"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

4 aprile 2007

Quinta medaglia per Sarkis Aghajan: è la volta della chiesa armena apostolica

Fonte: Ankawa.com

E siamo a cinque! Dopo la chiesa cattolica Caldea, quella Siro ortodossa, quella Assira dell’est, e quella Copta ortodossa, anche la chiesa Armena apostolica ha concesso una medaglia a Sarkis Aghajan a riconoscimento dei suoi sforzi a favore della comunità cristiana irachena.

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In fuga da Baghdad e da Mosul insieme ai cristiani delle altre confessioni, gli armeni hanno trovato rifugio nel Kurdistan dove la presenza di Aghajan, ministro delle finanze del Governo Regionale Curdo, anch’egli cristiano, ne sta facilitando l’insediamento, e dove, come ha dichiarato Artin Khalatiyan, Pastore della Chiesa Armena Ortodossa di Zakho “i nostri diritti non sono mai stai violati.” L’insediamento degli armeni in Kurdistan si sta compiendo attraverso il metodo usato anche per le altre comunità cristiane: la costruzione di villaggi, come quello di Hawresk, tra Zakho e Dohuk, all’estremo nord della regione curda irachena, e quella di nuove chiese come, nel caso della comunità armeno apostolica, quella recentemente inaugurata a Dohuk dall'Arcivescovo Avak Assadourian, primate dell’Iraq che all’inizio di marzo ha potuto incontrare i propri fedeli proprio durante una sua visita nel Kurdistan. Visita che, siamo certi, è servita a preparare la consegna dell’onorificenza a Sarkis Aghajan a nome di Sua Eminenza Karakin II, Patriarca e Katolikos di tutti gli armeni.
A chi toccherà ora onorare colui "il cui nome rimarrà scolpito nei cuori della comunità cristiana”? (Mar Emmanuel III Delly, Patriarca della chiesa cattolica caldea)

2 aprile 2007

Papa: giovani, dalla confessione una nuova forza per amare e cambiare il mondo

Fonte: AsiaNews

Per la prima volta nel suo pontificato, Benedetto XVI ha confessato alcune persone. Una cerimonia penitenziale in San Pietro alla quale si sono
uniti nella preghiera i giovani cattolici di Erbil, in Iraq.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Giovani, confessatevi spesso, così avrete una rinnovata capacità di amare che vi aiuterà nell’impresa di cambiare il mondo, portandovi la civiltà dell’amore. E’ il messaggio che Benedetto XVI ha rivolto ad alcune migliaia di giovani che hanno riempito la basilica di San Pietro. Tanti che non sono neppure riusciti ad entrare tutti, ma sono stati salutati dal Papa.

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E oggi, per la prima volta nel suo pontificato, Benedetto XVI ha confessato alcune persone – giovani - rinnovando così una tradizione che era stata instaurata da Giovanni Paolo II. Ma, a differenza di quanto faceva papa Wojtyla, che scendeva nella Basilica di San Pietro il Venerdì santo e amministrava il sacramento come un qualunque confessore, Benedetto XVI l’ha fatto oggi, nell’ambito di una celebrazione penitenziale in vista della Giornata della gioventù. Il Papa, in qualche modo, ha anche evidenziato la corretta celebrazione di tale rito, con la parte comunitaria e la confessione individuale.
E’ stata una lunga liturgia, dedicata alla “sperimentazione della misericordia di Dio”, secondo la definizione che Benedetto XVI ha dato della confessione, al quale da Erbil si sono uniti, nella preghiera, alcuni giovani iracheni.
Ai giovani, il Papa ha proposto una riflessione sul tema della Giornata: “Come io vi ho amato così amatevi anche voi gli uni gli altri”. “Quello odierno – ha detto – è un appuntamento che assume un profondo ed alto significato: è infatti un incontro intorno alla croce, una celebrazione della misericordia di Dio che nel sacramento della confessione ognuno di voi potrà sperimentare personalmente”.
Benedetto XVI ha proseguito affermando che nel cuore di ogni uomo “mendicante di amore, c’e sete di amore” ed ha ricordato che già Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica, la Redemptor Hominis scriveva che “l’uomo non può vivere senza amore. La sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l’amore, se non lo sperimenta, lo incontra e lo fa proprio, non vi partecipa”. “Tanto più ciò vale per il cristiano, anzi, se non incontra l’amore vero non può dirsi nemmeno cristiano”.
Nella “Deus Caritas est”, poi, lo stesso Benedetto XVI ha ricordato di aver scritto che il cristianesimo all’inizio è “un incontro con una persona che dà la vita” è l’incontro con l’amore di Dio per noi, che “iniziato con la creazione, s’è fatto visibile nel mistero della croce”, che “rivela la pienezza dell’amore di Dio per noi”.
Ma di fronte all’amore ablativo di Dio, che “attende il si delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa”, fin dalla sua origine l’umanità sedotta dal maligno si è chiusa all’amore di Dio nell’illusione della sua autosufficienza.
Ma “questa sera accostandovi al sacramento della confessione – ha detto il Papa ai giovani - potrete fare l’esperienza del dono gratuito che Dio ci fa della sua vita”, affinché “diveniamo creature nuove”. E dopo “siate preparati ad usare l’amore con le vostre famiglie, i vostri amici ed anche con chi vi ha offeso”; “siate preparati ad offrire testimonianza di autentico amore cristiano negli ambienti di studio, di lavoro, nelle comunità parrocchiali, gruppi, movimenti, associazioni, in ogni ambito della società”.
Ai giovani fidanzati, infine, ha chiesto di vivere il finanziamento “nell’amore vero che chiama il reciproco rispetto casto e responsabile” e se infine “qualcuno di voi si sente chiamato ad una speciale consacrazione siate pronti a rispondere con un sì generoso e senza compromessi”.
“Il mondo – ha concluso - aspetta questo vostro contributo per l’edificazione della civiltà dell’amore”: “l’orizzonte è il mondo intero”. Con la grazia di Dio riuscirete ad essere all’altezza dell’arduo compito. Non perdete fiducia, il Signore vi è vicino”.
Il rito comprendeva una liturgia della Parola ed una richiesta comune di perdono, simboleggiata da sette giovani che hanno chiesto perdono, ognuno per un vizio capitale, e poi, come segno della domanda di misericordia, altri sette hanno acceso una lampada vicino alla croce, che per l’occasione era il crocefisso della Cappella Visitina, portato per l’occasione. E’ poi seguita la confessione individuale che, oltre al Papa, ha visto impegnati più di 200 sacerdoti delle basiliche pontificie e della diocesi.
Il rito era anche vista come una tappa nel cammino verso la prossima Giornata della gioventù, in qualche modo simboleggiata anche dal canto finale “Jesus Christ you are my life”, “inno” della Giornata.


From confession comes new strength to love and change the world, Pope tells young people

Source: AsiaNews

For the first time in his pontificate, Benedict XVI hears confession. Young Catholics from Erbil, Iraq, join in prayer a penitential ceremony in St Peter’s.

Vatican City (AsiaNews) – Young people: go to confession often so that you shall renew your capacity to love! It will help you change the world and bring to it a civilisation of love. Benedict XVI said this in a message he delivered to several thousands of young people who filled St Peter’s Square, so many in fact that some had to stand outside its perimeter. And yet the Pope was able to greet them all.

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For the first time since he became pope, Benedict XVI also heard confession, from young people, and hence renewed with a tradition that began under John Paul II. Unlike his predecessor who went down into St Peter’s Basilica on Good Friday to administer the sacrament like any other confessor, Benedict XVI performed it today as part of a penitential celebration leading up to Youth Day. In doing so the Pope underscored the right way to celebrate the ritual, communal part and individuals confessions included.
It was a long liturgy devoted to “experimenting in the mercy of God,” according to Benedict XVI’s own definition, one that saw young Catholics from Erbil, Iraq, joined in prayer.
In speaking to the young people the Pope proposed they reflect upon the Youth Day theme, namely “Love one another as I love you.”
“Today’s meeting has a high and profound meaning,” he said. “It is in fact a meeting about the Cross, a celebration of God’s mercy which each one of you can personally experience in the sacrament of the confession.”
Benedict XVI also said that in the heart of each man, “beggar for love, there is a thirst for love.” Indeed, “Man cannot live without love. He remains a being that is incomprehensible for himself, his life is senseless, if love is not revealed to him, if he does not encounter love, if he does not experience it and make it his own, if he does not participate intimately in it,” he said quoting John Paul II from his first encyclical Redemptor Hominis. “This is even truer for Christians, who, if they do not encounter true love, cannot call themselves Christian.”
In the beginning Christianity was “the meeting with a person who gives life,” Benedict XVI noted in Deus Caritas Est. Subsequently, it was the meeting with God’s love for us, “which began at creation, then became visible in the mystery of the Cross” which “revealed the fullness of God’s love for us.”
But faced with the ablative love of God, “who awaits for His creatures’ ‘I do’ the way a young groom waits for his bride’s,” humanity, ever since its origins seduced by the evil one, has shut itself off from God’s love under the illusion of its own self-sufficiency.
“But tonight as you approach the sacrament of the confession,” the Pope told the young crowd, “you will be able to experience the free gift God makes of His life,” so that “we can become new beings.” After that, “be prepared to use love with you families, friends, and even those who have given you offence;” “be prepared to bear witness of the true Christian love wherever you study and work, in parish communities, groups, movements, associations, in every realm of society.”
Addressing young couples, the Pope said that they should live their engagement “in the true love that comes with respect for one another, chaste and responsible.” If “any of you should feel called to a special consecration, be ready to respond with a generous Yes and no compromises.”
“The world,” he concluded, “is waiting for you to contribute to the building of a civilisation of love [. . .] one where the whole world is the horizon. With God’s grace you shall be equal to the arduous task. Do not lose confidence; the Lord is by your side.”
The rite included a liturgy of the Word and a collective request for forgiveness, symbolised by seven young people asking for forgiveness, each one representing each mortal sin. Then, as a sign of the call for mercy, another seven lighted a lamp near the Cross, in this particular case the Crucifix of the Visitine Chapel, which was brought for the occasion. Individual confessions followed, performed in addition to the Pope by 200 priests from the Pontifical basilicas and the diocese.
The ceremony was also a stage before the upcoming Youth Day, symbolised by the final song “Jesus Christ you are my life”, the event’s “hymn”.

L’assassinio di due anziane sorelle in Iraq aumenta la paura della comunità cattolica locale

Fonte: Zenit Codice: ZI07033013

L’Arcivescovo Louis Sako
di Kirkuk, nel nord dell’Iraq, ha descritto come l’assassinio di due anziane sorelle cattoliche abbia scioccato l’intera comunità e aumentato le paure di una diffusione della violenza anticristiana, Parlando ad “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), il presule ha affermato che una suora domenicana gli ha telefonato lunedì sera, quando sono state uccise Fadila Naoum, 85 anni, e sua sorella Margaret, di 79.

