thanks Benedict XVI because he is a "shepherd who is deeply united to his flock " and stresses that his words are “a source of strength in the fight for our land and our churches. "

The most important issue for our region, the Middle East, is religious freedom, namely the freedom of conscience of every individual. We Iraqis are visibly experiencing religious intolerance, discrimination, and persecution both Christians and Muslims. The pope is aware of what is going on and clearly states as much when he says that the violations, the many violations, bloody or not, are rooted in this. The list starts from the East and confirms Asia as that the continent, where religious freedom is most violated.
Religious fanaticism has become, unfortunately, a phenomenon that represents a real challenge for a harmonious coexistence between different religions. For this reason the Pope emphasizes that religious freedom is the foundation of peace: "Freedom of religion – he clearly states - is the fundamental path for the building of peace."
The nations of the Middle East are governed in one way or another, by theocracies. These countries should understand more so than nations that have a secular government, the value of freedom of religion affects every relationship and all activities. It is easier to understand the words of Benedict XVI when he says: "Peace, in fact, is built and preserved only when people can freely seek and serve God in their heart, life and relations with others." This respect is tied to the dignity of the human person as an absolute value after God.
It is absurd to commit murder in the name of God, who is love for us Christians and is all merciful for our Muslim brothers! The violation of a human life is an offense against God, the Creator of life and humanity. Religion imposed by force, does not from God! The pope is a shepherd, a father profoundly united to his flock, and he suffers for it and tries to protect it with all his moral force. This is why he speaks of the tragedy of Christians in Iraq, Egypt and elsewhere. It is a picture that begins with Iraq, where " attacks have sown death, pain and confusion among Christians," "enough to push them to leave the land where their ancestors have lived for centuries” and then Egypt, with the recent massacre of Alexandria.
Do we really need to repeat it again? Middle Eastern Christians are original and authentic citizens, loyal to their country and loyal to all their domestic duties. It is only natural that they should be able to enjoy their full rights of citizenship, freedom of conscience and religion, freedom in teaching and education, in the use of media.
With these words of encouragement expressed by the pope, we are comforted in the commitment to remaining in our land and in our churches. To witness the Lord's love and forgiveness that embraces all.

10 gennaio 2011

Iraq, dalla Germania 300 mila euro per sfollati cristiani di Ninawa


La Germania ha concesso un contributo di 300 mila euro da destinare a organizzazioni internazionali, come l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), per aiutare gli sfollati interni in Iraq. Si calcola che nel paese mediorientale più di due milioni di persone, tra cui molti cristiani, non riescono a tornare alle loro case e sono diventati il bersaglio di attentati terroristici. Solo nel 2010, il governo di Bagdad calcola che alcune migliaia di famiglie sono fuggite nel nord a seguito della violenza. Ma nell’area, le difficili condizioni climatiche invernali hanno tramutato gli spostamenti in un’emergenza umanitaria. A questo proposito, Berlino concenterà i suoi aiuti nella provincia di Ninawa dove c’è un alto numero di cristiani. I fondi serviranno infatti, per comprare e distribuire lenzuola, derrate alimentari, kit per l’igiene, vestiti invernali e medicine.
La Germania ha deciso di intervenire a favore dei cristiani in Iraq, in quanto è preoccupata seriamente per la situazione delle minoranze etniche e religiose nel paese mediorientale. Per questa ragione, il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, nella sua visita in Iraq del 4 dicembre 2010 aveva incluso un incontro con i rappresentanti delle comunità cristiane a Bagdad. Nell’occasione, il capo della diplomazia di Berlino aveva posto particolare enfasi sul fatto che per a nazione araba dovesse essere una necessità fondamentale proteggere le minoranze, se avesse voluto garantirsi un futuro di pace.

