"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

2 marzo 2021

Mano nella mano per costruire il Paese

Rossella Fabiani

C’è un’atmosfera di amicizia sul pulmino che sta attraversando la piana di Ninive per portarci ad Alqosh a visitare il monastero caldeo di Rabban Ormisda. Sono in Iraq. Nell’antica Mesopotamia. E di colpo i libri letti, i testi tradotti, i manuali consumati sono annullati dalla vista di questa terra che svela, senza bisogno di mediazioni, tutta la sua storia, le sue genti e i pellegrini che l’hanno attraversata. Lei è ancora lì. Immobile. E accogliente. Pur tra tanto dolore. Ma uno spirito di fratellanza pervade ogni cosa. Nonostante il male l’abbia attraversata molte volte nella storia. Perché dal dolore può nascere la misericordia. Sono venuta qui da sola nonostante tutti mi dicessero è pericoloso, dove vai? Avevo paura all’inizio. E invece è stata una benedizione poter andare. 
Lasciamo la pianura e cominciamo a salire una serie di tornanti, sempre più in alto fino in cima dove, scavato nelle rocce della montagna, finalmente vediamo il monastero di Rabban Ormisda che appartiene alla Chiesa cattolica caldea. 
Fu fondato intorno al 640 da Rabban Ormisda venerato come santo nella tradizione sia nestoriana che cattolica della Chiesa d’Oriente. Rabban significa monaco nell’antica lingua siriaca. 
Il monastero si trova a circa tre chilometri dal villaggio cristiano di Alqosh, che è a 45 chilometri da Mosul e a una settantina di chilometri da Qaraqosh, la più grande città cristiana dell’Iraq. Alqosh è un piccolo villaggio abitato da sempre solo da assiri e siriaci cristiani. 
Ho visto diversi villaggi cristiani viaggiando per il nord dell’Iraq. Ma questo è il più famoso perché è pieno di antiche chiese e ha persino un chiostro. Questo antichissimo luogo — menzionato per la prima volta in un’iscrizione muraria nel palazzo di Sennacherib risalente agli inizi del VII secolo avanti Cristo — è uno dei principali centri del cristianesimo assiro-caldeo.
Il monastero di Rabban Ormisda, che è stato sede dei patriarchi nestoriani dal 1551 al 1804, era definito il Vaticano dell’Iraq e ancora oggi è visitato dai pellegrini che venerano la grotta con gli anelli al soffitto ai quali, secondo la tradizione, l’eremita legava la barba e i capelli così da non addormentarsi e praticare la preghiera del cuore. Il sole illumina il monastero, tutto il paesaggio è invaso da una luce bellissima. Un piccolo campanile si erge solitario poco distante. Ricordava alla gente dei villaggi della pianura le ore della preghiera e scandiva la giornata del monastero. Uso il verbo al passato perché oggi il monastero — che un tempo accoglieva una nutrita comunità monastica che seguiva la regola cenobitica, con alcuni monaci che avevano invece scelto quella anacoretica vivendo in grotte scavate nella montagna — è in stato di abbandono dopo essere stato saccheggiato dall’Is nel 2013. 
È un luogo del silenzio. «Per noi cristiani questo monastero fa ricordare il passato, come era la Chiesa unita, una Chiesa di milioni di persone», mi dice padre Salar cattolico caldeo che mi accompagna all’interno della chiesa dove mi inginocchio davanti all’altare di pietra e all’icona di Rabban Ormisda. Poi raggiungo la cella del santo monaco Ormisda e attraverso il corridoio dove ci sono le pietre tombali di nove patriarchi della Chiesa assira d’Oriente. 
 È dal monastero di Alqosh — che racconta quasi quindici secoli di storia del cristianesimo siriaco — che nel 1551 si avvia il processo di unione con Roma da cui è nato il patriarcato siro-cattolico che si stabilì ad Amida, oggi Diyarbakir. Nel 1845 Gregorio XVI approva la regola dell’ordine antoniano di Sant’Ormisda dei Caldei. E sempre qui una preziosa biblioteca conservava i testi fondativi della Chiesa siriaca, redatti in siriaco, una lingua semitica con caratteri e radici simili all’ebraico, praticata dai popoli che pregano in aramaico, la lingua di Gesù e del Talmud. Ma, soprattutto, in questo monastero fu redatto un prezioso manoscritto che contiene la storia conciliare dei primi sette secoli del cristianesimo siriaco e delle Chiese collocate fuori dall’impero bizantino, portatrici di un dinamismo missionario che era arrivato a predicare il Vangelo in Cina già nel VI secolo. Un testo oggi conservato in un luogo segreto e che in pochissimi hanno visto. Quando infatti, nel 1902, Jean-Baptiste Chabot, prete di Tour di formazione lovaniense e poi studioso all’Ecole pratique di Parigi, fece l’edizione critica del Synodicon orientale lavorò su due copie di questo manoscritto. Nel tempo i monaci del monastero si trasferirono in pianura vicino al villaggio di Alqosh dove fu costruito un nuovo monastero, Notre Dame des Semences. 
Fino al completo abbandono dopo gli assalti dell’Is. Oggi l’antico monastero rimane un luogo di pellegrinaggio e di preghiera. Fuori, tutte intorno, ci sono le grotte scavate nella montagna dove vivevano gli eremiti. 
Un’incisione nella roccia recita «i semplici erediteranno la terra» è una delle Beatitudini. «Questo luogo rappresenta il passato della nostra gente, ma anche il futuro perché i cristiani qui ci sono sempre stati e continueranno a esserci», mi dice padre Salar. In un’altra iscrizione nella roccia leggo «mano nella mano per costruire il Paese» questo dovrebbe essere l’Iraq, è la speranza di padre Salar.
Nel silenzio che lo circonda questo luogo appare appoggiato all’azzurro del cielo mentre dall’alto osserva la piana di Ninive che si mostra in tutta la sua potente fertilità dove il verde dei campi racconta una prosperità millenaria e contesa, attraversata dai grandi imperi assiri, dai tanti simboli religiosi, dalle civiltà giuridiche, dalle antiche lingue diventate scrittura, dalla crudeltà dei potenti e dalla speranza di rivincita del povero di cui parla il profeta Naum che ad Alqosh, in mezzo alle vecchie case del villaggio, ha la sua tomba. 
 Due sono le strade principali di questa regione. Una più grande che va dalla Turchia a Zakko e di lì a Erbil e giù fino Baghdad, l’altra, più piccola, che corre perpendicolare e va da Alqosh verso Mosul, attraversando una serie di villaggi che hanno visto l’avanzata di Daesh che è giunto fino a Teleskof, a venti chilometri da questo monastero, dove vive padre Salar che ha studiato con me al Pontificio Istituto Orientale a Roma. 

Il Papa in Iraq: ripartire da Abramo per riconoscersi fratelli

Andrea Tornielli

I cristiani iracheni attendevano il Papa da ventidue anni. Era il 1999 quando san Giovanni Paolo II progettò una breve ma significativo pellegrinaggio a Ur dei Caldei, prima tappa del cammino giubilare nei luoghi della salvezza. Voleva partire da Abramo, dal padre comune riconosciuto da ebrei, cristiani e musulmani. In tanti sconsigliarono l’anziano pontefice polacco, chiedendogli di non compiere un viaggio che avrebbe potuto correre il rischio di rafforzare Saddam Hussein ancora al potere dopo la prima guerra del Golfo.
Papa Wojtyla tirò dritto per la sua strada, nonostante i tentativi di dissuaderlo, compiuti in particolare dagli Stati Uniti. Ma all’ultimo quel viaggio lampo di natura squisitamente religiosa non venne realizzato per la contrarietà del presidente iracheno.
Nel 1999 il Paese era già in ginocchio a causa della sanguinosa guerra contro l’Iran (1980-1988) e per le sanzioni internazionali seguite all’invasione del Kuwait e alla prima guerra del Golfo. Il numero dei cristiani in Iraq era allora più di tre volte maggiore di quello attuale. Il mancato viaggio di Giovanni Paolo II rimase una ferita aperta. Papa Wojtyla alzò la sua voce contro la seconda spedizione militare occidentale nel Paese, la guerra-lampo del 2003, conclusasi con il rovesciamento del governo di Saddam.
All’Angelus del 16 marzo disse: “Vorrei ricordare ai Paesi membri delle Nazioni Unite, ed in particolare a quelli che compongono il Consiglio di Sicurezza, che l’uso della forza rappresenta l'ultimo ricorso, dopo aver esaurito ogni altra soluzione pacifica, secondo i ben noti principi della stessa Carta dell’ONU”.
Poi, nel post-Angelus, supplicò: “Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: ‘Mai più la guerra!’, come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile!”.
Rimase inascoltato da quei “giovani” che fecero la guerra e furono incapaci di costruire la pace. L’Iraq venne colpito dal terrorismo, con attentati, bombe, devastazioni. Il tessuto sociale si disgregò. E nel 2014 il Paese vide affermarsi il sedicente Stato Islamico proclamato dall’Isis. Ancora devastazione, persecuzioni, violenze, con le potenze regionali e quelle internazionali impegnate a combattere in terra irachena. Con il moltiplicarsi di milizie fuori controllo. A farne le spese, con un alto costo in vite umane, la popolazione inerme, divisa per appartenenze etniche e religiose.
Guardando la situazione irachena, si tocca con mano la concretezza e il realismo delle parole che Francesco ha voluto scolpire nella sua ultima enciclica “Fratelli tutti”: “Non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile ‘guerra giusta’. Mai più la guerra!... Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male”. 
Centinaia di migliaia di cristiani durante questi anni si sono visti costretti ad abbandonare le loro case per cercare rifugio all’estero. In una terra di prima evangelizzazione, la cui Chiesa antichissima ha origini risalenti alla predicazione apostolica, oggi i cristiani attendono la visita di Francesco come una boccata d’ossigeno. Il Papa da tempo aveva annunciato la sua volontà di recarsi in Iraq per confortarli, seguendo l’unica “geopolitica” che lo muove, cioè quella di manifestare prossimità a chi soffre e di favorire, con la sua presenza, processi di riconciliazione, di ricostruzione e di pace. 
Per questo, nonostante i rischi legati alla pandemia e alla sicurezza, nonostante i recenti attentati, Francesco ha mantenuto finora in agenda questo appuntamento, deciso a non deludere tutti gli iracheni che lo attendono. Il cuore del primo viaggio internazionale dopo quindici mesi di blocco forzato a causa delle conseguenze del Covid-19, sarà l’appuntamento di Ur, nella città da cui partì il patriarca Abramo. Un’occasione per pregare insieme ai credenti di altre fedi religiose, in particolare musulmani, per ritrovare le ragioni di una convivenza tra fratelli, così da ricostruire un tessuto sociale oltre le fazioni e le etnie, e per lanciare un messaggio al Medio Oriente e al mondo intero.