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L’Arcivescovo ha ricordato che i ladri hanno fatto irruzione nella loro casa, situata vicino al municipio di Kirkuk e a un convento domenicano, le cui suore avevano stretti rapporti con le vittime. Descrivendo Margaret come “dinamica” e molto attiva nella Chiesa, l’Arcivescovo Sako ha detto che Fadhila era costretta a letto. In un messaggio inviato ad ACS martedì, appena dopo aver celebrato i funerali, l’Arcivescovo ha scritto: “Ci siamo presi cura di Margaret e Fadhila. Sono davvero commosso e turbato per la situazione che sembra protrarsi”. Il presule ha respinto le affermazioni dei media secondo le quali le sorelle sarebbero state suore, aggiungendo che la polizia sta indagando ma finora non è stato arrestato nessuno. L’Arcivescovo Sako ha affermato di credere che si sia trattato di un tentativo di furto e non necessariamente di un atto a sfondo religioso, ma ha constatato che questo omicidio probabilmente alimenterà la paura che Kirkuk inizi a subire la stessa violenza anticristiana che ha cominciato a diffondersi a Baghdad e a Mosul. “Ci sono resoconti su come i cristiani di Kirkuk stiano iniziando ad entrare nel panico – ha rivelato –, ma dico loro di non avere paura”. La violenza a Baghdad e a Mosul ha provocato un esodo cristiano, ma l’Arcivescovo Sako ha detto che Kirkuk ha ospitato finora solo 30 famiglie di sfollati. La città curda di Ainkawa, ha affermato il presule, non era preparata all’afflusso delle comunità cattoliche. Ainkawa e la regione circostante di Erbil ospitano ora il Babel College, il St Peter’s Seminary e varie congregazioni religiose femminili evacuate dalla zona di Baghdad.

Prelate Laments Murder of 2 Iraqi Women

Source: Zenit Code: ZE07033008

Tells Christians in Kirkuk: "Be Not Afraid"
The murder of two elderly women of the Catholic Chaldean community in Kirkuk has heightened fears of the spread of anti-Christian violence in Iraq, says Archbishop Louis Sako. The archbishop of the northern Iraqi diocese told the group Aid to the Church in Need that a Dominican nun telephoned him late Monday to report the death of Fadhila Naoum, 85, and her sister Margaret, 79.

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The archbishop said the attackers broke into the home of the two women located near Kirkuk's city hall and a Dominican convent. The nuns had close links with the Naoum sisters. Just hours after conducting the funeral, Archbishop Sako wrote: "We took care of Margaret and Fadhila. I am really moved and upset about the bad situation which appears to go on without end." The archbishop said that a police inquiry was under way, but no arrests had been made. A police official told the Associated Press that he had ruled out the possibility of attempted robbery. Archbishop Sako commented that the murders were likely to stoke fears that Kirkuk would begin to suffer the same anti-Christian violence as that in Baghdad and Mosul. He said: "There are reports about how Christians in Kirkuk are now beginning to panic. But I am telling them not to be afraid. The situation here is not the same as in Baghdad and Mosul."

1 aprile 2007

Ricordare il saccheggio del Museo Nazionale di Baghdad. Un'iniziativa di SAFE (Saving Antiquities for Everyone)

Il 10 aprile del 2003 iniziarono tre giorni terribili per Baghdad e per tutto l’Iraq. In quelle ore frenetiche in cui il regime si disgregò e le truppe americane presero possesso di tutta la capitale, nella completa indifferenza degli occupanti, il Museo Nazionale di Baghdad e la Biblioteca Nazionale vennero saccheggiati. Da essi scomparirono migliaia di pezzi di incalcolabile valore artistico e storico, memoria della Mesopotamia, la “culla della civiltà.” Molti capolavori sono stati restituiti ma molti, troppi, sono scomparsi, ingoiati dal mercato nero dell’arte che non si fa scrupoli di distruggere il patrimonio artistico di un paese e di tutta l’umanità.
Per attirare l’attenzione del mondo sui 7.000 pezzi ancora mancanti dal Museo Nazionale di Baghdad e sul saccheggio, tutt’ora in corso, di più di 10.000 siti archeologici nel paese, l’organizzazione senza fini di lucro SAFE/Saving Antiquities for Everyone organizza il 10, l’11 ed il 12 aprile 2007 un evento in cui è richiesto ai partecipanti di accendere una candela e di rispettare un minuto di silenzio.
L'iniziativa ha avuto l’appoggio del Dottor Donny George, ex Direttore Generale del Museo Nazionale di Baghdad che ora vive in America ed insegna presso la Stony Brook University di New York


Maggiori informazioni sull’iniziativa si possono trovare sul sito di a SAFE

Le scuole, le università e le organizzazioni che volessero aderirvi possono richiedere materiale informativo in varie lingue a SAFE vigil@savingantiquities.org

La promozione dell’evento è affidata anche ad un video: "Remember Iraq's Heritage, Our Heritage" http://www.youtube.com/watch?v=sOsOe-dfgpE

Ecco alcuni estratti dal video: (in inglese)

Dr. Donny George: “Il 13 aprile del 2003, sono tornato al museo. Era come se fosse stato colpito da un uragano. Ciò che non avevano preso era stato distrutto. Il problema maggiore però riguarda il saccheggio dei siti archeologici perché la rimozione dei pezzi archeologici dal terreno comporta la perdita definitiva delle informazioni storiche e culturali assicurate, invece, da scavi autorizzati. Non si tratta di oggetti che possono essere ricomprati. Si tratta della memoria del popolo iracheno, di tutta l’umanità. Uniamoci e cerchiamo di fare qualcosa perché la gente non dimentichi ciò che è successo. Accendiamo una candela perché sia un simbolo e perché non si dimentichi.”

L’appello di SAFE:
Ricorda il patrimonio artistico iracheno,
ricorda il nostro patrimonio

· Che tu viva in Cile o in Cina, in Uganda o negli Stati Uniti, chiama a raccolta gli amici, i parenti, i compagni di classe, i colleghi o i vicini.
· Stabilisci a data dell'evento in un qualsiasi momento del 10, dell’11 o del 12 aprile.
· Parlane e coinvolgi più gente che puoi.
· Facci sapere se stai organizzando un evento e se vuoi che qualcun’altro vi partecipi. Pubblicheremo il luogo e l’orario su questa pagina. vigil@savingantiquities.org
· Aggiungi il link di questa pagina al tuo website/blogspot per aiutarci a diffondere l’invito nel mondo.
· Fermati per un minuto di silenzio ed accendi una candela.
· Documenta l’iniziativa con immagini ad alta risoluzione o con un breve video digitale.
· Creeremo un Video Memorial con le immagini di tutte le iniziative, lo pubblicheremo sul nostro web site, e lo consegneremo alla Dottoressa Amira Edan, attuale Direttore del Museo Nazionale di Baghdad.


DATA
Non c’è una data specifica. Quando vuoi, il 10, l’11 o il 12 aprile, puoi restare in silenzio per un minuto, da solo o in compagnia.
LUOGO
All’aperto o al chiuso, in un’università o in un parco pubblico, in una piazza o di fronte ad un museo, in una classe, in un locale pubblico o in una casa privata, in ogni luogo, insomma, dove ci si possa riunire per qualche minuto in silenzio. Se organizzi una riunione che prevedi affollata non dimenticare di chiedere alle autorità il permesso di farlo.
PIANIFICA L’EVENTO
Se fai parte di una organizzazione contattaci, ti manderemo maggiori informazioni vigil@savingantiquities.org
REGISTRA L’INIZIATIVA
Le immagini ad alta risoluzione o i brevi video digitali dovranno esserci inviati a vigil@savingantiquities.org entro il 25 aprile 2007. Potrai inviarli anche via posta a: SAFE, 123 Town Square Place, #151 Jersey City, NJ 07310 USA

Se non puoi partecipare all’iniziativa – o preferisci aderirvi in modo privato – inviaci un messaggio, una poesia o una foto per esprimere il tuo sostegno. Cercheremo di includere il materiale che ci invierai nel Video Memorial.

SCARICA IL VOLANTINO DELL'INIZIATIVA IN . PDF IN ITALIANO DA:

http://www.savingantiquities.org/pdf/SAFEvigilposterItalian.pdf


informazioni sugli eventi occorsi il 10, l'11 ed il 12 aprile 2003 a Baghdad vai a: U.S. MNEMOCIDE WAR MACHINE - LA DISTRUZIONE DELLA STORIA IRAQENA

"...una rassegna di articoli della stampa internazionale su questo evento di gravità eccezionale." (Tradotti in italiano)

Clicca su "leggi tutto" per la traduzione tratta da U.S. MNEMOCIDE WAR MACHINE - LA DISTRUZIONE DELLA STORIA IRAQENA dell'articolo di Ann Talbot: "USA implicati nel furto preordinato dei reperti storici iraqeni"
"USA implicati nel furto preordinato dei reperti storici iraqeni"
Man mano che emerge la reale entità del saccheggio del Museo Nazionale di Baghdad, appare chiaro che non si è trattato affatto di qualcosa di accidentale. E' stato piuttosto il risultato di un progetto pianificato da tempo, per far bottino dei tesori storico-artistici conservati nei musei iraqeni. Se il Museo di Baghdad fosse stato messo a sacco da abitanti dei quartieri poveri, ciò sarebbe già stato abbastanza criminale, e la responsabilità sarebbe rimasta sulle spalle dell'Amministrazione USA, che si è rifiutata, nonostante ripetuti appelli, di provvedere alla sicurezza degli edifici culturali di Baghdad. Tuttavia, non appena il personale del Museo è stato in grado di comunicare con l'esterno, è risultato chiaro che il saccheggio non era casuale. Era opera di persone che sapevano cosa cercare e che erano venute con le attrezzature speciali adatte a svolgere il lavoro. Il Dr. Donny George del Museo di Baghdad ha detto: "Credo che fossero persone che sapevano quello che volevano. Hanno lasciato dov'era la copia dell'Obelisco Nero di Salmanassar, passando oltre. Questo significa che dovevano essere specialisti. Non hanno toccato le copie." Parlando a Channel Four, ha affermato -rivolgendosi al Dr. John Curtis del British Museum- che tra i pezzi rubati ci sono anche il vaso sacro di Warka, un vaso d'oro di 5000 anni fa trovato a Ur, una statua accadica ed una assira. Il Dr. Curtis ha ribattuto dicendo che "è come rubare la Monna Lisa". Solo dopo una settimana dal saccheggio il Dr. George è stato in grado di allertare gli archeologi di tutto il mondo su ciò che era stato rubato. Le autorità militari americane non hanno fatto alcun tentativo per impedire che gli oggetti lasciassero Baghdad, né hanno promosso una ricerca a livello internazionale dei reperti rubati. La riluttanza statunitense ad agire non può essere spiegata dalla mancanza di avvertimento. Archeologi professionisti e storici dell'arte avevano già detto in anticipo al Pentagono del pericolo di saccheggio. Il Dr. Irving Finkel del British Museum ha dichiarato a Channel Four che "il saccheggio era "assolutamente prevedibile e avrebbe potuto essere facilmente fermato." Il Museo è stato vittima di un assalto preordinato con cura. I ladri che hanno preso i materiali più preziosi sono arrivati equipaggiati di attrezzature per sollevare gli oggetti più pesanti, che il personale stesso del museo non avrebbe potuto rimuovere dalle sale, e avevano le chiavi delle camere blindate dove erano sistemati gli oggetti più preziosi. Un crimine del genere non veniva commesso dai tempi della sistematica spoliazione nazista dei musei d'Europa. La rivista online statunitense Business Week ripete la tesi della premeditazione e della cospirazione nel sacco dei musei iraqeni in un articolo del 17/4 intitolato "Erano già pronti i ladri d'antichità?", con sottotitolo "Sapevano ciò che cercavano perché i mercanti d'arte avevano ordinato i pezzi più importanti in anticipo". Il Business Week riporta: "E' stato come se gli esecutori stessero aspettando la caduta di Baghdad per muoversi. G. J. Stein, professore d'archeologia all'Università di Chicago, che ha condotto scavi in Iraq per decenni, è convinto che i mercanti avevano ordinato i pezzi in anticipo. "Stavano cercando esemplari molto specifici, sapevano dove guardare". Fin dalla precedente Guerra del Golfo del 1991 antichi reperti iraqeni sono apparsi sul mercato provenienti dai musei che furono saccheggiati allora e da siti archeologici spianati con i bulldozer. In questi siti le statue sono state tagliate in pezzi per poter essere esportate. La razzia dell'eredità culturale iraqena ha eccitato l'appetito dei collezionisti, i quali sono già responsabili per i saccheggi di siti in Estremo Oriente, America Latina, Italia. Con la recessione dei mercati globali, le opere d'arte e le antichità sono considerate sempre più un sicuro investimento, andando ad alimentare un già vasto traffico sotterraneo. Il commercio illegale di antichità è altrettanto lucrativo del traffico di droga, a cui peraltro è sovente associato. Secondo un rapporto del 2001 dal titolo "Il commercio illecito di antichità: la distruzione del patrimonio archeologico mondiale", Londra e New York sono i principali mercati di questo commercio. La Svizzera, che consente l'ottenimento di un titolo legale ad ogni opera d'arte che rimanga sul suo territorio per almeno 5 anni, è un punto di transito cruciale. Il Prof. Lord Renfrew of Kaimsthorn, direttore dell'istituto archeologico di Cambridge, ha dichiarato in una conferenza stampa di presentazione del suddetto rapporto che "il commercio continua perché il governo è alla mercè dei mercanti d'arte, che vogliono mantenere ininterrotto il flusso di reperti. E' uno scandalo." All'arrivo delle notizie sull'ultimo saccheggio, il governo laburista di Blair ha organizzato una conferenza stampa nel British Museum, in cui il Segretario agli Affari Culturali ha promesso sostegno ufficiale alla protezione dei reperti iraqeni. Intanto, mentre parlava, la Biblioteca Nazionale iraqena veniva saccheggiata. L'edificio, sede di rarissime copie del Corano vecchie di secoli ed altri esempi di calligrafia islamica, così come insostituibili documenti storici dell'epoca ottomana, è stato dato alle fiamme e un numero indicibile di testi è stato distrutto. Il giornalista Robert Fisk, che vide le fiamme, si precipitò dai marines USA nel tentativo di salvare parte della collezione, ma loro si rifiutarono di dare aiuto. Fisk ha scritto sull'Independent: "ho dato la mappa del posto, il nome preciso in arabo e in inglese, ho detto che si vedeva il fumo da cinque km di distanza e ci sarebbero voluti solo 5 minuti per arrivare là. Mezz'ora dopo non c'era neppure un americano sul posto e le fiamme si alzavano nell'aria per 70 metri." Dopo il destino del Museo di Baghdad, si può concludere che il saccheggio e il rogo della Biblioteca è servito a mascherare un crimine più sistematico, in cui selezionati manoscritti sono stati rubati per ricchi collezionisti. In questo quadro si spiega la connivenza nel rogo dei libri - un'altra pratica nazista.