Il doloroso Natale degli ortodossi a Baghdad: Mons. Lingua (Nunzio apostolico) "che il governo dia sicurezza a tutti i cittadini"

By Baghdadhope*
Fonte della notizia: Radio Free Iraq, Bab News

Anche in Iraq il Natale ortodosso è stato celebrato tra ingenti misure di sicurezza ed in un’atmosfera di dolore per le recenti stragi di cristiani a Baghdad ed ad Alessandria d’Egitto. Così è stato, a Baghdad, nella chiesa Armeno Ortodossa ed in quella Copta dove, secondo quanto riferito dal sacerdote, Padre Emanuel Shaheta, i fedeli hanno chiesto a Dio di portare la pace nel mondo e dove la celebrazione della nascita del Signore è stata un’opportunità per confermare il legame tra cristiani e musulmani, fratelli dello stesso paese.
Alla cerimonia ha partecipato anche il Nunzio apostolico in Iraq e Gordania, Mons. Giorgio Lingua che attraverso i microfoni di Radio Free Iraq ha chiesto al governo iracheno di garantire a tutti i suoi cittadini la sicurezza necessaria alla vita, ed ha dichiarato che pur apprezzando l’offerta di asilo per gli iracheni cristiani da parte di alcuni paesi europei non pensa che l’emigrazione all’estero sia la giusta soluzione per loro.
L’ambasciatore egiziano in Iraq, Sherif Shaheen, ha da canto suo ribadito come i cristiani siano parte integrante del tessuto sociale iracheno la cui sparizione indebolirebbe l’intero paese.

A proposito della situazione degli iracheni cristiani il presidente della repubblica, Jalal Talabani, ha annunciato oggi la formazione di un ufficio dipendente da quello della presidenza deputato ad investigare sulle ingiustizie e gli abusi compiuti ai danni dei cristiani. Talabani, secondo quanto riportato dal sito Bab News, ha ribadito a nome di tutto il popolo iracheno la condanna per le sofferenze patite dai cristiani e la necessità di operare perchè l'Iraq rimanga la patria di tutti i suoi cittadini che in essa possano vivere in pace e sicurezza.
Alle parole di Talabani hanno fatto eco quelle del patriarca della chiesa caldea, Cardinale Mar Emmanuel III Delly, che ha ricordato la necessità che tutti gli iracheni lavorino insieme per il bene del paese.

Discorso al corpo diplomatico. «I governi proteggano la libertà religiosa»