Parolin: Francesco porta in Iraq la speranza del dialogo e della ricostr...

By Vatican News
Massimiliano Menichetti



L’Iraq attende Francesco che riprende a viaggiare scegliendo di portare il conforto ad un popolo che ha sofferto in questi anni a causa delle persecuzioni, della guerra e delle violenze perpetrate dall’Isis, ma anche per continuare a costruire la via della fratellanza e il grande ponte del dialogo. Per la prima volta nella storia un Papa visiterà l’Iraq. Il Paese che ha dato i natali ad Abramo ed in cui risiede una delle comunità cristiane più antiche, ha ancora molto visibili le ferite della guerra e affronta le piaghe della povertà, del terrorismo e ora del Covid-19.
Il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, rimarca l’importanza del viaggio, evidenziando l’urgenza della collaborazione per ricostruire il Paese e sanare tutte le “piaghe, per ricominciare una nuova tappa”.

Il Papa riprende i suoi pellegrinaggi apostolici dopo questo periodo abbastanza lungo di sospensione dovuto all’emergenza sanitaria per il Covid-19. Li riprende volgendo l’attenzione verso un Paese particolarmente sofferente, un Paese che porta nel suo corpo le ferite della guerra, del terrorismo, della violenza, degli scontri. Quindi il Papa vuole manifestare una particolare attenzione, una particolare vicinanza, a questo Paese, all’Iraq. Il viaggio ha come scopo e come significato proprio quello di manifestare la vicinanza del Papa all’Iraq e agli iracheni; e lanciare un messaggio importante: che si deve collaborare, ci si deve mettere insieme per ricostruire il Paese, per sanare tutte queste piaghe, e per ricominciare una nuova tappa.
Tre anni fa, visitando Iraq, lei ha detto che: “I cristiani e i musulmani sono chiamati a illuminare le oscurità della paura e del non senso”. Che significato hanno queste parole alla vigilia del viaggio del Papa?
Credo che queste parole conservino tutta la loro attualità. Ricordo di averle pronunciate in un contesto anche gioioso, perché era la notte di Natale nella cattedrale caldea di Baghdad, piena di gente, piena di canti e piena di luce, nonostante il clima cupo che si viveva all’esterno. Credo che conservino la loro attualità. Soprattutto, sono in sintonia con quello che è il motto del viaggio del Santo Padre: “Siete tutti fratelli”. Ora, questa fraternità nasce dal fatto di essere figli dello stesso padre. Ha un riferimento anche ad Abramo, che proprio in Iraq ha avuto i suoi natali. Da lì è partita la sua avventura dopo la chiamata del Signore: Abramo al quale fanno riferimento sia i cristiani sia i musulmani. Poi deve tradursi anche in un impegno comune. Ecco, per questo dicevo che sono chiamati insieme ad essere luce nelle tenebre e a dissipare le oscurità, le tante oscurità che c’erano allora, due anni fa, e che, anche se c’è stato uno sforzo per superarle, in gran parte però rimangono ancora.
Sarà una visita di quattro giorni molto intensa. Il Papa abbraccerà la chiesa locale e parteciperà ad un incontro interreligioso proprio ad Ur, la città di Abramo, visiterà luoghi di persecuzione, martirio, e di ricostruzione. Qual è il centro di questo viaggio?
Il centro sta proprio nel fatto che il Papa vuole lanciare un messaggio verso il futuro: questo è il centro. Ci sono situazioni e realtà che vivono una certa sofferenza, a parte proprio dove c’è stata la persecuzione, il martirio. La Chiesa stessa vive una situazione di difficoltà, il dialogo interreligioso ha bisogno di essere promosso. Le difficoltà però si possono superare, se ci sono la buona volontà e l’impegno da parte di tutti, di mettersi insieme, collaborare per ricostruire. Credo che il messaggio, il centro, sarà questo: non lasciamoci bloccare da tutto quello che è successo, per quanto negativo possa essere stato – ed è stato molto negativo – ma guardiamo avanti con speranza e con coraggio per ricostruire questa realtà dell’Iraq.
Qual è il significato dell’incontro con il Grande Ayatollah Al-Sistani. Un altro pilastro per il ponte della fratellanza?
Sì, credo certamente di sì, anche tenendo conto che Al-Sistani è una delle personalità più simboliche, più significative, del mondo sciita; e tenendo conto poi che Al-Sistani, si è sempre pronunciato in favore di una convivenza pacifica all’interno dell’Iraq, dicendo che tutti i gruppi etnici, i gruppi religiosi, sono parte del Paese. Questo è molto importante perché va nel senso e nella direzione proprio della costruzione di questa fraternità fra cristiani e musulmani, che dovrebbe caratterizzare il Paese. Quindi è davvero un momento importante e credo che sarà uno dei momenti certamente più significativi della visita del Papa in Iraq.
In questi ultimi anni, a causa delle violenze, oltre un milione di cristiani è espatriato dall’Iraq. Il viaggio del Papa porta anche la speranza di un cambiamento in questo senso?
Certamente la Chiesa - i cristiani, i cattolici - in Iraq, stanno attendendo con grande desiderio il Papa. E certamente hanno bisogno di essere incoraggiati a vivere la propria vocazione cristiana all’interno di questa realtà così difficile come l’Iraq, direi che quasi è una vocazione nella vocazione cristiana, quella dei cristiani del Medio Oriente, di vivere nella loro realtà, nel loro ambiente, nei loro Paesi. E quindi certamente il Papa darà un incoraggiamento a questa Chiesa ad essere coraggiosa, capace di testimoniare, e farà anche un invito a rimanere proprio sul posto per dare una testimonianza della presenza. Abbiamo già detto tante volte che senza i cristiani il Medio Oriente non sarebbe più tale.
Il governo iracheno ha salutato questo viaggio come “un messaggio di pace”. Come si costruisce la stabilità, il dialogo, la convivenza, dopo tanti anni di devastazione e violenza?
È una grande sfida questa, una grande sfida alla quale il governo naturalmente, e tutta la società, tenta di dare una risposta. Torniamo a ciò che dicevamo, ovvero verso l’unità. Bisogna mettersi insieme e collaborare. Per mettersi insieme per collaborare, per costruire questa unità, certamente c’è bisogno di perdono e di riconciliazione. Bisogna superare il passato, guardare avanti in questo senso, nuovo e positivo. Nello stesso tempo, poi, ci sono anche dei provvedimenti da prendere, per esempio, contro il settarismo, che purtroppo caratterizza ancora ampie frange della società, contro la corruzione, le disuguaglianze e le discriminazioni, perché ognuno possa avere il suo posto e ognuno si senta cittadino del Paese, con gli stessi diritti, con gli stessi doveri e con lo stesso impegno e responsabilità di contribuire a costruirlo. Mi pare che queste dovrebbero essere le vie maestre per tentare di ricostruire il Paese.
Eminenza, quale è il suo augurio per questo viaggio?
Il mio augurio è che davvero questo momento, questa presenza del Santo Padre, così attesa, così lungamente sperata e desiderata, possa costituire un momento di rinascita, di rinascita materiale, di rinascita spirituale per il popolo iracheno, perché questo possa avere anche una ripercussione in tutta la regione che ha bisogno di buoni esempi. E che questo avvenga nel segno della fraternità: “Siete tutti fratelli”, è il motto con cui si svolge questo viaggio del Papa.

Iraq La città di Ur illuminata per la prima volta dopo 4.000 anni


Foto Albaghdadia.com

Il direttore del Museo della civiltà di Nassiriya, Amer Abdul Razzaq, ha annunciato l'illuminazione dell'antica città di Ur e della sua ziggurat per la prima volta nella storia dalla sua fondazione, 4.000 anni fa.
Il Ministero iracheno per l'Energia elettrica ha poi confermato numerosi dettagli dell'evento. Dal primo momento sono state scattate moltissime fotografie e girati filmati di ogni tipo, “spettacolo” definito “sorprendente e inimmaginabile poco tempo fa”.
Razzaq ha precisato poi: “La decisione è stata presa per mostrare l'antica città di Ur nel modo più bello in attesa della Visita di Papa Francesco. Sono stati due mesi di lavoro intensi anche perché prima si è dovuto asfaltare 17 chilometri di strade che in passato, per secoli e secoli, quando la città veniva illuminata con delle torce, erano sterrate." (foto: albaghdadia.com)

Papa in Iraq: ACS lancia una grande iniziativa da 1.5 milioni di euro per la gioventù cristiana