IL RUOLO DELL'ACCP
Dopo questi due devastanti attacchi alla cultura, l'attenzione si è focalizzata sulle attività dell'ACCP (American Council for Cultural Policy). Anche la stampa inglese, che lavora sotto alcune delle più dure leggi antidiffamazione del mondo, ha riportato che l'ACCP può aver influenzato la linea del governo USA in merito agli oggetti d'arte iraqeni. L'ACCP è stato costituito nel 2001 da un gruppo di ricchi collezionisti d'arte, per far pressione contro la Legge statunitense di Regolamentazione della Proprietà Culturale, che tenta di mettere regole al mercato dell'arte, fermando il flusso di beni rubati verso gli Stati Uniti. L'ACCP ha difeso in giudizio il mercante d'arte, poi dichiarato colpevole in forza della Legge sulla Proprietà Nazionale rubata; la medesima associazione si oppone all'uso in giudizio della sentenza del 1977 "U.S. contro McClain" come precedente legale nei casi riguardanti il possesso e il trasferimento di oggetti d'arte rubati. Nel caso McClain un giudice statunitense diede responso favorevole al fatto che tutta l'arte e i monili precolombiani portati negli USA senza l'espresso consenso del Governo messicano fossero proprietà rubata. La legge messicana considera tutti i reperti archeologici come Proprietà dello Stato e ne vieta l'esportazione. Il Messico è solo uno di molti paesi che hanno questo tipo di legislazione. Ashton Hawkins, uno dei maggiori avvocati d'arte e fondatore dell'ACCP, considera questo tipo di legislazione "protezionista". Ha condannato i paesi "fonte" archeologicamente ricchi per il tentativo di proteggere con tali misure i loro musei e siti archeologici, lamentando che sotto l'amministrazione Clinton tali politiche protezioniste sono arrivate a dare impronta alla politica del governo USA.Hawkins ha gli occhi puntati ai grandi musei mediorientali. Ha auspicato che le antichità egiziane conservate al Museo del Cairo vengano disperse: "Vorrei proporre" ha detto, "che il Museo del Cairo offrisse l'opportunità ai musei di tutto il mondo di acquisire fino a 50 oggetti ciascuno per le loro collezioni. In cambio i musei esteri darebbero un cospicuo contributo per la costruzione del nuovo museo ai piedi dell'altipiano di Giza, un milione di dollari ciascuno per esempio." Il meeting inaugurale dell'ACCP ha avuto luogo nella casa sulla 5°Strada di Guido Goldman, un collezionista di tessili uzbeki. Tra i presenti c'era Arthur Houghton, l'ex curatore del Museo Getty di Malibu in California, che è notoriamente un espositore di opere di dubbia provenienza. Hawkins stesso è andato in pensione nel 2000 dalla carica di vicepresidente del consiglio d'amministrazione del Metropolitan Museum of Art di New York, museo che - secondo il suo precedente direttore Thomas Hoving - conserva molti manufatti saccheggiati da tombe etrusche. Prima che la guerra cominciasse, membri dell'ACCP hanno avuto un incontro con i funzionari del Pentagono, in cui hanno dichiarato la loro grande preoccupazione per le antichità iraqene. Cosa questa preoccupazione significhi è evidente dalle osservazioni di William Pearlstein, il tesoriere del gruppo, che descrive le leggi iraqene sul patrimonio archeologico come "protezioniste". L'ACCP nega di volere un cambiamento nelle leggi iraqene, ma i saccheggi del museo e della biblioteca di Baghdad avranno come effetto concreto di aggirare questo problema, se la Legge statunitense sul furto d'oggetti d'arte e materiale archeologico verrà modificata. Il Prof. John Merryman della Scuola Giuridica di Stanford e membro dell'ACCP, ha auspicato una "applicazione internazionale selettiva dei controlli sull'esportazione" nei tribunali statunitensi. In altre parole, sarebbe perfettamente legittimo importare oggetti trafugati a Baghdad se un tribunale USA sceglie di non riconoscere la legislazione iraqena. Merryman ha stabilito i principi dell'organizzazione in un testo del 1998, in cui sosteneva che il fatto che un oggetto artistico fosse stato rubato non era in sé un impedimento all'importazione legale negli Stati Uniti.E nella sua rivendicazione si spinge anche oltre: "L'esistenza di un mercato preserva gli oggetti d'arte, che altrimenti potrebbero essere distrutti o trascurati, fornendo loro un valore di mercato. Nel quadro di un commercio legittimo e aperto, gli oggetti possono spostarsi verso le persone e le istituzioni che li valutano di più, e che per tale ragione sono più adatti a prendersene cura". Questa è un'argomentazione autogiustificativa che puzza molto di ipocrisia. I ricchi collezionisti possono ora additare il caos per le strade di Baghdad, il saccheggio del museo e il rogo della biblioteca come prova che gli Iraqeni, troppo poveri o troppo ignoranti, sono incapaci o non interessati a prendersi cura dei loro tesori artistici, tesori che sarebbero dunque meglio protetti nei musei Americani o nelle collezioni private. Le idee dell'ACCP rappresentano gli interessi di settori particolarmente rapaci della classe dirigente USA, che operano sul principio che tutto - persino oggetti di incalcolabile valore artistico o scientifico - è definito dal suo "valore di mercato". Loro intendono il prezzo, naturalmente, dato che il vero valore degli oggetti trafugati dal Museo di Baghdad e dalla Biblioteca Nazionale Iraqena è incalcolabile. Questi sono letteralmente gente che capisce IL PREZZO DI TUTTO E IL VALORE DI NIENTE. L'auspicio che il mercato determini il possesso e l'accesso alle opere d'arte e ai reperti archeologici metterebbe questi oggetti nelle mani di una facoltosa minoranza, e renderebbe la possibilità di pubblico accesso dipendente dalla buona volontà dei ricchi possessori. Nonostante il fatto che molti membri dell'ACCP abbiano fatto parte di istituzioni pubbliche, il loro intento è profondamente contrario alla pubblica diffusione dell'arte e dell'archeologia. Stanno tentando non solo di cambiare le leggi degli altri paesi, ma lavorano contro le tradizioni più progressiste della società americana, che hanno sempre premiato i musei pubblici.

UNA TRADIZIONE SCIENTIFICA
Lo sviluppo dei musei pubblici è avvenuto di pari passo con lo sviluppo di una comprensione scientifica dei manufatti archeologici e delle società che li hanno prodotti. I musei a finanziamento pubblico hanno rappresentato una rottura con la vecchia tradizione di tesaurizzazione privata. Le esposizioni avevano lo scopo di mostrare gli oggetti del passato in modo scientifico e razionale. L'accumulo di reperti archeologici in mani private tende a disgregare il lavoro scientifico, dato che il materiale si disperde ed è perciò difficile da catalogare, senza contare che molto di esso rimane sconosciuto agli studiosi del campo specifico. I musei pubblici sono tali non solo per il loro finanziamento e per il fatto che aprano le sale ai visitatori, ma soprattutto nel senso che rendono disponibile a tutti la conoscenza, cioè qualcosa che è riconosciuto come requisito primario del processo scientifico, fin dalla rivoluzione scientifica del 17° secolo. Uno degli effetti del saccheggio del museo di Baghdad è stata la distruzione del catalogo cartaceo del museo e dei relativi dati digitali sul patrimonio conservato nelle sale del museo. Questo ha reso non solo più difficile il tracciamento degli oggetti, ma ha anche minato alla base intere generazioni di paziente lavoro archeologico. Distruggere un simile catalogo significa rendere privata una collezione, sia in senso simbolico che concreto, dato che il suo contenuto diventa sconosciuto al mondo esterno. Mentre gli oggetti più importanti sono ben conosciuti a livello internazionale, i dati contenuti in un museo vanno molto oltre queste spettacolari opere d'arte. Includono tutti i ritrovamenti minori degli scavi archeologici, che in sé stessi non sono appariscenti, ma se studiati tutti insieme producono l'immagine di una società che non potrebbe essere ottenuta altrimenti solo dalle opere d'arte.Gli archeologi passano il loro tempo a setacciare i detriti delle civiltà passate, anche in senso letterale. Possono passare al setaccio tonnellate di terra cercando ali di scarabeo o semi. Antiche latrine e mucchi di rifiuti producono ricchezza conoscitiva. Ciò che viene gettato o scartato fornisce il contesto dei reperti di grandi templi, palazzi e tombe reali. Un recente libro sulla Mesopotamia di Petr Charvat contiene immagini di pezzi d'argilla con impronte di stuoie di giunco intrecciate. Questa non è roba che può abbellire la teca di un collezionista, ma rivela importanti informazioni sulle capacità artigiane e sul modo di vita degli antichi abitanti della Mesopotamia.