By Avvenire, 10 gennaio 2011

Eccellenze,
Signore e Signori,
Sono lieto di accogliervi per questo incontro che, ogni anno, vi riunisce intorno al Successore di Pietro, illustri Rappresentanti di così numerosi Paesi. Esso riveste un alto significato, poiché offre un’immagine e al tempo stesso un esempio del ruolo della Chiesa e della Santa Sede nella comunità internazionale. Rivolgo a ciascuno di voi saluti e voti cordiali, in particolare a quanti sono qui per la prima volta. Vi sono riconoscente per l’impegno e l’attenzione con i quali, nell’esercizio delle vostre delicate funzioni, seguite le mie attività, quelle della Curia Romana e, così, in un certo modo, la vita della Chiesa cattolica in ogni parte del mondo. Il vostro Decano, l’Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, si è fatto interprete dei vostri sentimenti, e lo ringrazio per gli auguri che mi ha espresso a nome di tutti. Sapendo quanto la vostra comunità è unita, sono certo che è presente oggi nel vostro pensiero l’Ambasciatrice del Regno dei Paesi Bassi, la Baronessa van Lynden-Leijten, ritornata qualche settimana fa alla casa del Padre. Mi associo nella preghiera ai vostri sentimenti di commozione.
Quando inizia un nuovo anno, nei nostri cuori e nel mondo intero risuona ancora l’eco del gioioso annuncio che è brillato venti secoli or sono nella notte di Betlemme, notte che simboleggia la condizione dell’umanità, nel suo bisogno di luce, d’amore e di pace. Agli uomini di allora come a quelli di oggi, le schiere celesti hanno recato la buona notizia dell’avvento del Salvatore: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9,1). Il Mistero del Figlio di Dio che diventa figlio d’uomo supera sicuramente ogni attesa umana. Nella sua gratuità assoluta, questo avvenimento di salvezza è la risposta autentica e completa al desiderio profondo del cuore. La verità, il bene, la felicità, la vita in pienezza, che ogni uomo ricerca consapevolmente o inconsapevolmente, gli sono donati da Dio. Aspirando a questi benefici, ogni persona è alla ricerca del suo Creatore, perché “solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo” (Esort. ap. postsinodale Verbum Domini, 23). L’umanità, in tutta la sua storia, attraverso le sue credenze e i suoi riti, manifesta un’incessante ricerca di Dio e “tali forme d’espressione sono così universali che l’uomo può essere definito un essere religioso” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 28). La dimensione religiosa è una caratteristica innegabile e incoercibile dell’essere e dell’agire dell’uomo, la misura della realizzazione del suo destino e della costruzione della comunità a cui appartiene. Pertanto, quando l’individuo stesso o coloro che lo circondano trascurano o negano questo aspetto fondamentale, si creano squilibri e conflitti a tutti i livelli, tanto sul piano personale che su quello interpersonale.
E’ in questa verità primaria e fondamentale che si trova la ragione per cui ho indicato la libertà religiosa come la via fondamentale per la costruzione della pace, nel Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace di quest’anno. La pace, infatti, si costruisce e si conserva solamente quando l’uomo può liberamente cercare e servire Dio nel suo cuore, nella sua vita e nelle sue relazioni con gli altri.
Signore e Signori Ambasciatori, la vostra presenza in questa circostanza solenne è un invito a compiere un giro di orizzonte su tutti i Paesi che voi rappresentate e sul mondo intero. In questo panorama, non vi sono forse numerose situazioni nelle quali, purtroppo, il diritto alla libertà religiosa è leso o negato? Questo diritto dell’uomo, che in realtà è il primo dei diritti, perché, storicamente, è stato affermato per primo, e, d’altra parte, ha come oggetto la dimensione costitutiva dell’uomo, cioè la sua relazione con il Creatore, non è forse troppo spesso messo in discussione o violato? Mi sembra che la società, i suoi responsabili e l’opinione pubblica si rendano oggi maggiormente conto, anche se non sempre in modo esatto, di tale grave ferita inferta contro la dignità e la libertà dell’homo religiosus, sulla quale ho tenuto, a più riprese, ad attirare l’attenzione di tutti.
L’ho fatto durante i miei viaggi apostolici dell’anno scorso, a Malta e in Portogallo, a Cipro, nel Regno Unito e in Spagna. Al di là delle caratteristiche di questi Paesi, conservo di tutti un ricordo pieno di gratitudine per l’accoglienza che mi hanno riservato. L’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, che si è svolta in Vaticano nel corso del mese di ottobre, è stata un momento di preghiera e di riflessione, durante il quale il pensiero si è rivolto con insistenza verso le comunità cristiane di quelle regioni del mondo, così provate a causa della loro adesione a Cristo e alla Chiesa.

Sì, guardando verso l’Oriente, gli attentati che hanno seminato morte, dolore e smarrimento tra i cristiani dell’Iraq, al punto da spingerli a lasciare la terra dove i loro padri hanno vissuto lungo i secoli, ci hanno profondamente addolorato. Rinnovo alle Autorità di quel Paese e ai capi religiosi musulmani il mio preoccupato appello ad operare affinché i loro concittadini cristiani possano vivere in sicurezza e continuare ad apportare il loro contributo alla società di cui sono membri a pieno titolo.