Per accompagnare Papa Francesco nel suo imminente viaggio apostolico in Iraq la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) annuncia un nuovo e ambizioso programma del valore di 1,5 milioni di euro. Scopo dell'iniziativa è sostenere la gioventù cristiana della nazione mediorientale attraverso l’offerta di borse di studio per 150 studenti dell’Università Cattolica di Erbil, capitale della regione autonoma del Kurdistan iracheno, per i prossimi quattro anni.
Il progetto intende così promuovere la coesione sociale fra le diverse comunità religiose e assicurare agli studenti cristiani migliori prospettive di impiego. «Senza dubbio l’Università Cattolica di Erbil (UCE) rappresenta un raggio di luce e un simbolo di speranza specialmente per le generazioni più giovani. Aiutare finanziariamente la UCE attraverso borse di studio assicurerà un grandissimo sostegno, e questo aiuto non andrà a beneficio solamente di un numero limitato di giovani che sperano in un futuro migliore, perché allo stesso tempo rappresenterà un forte gesto di solidarietà nei confronti dei cristiani, delle altre minoranze e degli emarginati della regione», spiega mons. Bashar Warda, arcivescovo caldeo di Erbil e fondatore dell’ateneo. «Ho sempre profondamente apprezzato il lavoro svolto per molti anni da ACS a nostro favore, specialmente dopo l’ISIS. Avere ACS quale principale e fondamentale donatore per il programma delle borse di studio è particolarmente appropriato ed accolto con estremo favore. Sentiamo il bisogno di dare buone notizie al popolo durante la visita pontificia, e poter annunciare la prospettiva di avere 1.000 studenti entro il 2025, conferendoci una voce significativa ed assicurando un chiaro futuro ai nostri giovani e ai loro genitori, dona grande speranza», aggiunge l’arcivescovo di Erbil. La maggior parte di questi studenti universitari sono rifugiati o sfollati interni provenienti da diverse parti dell’Iraq, tra le quali Baghdad, Basra, Diala, Duhok, Kirkuk, Ninive/Mosul, Sinjar e Sulaimaniya.
«Crediamo che questo progetto possa sostenere il messaggio del Papa per la coesione sociale e la riconciliazione. L’Università si sviluppa intorno alla diversità, con il 72% di cristiani, il 10% di musulmani e il 18% di yazidi», spiega Thomas Heine-Geldern, presidente esecutivo di ACS Internazionale. «La UCE è un progetto di importanza cruciale per quei cristiani che intendono restare nell’Iraq settentrionale e in Kurdistan. I cristiani non penserebbero di abbandonare la propria nazione se non si sentissero costretti da forze fuori il loro controllo. Se ai giovani cristiani viene data un’opportunità di acquisire una buona formazione resteranno. ACS ha già fatto quanto possibile per aiutarli a restare in patria, investendo nella ricostruzione delle loro case, chiese e infrastrutture. Ora è tempo di iniziare questo progetto, molto ambizioso per noi, e investire nella gioventù del Paese», prosegue Heine-Geldern.
Secondo Alfredo Mantovano, presidente di ACS Italia, «nel Kurdistan iracheno la minoranza cristiana vive in un contesto di sicurezza relativa. Vi è infatti una persistente sensazione di instabilità causata anzitutto dalla precaria situazione economica. Ciò pone in particolare i giovani di fronte al dilemma: restare o emigrare. Non a caso negli ultimi dieci anni la presenza cristiana è drammaticamente diminuita. L’UCE, fondata cinque anni fa, ha lo scopo di fornire ai giovani l’opportunità di restare in patria grazie a migliori prospettive per l’immediato futuro», prosegue Mantovano.
 Ad oggi la UCE è la sola università cattolica della nazione, e si compone per il 54% di studentesse. Attualmente gli iscritti sono 170 ma l’arcivescovo punta a un forte incremento nell’arco dei prossimi quattro anni, e per conseguire questo ambizioso obiettivo il sostegno finanziario dei benefattori di ACS è indispensabile.

Papa in Iraq: Bruni, “il viaggio si fa, con le difficoltà dovute alla situazione sanitaria e alla sicurezza”


“Il viaggio si fa, con le difficoltà dovute alla situazione sanitaria”. A confermarlo è stato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, nella conferenza stampa di presentazione del viaggio apostolico del Papa in Iraq.
“Sarà un viaggio diverso da quelli a cui siamo abituati”, ha proseguito il portavoce vaticano: “Si dovrà tenere conto del Covid-19 e delle misure sanitarie imposte dal Paese, ecclesiastiche e governative. Sarà un gesto d’amore, e come tutti i gesti d’amore è un gesto estremo. Per certi versi sarà un viaggio ‘virtuale’, nei limiti in cui è possibile in un Paese come l’Iraq, dove la connessione ad Internet non è sempre disponibile, specialmente nei villaggi”. “Con l’eccezione di Erbil – ha fatto notare Bruni – il Papa non incontra folle: siamo nell’ordine delle centinaia di persone, qualcuno in più a Qaraqosh e all’aperto. Il viaggio si farà, come ha detto il Papa, anche solo per permettere agli iracheni di vederlo in televisione e di sapere che è nel loro Paese. Questo conta”.
Il viaggio, che verrà trasmesso tutto in diretta ad eccezione della tappa a Najaf, “sarà particolare anche per le questioni di sicurezza”. “Nei viaggi papali, c’è sempre a disposizione un’auto blindata”, ha ricordato il direttore della Sala stampa vaticana: “Stiamo parlando di un viaggio in cui le esigenze di sicurezza sono diverse rispetto ad altri: è probabile e possibile che venga utilizzata”.
Il Papa, comunque, si sposterà sempre in un’auto chiusa e utilizzerà un’auto aperta solo all’interno dello stadio di Erbil. Quanto all’incontro con il Grand Ayatollah Al-Sistani, Bruni ha precisato che “si tratta di una visita di cortesia che ha una portata significativa: vedremo se c’è altro”.
Papa Francesco, infine, incontrerà gli Yazidi “sicuramente a Ur”, nell’incontro interreligioso del 6 marzo, ha reso noto il portavoce vaticano.

Papa in Iraq: Bruni, “fraternità e speranza” le due parole-chiave del viaggio


“Fraternità e speranza”: sono queste “le due parole che possono aiutarci a fare sintesi del prossimo viaggio in Iraq”. A spiegarlo è stato Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, durante la conferenza stampa di presentazione del viaggio, organizzata in modalità mista (presenza e streaming) dalla Sala stampa vaticana. Un’altra caratteristica di questo viaggio che si annuncia già storico, in quanto vedrà per la prima volta la presenza di un Papa in terra irachena, “è il fatto che si svolge in un tempo di pandemia, e di questo dovremo tenere conto”, ha spiegato Bruni, sottolineando “l’entusiasmo con cui il popolo iracheno, un popolo che ha molto sofferto, si è preparato a questo viaggio”. “Incontrare la comunità cristiana; approfondire il rapporto tra religioni diverse; incontrare l’Iraq”, i tre obiettivi principali del viaggio, che porta a compimento il sogno manifestato da Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000. Non si tratta, ha puntualizzato però Bruni, di un viaggio rivolto al passato, ma “caratterizzato da un’apertura al futuro, nel segno di Abramo”. Già il 30 ottobre del 2013, pochi mesi dopo l’elezione al soglio di Pietro, Papa Francesco aveva rivelato l’urgenza di pregare per l’Iraq, “colpito quotidianamente da tragici episodi di violenza, perché trovi la strada della riconciliazione e della pace”. Violenza, quella di cui è stato vittima l’Iraq, che dal 2004 si è moltiplicata fino a culminare, il 31 ottobre 2010, nell’attentato nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad, dove Papa Francesco si recherà nel pomeriggio del 5 marzo, primo giorno del viaggio, e terrà il suo secondo discorso.

Papa in Iraq: Bruni, “è la prima volta che un Pontefice si reca in un Paese a maggioranza sciita”


Baghdad, Najaf, Ur, Erbil, Mosul, Qaraqosh. Sono queste le tappe del prossimo viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq, in programma dal 5 all’8 marzo. In tre giorni Francesco pronuncerà quattro discorsi e terrà due omelie, un Angelus e una preghiera di suffragio per le vittime della guerra, come si apprende dal programma illustrato nel dettaglio dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni.
Il 33° viaggio apostolico di Papa Francesco, che corrisponde al 52° Paese visitato – ha sottolineato il portavoce vaticano – sarà il primo viaggio di un Papa in Iraq e il primo di un Pontefice in un Paese a maggioranza sciita. Il 5 marzo alle 7.30 l’aereo con a bordo il Papa partirà da Fiumicino alla volta di Baghdad, dove è prevista l’accoglienza ufficiale, alle 14, presso l’aeroporto e l’incontro con il primo ministro nella Sala Vip. Alle 15 la cerimonia ufficiale di benvenuto presso il palazzo presidenziale di Baghdad, seguita un quarto d’ora dopo dalla visita di cortesia al presidente della Repubblica nello studio privato e dall’incontro con le autorità, la società civile e il Corpo diplomatico nel salone del Palazzo presidenziale. Qui, alle 15.45, il Papa terrà il suo primo discorso, mentre il secondo discorso è in programma alle 16.40 durante l’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i catechisti nella cattedrale siro-cattolica di “Nostra Signora della Salvezza” a Baghdad. 
Il 6 marzo alle 7.45 il Papa partirà in aereo per Najaf, nel cui aeroporto alle ore 9 si svolgerà la visita di cortesia al Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husaymi Al-Sistani. Alle 10 la partenza in aereo per Nassiriya, per l’incontro interreligioso presso la Piana di Ur, occasione del terzo discorso del Santo Padre, alle 11.10. Ritornato a Baghdad, nel pomeriggio alle ore 18, il Santo Padre celebrerà la Messa nella cattedrale caldea di “San Giuseppe”.
La mattina del 7 marzo, alle 7.15, Francesco partirà in aereo per Erbil, nel cui aeroporto è previsto alle 8.30 l’incontro con il presidente e con il primo ministro della Regione autonoma del Kurdistan iracheno nella Presidential Vip Lounge e l’accoglienza delle autorità religiose e civili della regione. Alle 9 la partenza in elicottero per Mosul, dove il Papa reciterà una preghiera di suffragio per le vittime della guerra, presso Hosh al-Bieaa (piazza della Chiesa). Francesco riprenderà al termine l’elicottero alla volta di Qaraqosh, per la visita alla comunità locale – alla quale alle 11.30 indirizzerà un discorso, seguito dall’Angelus – nella chiesa dell’Immacolata Concezione. Alle 16 il Santo Padre celebrerà la Messa nello stadio “Franso Hariri” a Erbil, al termine della quale partirà in aereo per Baghdad. Lunedì 8 marzo, alle 9.20, la cerimonia di congedo, prima della partenza per Roma, alle 9.40. L’atterraggio del volo papale è previsto alle ore 12.55 a Ciampino.

Papa in Iraq: p. Sheer (Radio Mariam Erbil), “sua presenza un miracolo e segno di guarigione


“L’imminente visita del Papa in Iraq è per noi un miracolo e un segno di guarigione”: a dichiararlo al Sir è padre Samir Sheer, direttore di Radio Mariam Erbil, che fa parte della World Family di Radio Maria (presente in 77 nazioni nei 5 continenti, con 85 reti, ndr.). Nella capitale del Kurdistan iracheno, il Pontefice celebrerà la messa domenica 7 marzo, nel pomeriggio, nello stadio “Franso Hariri”, davanti a 10mila persone, il massimo consentito per le restrizioni anti Covid-19.
La messa, come anticipato al Sir dall’arcivescovo caldeo di Erbil, mons. Bashar Matti Warda, “sarà in rito latino e in diverse lingue, arabo, curdo, inglese e, particolare significativo, anche in aramaico”, la lingua di Gesù, ancora usata dai cristiani iracheni nei loro riti. “La liturgia sarà animata da 120 orchestrali, di questi una ventina sono musulmani. Un segno evidente di coesistenza e dialogo. I canti saranno in aramaico e arabo. Il Padre Nostro sarà recitato in aramaico. Duecento i volontari impegnati nello stadio per regolare l’afflusso dei fedeli, ognuno dei quali avrà un badge di riconoscimento e un posto stabilito”.

