"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

15 giugno 2020

Dopo il coronavirus è necessario un nuovo metodo di educazione religiosa

By Patriarcato caldeo
Card. Louis Raffaele Sako


Da parecchi mesi stiamo attraversando situazioni difficili, a causa del diffondersi del coronavirus che ha colpito la maggior parte delle nazioni, portando sentimenti di isolamento, di paura, di apprensione, di mancanza di fiducia, di ossessione, di fattori che hanno toccato la salute, le relazioni sociali, culturali, economiche e religiose. 
La lettura di queste novità è una realtà senza precedenti con le attese che possiamo ricavarne!


Cambiamenti dovuti all’isolamento domiciliare

Eccoci di fronte a una realtà fuori dell’ordinario. Per proteggerci dalla paura del coronavirus siamo stati costretti a rimanere a casa. L’isolamento domiciliare ha cambiato la nostra vita, la nostra visione, i nostri progetti, le nostre relazioni. Agiamo e ci relazioniamo “da lontano”: da casa il dipendente continua il suo lavoro in maniera elettronica, lo studente continua a studiare in modo elettronico; il fedele segue la preghiera e la messa da casa tramite lo streaming, dato che le preghiere in chiesa sono sospese per paura del diffondersi del virus tra i fedeli. Si tratta di una situazione che ha abbracciato tutta l’umanità e tutte le religioni. 
La religione musulmana ha sospeso la preghiera nelle moschee, perfino durante il mese di Ramadan e nella festa della fine del digiuno: ogni musulmano pregava in casa, digiunava e ha fatto festa in casa. E questo costituisce una svolta nuova. Alleggerendo le misure dell’isolamento domiciliare, ci saranno provvedimenti nuovi di prevenzione per la preghiera, quali limitare il numero dei presenti e la distanza sociale. È probabile che quest’anno L’Arabia Saudita annullerà la stagione dei pellegrinaggi a causa del virus Corona. 
 I capi delle nazioni faranno le loro riunioni tramite un cerchio televisivo chiuso, a motivo della quasi impossibilità di viaggiare, e forse noi delle chiese orientali, se la situazione continua, faremo il sinodo tramite streaming. La pandemia del coronavirus ha suscitato un capovolgimento nella vita dei singoli e della società. Trump, il presidente degli Stati Uniti, ha dichiarato che dopo il coronavirus sarà finita la mondialità, e sarà finito il nuovo ordine mondiale. 
Sì, il mondo non tornerà come era. 

 Ognuno è responsabile della sua persona
 L’isolamento domiciliare ha reso ciascuno responsabile di se stesso per costruire la sua umanità. Questo ha creato nel credente un desiderio di spiritualità e una situazione di preghiera. È quanto abbiamo percepito dai commenti nel Facebook del Patriarcato, tramite il quale trasmettiamo la Messa giornaliera da quando è stata sospesa la preghiera collettiva nelle chiese. Questa trasmissione diretta ha generato nei partecipanti una ‘chiesa domestica’, e ha rafforzato in essi la speranza di essere liberati dal coronavirus.
 La pandemia del coronavirus ha creato una situazione positiva di solidarietà umana, ha rafforzato i rapporti: la gente ha combattuto le cause del dolore nella propria vita e nella società. È quanto constatiamo nella dedizione dei medici, dei sacerdoti, dei volontari e delle persone di servizio, che hanno esposto la vita al pericolo per procurare le cose necessarie e curare le persone, alleviando le loro pene. Essi meritano il nostro ringraziamento e la nostra stima: certamente la documentazione di questa fase renderà imperituro il loro ricordo. 
 Papa Francesco, nel suo libro “La vita dopo la pandemia”, uscito pochi giorni fa dal Vaticano, indica due punti fondamentali: il primo, l’importanza di costruire un mondo migliore, dopo il momento critico che stiamo vivendo, e il secondo, costruire nei cuori, in mezzo ai grandi sentimenti di smarrimento, la speranza nutrita dalla fede. 