Anche in Egitto, ad Alessandria, il terrorismo ha colpito brutalmente dei fedeli in preghiera in una chiesa. Questa successione di attacchi è un segno ulteriore dell’urgente necessità per i Governi della Regione di adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose. Bisogna dirlo ancora una volta? In Medio Oriente, “i cristiani sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro doveri nazionali. E’ naturale che essi possano godere di tutti i diritti di cittadinanza, di libertà di coscienza e di culto, di libertà nel campo dell’insegnamento e dell’educazione e nell’uso dei mezzi di comunicazione” (Messaggio al Popolo di Dio dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, 10). A tale riguardo, apprezzo l’attenzione per i diritti dei più deboli e la lungimiranza politica di cui hanno dato prova alcuni Paesi d’Europa negli ultimi giorni, domandando una risposta concertata dell’Unione Europea affinché i cristiani siano difesi nel Medio Oriente. Vorrei ricordare infine che la libertà religiosa non è pienamente applicata là dove è garantita solamente la libertà di culto, per di più con delle limitazioni. Incoraggio, inoltre, ad accompagnare la piena tutela della libertà religiosa e degli altri diritti umani con programmi che, fin dalla scuola primaria e nel quadro dell’insegnamento religioso, educhino al rispetto di tutti i fratelli nell’umanità. Per quanto riguarda poi gli Stati della Penisola Arabica, dove vivono numerosi lavoratori immigrati cristiani, auspico che la Chiesa cattolica possa disporre di adeguate strutture pastorali.
Tra le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà religiosa, una menzione particolare dev’essere fatta della legge contro la blasfemia in Pakistan: incoraggio di nuovo le Autorità di quel Paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose. Il tragico assassinio del Governatore del Punjab mostra quanto sia urgente procedere in tal senso: la venerazione nei riguardi di Dio promuove la fraternità e l’amore, non l’odio e la divisione. Altre situazioni preoccupanti, talvolta con atti di violenza, possono essere menzionate nel Sud e nel Sud-Est del continente asiatico, in Paesi che hanno peraltro una tradizione di rapporti sociali pacifici. Il peso particolare di una determinata religione in una nazione non dovrebbe mai implicare che i cittadini appartenenti ad un’altra confessione siano discriminati nella vita sociale o, peggio ancora, che sia tollerata la violenza contro di essi. A questo proposito, è importante che il dialogo inter-religioso favorisca un impegno comune a riconoscere e promuovere la libertà religiosa di ogni persona e di ogni comunità. Infine, come ho già ricordato, la violenza contro i cristiani non risparmia l’Africa. Gli attacchi contro luoghi di culto in Nigeria, proprio mentre si celebrava la Nascita di Cristo, ne sono un’altra triste testimonianza.
In diversi Paesi, d’altronde, la Costituzione riconosce una certa libertà religiosa, ma, di fatto, la vita delle comunità religiose è resa difficile e talvolta anche precaria (cfr Conc. Vat. II, Dich. Dignitatis humanae, 15), perché l’ordinamento giuridico o sociale si ispira a sistemi filosofici e politici che postulano uno stretto controllo, per non dire un monopolio, dello Stato sulla società. Bisogna che cessino tali ambiguità, in modo che i credenti non si trovino dibattuti tra la fedeltà a Dio e la lealtà alla loro patria. Domando in particolare che sia garantita dovunque alle comunità cattoliche la piena autonomia di organizzazione e la libertà di compiere la loro missione, in conformità alle norme e agli standards internazionali in questo campo.
In questo momento, il mio pensiero si volge di nuovo verso la comunità cattolica della Cina continentale e i suoi Pastori, che vivono un momento di difficoltà e di prova. D’altro canto, vorrei indirizzare una parola di incoraggiamento alle Autorità di Cuba, Paese che ha celebrato nel 2010 settantacinque anni di relazioni diplomatiche ininterrotte con la Santa Sede, affinché il dialogo che si è felicemente instaurato con la Chiesa si rafforzi ulteriormente e si allarghi.
Spostando il nostro sguardo dall’Oriente all’Occidente, ci troviamo di fronte ad altri tipi di minacce contro il pieno esercizio della libertà religiosa. Penso, in primo luogo, a Paesi nei quali si accorda una grande importanza al pluralismo e alla tolleranza, ma dove la religione subisce una crescente emarginazione. Si tende a considerare la religione, ogni religione, come un fattore senza importanza, estraneo alla società moderna o addirittura destabilizzante, e si cerca con diversi mezzi di impedirne ogni influenza nella vita sociale. Si arriva così a pretendere che i cristiani agiscano nell’esercizio della loro professione senza riferimento alle loro convinzioni religiose e morali, e persino in contraddizione con esse, come, per esempio, là dove sono in vigore leggi che limitano il diritto all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari o di certi operatori del diritto.