UN DURO COLPO ALLA COMUNITA' SCIENTIFICA MONDIALE
Il Museo di Baghdad era più di un semplice luogo d'esposizione di manufatti. Tutti gli scavi condotti in Iraq da squadre internazionali di archeologi vi erano riportati. Il museo possedeva un database di conoscenza accessibile a tutti i ricercatori del mondo, ed era il centro di una vasta rete cooperativa. Il saccheggio e la distruzione di tutti i dati sono un colpo per la comunità internazionale degli studiosi. Questo minaccia di riportare indietro l'orologio a più di 150 anni fa, prima dell'inizio dell'archeologia scientifica in Mesopotamia. I primi scavi non furono "scientifici" per gli standards attuali, gli archeologi stavano ancora imparando la propria disciplina attraverso un processo per prove ed errori. Una delle lezioni più elementari di questo processo d'apprendimento fu che IL CONTESTO è tutto in archeologia. Un manufatto può raccontare la sua intera storia solo se è conosciuto il contesto in cui è stato ritrovato.Per contesto si intende la posizione fisica dell'oggetto nel terreno, la sua relazione con altri manufatti, e gli strati di terreno intorno. Da questa informazione è possibile determinare la datazione relativa di un oggetto e considerevoli altre informazioni sul suo uso pratico e sul significato sociale. Strappato dal suo contesto, perde molto del suo significato. Persino la più bella opera d'arte può essere meglio apprezzata quando il suo contesto e le condizioni sociali del suo creatore sono conosciute. In senso lato, la comprensione del contesto di un oggetto significa comprendere le sue relazioni con l'intero sito in cui è stato trovato, con altri siti vicini, e con l'ambiente storico di cui fa parte. Se i sentimenti nazionalistici vengono spesso evocati per giustificare il mantenimento dei reperti nel loro paese d'origine, in realtà la ragione scientifica più importante per farlo è che il contesto del manufatto viene preservato proprio mantenendolo vicino a dove è stato ritrovato. E' ancora possibile vedere nell'Iraq attuale case costruite con metodi simili a quelli usati dagli antichi costruttori, e vedere barche costruite con modelli simili. Il vero significato dei reperti mesopotamici può essere apprezzato solo guardandoli nel contesto dello straordinario paesaggio dell'Iraq moderno, un paese dove ogni collina che si alza sulla pianura è stata originata da strati e strati successivi di mattoni di fango che testimoniano intere generazioni di occupazione del sito.L'amministratore coloniale americano, il generale in pensione Jay Garner, ha tentato di cooptare l'impatto emotivo del paesaggio per i suoi scopi politici, tenendo i suoi meeting sotto una grande tenda eretta presso la ziggurat di Ur di 4000 anni fa, che serviva da piattaforma del tempio del dio lunare Nanna. Ma permettendo il saccheggio del museo di Baghdad, le autorità statunitensi hanno mostrato chiaramente di non avere alcun riguardo per la vera importanza dell'Iraq nella storia umana. Quando i cartografi medievali europei disegnarono nel 13° secolo la mappa del mondo, misero l'Asia in testa perché per loro era il continente più importante. C'erano le terre della Bibbia. Gerusalemme era al centro della loro visione del mondo, e poco oltre si stendeva Babilonia, il luogo della prigionia ebraica, la Torre di Babele e la casa di Abramo nella città di Ur. Nella mente degli europei l'immagine biblica del mondo era così scolpita che i primi scavatori di antichi siti in questa regione cercarono una conferma della Bibbia. Persino nel 20° secolo Leonard Woolley si riferiva ai suoi scavi a Warka con il nome biblico di Ur dei Caldei. Eppure il materiale che venne fuori dagli scavi scosse la visione biblica del mondo. Una importante scoperta fu che la storia narrata nella Bibbia di Noè e del Diluvio ebbe origine in Mesopotamia molto prima che la Bibbia venisse scritta. Quando la scrittura cuneiforme di migliaia di tavolette d'argilla fu decifrata, ci si rese conto che molte civiltà complesse ed avanzate erano esistite in Mesopotamia, e di una antichità mai immaginata prima. Il vero quadro della storia apparve chiaro solo con la messa a punto delle tecniche di datazione al carbonio14. Nella seconda metà del 20° secolo ci si rese conto che l'agricoltura stanziale in Medioriente risaliva a 11 millenni prima di Cristo.

LA CULLA DELLA CIVILTA'
[..] (N.d.T.:ho omesso alcune note storiche per non allungare troppo la lettura, vedere articolo originale)
In quell'epoca in Iraq lo sviluppo delle tecniche di irrigazione aumentò di molto la produttività agricola, il surplus della quale a sua volta favorì l'emergere della prima civiltà urbana del pianeta, proprio in quella terra che oggi le forze militari congiunte di USA e Gran Bretagna stanno riducendo a un deserto. [..] Grazie alla produttività di questo sistema di irrigazione in Mesopotamia si sono succedute molte civiltà. Persino i Greci erano in soggezione davanti alle conquiste intellettuali della Mesopotamia.Uno dei ministeri che sono stati sistematicamente distrutti nei recenti giorni di razzia, è stato il Ministero dell'Irrigazione. Potremmo dire che con questo atto l'amministrazione USA vuole ricondurre l'Iraq ai secoli bui, tranne il fatto che l'Iraq non ha mai conosciuto secoli bui (nel senso in cui l'Europa li ha conosciuti). Gli imperi potevano succedersi, nascere e cadere, ma finchè il sistema di irrigazione continuava a funzionare la terra tra i due fiumi poteva produrre più cibo di quanto ne abbisognasse. Attaccando il sistema di irrigazione, l'amministrazione USA ha causato più danno in poche settimane di quanto abbia fatto ogni altro invasore nella storia. Il significato culturale dell'Iraq non ebbe fine con la caduta dell'impero persiano. Attraverso le epoche buie dell'Europa, rimase un porto sicuro di cultura, preservando - sotto i Califfi Abbasidi - i testi classici ormai persi in Occidente. L'erudizione e il valore scientifico islamico si rivelarono vitali per il riemergere della filosofia aristotelica in Europa e per il Rinascimento. La misura reale delle perdite si rivelerà pienamente quando verrà fatto il conto degli esemplari alla Biblioteca Nazionale. Ciò che è già chiaro fin da ora invece è che un enorme crimine è stato commesso, non solo contro il popolo iraqeno, ma CONTRO L'UMANITA' INTERA, dato che la storia dell'umanità è stata attaccata. Per questa ragione il sacco di Baghdad segna un punto significativo nella traiettoria dell'amministrazione Bush del suo tentativo di sprofondare il pianeta nella nuova barbarie, che cancellerebbe tutto ciò che la storia ci mostra del passato.





Aggiornamenti. Corsia preferenziale per un richiedente asilo? Tareq Aziz

Fonte: RAINEWS 24

Tareq Aziz: sogno di vivere a Roma

Una volta che sara' scarcerato, l'ex vice primo ministro iracheno Tareq Aziz sogna di trasferirsi in Italia e di abbandonarsi a una sorta di 'dolce vita' sulle rive del Tevere, dove e' ben conosciuto ed e' convinto di ricevere una calorosa ospitalita'. "Voglio vivere a Roma", ha dichiarato Aziz, attraverso uno dei propri legali, al quotidiano internazionale in lingua araba 'Asharq al-Awsat'. In effetti nella Citta' Eterna si reco' molte volte quando era di fatto l'ambasciatore itinerante del regime di Saddam Hussein.

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"Il Papa e le autorità italiane" ha continuato, "mi hanno accolto bene". Aziz, 71 anni, e' un cristiano di rito caldeo, l'unico non musulmano che all'epoca faceva parte della ristretta cerchia di gerarchi della dittatura. Incontro' in diverse occasioni il defunto Paolo Giovanni II e i suoi collaboratori: l'ultima risale alla meta' del febbraio 2003, meno di un mese prima dell'invasione anglo-americana dell'Iraq che porto' alla caduta di Saddam. Nell'aprile di quello stesso anno si consegno' alle truppe Usa, e da allora e' sempre rimasto rinchiuso a Camp Cropper, un centro detentivo speciale situato vicino all'aeroporto internazionale di Baghdad. Sospettato di coinvolgimento in diversi massacri di oppositori e di civili curdi e sciiti, le comunita' perseguitate dall'ex dittatore, secondo i suoi difensori ad Aziz non sono peraltro mai state formalmente contestate accuse specifiche. Chiamato a testimoniare pochi giorni fa davanti all'Alto Tribunale Speciale di Baghdad che giudica i misfatti perpetrati dai vertici del passato regime, e' stato sentito in particolare sulla cosiddetta 'campagna di Anfal', le stragi in Kurdistan alla fine degli anni '80.
A detta del suo avvocato Issam al-Ghazawi, lo stesso che ha parlato con il giornale pan-arabo rivelando le aspirazioni 'romane' dell'ex vice premier, Aziz dovrebbe essere rilasciato nel giro di due o tre mesi, una volta che il processo si sara' concluso e che non vi sara' dunque piu' bisogno delle sue deposizioni. L'anziano ex braccio destro di Saddam da tempo e' affetto da seri problemi di salute, e ha ripetutamente quanto invano chiesto la liberta' provvisoria, talora denunciando di rischiare di morire in cella.

30 marzo 2007

Con acqua e aceto Settimana Santa e Pasqua in un paese martoriato

Fonte: SIR

Di Daniele Rocchi

"Nonostante l'esodo dei nostri fedeli all'estero o in zone più tranquille del Paese, che ci rattrista non poco, non perdiamo la speranza di pace, di stabilità e di sicurezza. Mai come in questo tempo la parola speranza fa rima con Resurrezione".
Nelle parole del vescovo caldeo, ausiliare di Baghdad, mons. Shlemon Wardun, c'è sì, tutta l'amarezza "di una situazione di cui non si vede la fine, le cui vittime sono gli strati più deboli della popolazione irachena, i malati, gli anziani, i bambini, molti resi orfani dalle violenze inenarrabili provocate da autobomba, kamikaze e criminali", ma anche "
la voglia di futuro. La Pasqua che andiamo celebrare rinsalderà la nostra certezza in un avvenire giusto e pacifico, fatto di tolleranza e di riconciliazione". Con questo spirito e nonostante tutte le difficoltà del momento i cristiani iracheni si apprestano a celebrare la Risurrezione.