 Ci troviamo in una situazione diversa da quella abituale

  La pandemia del coronavirus, con il confinamento domiciliare e la lontananza sociale e i mezzi di comunicazione, ha generato nella gente più cura della propria vita e della vita dei famigliari, più cura della propria umanità e della propria fede. Le persone sono diventate più riflessive, più propense all’analisi, al coraggio di esprimersi, di criticare e di chiedere riforme. E come si nota ora, non accettano facilmente, molto più di quanto avveniva in passato, che si imponga loro una religione per legge o per costrizione, ma la vogliono sgorgante da una persuasione interna, da una libertà personale che li faccia amare ciò di cui sono convinti. 
 La guarigione dalla pandemia del coronavirus e i mezzi di comunicazione sociale ci offrono un orizzonte ampio di analisi e uno sguardo nuovo al nostro modo di pensare e di leggere i testi religiosi scelti, la nostra spiegazione dei termini teologici usati, per rivedere il metodo d’insegnamento e del lavoro pastorale, della celebrazione dei sacramenti, quali la Messa, il battesimo, le ordinazioni, la benedizione del matrimonio. Questo cambio esige da noi trovare un linguaggio nuovo, espressioni brevi, semplici e comprese che suscitino meraviglia presso la persona che accetta la ‘buona novella’ e il desiderio di viverla: cose tutte che rafforzano l’attrattiva della chiesa e la fiducia in essa. 
 Durante la fase relativamente lunga della pandemia hanno partecipato con noi alla Messa le quattro suore del patriarcato con i due vescovi ausiliari e il sacerdote segretario; ogni volta c’era un nuovo salmo, al posto dell’usuale, e un canto all’offertorio e un altro al rito della pace, e un’antifona nuova per l’epiclesi. E così anche riguardo alla breve omelia (due o tre minuti), alle preghiere dei fedeli, relative alla liberazione dal coronavirus e alle intenzioni delle persone che partecipavano tramite il Facebook per i loro morti e i loro malati, e riguardo all’abbellimento della cappella. Si tratta di realtà che danno vita, perché no! La Messa invero è la celebrazione della morte e della risurrezione di Cristo, e non è un solo atto di devozione. Si tratta di celebrare la sua presenza tra noi: per questo la preghiera muove il nostro pensiero, il nostro corpo e il nostro cuore, come l’alzare le mani, prostrarsi, fare il segno della croce, alzarsi, sedersi. Il nostro corpo prega! 


 Necessità di rinnovamento

  Noi siamo Padri e pastori, non siamo sovraintendenti, e neppure impiegati nei nostri uffici. Siamo in contatto continuo con i fedeli, conosciamo in modo particolare i loro bisogni che ci manifestano. Capiamo bene che il carisma che abbiamo ci è dato per aiutarli e accompagnarli nelle loro difficoltà e nel loro cammino, tramite la nostra preghiera, la celebrazione dei misteri, la spiegazone della Parola di Dio, la risposta che diamo con sollecitudine, con continuità e umiltà, alle loro domande. 
 Uno dei nostri vescovi dell’America ci disse che dopo la celebrazione della Messa in un convento di suore al tempo del coronavirus, chiese alle suore durante la colazione il significato della parola siriaca-caldea “rahouna”, ossia pegno, – parola letta nella Messa, che è un’espressione teologica importante nella spiritualità cristiana. E le suore risposero di non sapere! Al che il vescovo si meravigliò di come pregassero con parole incomprese. E spiegò loro il significato della parola.
All’occasione della morte di uno dei nostri sacerdoti, il sito del patriarcato pubblicò la notizia in questo modo: “Il Padre… si è trasferito alle stanze celesti…; preghiamo Dio che gli dia dimora nell’ampiezza dei suoi giardini”! Una signora mi ha scritto chiedendomi il significato di queste espressioni geografiche oscure, dicendo: “Dove si trovano le stanze celesti e gli ampi giardini?” E chiese di mettere un’altra espressione nota, più consona: “Il tale si è addormentato nella speranza della risurrezione”. Un’altra persona mi ha chiesto: “Dove si trova il fuoco dell’inferno, dal quale invochiamo la Madonna di essere liberati?” Così pure, l’espressione con cui ci rivolgiamo ai fedeli: “il gregge del tuo pascolo”. Non si potrebbe cambiare la prima espressione con “per essere liberati dal maligno”, e la seconda con “i tuoi figli e le tue figlie”? Certamente si tratta di un linguaggio allegorico in queste espressioni, ma occorre essere prudenti nell’usarle, dato che non sono di aiuto nella spiegazione, nell’assimilazione, nella accettazione e nella consolazione. Così pure leggiamo nei mezzi di comunicazione sociale delle critiche a persone di altre religioni riguardo a certe tradizioni… e a usanze di circostanza di cui non c’è più bisogno, chiedendo di tralasciarle! È necessario un nuovo approccio. 


 Parlare all’uomo contemporaneo 

 Ad esempio spesso con la segretaria del Patriarcato, una persona di alta cultura, si rinnova una situazione quando rivedo con lei un articolo, che ella legge con gli occhi di chi segue con attenzione e mi domanda con insistenza: “Cosa significa questo? Spiegami”. Talora mi agito, ma mi trattengo e dico: “Hai ragione, io capisco ciò che scrivo, ma gli altri non necessariamente capiscono! È necessario esporre loro con chiarezza ciò che voglio comunicare con parole semplici, chiare e compensibili”. 
 La Chiesa e le autorità delle altre religioni sono interessate a questa revisione necessaria e accurata, con volontà fiduciosa e chiara visione, in base ai sentimenti di paternità e del servizio di pastori responsabili. Il rinnovamento non deve essere come fanno alcune personalità religiose giocando con le parole su argomenti importanti, ma affrontando gli argomenti con molta precisione e chiarezza. Perchè continuare a ripetere (nei nostri ambienti) che Dio è arrabbiato con l’umanità e per questo li ha castigati con il coronavirus, o che Dio ha permesso la pandemia affinché gli uomini si pentano, ecc…? Questa riflessione contrasta con i valori centrali del messaggio di Cristo che affermano con enfasi che Dio è amore, pieno di misericordia e di bontà, rispetta la natura e non si intromette nella libertà dell’uomo, e che questa è una oppotunità per la gente per andar d’accordo e avvicinarsi, soprattutto in queste circostanze. 
 Se vogliamo che la gente comprenda la religione, è necessario sviluppare le strutture e renderle più efficaci, e così riguardo ai testi della catechesi e i metodi di educazione alla fede, e così per la ricerca di una terminologia semplice dai significati umani, spirituali e morali, recepiti, che aiutino ad essere più vicini a Cristo e alla spiritualità del Vangelo, fedeli ad esso e più in armonia vicendevole. Oppositori ostinati ci sono in ogni luogo, come c’erano al tempo di Gesù, che li ha trascurati.