In tale contesto, non si può che rallegrarsi dell’adozione da parte del Consiglio d’Europa, nello scorso mese di ottobre, di una Risoluzione che protegge il diritto del personale medico all’obiezione di coscienza di fronte a certi atti che ledono gravemente il diritto alla vita, come l’aborto.
Un’altra manifestazione dell’emarginazione della religione e, in particolare, del cristianesimo, consiste nel bandire dalla vita pubblica feste e simboli religiosi, in nome del rispetto nei confronti di quanti appartengono ad altre religioni o di coloro che non credono. Agendo così, non soltanto si limita il diritto dei credenti all’espressione pubblica della loro fede, ma si tagliano anche radici culturali che alimentano l’identità profonda e la coesione sociale di numerose nazioni. L’anno scorso, alcuni Paesi europei si sono associati al ricorso del Governo italiano nella ben nota causa concernente l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. Desidero esprimere la mia gratitudine alle Autorità di queste nazioni, come pure a tutti coloro che si sono impegnati in tal senso, Episcopati, Organizzazioni e Associazioni civili o religiose, in particolare il Patriarcato di Mosca e gli altri rappresentanti della gerarchia ortodossa, come tutte le persone - credenti ma anche non credenti - che hanno tenuto a manifestare il loro attaccamento a questo simbolo portatore di valori universali.
Riconoscere la libertà religiosa significa, inoltre, garantire che le comunità religiose possano operare liberamente nella società, con iniziative nei settori sociale, caritativo od educativo. In ogni parte del mondo, d’altronde, si può constatare la fecondità delle opere della Chiesa cattolica in questi campi. E’ preoccupante che questo servizio che le comunità religiose offrono a tutta la società, in particolare per l’educazione delle giovani generazioni, sia compromesso o ostacolato da progetti di legge che rischiano di creare una sorta di monopolio statale in materia scolastica, come si constata ad esempio in certi Paesi dell’America Latina. Mentre parecchi di essi celebrano il secondo centenario della loro indipendenza, occasione propizia per ricordarsi del contributo della Chiesa cattolica alla formazione dell’identità nazionale, esorto tutti i governi a promuovere sistemi educativi che rispettino il diritto primordiale delle famiglie a decidere circa l’educazione dei figli e che si ispirino al principio di sussidiarietà, fondamentale per organizzare una società giusta.
Proseguendo la mia riflessione, non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione.
Signore e Signori Ambasciatori,
in questa circostanza solenne, permettetemi di esplicitare alcuni principi a cui la Santa Sede, con tutta la Chiesa cattolica, si ispira nella sua attività presso le Organizzazioni Internazionali intergovernative, al fine di promuovere il pieno rispetto della libertà religiosa per tutti. In primo luogo, la convinzione che non si può creare una sorta di scala nella gravità dell’intolleranza verso le religioni. Purtroppo, un tale atteggiamento è frequente, e sono precisamente gli atti discriminatori contro i cristiani che sono considerati meno gravi, meno degni di attenzione da parte dei governi e dell’opinione pubblica. Al tempo stesso, si deve pure rifiutare il contrasto pericoloso che alcuni vogliono instaurare tra il diritto alla libertà religiosa e gli altri diritti dell’uomo, dimenticando o negando così il ruolo centrale del rispetto della libertà religiosa nella difesa e protezione dell’alta dignità dell’uomo. Meno giustificabili ancora sono i tentativi di opporre al diritto alla libertà religiosa, dei pretesi nuovi diritti, attivamente promossi da certi settori della società e inseriti nelle legislazioni nazionali o nelle direttive internazionali, ma che non sono, in realtà, che l’espressione di desideri egoistici e non trovano il loro fondamento nell’autentica natura umana. Infine, occorre affermare che una proclamazione astratta della libertà religiosa non è sufficiente: questa norma fondamentale della vita sociale deve trovare applicazione e rispetto a tutti i livelli e in tutti i campi; altrimenti, malgrado giuste affermazioni di principio, si rischia di commettere profonde ingiustizie verso i cittadini che desiderano professare e praticare liberamente la loro fede.