Papa in Iraq: Ordine di Malta, dal 2017 un programma per il ritorno nella Piana di Ninive delle comunità sfollate. Più di 2mila case ricostruite


Durante la sua visita in Iraq (5-8 marzo) Papa Francesco visiterà Mosul e Qaraqosh, nella piana di Ninive, dove il Malteser International – l’Agenzia di Soccorso umanitario dell’Ordine di Malta – è impegnato da diversi anni ad aiutare i cristiani e altri gruppi religiosi vulnerabili, cacciati dalle loro case e sottoposti ad ogni forma di violenza degli estremisti del Daesh, lo Stato Islamico.
“I cristiani e le altre minoranze religiose hanno subito una persecuzione quasi biblica per mano del Daesh, che ha costretto migliaia di persone all’esilio”, afferma Clemens Graf von Mirbach-Harff, segretario generale del Malteser International.
“Nessuno ne trarrà beneficio se permettiamo che diventino permanenti le divisioni che sono state create tra comunità che hanno vissuto in pace insieme per secoli. Noi abbiamo lavorato per rendere possibile il ritorno delle comunità sfollate. Ma la riconciliazione è la prossima sfida e anche la più grande. Speriamo che la visita del Papa aiuti a inaugurare una nuova era di pace”.
Dopo la liberazione dell’Iraq settentrionale dal Daesh nel 2017, il Malteser International ha lanciato un programma multisettoriale per sostenere il ritorno delle comunità sfollate nelle pianure di Ninive. Più di 2.000 case sono state ricostruite o riparate; sono stati costruiti scuole e asili; 35.000 persone hanno beneficiato di iniziative che generano reddito e più di 47.000 persone hanno preso parte ad attività culturali e di costruzione della pace. Il programma è stato finanziato dal governo tedesco e realizzato insieme ad organizzazioni locali. Sarà completato alla fine di aprile 2021.

Papa Francesco in Iraq: mons. Moussa (Mosul): “Tra le macerie lasciate dall’Isis il Papa ci dirà di avere speranza”

Daniele Rocchi

Il 7 marzo Papa Francesco sarà a Mosul per pregare per le vittime delle guerre. Una tappa significativa del viaggio in Iraq che porterà il Pontefice nella città martire che fu anche capitale dello Stato islamico dal 2014 al 2017 in Iraq.
Con l'arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Najib Mikhael Moussa anticipiamo i contenuti della giornata Papa Francesco sorridente ritratto tra il campanile della chiesa di Al-Saa (Nostra Signora dell’Ora) e il minareto pendente di Al-Hadba della moschea di al-Nouri, luoghi che sono la memoria e la storia di Mosul, simboli della diversità culturale e della convivenza pacifica tra le sue comunità. Sopra l’immagine del Pontefice la bandiera vaticana e quella irachena, sovrastate dal volo di una colomba bianca, sul becco un ramoscello di ulivo, e poco più sotto la scritta “Mosul ti da il benvenuto”.
Oggi la seconda città d’Iraq, capoluogo del governatorato di Ninive, mostra ancora i segni e le ferite aperte della dominazione dello Stato Islamico che la elesse, il 29 giugno 2014, capitale del Califfato in terra irachena. Fino alla sua liberazione, nel 2017, ad opera dell’esercito iracheno. Nella spianata delle chiese distrutte da Daesh. 
Qui il Papa arriverà il 7 marzo per una delle tappe più attese del suo viaggio in Iraq che comincerà il 5 marzo (fino all’8). Il programma papale prevede per quel giorno, presso Hosh al-Bieaa (piazza della Chiesa), una preghiera di suffragio per le vittime della guerra.
A raccontare al Sir il clima di attesa di Mosul è l’arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Michaeel Najeeb Moussa: “Da oltre due mesi fervono i preparativi per accogliere Papa Francesco nel modo migliore possibile. Mosul è la città che forse più di altre rappresenta in Iraq l’orrore della guerra e della violenza”. “Ancora oggi ci sono cadaveri dei miliziani dello Stato Islamico tra le macerie di questa città martire”.
Mons. Moussa parla del “grande impegno di musulmani e cristiani, insieme a fedeli di altre fedi, per organizzare questo incontro nella spianata delle chiese dove sorgono le quattro chiese dell’antica comunità cristiana demolite dai terroristi dell’Isis. A Mosul – ricorda l’arcivescovo – si contano oltre 30 chiese completamente distrutte dall’Isis. Ferite ancora aperte perché – rimarca – nessuna è stata ricostruita. E lo stesso si può dire per moschee e mausolei”.
Qualcosa, tuttavia, sembra muoversi: lo scorso anno l’Unesco ha approvato i lavori per la stabilizzazione e il restauro della chiesa conventuale di Nostra Signora dell’Ora, della chiesa siro-cattolica di Al Tahera e del complesso della moschea di Al Nouri, fatta saltare in aria da Daesh. Un progetto complessivo denominato “Reviving the Spirit of Mosul by rebuilding its historic landmarks” (Ravvivare lo spirito di Mosul ricostruendo i suoi monumenti storici), finanziato in parte dagli Emirati arabi uniti.
Con il Papa tra le macerie. Il 7 marzo in piazza Hosh al-Bieaa a pregare per le vittime della guerra ci saranno cristiani, musulmani, yazidi e altre fedi.
“Saremo riuniti tutti intorno al Papa, in mezzo alle macerie” afferma mons. Moussa quasi anticipando i contenuti dell’incontro: “una preghiera, due testimonianze, di un fedele sunnita e di un sacerdote e poi il volo di una colomba segno di pace. Il Santo Padre salirà poi su una piccola papamobile per fare un breve giro e vedere da vicino le chiese distrutte nella piazza e nelle zone limitrofe”. “Il messaggio più forte che si alzerà da questa piazza – ribadisce l’arcivescovo – sarà quello che ci dirà che dopo la morte, la violenza, l’ingiustizia verranno la pace, la giustizia e la speranza, in una parola la resurrezione”. “Ammiriamo il coraggio del Papa di venire qui da noi, pregare e ascoltare cristiani, musulmani e gente del posto ma anche a vedere la testimonianza delle pietre, quelle delle case e chiese distrutte. Il Papa passerà tra le macerie di questa città che risale a oltre duemila anni fa così come la comunità cristiana che l’abita dalle origini. Il Papa viene a dire alle pietre vive di Mosul di non avere paura, di sperare nella pace. Paura non può essere l’ultima parola ma pace. Per questo motivo sono certo che da Mosul si leverà una preghiera non solo per i morti, per le vittime delle guerre ma anche per infondere coraggio e speranza ai vivi. Ne abbiamo tanto bisogno – afferma mons. Moussa -.
Oggi a Mosul sono rientrate solo 60 famiglie cristiane, prima dell’invasione di Daesh erano 6000. Il Papa ci aiuterà a ricostruire la speranza e a tornare per ricostruire ciò che Daesh ha distrutto”.
Dopo la tappa a Mosul Papa Francesco in elicottero raggiungerà Qaraqosh. Dopo l’atterraggio, sulla strada verso Qaraqosh, l’auto del pontefice transiterà a Karamles dove è sepolto padre Ragheed Ganni, sacerdote martire della chiesa irachena. Lungo la strada ad accoglierlo, nonostante le restrizioni per il Covid, sono attese tantissime persone festanti. È previsto il suono delle campane. A Karamles sperano in una breve sosta del Papa per la benedizione alla città.

1 marzo 2021

Pope’s Iraq trip brings him close to 'suffering' Christian community

By Kurdistan 24
Wladimir van Wilgenburg




Pope Francis’s upcoming trip to Iraq and the Kurdistan Region will be his chance to be close to the suffering Christians of the region, Basha Matti Warda, the Chaldean Archbishop of Erbil has told Kurdistan 24. The Roman Catholic leader is planning to visit Iraq and the Kurdistan Region from March 5-8 to show solidarity to a Christian community that has been decimated by ongoing wars since 2003 and attacks from jihadist groups such as al-Qaeda and Islamic State that target minorities, including Christians and Yezidis (Ezidis).
Warda said it was “historical and courageous” for the pope to visit Iraq amidst security threats and the COVID-19 pandemic. He predicted it will not be easy for Francis and his delegation but “it’s needed and so he will make it.”
ISIS entered Mosul, Iraq’s second-largest city, in June 2014 and eventually occupied a large territory that included Christian-populated areas in the Nineveh plains. Around 200,000 were displaced and many fled to the autonomous Kurdistan Region.
 The archbishop said preparations for the pope’s historic visit began two weeks ago. "We are very grateful for the government of Kurdistan that they put everything needed to help to make this successful,” he told Kurdistan 24 in an exclusive interview in the capital’s predominately-Christian Ankawa suburb.
“Of course, Erbil will have the biggest event, which is the final Mass.” Francis will hold a final Mass, generally an important milestone in a pope’s trip abroad, in Erbil’s Franso Hariri Stadium on March 7 before departing for Rome.
Organizers have limited attendance to no more than 10,000 people because of COVID-19 concerns.

Decline of Christians in Iraq
“The number of Christians has started declining since 2003,” Warda said. “But we cannot deny the fact also that there are certain areas in the country that welcomed the Christians, like Kurdistan.” He added that ISIS attacks had devastating results on the Christian community. “But thank God with the work and contribution of all we were able to maintain 8,000 families and keep them safe here in Erbil.”
In 2019, the archbishop told the BBC that the Christian community had dwindled by 83 percent, from around 1.5 million to just 250,000. The US State Department’s most recent annual report on religious freedom estimated that between 10 and 22 Christian families are leaving Iraq and the Kurdistan Region every month, many driven out by discrimination and threats of violence.
Some Christians returned to the Nineveh plains in 2016 and 2017, Warda said. However, there are still 2,600 Christian families living in the Kurdistan Region that were unable to return to Mosul and “need help to rebuild their houses” there, as well as programs to help them rebuild their livelihoods.
The Kurdistan Region’s Prime Minister Masrour Barzani told France 24 in a recent interview that he hopes the pope’s visit will prompt more international support for refugees, including Christians who have been displaced to the Kurdistan region.