Il rinnovamento dell’annuncio è un insegnamento della storia della Chiesa
  Questo rinnovamento per rafforzare “l’annuncio” è quanto ha fatto la chiesa lungo la sua storia al tempo dei Padri e nel periodo classico e durante la rivoluzione industriale, e nel nostro tempo durante il concilio Vaticano secondo negli anni sessanta del secolo scorso, e nei sinodi dei Vescovi a Roma ogni tre anni e nelle encicliche dei Papi. La Chiesa, essendo “Madre e Maestra” si aggiorna sempre e migliora la leggi e i canoni, con mentalità più aperta e in risposta ai tempi, senza paura né legame.
 Il concilio Vaticano secondo ha esortato a un’apertura continua per una riforma personale, in fedeltà a Cristo che la chiama a una riforma continua lungo il suo cammino, perchè ne ha bisogno (Decreto sull’Ecumenismo, 6).
 Così pure il Papa Francesco nell’esortazione apostolica “Gioia del Vangelo” invita ogni cristiano ad essere audace e creativo in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità, in unione vicendevole, come fratelli e sorelle, sotto la guida dei Vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale (Gioia del Vangelo, 33).
 La forza della Chiesa invero sta nell’affrontare le sfide con coraggio e con chiarezza; non si può continuare un cammino basandosi sulla tradizione, come se tutto fosse evidente, e buono per ogni tempo e luogo, creduto in maniera assoluta.
 Oggi i Vescovi innanzitutto sono invitati, e in modo speciale i gruppi ecclesiali “scelti”, a rivolgere l’attenzione alla necessità urgente di incoraggiare la ricerca di metodi efficaci e adatti per il progresso teologico, liturgico, spirituale, canonico e per il lavoro pastorale, alla luce del messaggio di Cristo, il cui centro è l’uomo, la sua dignità, la convivenza positiva. Noi cristiani dobbiamo leggere le Beatitudini con una lettura approfondita, non assente: le beatitudini sono una magna carta umana, spirituale e viva per vincere l’ingiustizia, la discriminazione, il dolore, e per realizzare il cambiamento sperato, Cosi i poveri e gli altri avrano una vera consolazione d’un cambiamento pisitivo di vita. le Beatitudini non sono un progetto per l’aldilà; altrimenti che senso avrebbe il dire “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figlio di Dio”? (Mt 5,9). 


Il ruolo dei fedeli laici

  Non è questo il compito dello Spirito Santo che ci ricorda le parole di Cristo e ci guida alla verità (Gv 16,13) per poterla esprimere in modo adeguato, con l’aiuto dei fedeli, ciascuno secondo la sua specializzazione? Le personalità religiose non possono avere il monopolio di tutto ciò che è religioso, considerando i fedeli come gregge (espressione che continua ad esser usata nella nostra liturgia orientale).
 L’Apostolo Paolo parla di diversi carismi (1Cor 12,28); ci sono dei laici meravigliosi che possono prendere grandi responsabilità nella chiesa, cooperando al suo progresso. Ricordiamo a titolo di esempio: Chiara Lubich, fondatrice del movimento dei Focolari, Kiko Argüello e Carmen Hernàndez, fondatrici del “Cammino Neocatecumenale”, Andrea Riccardi, fondatore della comunità di S. Egidio, Raoul Folleraux, fondatore della comunità del servizio ai malati di lebbra, Madre Teresa di Calcutta, e del nostro Oriente ricordiamo Fr. Nour, fondatore del movimento “Fede e luce” e di NourSat, Melhem Khalaf, fondatore della comunità “Gioia del dono”. E in Iraq: Imad Hasib, fondatore della comunità “Amore e gioia”, e la defunta Alhan Nahhab, fondatrice di Betania, le due sorelle, Khalida e Shmirayta e la casa della speranza. 


 Speriamo che la vita dopo il coronavirus riprenda con più umanità e vigore, e che la fede sia più matura e profonda, e che non torniamo alla situazione precedente.