La promozione di una piena libertà religiosa delle comunità cattoliche è anche lo scopo che persegue la Santa Sede quando conclude Concordati o altri Accordi. Mi rallegro che Stati di diverse regioni del mondo e di diverse tradizioni religiose, culturali e giuridiche scelgano il mezzo delle convenzioni internazionali per organizzare i rapporti tra la comunità politica e la Chiesa cattolica, stabilendo attraverso il dialogo il quadro di una collaborazione nel rispetto delle reciproche competenze. L’anno scorso è stato concluso ed è entrato in vigore un Accordo per l’assistenza religiosa dei fedeli cattolici delle forze armate in Bosnia-Erzegovina, e negoziati sono attualmente in corso in diversi Paesi. Speriamo in un esito positivo, capace di assicurare soluzioni rispettose della natura e della libertà della Chiesa per il bene di tutta la società.
L’attività dei Rappresentanti Pontifici presso Stati ed Organizzazioni internazionali è ugualmente al servizio della libertà religiosa. Vorrei rilevare con soddisfazione che le Autorità vietnamite hanno accettato che io designi un Rappresentante, che esprimerà con le sue visite alla cara comunità cattolica di quel Paese la sollecitudine del Successore di Pietro. Vorrei ugualmente ricordare che, durante l’anno passato, la rete diplomatica della Santa Sede si è ulteriormente consolidata in Africa, una presenza stabile è ormai assicurata in tre Paesi dove il Nunzio non è residente. A Dio piacendo, mi recherò ancora in quel continente, in Benin, nel novembre prossimo, per consegnare l’Esortazione Apostolica che raccoglierà i frutti dei lavori della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.
Dinanzi a questo illustre uditorio, vorrei infine ribadire con forza che la religione non costituisce per la società un problema, non è un fattore di turbamento o di conflitto. Vorrei ripetere che la Chiesa non cerca privilegi, né vuole intervenire in ambiti estranei alla sua missione, ma semplicemente esercitare questa missione con libertà. Invito ciascuno a riconoscere la grande lezione della storia: “Come negare il contributo delle grandi religioni del mondo allo sviluppo della civiltà? La sincera ricerca di Dio ha portato ad un maggiore rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loro patrimonio di valori e principi, hanno fortemente contribuito alla presa di coscienza delle persone e dei popoli circa la propria identità e dignità, nonché alla conquista di istituzioni democratiche e all’affermazione dei diritti dell’uomo e dei suoi corrispettivi doveri. Anche oggi i cristiani, in una società sempre più globalizzata, sono chiamati, non solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche con la testimonianza della propria carità e fede, ad offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle realtà umane” (Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 2011, 7).
Emblematica, a questo proposito, è la figura della Beata Madre Teresa di Calcutta: il centenario della sua nascita è stato celebrato a Tirana, a Skopje e a Pristina come in India; un vibrante omaggio le è stato reso non soltanto dalla Chiesa, ma anche da Autorità civili e capi religiosi, senza contare le persone di tutte le confessioni. Esempi come il suo mostrano al mondo quanto l’impegno che nasce dalla fede sia benefico per tutta la società.
Che nessuna società umana si privi volontariamente dell’apporto fondamentale che costituiscono le persone e le comunità religiose! Come ricordava il Concilio Vaticano II, assicurando pienamente e a tutti la giusta libertà religiosa, la società potrà “godere dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e la sua santa volontà” (Dich. Dignitatis humanae, 6).
Ecco perché, mentre formulo voti affinché questo nuovo anno sia ricco di concordia e di reale progresso, esorto tutti, responsabili politici, capi religiosi e persone di ogni categoria, ad intraprendere con determinazione la via verso una pace autentica e duratura, che passa attraverso il rispetto del diritto alla libertà religiosa in tutta la sua estensione.
Su questo impegno, per la cui attuazione è necessario lo sforzo dell’intera famiglia umana, invoco la Benedizione di Dio Onnipotente, che ha operato la nostra riconciliazione con Lui e tra di noi, per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, nostra pace (cfr Ef 2,14).
Buon anno a tutti!
Benedetto XVI