Clicca su "leggi tutto" per l'intervista del SIR
Mons. Warduni, in mezzo a tante difficoltà, come celebrerete la prossima Pasqua?
"Umanamente parlando diciamo che arriviamo alla solennità di Pasqua con un certo timore e, quindi, anche con prudenza nello stilare un programma. Non sappiamo cosa può succedere da un momento all'altro. Non possiamo prevedere dove saremo domani. Ogni giorno siamo sottoposti a bombardamenti, attacchi kamikaze, attentati di ogni genere. L'incolumità delle persone è messa continuamente a rischio dai rapimenti che incutono paura. La morte è dietro l'angolo".
Esiste un programma di massima per la Settimana Santa e il Triduo pasquale?
"Il programma sarebbe quello di ogni anno. Quindi, apertura il sabato precedente la Domenica delle Palme con una celebrazione riservata ai bambini, mentre la Domenica tutte le comunità si ritrovano nelle rispettive chiese per la messa delle Palme. Lunedì, Martedì e Mercoledì Santo sono riservati alle confessioni. Il Giovedì Santo invece è il giorno della messa crismale. Il Venerdì Santo la liturgia entra nel vivo con la lettura della Passione di Cristo, seguita da due o tre prediche cui fa seguito la sepoltura di Cristo e il bacio della Croce. All'uscita dalla chiesa i fedeli sono invitati a bere acqua mista ad aceto, memoriale della morte di Cristo, e con questo sapore in bocca tornano a casa. Il Sabato Santo si tiene una messa nel pomeriggio che sostituisce la veglia pasquale notturna, lasciata adesso perché troppo, troppo pericoloso uscire di notte. La Domenica di Pasqua la solenne messa. Ora, data l'incertezza della situazione non sappiamo se questo programma sarà effettivamente realizzato. Poniamo la nostra fiducia in Dio e speriamo che si possa celebrare degnamente la Risurrezione. Domenica 1 aprile, il programma delle celebrazioni verrà consegnato ai fedeli di tutte le chiese. Speriamo che la fede in Cristo dia loro il coraggio necessario per partecipare".
Ci sono zone della capitale Baghdad particolarmente calde e pericolose, come il quartiere di Dora, un tempo cristiano ma oggi praticamente abbandonato dai fedeli. Contate di celebrare anche qui?
"Si pensava di andare anche in questi posti, ma è difficile dirlo adesso. Ripeto, potremo dire di aver celebrato la Pasqua solo dopo che è passata, non prima..." La paura ha annientato, tra i cristiani, il clima della festa fatto anche di tradizioni popolari?
Ci sono tradizioni che i nostri fedeli amano e cui sono legati. Innanzitutto danno un senso alla festa indossando per Pasqua l'abito migliore, quello più bello. Vengono cotti dei piccoli dolci fatti farina, datteri e nocciole, simboli di gioia. Poi vi è l'usanza di dipingere le uova ma non quelle di cioccolata. Nessuno qui ti dona del cioccolato. Si tratta di uova naturali che vengono cucinate a lungo e poi decorate con colori naturali estratti da cipolle ed altri prodotti come il tè. È il regalo più apprezzato dai bambini. Le uova si portano in chiesa la sera della Veglia pasquale e nell'annuncio, Cristo è risorto, molti fedeli escono a mangiarle per poi rientrare. Uscire dalla chiesa significa uscire dal sepolcro. Una tradizione per il momento accantonata perché la Veglia di Pasqua è anticipata al pomeriggio a causa della mancanza di sicurezza. Facciamo quello che possiamo e chiediamo a Dio di accettare questo poco che abbiamo".
Si è mai chiesto se tutta questa sofferenza, se tutto questo "digiuno dalla vita" ha un significato?
"Per tutti la Settimana Santa è tempo di digiuno e astinenza. Non si mangia carne e si digiuna fino a mezzogiorno. Il Venerdì Santo il digiuno è anche da pesce, uova e formaggi, per chi li ha. Ma il nostro digiuno è la sofferenza in cui viviamo giornalmente. Offriamo questa sofferenza non solo per l'Iraq ma per tutto il mondo, nella certezza che dopo il Venerdì santo c'è la vittoria della vita sulla morte, c'è la Resurrezione. Questo è il significato".





“La pace non la si può costruire da soli”, afferma l’Arcivescovo di Baghdad

Fonte: Zenit Codice: ZI07032912

Intervista a monsignor Jean Benjamin Sleiman
BAGHDAD, giovedì, 29 marzo 2007

Nel quarto anniversario della presenza americana in Iraq, la situazione irachena sembra correre a passi da gigante verso una maggiore complessità, e all’ombra di questa situazione difficile sorgono molte domande sulla situazione e sul destino dei cristiani e sulle possibili vie d’uscita. ZENIT ha intervistato l’Arcivescovo di Baghdad, monsignor Jean Benjamin Sleiman, per cercare di intravedere insieme a lui una prospettiva di lettura e di speranza nel turbolento scenario iracheno.
Monsignor Sleiman, 57 anni, libanese di origine maronita, ha ottenuto la Licenza in Sociologia all'Università di Lione, ha conseguito il Magistero in Scienze Sociali all'Università di Beirut e il Dottorato in Antropologia sociale e culturale all'Università di Parigi V - Sorbonne. Definitore Generale dell'Ordine carmelitano dal 1991 al 1997, è stato rieletto per un altro sessennio fino al 2003. Ha insegnato Scienze Sociali all'Università St. Joseph dei Padri Gesuiti di Beirut e Antropologia sociale e culturale al "Teresianum" di Roma. Dal 2001 è Arcivescovo dei cattolici di rito latino a Baghdad. L’Arcidiocesi Latina di Baghdad abbraccia tutto il territorio iracheno.
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Alla vigilia dell’invasione americana dell’Iraq c’erano molte speranze che finalmente l’Iraq si sarebbe riscattato dalla dittatura e avrebbe vissuto una rinascita economica e sociale. Come mai tutte queste attese sono state deluse? Mons. Sleiman: Come premessa direi che, al momento dell’invasione, l'Iraq non era conosciuto per quello che è. Durante il regime di Saddam Hussein, si aveva l’impressione di una società che funzionava bene. Pochi sapevano che l'Iraq era poco omogeneo e che c'erano delle violenze saltuarie. L'Iraq, in fondo, è rimasto tribale dal punto di vista antropologico. Gli americani, accolti come salvatori, hanno progressivamente deluso la popolazione. Dopo la caduta di Baghdad, hanno lasciato stare i saccheggiatori che sono partiti dai saccheggi delle sedi del governo baathista, fino ad arrivare a saccheggiare e ad umiliare la gente. La gente era ferita nella sua dignità: i saccheggiatori entravano anche negli ospedali e umiliavano la gente. L'ammirazione di tanti per gli americani è mutata in odio e paura. Per tre mesi l'Iraq è stato vuoto di istituzioni: nessun governo, nessuna istituzione, nessuna sicurezza. Questi tre mesi sono stati molto negativi per il seguito, tanto che molti gruppi e milizie si sono formati e armati. Le infrastrutture andavano di male in peggio. Mancavano la benzina, il gasolio, il gas e l’elettricità. Sono cose che alla lunga stancano. C’è poi la sicurezza: la polizia difende se stessa, ma la popolazione civile non ha nessuno che la difenda. Alla vigilia dell’invasione americana ho affermato in un’intervista alla radio che stavo pregando intensamente per la pace, e il giornalista mi disse: “Ma la guerra sarà facile”, e la mia risposta è stata questa: “La guerra sarà facile, ma costruire la pace sarà difficile”. E questa non era una profezia ma una semplice constatazione. La guerra la si può fare da soli, ma la pace non la si può costruire da soli, c’è bisogno del contributo di tutti, e l'ultimo dei kamikaze può rovesciare un piano di pace. Difatti ora la ricostruzione non si fa, in quanto i fondi destinati alla ricostruzione vengono spesi per la difesa e per la sicurezza.
Lei ha scritto ultimamente un libro nel quale presenta la sua visione sulla questione irachena. Il titolo è già suggestivo: “Dans la Piège Irakien” [Nella trappola irachena]. Perché parla di “trappola”?
Mons. Sleiman: Parlo di trappola perché mi sono reso conto che tutti i protagonisti dell'Iraq si trovano ora davanti a una via senza uscita. Gli sciiti hanno stravinto, possiedono il potere, ma non possono andare avanti, sia per le resistenze interne che per le resistenze esterne e per le contraddizioni. Sono la maggioranza, ma non sono tutti d'accordo fra loro, la lotta per il potere fa dividere. I sunniti hanno causato tanta violenza, hanno resistito, ma non sono riusciti a rovesciare il corso delle cose. E si trovano davanti a una scelta da fare: o continuare con la violenza o fermarsi senza aver ottenuto ancora ciò a cui aspiravano. I curdi forse sono i grandi vincitori. Loro che erano emarginati, partecipano ora in maniera effettiva al governo dell'Iraq con un Presidente e un Ministro degli Affari esteri. Ma anche loro non sono arrivati a realizzare tutto ciò che sognavano. Perché il federalismo non ha il placet di tutte le fazioni. Le minoranze cristiane e non cristiane sono intrappolate nella loro paura, sono sequestrate e intrappolate nel loro Paese.
E in che situazione si trovano gli americani?
Mons. Sleiman: Gli americani sono sempre protagonisti, ma questo non vuol dire che possano tutto; anche loro danno l'impressione di essere divisi di fronte a una scelta difficile da fare: o uscire dall'Iraq e perdere tutto, o continuare per realizzare una vittoria affrontando una violenza che non dà ancora segni di stanchezza. Bisogna notare che c'è molta gioventù, e i ribelli fanno molte reclute. Gli americani mettono in prigione i ribelli, ma i ribelli continuano ad agire comunque. Queste cose fanno dire che il treno è andato troppo veloce, e che gli americani sono nella trappola irachena come tutti gli altri.
Che differenza riscontra tra la situazione dei cristiani in Iraq prima della caduta del regime di Saddam e dopo l’invasione americana? Mons. Sleiman: Sotto il regime non c'era libertà, ma c'era sicurezza. E come in tutti i Paesi islamici si rispettavano certe libertà delle minoranze come il culto, ma solo entro le mura dei luoghi di culto. C'era comunque la paura di esprimere il proprio parere. Come ogni regime nel mondo arabo, il regime di Saddam ha cercato una sua continuità, il trionfo e la sicurezza. Chi era contro il regime veniva minacciato, punito e ucciso. Questo dipendeva non dalla religione, ma dalla posizione politica. Tra gli sciiti ci sono stati i grandi ayatollah, che hanno rifiutato certe posizioni del regime e sono stati perseguitati. C'era una regola non scritta: non pensate alla politica, fate liberamente tutto il resto. Dopo la caduta di Saddam, i cristiani hanno la libertà, ma non la possono esprimere. C'è la libertà, ma ci sono le condizioni prive di libertà. L'ultimo armato con un fucile può toglierla. Il cristiano, in mancanza di uno Stato di diritto, è debole. È caduto lo Stato di diritto, e i cristiani si trovano eccessivamente vulnerabili. Non creano milizie e non fanno guerra per proteggersi perché non hanno la cultura della violenza come mezzo di potere. Se ci fosse uno Stato, i cristiani contribuirebbero molto, perché la loro esistenza è pacifica, aperta agli altri. Nelle ultime elezioni non erano uniti e non hanno avuto liste proprie, ci sono pochi cristiani eletti ma su liste sciite o curde, non possono esprimere quello che vogliono, ma quello che vuole la loro lista.
Negli ultimi due anni ben sette chiese evangeliche sono state aperte a Baghdad. Giunti sulla scia dei soldati americani, i predicatori riformati si sono inseriti in un contesto in cui cristiani e musulmani convivono con il tacito accordo di non tentare di convertirsi a vicenda. Come influiscono questi predicatori sulla situazione attuale dei cristiani in Iraq?
Mons. Sleiman: Bisogna dire che questo fenomeno dei predicatori è un fenomeno mondiale. In Iraq sono arrivati all’indomani del crollo del regime. Hanno un argomento: la libertà religiosa, ma secondo me non hanno rispetto per le chiese antiche che sono lì. E volendo convertire i musulmani creano molti sospetti. Il loro proselitismo non rispetta la mentalità dell'Iraq. I cristiani iracheni hanno radici e vissuti culturali simili a quelli dei musulmani. Non si può venire così in una maniera imperialista per impiantare il cristianesimo. Questo atteggiamento aumenta la dose di sospetto contro i cristiani e danneggia ingiustamente i cristiani dell’Iraq. La cristianità irachena è nella sua maggioranza apostolica del primo secolo, a parte le Chiesa latina, protestante o la Chiesa armena che è diventata importante durante la prima guerra. I cristiani in Iraq non sono un microbo nel corpo, ma sono il corpo, e come tali sono circondati da altre realtà. Basti ricordare l'apporto di civiltà ai tempi dei califfi: i grandi medici di allora erano cristiani ed ebrei. La traduzione dei classici greci l'hanno fatta i cristiani. Storicamente, il viaggio della filosofia dei greci per via degli arabi verso l’Europa è stato mediato dalle traduzioni dei monaci cristiani. I cristiani dell’Iraq non vengono da altrove, ma sono i figli più antichi di quella terra. Recentemente, il mensile iracheno “Al-Fikr Al-Masihi” (“Pensiero Cristiano”) ha vinto la prestigiosa Medaglia d’Oro 2007 attribuita dall’International Catholic Union of the Press (UCIP). Che significato ha questo premio la rivista e per i cristiani iracheni?
Mons. Sleiman: “Al-Fikr Al-Masihi” nasce in Iraq nel 1964 dalla Congregazione di Cristo Re, e poi viene affidata ai padri domenicani. Come rivista cristiana ha il suo impatto e quelli che vi lavorano, lavorano con coraggio. Perciò credo che nel premiare “Al-Fikr Al-Masihi” l’UCIP ha voluto certamente premiare la resistenza e la volontà di continuare dei cristiani in Iraq.
Da poco è ricorso il quarto anniversario dell’invasione americana dell’Iraq. La situazione sembra stagnante, anzi sembra peggiorare. Qual è il messaggio che le preme lanciare ai protagonisti del dilemma iracheno al fine di uscire da questa “trappola”?
Mons. Sleiman: Il mio auspicio più grande è che si giunga a una soluzione di questo dilemma umano. Bisogna capire che la questione irachena non è più soltanto irachena, è diventata una questione mediorientale; se non la si risolve, potrebbe diventare un incendio che si espanderà fino al mediterraneo, e forse anche fino all'Africa del nord. Bisogna accettare la collaborazione dei Paesi limitrofi, che hanno i loro interessi e le loro paure. Penso che non si possa ricostruire la pace da soli, un consenso delle Nazioni è sempre importante. Bisogna costruire la pace in Iraq, per proteggerla altrove. Se c'è una guerra tra sunniti e sciiti in Iraq, un incendio enorme infiammerà tutta la zona. Sicuramente si estenderà ad altri Paesi. L'America impedisce uno scontro generalizzato tra fazioni, ma essa potrebbe fare di più se favorisse la riconciliazione che vuole il governo attuale. Bisogna favorire l’incontro politico per giungere alla riconciliazione. Anche il generale delle forze americane in Iraq, David Petreus, afferma che la soluzione della crisi non può essere militare. Bisogna mettere ordine, ma perché l'ordine continui ci vogliono misure politiche.
Lei ha scritto un libro sulla santa carmelitana, Teresa Benedetta della Croce, dal titolo “Edith Stein: Testimone per oggi, profeta per domani”. La spiritualità cristiana ha una parola da dire in tutta questa sofferenza? Come può un cristiano essere profeta per il domani in Iraq?
Mons. Sleiman: Non si può resistere al male senza l'esperienza spirituale. Tanti vedono in Edith Stein la figura della martire, ma lei non è soltanto una martire ad Auschwitz. Edith Stein è una donna che porta una speranza, lei viveva il cristianesimo in maniera profetica. Un profeta, nell’accezione biblica e cristiana, diventa lo specchio di Dio; non è qualcuno che conosce necessariamente ciò che sarà. È uno che capisce e vive la parola di Dio e ne rivela le ricchezze. Edith si deve scoprire come maestra di vita spirituale e di vita di speranza. Come martire lei ci testimonia che il Signore è più grande di qualsiasi male, ci fa capire che il male non è l’ultima parola. Tutti siamo scandalizzati dal male e dalla potenza dei cattivi, ma chi approfondisce capisce che il male è un non essere, il male esiste perché il bene non ha fatto la sua parte. Nelle mie omelie cerco di aiutare la gente a vivere la speranza, che è il dono di Dio. La speranza è che malgrado tutto ciò che subiamo di male e di ingiustizia, non è questa l'ultima parola. La mia preghiera è semplice: "venga il tuo regno" e quando dico così ho davanti agli occhi persone che a nome di Dio stanno uccidendo, a nome di Dio vogliono fare la pulizia etnica. Per essi prego affinché il Regno di Dio si riveli in loro come regno di pace, di perdono e di amore.