Solving problems for the Christian community
 The archbishop
underlined that the pope’s visit will highlight the importance for politicians to work together to “maintain the diversity of the Iraqi population.” “This is not a typical everyday story, especially if you consider that His Holiness Pope [John Paul II] wanted to make this trip in the year 2000, but he couldn’t," Warda said.
 In 2019, Pope Francis said he would embark on his first trip to Iraqi the following year, but it was postponed due to regional tensions and the global coronavirus pandemic. According to Warda, who has met the pope several times, it was the pontiff’s wish to visit Iraq. “He always mentioned that he wanted to visit this country and he wants to be close to the suffering of the people of Iraq,” Warda said. However, he added that the pope will not be able to solve issues such as the confiscation of Christian homes by militias and influential families in Iraq.
Earlier this month the Vatican News service reported that 38 illegally expropriated houses and land in Iraq were returned to Christian owners after a campaign by the influential Iraqi Shia cleric Muqtada al-Sadr.
Francis is scheduled to meet top Shia cleric Grand Ayatollah Sayyid Ali al-Husayni al-Sistani in the city of Najaf on March 6. Warda stressed that resolving the Christian community’s problems “is the responsibility of the Iraqi government because Christians, first and foremost, are citizens of Iraq, and they have rights as citizens of Iraq.” "So his holiness, when he comes is just [with] a message of peace and support, that's all," Warda added. "He is coming for the Christians as a pastor, as a father, as a shepherd, but when it comes to the rights of [Christians] this is the responsibility of the Iraqi government."

Editing by Joanne Stocker-Kelly

Fearing persecution, Christians in Iraq's Nineveh Plains look to Pope Francis's visit


Christians living in Iraq's Nineveh Plains say they are a target for militias and have been forced to leave their homes in what they claim is a policy to create a demographic shift in the areas around Mosul.
In March, Pope Francis, 84, will make a historic visit to the country, and Christians hope the occasion will help put an end to the persecution they are experiencing.
“In general, conditions for Christians in Iraq, similar to other minorities, are not good, since this country is unstable and the future is not clear,” Father Ayman Hurmz, a priest at St Joseph's Chaldean Catholic Church in Sulaimaniyah, told The National.
“In Mosul and Nineveh, Christians feel unsafe because of threats by militias, as well as ISIS.
“The situation for Christians is better in the Kurdistan region, compared to other parts of the country.”
Father Ayman said he hoped the Pope’s visit would help to “bring stability and peace”. Christians were driven from their homes when ISIS controlled the Mosul and Nineveh provinces between 2014 and 2017.
Those who could not escape or refused to convert to Islam were killed by the terrorist group.
There has been little respite since ISIS’s defeat at the hands of US-backed Iraqi forces, which included mainly Shiite militias.
“Christian families are living in panic and anxiety after the liberation of Mosul,” said Nahir Zaheo, a Christian poet and writer from the Hamdaniya district, 32 kilometres south-east of Mosul.
"They did not return to the war-torn city as they do not have trust in the security forces, and did not receive any aid from the international organisations to rebuild their houses and churches.
“Currently, the issue of demographic changes is most concerning for Christians in the dominant Christian-populated areas of Bartala, Qaraqosh, Talkef, Batnaya and even Mosul city, where houses and land belonging to Christians are being confiscated by powerful Shiite militias, as well as government officials.”
Another Christian civilian from Hamdaniya said that when he returned home after ISIS was defeated, he found that militias had confiscated his car and home appliances, including his refrigerator and television.
Since the US-led invasion of Iraq that toppled the regime of Saddam Hussein in 2003, Iraqi Christians have become targets for Al Qaeda, ISIS and different Iraqi militias.
They have been forced to leave Iraq and seek refuge abroad or in the semi-autonomous Kurdish region that is relatively more secure than other parts of Iraq.
Father Nadheer Dako, a priest at Saint Joseph's Chaldean Cathedral in Baghdad, said most Christians who fled the Nineveh Plains were finding it hard to return to their homes.
“The situation is unstable,” he said on Wednesday, as he was overseeing preparations at the church, one of Pope Francis’s planned stops where he will hold Mass.
“All those displaced are facing numerous hardships.
"People there are not comfortable and [are] tired, and they need years to get back on their feet and retain the dignity and value of the Iraqi citizen.”
In addition to the financial and economic woes “there are some ideologies and policies preventing the return [of displaced Christians] in a proper way”, Father Nadheer said.
He blamed the absence of “real, good intentions” to allow Christians to return.
Father Nadheer said Pope Francis would raise these issues in meetings with Iraqi officials, and encourage them to protect and respect Christian rights, as per the law and constitution.
“I believe that our Iraqi brothers will understand the real message of this visit, a message of love and partnership in this country," he said.
"But there is always someone out there who is fishing in the troubled water and defaming the Iraqi mosaic.”

‘Half of Christians have left Iraq’
The Popular Mobilisation Forces, a pro-Iranian, mostly Shiite militia grouping that was nominally integrated into the Iraqi state, helped to liberate Mosul and Nineveh Plains from ISIS.
But they, along with other Iraqi militias, are being blamed for the expulsion of Christian civilians and the slow return of displaced Christians to their homes and churches.
Sayed Hosseini, head of relations for the PMF's Northern Front, denied that it was behind the confiscation of Christian properties, displacement and intimidation.
“Christians are our brothers. We condemn those allegations and strongly refute them; those accusations are not true,” Mr Hosseini told The National.
“Christians have a battalion within the PMF and they guard themselves. Then, how can the PMF intimidate Christians?”
However, there is still an atmosphere of hostility to which Christians point as a reason for their reluctance to return home.
“Some Christian families have returned to their homes in the Nineveh Plains, while more than half of the Christians have left Iraq bcause of bad security and economic conditions, horror from the militias and demographic changes,” Mr Zaheo said.
“The population of Qaraqosh, the centre of Hamdaniya district, was 55,000 but now only 10,000 people are left.
"There are Christian families in Erbil, Baghdad, Duhok and Sulaimaniyah provinces who did not return because of the dangerous security situation, and the lack of public services and job opportunities.”
Mr Zaheo said that Christians hoped for “all goodness” from the Pope’s visit, with preparations already under way in Qaraqosh to welcome him.
The pontiff is scheduled to meet senior Iraqi political and religious leaders in Baghdad and Najaf, including Grand Ayatollah Ali Al Sistani.
Pope Francis will also meet Iraqi bishops and priests, and hold Masses in Erbil, Mosul and Qaraqosh, as well as Baghdad.

Healing 'deep wounds'
A former member of parliament cautioned that the Pope’s visit would do little to “heal the deep wounds” of Iraq’s Christians.
“Since 2003, different groups of Iraqi Christians, including Chaldeans and Assyrians ... are being intimidated, displaced, and their properties are being confiscated by various Iraqi militias,” said Joseph Slewah, who led the Warka bloc in the Iraqi Parliament.
“The lives of Christians are in serious danger, and if they refuse to leave their hometowns they will be killed, not only by Shiite militias, but by other sectarian militias that are sponsored by the ruling parties across Iraq.”
Mr Slewah said the Shiite militias did not cover their faces to hide their identities, but other militias attack Christians under false names.
“If the Pope does not meet and discuss these issues with us face to face, as the real representatives, politicians and intellectuals of the Christian component … the visit cannot heal the deep wounds of the Christians,” Mr Slewah said.

RT: Il governo iracheno starebbe cercando di negoziare lo stop alle proteste di piazza nel governatorato di Dhi Qar, prossima tappa del viaggio papale.

By Baghdadhope*/ RT Arabic

Le proteste che hanno infiammato l'Iraq a partire dal 2019, e che avevano avuto uno stop con il dilagare nel mondo dell'epidemia di Coronavirus ed il conseguente lockdown, non ci hanno messo molto a scoppiare di nuovo, specialmente nel sud del paese gravato da decenni di incuria e colpevole distruzione da parte del passato regime, da una crisi economica che la caduta dello stesso regime non ha di certo migliorato, dalle diverse gestioni governative che complessivamente in 18 anni si possono senza paura di sbagliare definire pessime e dal fatto di essere caratterizzato da una popolazione giovane che soffre per la dilagante disoccupazione e per il senso di oppressione dato da un passaporto che anche nel 2021 risulta essere il penultimo al mondo (ultimo è l'Afghanistan) in termini di paesi in cui si può viaggiare senza visto (28) contro 198 paesi per i quali il visto è necessario (Italia 188/38) secondo lo Henley Passport Index.
Anche negli scorsi giorni ci sono stati violenti scontri a Nassiryia, il capoluogo del Governatorato di Dhi Qar, lo stesso in cui si trova il sito archeologico di Ur dei Caldei che sarà una delle tappe del prossimo viaggio di Papa Francesco in Iraq. 
Ed è di ieri la notizia, pubblicata da RT sezione araba, secondo la quale il governo iracheno starebbe negoziando con i manifestanti del governatorato in questione per fermare le proteste fino al termine della visita del Santo Padre nel territorio e che potrebbe arrivare ad imporre un coprifuoco totale nei giorni del pellegrinaggio apostolico. 
E' sempre RT sezione araba che riferisce inoltre che ci sarebbero state più di 100 vittime tra morti e feriti nelle proteste di sabato 27 febbraio nel governatorato di Dhi Qar.   