29 marzo 2007

Anche la Chiesa Copta Ortodossa onora Sarkis Aghajan


Fonte: Ankawa.com


Sembra proprio che i cristiani in Iraq abbiano trovato in Sarkis Aghajan, Ministro delle Finanze del Governo Regionale Curdo ed anch'egli cristiano, il nuovo protettore. Nel 2006 ad esprimergli gratitudine erano state la Chiesa Cattolica Caldea, quella Siro Ortodossa e quella Assira dell'Est conferendogli le proprie onorificenze e
spendendo per lui parole di profondo apprezzamento.
A queste chiese si è aggiunta ora la Chiesa Copta Ortodossa che il 21 marzo, per mano del Vescovo Abraham, vescovo di Gerusalemme e del Medio Oriente, gli ha conferito, per volere di Papa Shenouda III, l'onorificenza di San Marco.
Clicca su "leggi tutto" per l'articolo di Baghdadhope
A parte le ovvie e generiche parole di ringraziamento non ci sono ancora dichiarazioni sulle motivazioni del gesto. La chiesa copta in Iraq, ha avuto grande diffusione negli anni 80 quando fu necessario far arrivare dall'Egitto molti lavoratori per sostituire gli iracheni impegnati nella guerra contro l'Iran, ma non è certo una chiesa che conti su profonde radici nel paese o su un gran numero di fedeli considerando che in tutto l'Iraq fino a prima dell'ultima guerra c'era una sola chiesa copta ortodossa nel quartiere di Shorja affidata ad un sacerdote egiziano, ed un terreno concesso dal governo, sempre a Baghdad, su cui era iniziata la costruzione di un nuovo edificio di culto interrotta dalla guerra.
La chiesa di Shorja è ancora aperta, anche se affidata ad un diacono, ma certo ora è il Kurdistan, il "feudo" di Sarkis Aghajan, ad accogliere i lavoratori egiziani utili al boom economico che la regione sta vivendo, e forse è arrivato il momento che la chiesa copta abbia proprio lì un edificio di culto e nessuno, attualmente, più di Sarkis Aghajan può essere utile allo scopo.

By Baghdadhope

28 marzo 2007

Torino rinnova la sua amicizia con i cristiani iracheni

Fonte: Ufficio Pastorale Migranti Arcidiocesi di Torino Voce: Iraq

di Luigia Storti


La presenza di Padre Douglas Al Bazi a Torino quest’anno ha qualcosa di diverso. Se negli anni precedenti le sue visite sono state legate al suo ruolo di referente iracheno del progetto “Io ho un nuovo amico un sacerdote caldeo iracheno” curato dall’Ufficio Pastorale Migranti dell’Arcidiocesi di Torino, la sua permanenza nella nostra città in questi giorni è invece dovuta a ciò che è successo lo scorso anno a Baghdad.
Padre Douglas, infatti, è uno dei cinque sacerdoti caldei che lo scorso anno sono stati rapiti nella capitale irachena e rilasciati dopo il pagamento di un riscatto da parte della Chiesa Caldea. Nel suo caso, il rapimento, iniziato il 19 novembre e terminato dieci giorni dopo, ha avuto conseguenze profonde. Dal punto di vista fisico le percosse di cui è stato vittima hanno reso necessario un intervento chirurgico a Baghdad per la riduzione delle fratture del setto nasale, ed i controlli e le cure cui si sta sottoponendo proprio in questi giorni a Torino. Dal punto di vista psicologico le ferite saranno ancora più profonde da rimarginare e solo il tempo potrà aiutarlo perché, come ha detto una persona che lo conosce bene: “…ride e scherza ma si vede che è molto più fragile.”
Nonostante la situazione non sia delle più propizie però abbiamo avuto modo di chiacchierare a lungo con lui del progetto di sostegno della nostra Arcidiocesi in favore di dieci giovani sacerdoti attivo già dal 2004 e riconfermato anche per l’anno in corso, ed anche della situazione in Iraq.