Papa Francesco in Iraq: a Ur dei Caldei il sogno di Giovanni Paolo II diventa realtà

Daniele Rocchi

Il 6 marzo Papa Francesco sarà a Ur dei caldei, patria di Abramo, uno dei grandi centri urbani della civiltà sumera. Lì, sullo sfondo della famosa ziggurat, avrà luogo un incontro interreligioso che si profila come una delle tappe più significative del suo imminente viaggio in Iraq (5-8 marzo). A Ur da anni sono attivi, nel campo della riscoperta e salvaguardia del sito, rappresentanti della società civile irachena e italiana. Tra loro esperti internazionali di patrimonio culturale e archeologico iracheno coordinati dall'ong Un Ponte Per. A Ur Papa Francesco sarà accolto in una struttura normalmente a disposizione degli archeologi del sito e da qui, a poche decine di metri dalla famosa ziqqurat si incontrerà con i rappresentanti delle religioni presenti in Iraq, tra loro anche un esponente della piccola comunità ebraica presente nella capitale irachena.
Nel sito, oggi patrimonio dell’Unesco, sono in corso lavori di sistemazione per dare la degna accoglienza al Pontefice, in quella che è la prima visita di un Papa in Iraq (5-8 marzo) e la prima storica a Ur dei caldei, fissata per il 6 marzo.
Questo lembo di terra tra il Tigri e l’Eufrate, – da dove, secondo la narrazione biblica, Abramo, padre delle tre fedi monoteistiche (Ebraismo, Cristianesimo e Islam), partì accogliendo la chiamata di Dio – rimase il sogno di Giovanni Paolo II.
Nei suoi pellegrinaggi giubilari del 2000 Papa Woytjla, si recò prima (febbraio) sul Sinai (Egitto), e il mese dopo in Terra Santa, sul monte Nebo e a Gerusalemme. Il suo desiderio era quello di preparare questi due pellegrinaggi con quello a Ur dei Caldei, in Iraq, dove tutto ebbe inizio. Il viaggio era già pronto a dicembre del 1999 ma fu impedito dalla guerra.
Quel pellegrinaggio spirituale ora si compie con Francesco.
Ur si trova a circa 300 km a sud di Baghdad, nel Governatorato di Thi Qar (Iraq del Sud), nell’area di Ahwar, particolarmente ricca di storia e risorse ambientali da preservare come le Paludi mesopotamiche di Maysan e Dhi Qar; Huweiza; Hammar est (Bassora); Hammar ovest e i siti archeologici di Ur, Uruk ed Eridu.
Per questo motivo l’area e il sito possono essere un punto di partenza per lo sviluppo socio-economico dell’intera zona. Nel 2018 è stata lanciata la campagna “Urim Initiative”, dal nome dell’antica città di Ur, che vede tra i promotori rappresentanti della società civile irachena e italiana, tra loro esperti internazionali di patrimonio culturale e archeologico iracheno, tra cui archeologi dell’Università La Sapienza di Roma e il team dell’architetto italiano Carlo Leopardi. A coordinare sul terreno la campagna è l’ong italiana Un Ponte Per.

“Rivalutare, proteggere e rendere fruibile questo patrimonio innanzitutto agli iracheni, vuole dire avvicinarli alla conoscenza del loro patrimonio e della loro storia” spiega al Sir Ismaeel Dawood, civil society officer per l’ong Upp.
“Dopo aver prodotto una analisi approfondita dell’area con esperti e tecnici italiani e iracheni – aggiunge – abbiamo lanciato una proposta alle autorità irachene per creare un centro di accoglienza per i visitatori, con servizi e parcheggi, fuori dell’area archeologica così da preservarla ma al tempo stesso renderla fruibile a flussi sostenibili di turisti”.
Vicino al sito sono ancora visibili tracce della guerra del 2003 come una base militare irachena ancora attiva e che si trova lungo la strada principale di accesso a Ur. A riguardo,
dice Dawood “stiamo cercando di creare una strada alternativa per arrivare all’area archeologica senza passare necessariamente davanti la base”.
In questi anni di lavoro abbiamo coinvolto anche la società civile irachena, soprattutto i giovani, invitati a proteggere il sito con attività di tipo culturale e di studio. Da questo coinvolgimento è nato un altro progetto, “Sumereen”, sempre coordinato da Upp, che “si concentra sulle giovani generazioni e sulle donne, come attori capaci di creare nuovi percorsi per la crescita regionale, creando opportunità di lavoro combinando turismo sostenibile e piani di tutela del patrimonio naturale e culturale dell’area”.
“Sumereen” è finanziato dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) e dall’Ue attraverso il “Supporting Recovery and Stability in Iraq through Local Developmpent”.
“La visita di Papa Francesco rappresenta una grande opportunità per il nostro lavoro –
dichiara Dawood che è anche coordinatore di Sumereen – il sito di Ur è un patrimonio delle tre religioni monoteiste, raccontato nella Bibbia, e potrebbe diventare un luogo di pellegrinaggio e non solo di turismo culturale. La presenza del Pontefice è anche un riconoscimento dell’importanza del dialogo culturale, umano e interreligioso, segni distintivi dell’Iraq del futuro”.

Nella terra di Abramo.

Parole che confermano quanto detto dal patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, che nel presentare l’incontro interreligioso di Ur ha detto: “Nella terra di Abramo c’è qualcosa di speciale e distintivo che ci travolge con i suoi doni ed è la fede fraterna. Cristiani, musulmani, ebrei e altri condividono l’autenticità della fede di Abramo in un solo Dio e dovrebbero rispettare la bellezza di essere diversi nell’esprimerlo. Tale diversità è ricchezza piuttosto che motivo di disaccordo o litigio”.
L’incontro, ha aggiunto, sarà “fraterno, umano e spirituale”. L’auspicio del patriarca caldeo è che “questa storica visita possa avere impatto su tutti gli iracheni e gli abitanti della regione per camminare verso una fraternità sentita e consolidata che garantisca dignità ad ogni essere umano”.
Subito dopo l’annuncio del viaggio il card. Sako anticipò al Sir alcuni appuntamenti del programma, tra questi proprio l’incontro di Ur: “Stiamo pensando – disse Mar Sako – ad una preghiera con cristiani, musulmani e altre denominazioni religiose. Saranno letti passi della Bibbia e del Corano relativi ad Abramo. Da Ur partirà un messaggio al mondo intero: per i cristiani che sono perseguitati, per i musulmani che soffrono tensioni e divisioni, per tutta l’umanità sofferente ora anche per la pandemia. Siamo tutti, nella fede, figli di Abramo. Abramo è un uomo che ha fiducia nel Signore. Ci sono simboli che possono toccare il cuore di ogni uomo, anche se è un fondamentalista”.

Il Papa in Iraq: le ragioni del "sì" e le ragioni del "no"

Papa Francesco ha deciso tempo fa di visitare l'Iraq, progetto pastorale impossibile per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Francesco ha annunciato la data - dal 5 all'8 marzo prossimo - e ha chiesto di procedere nella preparazione del pellegrinaggio con efficacia e completezza senza trascurare nessun aspetto, in particolare sulla pandemia e sulla sicurezza, questioni non solo geopolitiche ma vincolate direttamente alle singole persone. I tempi sono brutti per le trasferte pontificie.
Nessuno può contestare la legittimità della decisione di Papa Francesco seppure qualcuno nutre dubbi e perplessità.
Se alla fine, entro i prossimi giorni, continuerà a desiderare di fare questo pellegrinaggio e riterrà che ci sono tutte le condizioni minime, il viaggio del Pontefice diventerà una realtà.
Se lo farà, i credenti tutti pregheranno per lui, per il successo della Visita e per l'Iraq.
Ma tutto ciò non deve far tacere le opinioni e considerazioni, diciamo quelle principali, in favore di un "sì" al viaggio e anche in favore di un "no", alternative e scenari che sono stati - ed è così tuttora - molto analizzati e approfonditi da parte dell'organizzazione del viaggio papale. E sarà fatto fino all'ultimo momento e anche durante il viaggio stesso, se si fa. Le ragioni "a favore o contro" il Pellegrinaggio abramitico del Santo Padre sono molte ma ci è sembrato opportuno fare riferimento a quelle che riteniamo le più importanti.


Ragioni del "si":
1) La terra di Abramo
Andare nella terra di Abramo, Papa Francesco vuole questo viaggio da molti anni e in passato la situazione della regione, in particolare le guerre locali e la violenza dell'ISIS, ha sempre impedito il progetto, cosa che accadde già ai tempi di Benedetto XVI. L'ostacolo per Giovanni Paolo II fu il "no" di Saddam Hussein comunicato all'allora Sostituto Giovanni Battista Re il 9 dicembre 1999 dall'ambasciatore iracheno.
[1] Erano contrari anche gli USA come lo sembrano essere anche ora, nel 2021, seppure con estrema discrezione e garbo.
L'Iraq, insieme con altri pochi Paesi (come Cina e Russia, per esempio) è nell'elenco della Nazioni mai visitate dal Vescovo di Roma. Questo progetto pastorale di Francesco è nella sua agenda dal giorno della sua elezione, quasi 8 anni fa.

2) Le sofferenze di un popolo
Jorge Mario Bergoglio ritiene che i popoli, le culture, le nazioni e le fedi religiose in Iraq - a maggioranza sciita - devono ricevere un'attenzione particolare, espressione di vicinanza per le attuali e pregresse sofferenze, lutti e miserie. L'Iraq dai tempi di Saddam Hussein è uno dei Paesi che più ha sofferto. Dal 16 luglio 1979, data del colpo di stato, prima con Hussein e dopo con altri governanti, sino ad oggi, l'Iraq non ha mai smesso di essere un punto nevralgico di uno scacchiere mediorientale violento ed affamato, normalmente pedina di scambio delle superpotenze "dove i grandi danno le armi e i piccoli offrono i morti". In questo contesto va sottolineato un'altra componente che preme nel cuore del Papa: solidarietà e condivisione con i cristiani della regione, da molti anni perseguitati e vittime di estremisti islamici, sunniti e sciiti, derubati, espropriati e impediti di ritornare nelle loro terre e nelle loro case. Dall'Iraq sono fuggiti migliaia di famiglie cristiane e molti non torneranno mai più. L'emorragia di cristiani in quest'area acutizza un fenomeno sempre più grave da almeno 70-80 anni.

3) Dialogo interreligioso e rapporti con sciiti Una terza ragione del "sì" a questo atteso viaggio, sul quale la Santa Sede amministra con cura e riservatezza un grande silenzio, consapevole di quanto sia delicato e precario l'intero Pellegrinaggio, riguarda la Visita di cortesia di Francesco al Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani (nella cittadina di Najaf) r l'Incontro interreligioso presso la Piana di Ur (nelle immediate vicinanza di Nassiriya).
Fino ad oggi è confermato che non vi sarà nessuna dichiarazione congiunta cattolico-sciita ne tantomeno, come fu detto, che Al Sistani avrebbe apposto la sua firma al documento cattolico-sunnita di Abu Dhabi (febbraio 2020).
Ci sarà un incontro, molto importante, delicato e affettuoso fra il Papa e il leader sciita e, secondo le condizioni del momento, ci sarà una colloquio alla presenza di pochissime persone (il Grand Ayatollah ha oltre 90 anni ed è molto malato).
La stampa non potrà prendere parte all'evento e ci saranno solo comunicati ufficiali (altro potrebbe arrivare dalla conferenza stampa del Pontefice al rientro, sull'aereo, l'8 marzo, se ci sarà).
Nel corso dell'Incontro interreligioso, che seguirà le orme di precedenti incontri di questa natura, sarà possibile apprezzare meglio il contributo sciita che sino ad oggi è stato sempre limitato e sporadico. Un altro elemento fondamentale, componente centrale del viaggio, riguarda la protezione dei cristiani, dei cattolici, tra cui quelli di rito caldeo, minoranza significativa e rispettata ma maltrattata con violenze inaudite.