Clicca su "leggi tutto" per l'intervista a cura dell'Ufficio Pastorale Migranti dell'Arcidiocesi di Torino
Padre Douglas, sappiamo anche dalle lettere che i sacerdoti coinvolti nel progetto ci inviano che il progetto di sostegno è stato loro utile per superare alcune difficoltà legate alla situazione che si vive in Iraq. Può aggiungere qualcosa?
"Questo progetto è stato ed è molto importante perché le necessità che i sacerdoti hanno sono le più diverse ed a volte inaspettate. A me, ad esempio, è capitato di dover sostituire con urgenza un generatore elettrico in chiesa perché è già difficile e pericoloso a Baghdad andare in chiesa, ma restarci senza condizionatori quando ci sono 50 gradi è impossibile.
Quello che però ha reso il progetto ancora più importante è che si tratta del primo ed unico progetto di sostegno diretto ai sacerdoti. Un sostegno “nominale” che permette ad ognuno di loro di gestire l’aiuto secondo le proprie necessità."
L’Arcidiocesi di Torino è quindi l’unico sostegno esterno per voi sacerdoti?
"Non direi così. Certamente la Chiesa, attraverso il Patriarcato e la Nunziatura Apostolica a Baghdad, riceve aiuti, ma questo progetto ha permesso di rendere il sostegno più personale perché l’aiuto non è solo un passaggio di fondi diretto tra chi dona e chi riceve, ma anche l’occasione per due realtà, quella di Baghdad e quella di Torino, di conoscersi, anche se a distanza."
Alcune comunità cristiane di Baghdad quindi ora sanno di avere degli amici a Torino…
"Si, esatto. Specialmente quelle che sono state coinvolte non solo in questo progetto, ma anche in quello dai disegni dei bambini…"
Vuol dire il progetto “Natale e Pasqua di Pace” che nel 2005 permise lo scambio di disegni, foto ed auguri tra i bambini di alcune scuole di Torino e provincia e quelli di tre chiese a Baghdad?
"Si. Quello scambio ha fatto felici i nostri bambini perchè hanno capito di avere dei nuovi amici. E’ difficile essere bambini a Baghdad. C’è un senso di solitudine diffuso, anche i piccoli capiscono ciò che stanno vivendo, soprattutto perché vivono per la maggior parte del tempo chiusi in casa per il troppo pericolo che c’è nelle strade. Le occasioni di incontro per loro sono attentamente pianificate e ricordano con piacere quella in cui hanno potuto giocare con i disegni dei loro amici italiani e hanno cercato di leggere i loro auguri. Ricordo che è stata un’occasione felice, di svago anche se, vorrei ricordare che il nostro svago, così come le nostre cerimonie sono sempre guastate dalla presenza di guardie armate e di check points davanti alle nostre chiese."
Sappiamo delle difficoltà che state incontrando come cristiani a Baghdad. Sono state proprio quelle difficoltà, infatti, a rendere necessario il trasferimento nel nord dell’Iraq del Babel College, la facoltà teologica cristiana ed il seminario maggiore caldeo…
"Molte chiese a Baghdad purtroppo sono chiuse, almeno quelle nelle zone più pericolose, dove magari la Santa Messa viene celebrata da un sacerdote che ne apre una in occasioni particolari, come sarà ad esempio per la prossima Pasqua. Anche gli orari delle funzioni, a volte, vengono cambiati per ragioni di sicurezza spostando la Santa Messa dalla domenica al sabato. Non è facile per nessuno vivere a Baghdad, non lo è per i sacerdoti ma neanche per i fedeli. L’insicurezza ed i pericoli che si corrono ogni giorno hanno determinato la fuga di una buona parte della nostra comunità che è passata da 1.000.000 a 600.000 persone nell’arco dei quattro anni successivi alla guerra del 2003. Chi ha avuto la possibilità è già fuggito all’estero, molti si sono trasferiti nel nord e solo chi non ha avuto l’opportunità vive ancora a Baghdad. "
Sta dicendo che a rimanere sono stati coloro che non hanno avuto la disponibilità economica di fuggire?
"In linea di massima sì, purtroppo."
Invece il clero è ancora presente in città…
"Si, ma anche molti sacerdoti hanno dovuto lasciare Baghdad per gli stessi motivi, ed ora molti di quelli che sono rimasti hanno la responsabilità di due chiese, di due comunità, raddoppiando così i pericoli per se stessi. "
Com’è la vita dei cristiani trasferitisi nel nord curdo?
"Le grosse ondate migratorie sono sempre difficili da assorbire, specialmente quando si concentrano in un breve lasso di tempo. Certamente la regione del Kurdistan offre un livello di sicurezza lontanissimo da quello di Baghdad, ma è anche vero che si tratta di un fenomeno di sradicamento. Molti cristiani sono originari delle zone settentrionali del paese ma da decenni ormai vivevano altrove, ed ora trovarsi in posti nuovi, magari in condizioni economiche sfavorevoli, non ne favorisce il radicamento veloce ed indolore. Molti di loro hanno dovuto fuggire in fretta, lasciando il lavoro, la casa, tutti i propri averi ed ora devono ricominciare da capo. D’altra parte anche per la popolazione che li ha accolti non è facile. E’ vero che la regione curda sta vivendo un periodo di boom economico, ma è anche vero che tanti nuovi arrivati hanno bisogno di trovare una collocazione ed un lavoro, e che il mercato non può assorbire tutti, vecchi e nuovi residenti. La sola cosa che tutti sperano è che la situazione si risolva e che i cristiani che hanno abbandonato Baghdad e le altre zone del paese possano farvi ritorno, per il loro bene e per quello di una comunità che non merita di scomparire dal paese che ne ha visto le origini."
La speranza quindi è in un graduale ritorno alla normalità?
"Certo, anche se probabilmente ci vorranno ancora anni. Se solo si pensa che tuttora, dopo quattro anni, a Baghdad l’erogazione continua dell’energia elettrica e dell’acqua, praticamente di ciò che tutti nel mondo danno per scontato, è ancora un sogno tranne che nella Green Zone controllata dagli americani, si capisce che se anche le tensioni politiche finissero domani la normalizzazione è ancora lontana."
Padre, sappiamo che ricordare è per lei doloroso, vorrei quindi ritornare a parlare del progetto. Vorrei sapere, ad esempio, se i sacerdoti che esso ha iniziato a sostenere dal 2004 sono sempre gli stessi…
"No. In massima parte in effetti sono uguali però, per fare un esempio, uno di loro, dopo essere stato rapito e liberato a Baghdad nel 2006 ora vive all’estero ed è stato sostituito con un altro. Un altro che ha ricevuto il sostegno del progetto per tre anni mi ha comunicato che, essendo stato trasferito nel nord, non ne ha più bisogno e lascerà quindi il posto a chi invece ne potrà trarre beneficio."
Quali sono i problemi che un sacerdote deve affrontare giornalmente?
"Tanti, e di diverso tipo. Dal punto di vista pratico, ad esempio, quelli della gestione della chiesa o delle chiese che gli sono affidate. Se dovessi fare un elenco metterei certamente al primo posto l’incubo di tutti gli iracheni: i generatori ed il gasolio per farli funzionare. L’Iraq è un paese caldo ed il generatore per far funzionare l’impianto di condizionamento dell’aria non è un capriccio ma una necessità. Ma i generatori spesso si rompono per sovraccarico di tensione o usura, ed il gasolio ha un costo elevato. In realtà la sua distribuzione dovrebbe avvenire ad opera del governo a prezzi normali, ma visto che non è continua tutti sono costretti a comprare il gasolio al mercato nero pagandolo molto di più. Malgrado, quindi, si cerchi di far funzionare i generatori solo quando necessario, i costi rimangono elevati e dato che non è sempre facile trovare la cifra necessaria a volte anche i fedeli contribuiscono come possono.
Questa spesa, ordinaria e straordinaria, sottrae fondi alle altre attività della chiesa che avrebbero invece bisogno di altrettanta attenzione. Per il catechismo, ad esempio, sarebbero necessari macchine fotocopiatrici, proiettori da computer, video camere e naturalmente computers."
Ci spiega l’importanza dei computers e dei telefoni cellulari? A qualcuno potrebbe sembrare che con tutti i problemi che ci sono questi siano capricci…
"Non lo sono. In realtà a Baghdad ed in tutto l’Iraq sono importantissimi, malgrado a volte sia difficile o addirittura impossibile usarli. Servono a tenerci in comunicazione in un paese dove spostarsi anche tra una casa ed un’altra è difficile e pericoloso. I computers ed il collegamento internet, quindi, servono a mantenere le relazioni sociali e familiari. Anche se può sembrare impossibile, a volte, a causa dell’impossibilità a spostarsi è come se gli amici e le famiglie vivessero in due continenti diversi. Così è anche per i telefoni cellulari. Oltre a ciò, ad esempio, il collegamento internet che alcune chiese cercano di garantire è importante perché è un sistema economico per i fedeli che vogliono comunicare con le famiglie o gli amici all’estero. Diciamo che una mail si può ricevere o spedire mentre il sistema postale non è certo tra le priorità del governo…. Gli iracheni inoltre sono sempre al telefono e questo se da una parte c’entra con il nostro piacere di comunicare, dall’altra in questi ultimi anni è diventata una necessità. Il telefono serve a sapere magari che una strada è stata improvvisamente bloccata per controlli o per un’esplosione, ma soprattutto serve a far sapere sempre a qualcuno dove ci si trova e se si è vivi. Quando sono stato rapito, ad esempio, mi hanno portato via i miei due telefoni cellulari. Perché ne avevo due? Uno non sarebbe stato sufficiente? No. In Iraq le compagnie telefoniche non coprono tutto il paese e nella stessa Baghdad ne funzionano due piuttosto bene ed una in modo molto più limitato. Il problema è che a volte il segnale dell’una o dell’altra scompare improvvisamente e se non si ha un altro telefono si rimane senza contatto alcuno.."
E cambiare solo la sim card immagino sia complicato..
"In teoria non lo è, in pratica però se ad esempio si sta guidando e se, come a volte accade, si ha la necessità di farlo in modo veloce per togliersi da una situazione di pericolo, diventa impossibile.
Il sacerdote si deve occupare inoltre di garantire la sicurezza alla chiesa, ai fedeli ed a se stesso. In questo senso le guardie armate sono indispensabili perché senza esse sarebbe difficile continuare le attività della chiesa. Per i fedeli è già difficile uscire per recarvisi, dobbiamo fare in modo che almeno al suo interno si sentano sicuri anche se il rumore dei colpi e delle esplosioni è ormai diventato un sottofondo usuale per chi vive a Baghdad.
Dal punto di vista morale, poi, il sacerdote deve aiutare i propri fedeli a vivere e superare questi momenti difficili. Già prima dell’ultima guerra erano molte le famiglie che venivano a chiederci i certificati di battesimo, il segno della volontà di emigrare verso l’estero o verso altre parti del paese, ora queste richieste sono aumentate. Dietro esse però c’è molto dolore, molta incertezza sul futuro, ed il compito del sacerdote è anche quello di infondere coraggio e speranza."
Padre, lei ora vive nel nord dell’Iraq. Perché ha lasciato Baghdad?
"Dopo essere stato rilasciato sono rimasto a Baghdad per essere sottoposto ad un intervento chirurgico al setto nasale e per i primi controlli, ma nel frattempo, il 4 dicembre, è stato rapito un altro sacerdote, Padre Sami Al Rays, Rettore del Seminario Maggiore Caldeo di Saint Peter e docente di Morale al Babel College. Il rapimento di Padre Sami ha accelerato il processo già avviato di trasferimento della facoltà e del seminario nel nord, che poi è avvenuto agli inizi di gennaio. Era impossibile per me rimanere a Baghdad, ed anche la mia famiglia si era trasferita nel nord, terrorizzata da ciò che mi era successo."
Ed ora qual è il suo sogno?
"Per ora, purtroppo, ho ancora più incubi che sogni. In ogni caso spero e prego di poter un giorno ritornare a Baghdad, la città dove sono nato, vissuto e che ancora amo."


Secondo i controlli fatti a Torino ed i medici che lo hanno visitato Padre Douglas sta bene. Solo il tempo però lo aiuterà a dimenticare quei terribili dieci giorni di questi terribili ultimi quattro anni. Il tempo e gli affetti: quelli di cui è circondato nel suo paese, ma anche nella nostra città che ancora una volta ha avuto la fortuna di ospitarlo.

Per informazioni sul progetto di sostegno ai sacerdoti caldei dell'Ufficio Pastorale Migranti dell'Arcidiocesi di Torino consulta il sito
www.migranti.torino.it alla voce Iraq o scrivi al Direttore dell'UPM:
Don Fredo Olivero f.olivero@diocesi.torino.it

27 marzo 2007

Vivere da cristiani a Bagdad

Fonte: Manfredonia.net

Toccante testimonianza in Cattedrale del Vescovo ausiliare di Bagdad, Shlemon Warduni

di Michele Illiceto

"Grazie per la vostra fratellanza cari fedeli della diocesi di Manfredonia-Vieste-S.Giovanni Rotondo. Conosco il vostro vescovo da più di tre anni il quale sempre si è mostrato attento ai problemi della nostra diocesi”.
Così ha esordito, con un perfetto italiano, il vescovo ausiliare di Bagdad, Shlemon Warduni, rivolgendosi ai fedeli accorsi in Cattedrale per il quaresimale del mercoledì alla presenza dell’Arcivescovo Mons. Domenico D’Ambrosio.

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"L’iraq - ha affermato il vescovo - è una terra di martiri, dove l’80% dei cristiani sono caldei cattolici. Abbiamo un patriarca e venti vescovi. I nostri fratelli però sono dispersi. Forse è giusto dire che stiamo assistendo ad un vero complotto contro i cristiani del Medioriente. E questo sta accadendo proprio laddove è stato fondato il cristianesimo. Infatti, in Iraq, i cristiani sono presenti dal I sec. d.c. la cui comunità è stata fondata da S. Tommaso Apostolo, che ha lasciato S.Efrem come suo successore e pastore. Quindi la chiesa caldea è una delle più antiche chiese cristiane, che per i primi secoli è stata avamposto da cui sono state poi intraprese alcune missioni in India. Con l’avvento dell’Islam poi le cose hanno iniziato a cambiare”. L’Iraq, terra dove si trovano Babilonia e Ninive la città del profeta Giona, è anche la patria delle tre religioni, ebraismo, cristianesimo e islamismo, perché Abramo il nostro comune patriarca era di Ur dei Caldei.
Analizzando la situazione di oggi, il vescovo di Bagdad ha ricordato il dramma degli ultimi avvenimenti. “Da trent’anni - ha continuato - siamo in guerra: prima la guerra con l’Iran, poi la guerra del Golfo, poi ancora la guerra delle sanzioni che ci ha lasciati senza medicine e senza tanti altri beni di prima necessità, e da ultimo la guerra che ha portato alla caduta di Saddam. L’hanno chiamata ‘guerra di liberazione’ ma non so di quale liberazione si tratti, visto che da quattro anni non si riesce a trovare una via di uscita che porti alla pace il nostro paese. Noi vescovi prima della guerra ci siamo opposti a questo intervento e abbiamo scritto uno opuscolo dal titolo ‘Dio non vuole la guerra”.Per quanto riguarda i cristiani, il vescovo ha asserito che vivono in una costante paura, “non si può nemmeno uscire di casa perché ci sono i rapitori e i kamikaze”. Ha raccontato alcuni episodi raccapriccianti come quello del rapimento di sei sacerdoti, picchiati, torturati e poi uccisi. Uno, addirittura l’hanno impiccato ad un albero. Per questo motivo, ora, molti sacerdoti hanno paura perché sanno di rischiare la vita. A Dora, vicino Bagdad c’era un Seminario che ora per motivi di sicurezza è stato spostato e tutti i sacerdoti sono scappati. “Mi chiedo - ha proseguito - se i sacerdoti si scoraggiano, come potranno i fedeli trovare la forza di testimoniare la loro fede? Molte volte rispondo ai miei fedeli che noi siamo nella fase della passione, che dobbiamo attraversare questo momento di croce per gustare e vedere il giorno della resurrezione. Un segnale di questo clima di paura è il fatto che alle messe la gente si è ridotta di 1/3. Ho celebrato la messa di Natale e Capodanno perché la gente mi aspettava, la Chiesa era piena. Ma all’Epifania non ho potuto celebrare perché siamo venuti a sapere che stavano organizzando un sequestro nei confronti della mia persona. Sono aumentati gli orfani e le vedove. Andare al mercato a fare la spesa, cosa per noi del tutto normale, in Iraq diventa rischioso. Si esce di casa senza essere tanto sicuri di poterci fare ritorno. Continuo a domandarmi perchè non si riesce a trovare una via di pace e di dialogo. Noi cristiani siamo per la pace e l’unità. Abbiamo chiesto ai musulmani di lasciarci vivere in pace. E questo perché prima di essere musulmani o cristiani noi siamo iracheni. Purtroppo, c’è da dire che le altre nazioni non ci aiutano perché pensano che sei un ‘cannibale’ per il semplice fatto che tu sei iracheno. Ed è per questo che molti fuggono via dal paese andandosi a consegnare il più delle volte nelle mani degli scafisti e con le barche vengono qui da voi”.Non ha mancato di fare delle denunce molto forti il vescovo ausiliare di Bagdad nel dichiarare che l’Iraq è una nazione ricchissima, tra le più ricche del mondo che può far vivere tutto il Medioriente, e ora invece costringe la sua gente a mendicare. Al nord le case costano moltissimo. “Per quanto riguarda il petrolio c’è da dire che prima della caduta del governo di Saddam, alcuni anni prima della guerra, andava a 25 dollari al barile, ora invece le quotazioni viaggiano tra i 60 e i 65 dollari. Chi ci ha guadagnato? Non certo il popolo iracheno. Inoltre, parlano di giustizia e seminano ingiustizia, parlano di diritti fondamentali dell’uomo e poi li calpestano. Perché una mamma deve avere paura di comprare il pane? Durante la giornata l’elettricità ci è data solo per pochissime ore. Lo sapete che in Iraq non c’è gasolio e si fanno tre ore di fila per fare benzina? Hanno mandato tutto il terrorismo in Iraq perché altri paesi ne fossero risparmiati. Che vengano i capi di Stato e camminino cinque minuti per le strade di Bagdad! Pensate che hanno addirittura lasciato aperti i confini dell’Iraq per quattro anni. Cosa accadrebbe in Italia se lasciassero aperti i confini per pochi giorni?”.Durante il racconto del prelato, i volti dei presenti in Chiesa si sono fatti più pensierosi perché spiazzati da questa incredibile testimonianza, parole, che, come pietre, venivano a scomodare le tranquille coscienze di chi come noi è abituato ad assistere come spettatore al bollettino di morti che ogni giorno i media ci offrono sul piatto delle nostre tavole. Parole che rattristano la nostra sensibilità, ma che tuttavia sono un monito e un appello a fare qualcosa per questa martoriata nazione. Tuttavia, a conclusione del suo racconto, il vescovo di Bagdad ha lanciato un messaggio di speranza “non voglio seminare la disperazione, ma la speranza e l’amore. Io penso che il mondo abbia bisogno di Dio, della santità perchè senza di essa non c'è nè perdono e nè giustizia e senza la giustizia non c'è vera pace. Ma la santità comincia da noi. Vi chiediamo perciò di pregare per l’Iraq perché venga la pace, quella vera che rende fratelli anche chi ha fedi e religioni diverse”.Nelle sue riflessioni conclusive Mons. D’Ambrosio ha ringraziato il gradito ospite per la sua testimonianza e ha annunciato che le offerte raccolte durante la quaresima saranno donate alla Chiesa di Bagdad nella speranza che un nostro piccolo gesto possa contribuire a far scoppiare la pace in Iraq.

I giovani cristiani iracheni si riuniscono ad Erbil in unità spirituale con il Santo Padre

In concomitanza con la preghiera del Santo Padre con i giovani romani in preparazione della prossima giornata mondiale della gioventù, giovedì 29 marzo, 80 giovani iracheni cristiani che vivono nel territorio della regione del Kurdistan, ma che provengono da tutte le diocesi del paese, si riuniranno presso il Santuario di Maria, ad Erbil.
Il ritiro spirituale, organizzato dal parroco della chiesa caldea del Sacro Cuore di Erbil, Padre Rayan P. Atto, avrà la durata di due giorni. Giovedì i giovani iracheni saranno spiritualmente uniti al Pontefice Benedetto XVI, ed a tutti i giovani cristiani del mondo che nel luglio del 2008 parteciperanno alla Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney, ed ascolteranno in diretta la preghiera del Papa che sarà introdotta da Padre Atto e tradotta in arabo ed aramaico, due delle lingue parlate dalla comunità cristiana irachena. La giornata proseguirà con l’Adorazione notturna che terminerà il venerdì mattina con momenti di preghiera, silenzio e lavoro nel giardino del santuario. Alle 12.00 verrà celebrata la Santa Messa a cui seguirà, a conclusione delle giornate di ritiro spirituale, un incontro di festa e gioia per tutti i partecipanti. I momenti salienti di questa occasione di preghiera e festa saranno inoltre trasmessi in diretta da una TV cristiana del Kurdistan iracheno.
“Il sogno dei giovani cristiani iracheni” dice Padre Atto “sarebbe quello di partecipare alla prossimo GMG in Australia. Una partecipazione che avrebbe un alto valore simbolico sia per loro, membri di una comunità che sta soffrendo l’isolamento in cui l’Iraq tuttora vive, sia per i giovani cristiani del mondo che potrebbero così confrontarsi con i propri fratelli iracheni direttamente, e non solo attraverso ciò che i media riportano.”
“Lo scopo del ritiro spirituale”
continua il sacerdote “è quello di far proprie le parole del Santo Padre circa la necessità di leggere la Bibbia, ricercare il valore dell’Eucarestia, ed avvicinarsi, visitando i monasteri ed i santuari, alla spiritualità di quei luoghi facendone propri i valori di vita.

By Baghdadhope

21 marzo 2007

Un terzo dei bambini iracheni malnutriti, a quattro anni dall’invasione statunitense del Paese

Fonte: Zenit Codice: ZI07031911

“Caritas Internationalis” e Caritas Iraq affermano che i tassi di malnutrizione sono aumentati in Iraq dal 19% del periodo precedente l’invasione del Paese da parte delle forze guidate dagli Stati Uniti alla media nazionale del 28% di quattro anni dopo. La Caritas sostiene che la fame in aumento è provocata dagli alti livelli di insicurezza, dal collasso del sistema sanitario e di altre infrastrutture, dalla maggiore polarizzazione tra sette e tribù diverse e dall’aumento della povertà. Più dell’11% dei bambini nasce oggi sottopeso in Iraq, di fronte al 4% del 2003.

Clicca su "leggi tutto" per l'articolo di Zenit
Prima del marzo 2003, l’Iraq aveva già un tasso di mortalità infantile significativo dovuto alla malnutrizione a causa delle sanzioni internazionali imposte al regime dittatoriale di Baghdad. Caritas Iraq ha attivato una serie di cliniche per il benessere dei bambini nel Paese. Attualmente fornisce alimentazione supplementare a 8.000 bambini fino agli 8 anni di età e alle neomamme. Le cliniche della Caritas aiutano i più vulnerabili, e la crisi sanitaria che affrontano è ben peggiore della media nazionale. Il contesto di insicurezza in cui lavora è inoltre ad alto rischio. Secondo Claudette Habesch, Presidente di Caritas Medio Oriente-Nordafrica, “il conflitto settario e tribale infetta quotidianamente la vita in Iraq. Le scuole primarie e secondarie, gli ospedali, la polizia, il Governo sono tutti divisi. Non si può nemmeno andare al supermercato senza la paura di non tornare”. “Caritas Iraq sta lavorando contro questo difficile background fornendo cibo fondamentale per i bambini più vulnerabili e le neomamme. Lo staff affronta grandi rischi ma cerca di dare assistenza medica in un Paese in cui il sistema sanitario nazionale in alcune zone ha collassato”. “L’Iraq è il secondo Paese per riserve petrolifere al mondo, ma ha livelli di povertà, fame e sottosviluppo paragonabili a quelli dell’Africa subsahariana”. “Negli ultimi quattro anni, ma in particolare nel 2006, abbiamo visto che la vita più che migliorare è peggiorata per l’iracheno medio. La gente se ne sta andando. Ogni giorno 5.000 persone lasciano l’Iraq. Nel 2007, si pensa che un iracheno su dieci abbandoni il Paese”, ha denunciato. “Vediamo gruppi minoritari come i cristiani scomparire del tutto dal Paese o abbandonare le loro case in cerca di posti più sicuri. Spero per l’Iraq che le cose migliorino, ma è senz’altro perché le cose non possono andare peggio”, ha osservato. Caritas Internationalis è una confederazione di 162 organizzazioni cattoliche di sostegno, sviluppo e servizio sociale presente in più di 200 Paesi e territori.