Ragioni del "no"
1) La pandemia e i vaccinati La prima e più ricorrente ragione del "no" al Viaggio di Papa Francesco in Iraq riguarda in modo angosciato e preoccupante la pandemia. In questo caso, solo le conoscenze dirette, le testimonianze, la 'verità vera' sul campo, sul terreno, possono dare un'autentica dimensione di questo dramma. Le poche e deboli statistiche ufficiali e non, sono inaffidabili perché insufficienti, non rigorose, manipolate politicamente. I dati sulla pandemia in questo Paese, come in altre decine in tutti i continenti, non si conoscono anche perché non esiste un sistema sanitario nazionale, strutture ospedaliere e presidi di prevenzione adeguati. In Iraq gli assembramenti sono una grave e pericolosa insidia. Non esiste nemmeno una campagna vaccinale anche perché non arrivano vaccini tranne che pochi campioni. Le persone che arriveranno in Iraq nel contesto del viaggio papale lo faranno come soggetti vaccinati e fortemente immuni. Molti si domandano, da un'ottica etica: ma è legittimo contribuire a creare circostanze rischiose per un popolo debole e non protetto che potrebbe dover affrontare non solo assembramenti ma anche modalità di trasporto e soggiorno non igienici e poco controllati? Ovviamente non si tratta di accuse o critiche antipatiche, di astio tra vaccinati e non vaccinati. Si tratta di fatti riguardo il 'contagio' che è, come ben noto, il nocciolo di ogni pandemia, in particolare in Paesi - come l'Iraq - afflitti da altre malattie endemiche gravi e contagiose.

2) La sicurezza dei fedeli e pellegrini
In Iraq non è possibile parlare di pericoli per la sicurezza del Papa, del Seguito e dei giornalisti e altre persone coinvolte da vicino. La sicurezza e protezione a questo livello esistono pienamente e sono molto garantite. Quando nel caso del pellegrinaggio pontificio si parla di sicurezza, si fa riferimento principalmente alle persone semplici, ai fedeli di diverse confessioni, in particolare cristiani, a pellegrini che dovrebbero arrivare ad alcune città visitate da Francesco provenienti da luoghi lontani con trasporti scadenti e pericolosi igienicamente come già sottolineato. Per di più, seppure in circostanze limitate, nel programma pontificio ci sono diversi eventi che possono essere considerati assembramenti o raduni poco consigliabili. Ma la questione centrale è la sicurezza fisica di ciascuno di fronte alle azioni terroristiche, in particolare da parte dell'ISIS che, con il dovuto tempismo per uso mediatico, si è già fatto vivo nella regione lasciando vittime, dolori e lutti. Per l'ISIS (DAESH - Al dawla al islamiya fi al Iraq wal Sham /Stato islamico dell'Iraq e del Levante) la violenza kamikaze, è uno strumento di 'propaganda armata' e non si può fare a meno di tener in altissima considerazione queste eventualità. In parole povere, come pensano esperti USA ed europei, alcuni eventi papali sono grandi occasioni per il terrorismo islamista. Va ricordato che l'ISIS, organizzazione jihadista salafita, è nato in Iraq e poi si è estesa in Siria ed arrivò a controllare militarmente buona parte di questi territori fino al 2017-2018. Da un anno circa gli analisti osservano la rinascita di tecniche e metodi terroristici rivendicati dall'ISIS.

3) Propaganda settaria di gruppi sciiti
E' noto che tra sciiti e sunniti, all'interno dell'arcipelago musulmano, i rapporti bilaterali sono difficili. Frange di questi gruppi, come nei secoli passati, parlano ancora addirittura di "guerra civile". I primi cristiani sono arrivati in queste terre nel 54 d.C. Fin dall'inizio della comparsa dell'Islam, e a maggior ragione dopo la divisione tra sunniti e sciiti, i cristiani hanno sofferto molto. Hanno pagato prezzi altissimi. Fino alla caduta, fuga e condanna a morte di Saddam Hussein, hanno avuto un minimo di protezione, seppure debole e arbitraria a secondo la regione. Ormai è da almeno 16 anni che i cristiani iracheni, soprattutto i cattolici di rito caldeo, sono un popolo perseguitato, sottoposto ad ogni tipo di violenza ed angheria. Con l'ISIS diventarono un bersaglio preferito da parte dell'estremismo islamista. Oggi sono persone depredate e in fuga. A seguito della fine dell'ISIS, nonostante le belle promesse, una parte importante di dirigenti e militanti sciiti ha sostituito l'estremismo islamista. Un piccolo esempio: molti dei beni della chiesa caldea o dei cristiani caldei non sono stati restituiti e sono stati assegnati a nuovi proprietari sciiti e non pochi villaggi, in passato cristiani, oggi vengono ridefiniti e propagandati come sciiti. In questo contesto, molti, dentro e fuori dell'Iraq, temono che gesti e parole sciite, oggi in occasione della Visita del Papa, servano domani solo per fare della propaganda settaria e del proselitismo aggressivo sciita contro i cristiani. Ecco perché i cristiani insistono nel dire che attendono dal Pontefice parole lungimiranti, coraggiose e incoraggianti sul dialogo interreligioso vero. Perciò, in molte analisi del Viaggio si parla spesso di reciprocità come misura del successo del pellegrinaggio.

***[1] Un viaggio mancato di Giovanni Paolo II. Nella terra di Abramo. - L'Osservatore Romano - 14 febbraio 2017

Francesco in Iraq. Leader sciita Sayyed Jawad Al-Khoei: “Il Papa non è solo il leader dei cristiani cattolici, ma un simbolo di pace per il mondo”

Maria Chiara Biagioni

La visita di Papa Francesco in Iraq vista con gli occhi del mondo musulmano iracheno nel cuore di Najaf, la città sacra dell’islam sciita dove sabato 6 marzo, il Papa sarà ricevuto dal grande Ayatollah Al-Sistani.
Siamo andati a chiederlo a Sayyed Jawad Mohammed Taqi Al-Khoei, segretario generale dell’Istituto Al-Khoei di Najaf.
Nato nel dicembre del 1980 a Najaf, nella famiglia del leader spirituale dei musulmani sciiti, l’ayatollah Imam Sayyed Abul-Qasim Al-Khoei, è co-fondatore del Consiglio iracheno per il dialogo interreligioso.
L’Istituto Al-Khoei che oggi dirige, fa parte dell’Hawza di Najaf, un seminario religioso fondato 1.000 anni fa per gli studiosi musulmani sciiti che vengono qui per approfondire gli studi islamici classici, con particolare attenzione alla giurisprudenza. Un seminario tradizionale che si combina con un’accademia interreligiosa che lavora con partner locali, regionali e internazionali sul dialogo interreligioso e su progetti di pace.
“Il nostro obiettivo principale – spiega Sayyed Jawad Al-Khoeiè formare futuri studiosi che abbiano non solo un’ampia conoscenza dei principi dell’Islam sciita ma anche una comprensione di altre scuole di pensiero e religioni, in modo che il dialogo interreligioso diventi parte della loro educazione”.
Qual è il ruolo dei leader religiosi nella costruzione della pace? Come si combattono i discorsi di odio che purtroppo attraversano ancora i sermoni religiosi?
I leader religiosi sono attori influenti in molte parti del mondo e la religione gioca ancora un ruolo importante nella vita quotidiana di molte persone. Sfortunatamente, esistono minoranze estremiste che giustificano la loro violenza e l’odio in nome della religione ed è responsabilità dei leader religiosi contrastare questa tendenza e educare alla consapevolezza della natura pacifica della religione. Non dobbiamo permettere alle persone di dirottare la nostra religione e abusarne per i loro programmi nefasti, personali e politici.
Dal suo punto di vista, qual è il ruolo delle comunità cristiane in Medio Oriente?
Se il Medio Oriente fosse una palma, la sua chioma sarebbe musulmana ma le sue radici sarebbero cristiane. I cristiani in questa Regione sono parte integrante e indigena della nostra comunità. Hanno contribuito molto alla nostra economia, cultura e vita intellettuale. La bellezza di questa terra sta nella nostra diversità e non possiamo immaginare questo posto senza cristiani. C’è un famoso detto dell’’Imam Ali, il primo Imam sciita, che ci indica come vivere: “Le persone sono di due tipi: o sono tuoi fratelli nella fede o tuoi simili nell’umanità”. Il Grand Ayatollah Sistani insiste costantemente sulla fratellanza umana e ritiene che i cristiani abbiano gli stessi diritti e le stesse responsabilità dei musulmani in Iraq, la cui cittadinanza li unisce. L’establishment religioso non ha mai emesso una fatwa che inciti all’odio contro gli altri e considera proibito qualsiasi insulto contro gli altri leader religiosi o attacchi ai loro luoghi di culto.
Cosa si aspetta dalla visita di Papa Francesco in Iraq e dal suo incontro con l’ayatollah al-Sistani?
Non consideriamo il Papa solo come il leader dei cristiani cattolici, ma come un simbolo di pace e moderazione. La visita di Papa Francesco in Iraq non è solo per i cristiani, ma è per tutti coloro che ovunque lavorano per la pace. Lancerà un messaggio potente sull’importanza del dialogo interreligioso. Gli iracheni appartenenti a vari segmenti della società, di diverse origini etniche e religiose, sono felicissimi della sua prossima visita e sono orgogliosi che il Papa abbia scelto questo Paese, la terra dei profeti e dei santi, per la sua prima visita all’estero durante la pandemia globale. Mostrerà a tutti che non ci sono problemi tra le religioni o tra gli uomini di religione, indipendentemente dai nostri diversi background, e l’incontro rafforzerà e incoraggerà tutte le organizzazioni che in Iraq e altrove lavorano al dialogo interreligioso e ai progetti di pace.
I leader religiosi incontreranno Papa Francesco a Ur. Quale messaggio volete inviare al mondo, all’Iraq e al Medio Oriente?
L’Iraq è stato storicamente messo da parte a causa della situazione della sicurezza e delle diverse guerre che abbiamo dovuto affrontare, ma la visita del Papa riporterà nuovamente Ur sulla mappa della terra e l’Iraq potrà riguadagnare il suo posto nella Regione e nel mondo. Il dialogo interreligioso è vitale per tutte le società pacifiche perché ci consente di comprenderci a prescindere dalle nostre differenze e di renderci conto che siamo tutti sulla stessa barca, affrontando le stesse sfide. La sicurezza dei musulmani dipende dalla sicurezza dei cristiani e la sicurezza dei cristiani dipende dalla sicurezza dei musulmani. Non ci può essere sicurezza per i musulmani se non c’è sicurezza per i non musulmani e viceversa. I non musulmani non sono solo nostri uguali nell’umanità, ma, come esseri umani, sono i nostri partner su questa Terra. In un mondo sempre più globalizzato in cui le distanze e i confini si accorciano, condividiamo tutti lo stesso pianeta, le stesse risorse e le stesse sfide.
L’Iraq è una terra insanguinata dalla violenza e dal terrorismo. Qual è la via della pace per questo Paese e per il Medio Oriente?
Non possiamo permettere che una minoranza di individui violenti cambi la natura pacifica degli esseri umani e di tutte le religioni divine. Studiosi e leader religiosi devono fare di più per reclamare la vera natura della religione e prevenire l’abuso e la manipolazione dell’identità religiosa in nome della religione. L’Europa ha anche sofferto secoli di conflitti e odio religioso, ma alla fine ha superato questa pagina buia della sua storia per creare società pacifiche. Non ho dubbi che anche il futuro di questa Regione sarà pacifico, ma questo richiederà tempo e volontà politica sia da parte dei leader locali che della comunità internazionale perché non si combattano guerre per procura usandoci come carne da cannone.

Papa in Iraq: Riccardi (storico), “un sostegno ai cristiani” e “un messaggio al Paese”


“Oggi Francesco compie il sogno del suo predecessore”, Giovanni Paolo II che sarebbe voluto andare in Iraq, ma gli fu impedito per motivi politici da Saddam Hussein, “con un pellegrinaggio e un viaggio pastorale che conforta i cristiani cattolici (caldei, siro-cattolici) e non (assiri, armeni), ma che parla di pace e rafforza il dialogo interreligioso”.
È quanto scrive Andrea Riccardi, storico della Chiesa, sul numero di marzo di Vita Pastorale, in un articolo dedicato all’imminente viaggio di Papa Francesco in Iraq e intitolato “Nella Chiesa di martiri. Il Papa visita l’Iraq, culla delle fedi abramitiche, ma stremato dalla guerra”.
Passando in rassegna il programma papale, Riccardi sottolinea, in particolare, l’importanza della visita privata del Papa al grande ayatollah, Al Sistani nella città santa degli sciiti, Najaf, dove è sepolto l’imam Ali.
Dopo aver aperto “un dialogo stabile” con il Grande Imam di Al Azhar, l’egiziano Al-Tayyeb, la più alta autorità sunnita, ora è la volta del mondo sciita “forte in Iraq e in Iran”, dove, al contrario dei sunniti, “c’è una gerarchia religiosa. Najaf, è il cuore dell’islam sciita. Gli sciiti – spiega Riccardi – sono stati perseguitati da Saddam Hussein e la stessa Najaf ha subito danni. Non si deve però pensare che la guida sciita irakena di Najaf sia allineata con l’Iran e con Qom, la città religiosa dove risiedeva Khomeini. Gli sciiti irakeni rivendicano il primato di Najaf, l’autonomia dell’Iraq. Non hanno la concezione teocratica, teorizzata da Khomeini in Iran. Sono ‘laici’. Una visita del Papa a Najaf aprirebbe un nuovo fronte di dialogo con l’islam sciita, che ha rappresentanti legittimati a parlare a nome dei fedeli”. Riccardi rimarca anche il fatto che la visita di Francesco, non è solo “un sostegno ai cristiani”, ma anche “un messaggio all’Iraq”.
Così il primo viaggio di un Papa in Iraq e “nel Medio Oriente arabo (se si eccettua la Terra Santa) acquista un grande rilievo per il Paese e la pace”.

Papa in Iraq: Al-Sistani, “voi siete parte di noi e noi parte di voi”. Card. Sako, “accogliere Francesco nel cuore e nell’anima”


Foto Patriarcato Caldeo
Un grande poster che ritrae Papa Francesco e il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani sormontati da tre colombe bianche e la frase del leader sciita “Voi siete parte di noi e noi parte di voi”.
È quanto appare sui muri di Baghdad e Najaf a 5 giorni dall’inizio del viaggio di Papa Francesco in Iraq (5-8 marzo).
Uno degli appuntamenti più attesi della visita apostolica sarà proprio l’incontro privato del Pontefice con il leader sciita Al-Sistani nella città santa di Najaf, sabato 6 marzo.
Le parole del grande Ayatollah sono riprese dal card. Louis Raphael Sako, patriarca caldeo per raccontare il clima che si respira in Iraq con l’approssimarsi dell’arrivo del Papa.
“Per questa visita – scrive Mar Sako sul sito del patriarcato – il governo ha adottato misure eccezionali a tutti i livelli. Non c’è paura per lui, né per gli iracheni che attendono e accolgono con impazienza questa storica visita pastorale. Sentiamo il loro amore vedendo le decorazioni nei luoghi che visiterà, gli striscioni con il suo volto, i fiori, non solo nelle chiese e nelle città cristiane, ma in tutti i luoghi dove si recherà. Ci sono attività, canti e processioni”.
Non manca anche una ‘stoccatina’ a chi predice che “Papa Francesco trascorrerà giorni difficili in Iraq. Resteranno tutti delusi anche coloro che credono che potrebbe accadere qualcosa di brutto. Al contrario vedremo un Pontefice felice visitare l’Iraq, incontrare le autorità, i religiosi cristiani, musulmani, yazidi, sabei e altri”.
L’invito del patriarca caldeo è di “accogliere il Papa nel cuore e nell’anima” e a riguardo cita le parole Grande Ayatollah Al-Sistani, “voi siete parte di noi e noi parte di voi”, che campeggiano nel poster che lo raffigura con Papa Francesco. Mar Sako conclude ringraziando ancora tutti coloro che hanno reso possibile il viaggio e preparato la visita.
Mercoledì 3 marzo (ore 11 locali), nella cattedrale caldea di San Giuseppe, è prevista una conferenza stampa di presentazione del viaggio; saranno presenti il card. Sako e i suoi ausiliari: mons. Basilio Yaldo, coordinatore generale della visita, e mons. Robert Jarijs, coordinatore liturgico della visita.

Benedetto XVI: al Corriere della Sera, “viaggio in Iraq molto importante, ma anche pericoloso”


“Credo che sia un viaggio molto importante”.
Così Benedetto XVI, intervistato dal Corriere della Sera, risponde ad una domanda sull’imminente viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq.
“Purtroppo cade in un momento molto difficile che lo rende anche un viaggio pericoloso: per ragioni di sicurezza e per il Covid”, prosegue il Papa emerito: “E poi c’è la situazione irachena instabile. Accompagnerò Francesco con la mia preghiera”. Non manca un riferimento al nuovo premier italiano, Mario Draghi: “Speriamo che riesca a risolvere la crisi. È un uomo molto stimato anche in Germania”. Su Biden, il secondo presidente cattolico dopo John Fitzgerald Kennedy, Ratzinger esprime qualche riserva sul piano religioso: “È vero, è cattolico e osservante. E personalmente è contro l’aborto. Ma come presidente, tende a presentarsi in continuità con la linea del Partito democratico… E sulla politica gender non abbiamo ancora capito bene quale sia la sua posizione”.

Cristiani iracheni fanno memoria di Paulos Rahho. Arcivescovo caldeo di Mosul, a 13 anni dal suo rapimento e dalla sua morte


Mentre si preparano a accogliere Papa Francesco, i cristiani iracheni fanno memoria di Paulos Faraj Rahho, arcivescovo di Mosul, nel tredicesimo anniversario del suo rapimento e della sua uccisione, e c’è chi chiede di rilanciare le indagini per chiarire gli enigmi che ancora circondano la sua morte martiriale.
Il 29 febbraio 2008, l’auto su cui l’Arcivescovo viaggiava fu assaltata da un commando di ignoti uomini armati.
Rahho, era appena uscito dalla chiesa dello Spirito, Santo, dove aveva celebrato il pio esercizio della Via Crucis. L’autista e due suoi collaboratori che si trovavano con lui sul veicolo vennero subito uccisi, mentre l’Arcivescovo fu rapito. Dopo giorni di serrate trattative per la sua liberazione, il suo corpo senza vita fu ritrovato il 12 marzo, nei pressi di un cimitero abbandonato nel distretto di Karama. Le cause della sua morte non sono state mai chiarite in maniera definitiva.
Adesso, mentre anche Mosul si appresta a accogliere Papa Francesco durante la sua visita pastorale in Iraq, il portale d’informazione ankawa.com lancia un appello a riaprire il dossier delle indagini su quel rapimento, per cercare di far luce sui responsabili di quell’evento criminale che provocò la sua morte.
Nel periodo successivo al 2003, anno dell’operazione militare a guida USA che aveva causato il crollo del regime di Saddam Hussein, la città di Mosul fu teatro di una escalation di violenze, crimini e rapimenti che presero di mira in maniera accentuata appartenenti alle locali comunità cristiane.
Il Sinodo dei Vescovi caldei già nel settembre 2016 aveva messo all’ordine del giorno di una sua riunione la necessità di avviare i processi di beatificazione per martirio riguardanti l’Arcivescovo Rahho, per il sacerdote caldeo Raghiid Aziz Ganni e per suor Cecilia Moshi Hanna, uccisa a Baghdad nel 2002.
Nel maggio 2018 (vedi Fides 14/5/2018), la Congregazione per le Cause dei Santi ha concesso il Nihil Obstat richiesto per avviare il processo di canonizzazione di padre Raghiid Ganni e dei tre diaconi – Basman Yousef Daud, Wahid Hanna Isho e Gassan Isam Bidawid – uccisi insieme a lui dal commando armato che il 3 giugno 2007 assaltò la a Mosul la chiesa dello Spirito Santo.
Alla fine di ottobre del 2019 si è conclusa a Baghdad la fase diocesana della Causa di Beatificazione e Dichiarazione di Martirio dei 48 servi di Dio trucidati il 31 ottobre 2010 a Baghdad dal commando terrorista che assaltò la chiesa siro cattolica intitolata a Nostra Signora del Perpetuo Soccorso.