Nella foto Mons. Rahho, alla sua destra Padre Ragheed Ghanni ed alla sua sinistra Padre Paul Iskandar. |
By Asia News
1 marzo 2020
La storia della Chiesa irakena “è una storia scritta nel sangue”, “fin dai tempi antichi” essa trova il suo percorso “nella croce stessa” e i martiri “senza distinzione alcuna fra loro” sono per tutti noi “l’esempio da seguire”. Lo scrive il primate caldeo, il card Louis Raphael Sako, in una riflessione inviata ad AsiaNews, in occasione dell’anniversario del rapimento - concluso con la morte - dell’allora vescovo di Mosul mons. Paul Faraj Rahho. Sottolineando il tributo di sangue versato dai cristiani, il porporato esorta a “imparare dal passato a rispettarci l’un l’altro” e a “vivere in pace”.
1 marzo 2020
La storia della Chiesa irakena “è una storia scritta nel sangue”, “fin dai tempi antichi” essa trova il suo percorso “nella croce stessa” e i martiri “senza distinzione alcuna fra loro” sono per tutti noi “l’esempio da seguire”. Lo scrive il primate caldeo, il card Louis Raphael Sako, in una riflessione inviata ad AsiaNews, in occasione dell’anniversario del rapimento - concluso con la morte - dell’allora vescovo di Mosul mons. Paul Faraj Rahho. Sottolineando il tributo di sangue versato dai cristiani, il porporato esorta a “imparare dal passato a rispettarci l’un l’altro” e a “vivere in pace”.
Il sangue dei martiri, sottolinea il card. Sako, “è una nuova linfa”
per la “crescita delle nostre comunità cristiane”. Nel Sinodo caldeo del
2015, aggiunge, i padri “hanno deciso di celebrare la memoria di tutti i
nostri martiri il venerdì successivo alla Pasqua”. La Chiesa irakena è
ricca di esempi di dedizione e di sacrificio estremo: “Abbiamo martiri -
sottolinea il patriarca - dopo la caduta del regime nel 2003, […] per
mano di estremisti islamici di al-Qaeda” e poi ancora i “martiri
dell’Isis” (Stato islamico).
Diaconi, sacerdoti, vescovi e semplici fedeli, in molti hanno
sacrificato la vita per testimoniare la fede, in un contesto
caratterizzato da numerose sofferenze: “bombardamenti, minacce,
rapimenti, sfollamenti ed emigrazione”. Mons. Rahho, rapito il 29
febbraio 2008, è ricordato come “uomo modesto e semplice”,
che amava l’ironia e la sua città. Un legame che lo ha spinto a restare
nonostante le minacce e il bombardamento, nel 2004, del distretto
caldeo di Shifa.
Nel 2007, un anno prima della morte, la comunità caldea aveva pianto il martirio di p. Ragheed Ganni,
ucciso con tre fedeli. Durante i giorni del sequestro l’allora
pontefice aveva lanciato appelli ai rapitori; la sua morte (il corpo è
stato ritrovato il 12 marzo) è stata esempio di fede e fonte di vocazioni per i cristiani irakeni.
“La testimonianza - scrive il primate caldeo - è una offerta di
sangue […] ed è la suprema espressione della nostra fede”. Il porporato
ricorda alcune figure che hanno testimoniato con la vita la loro
appartenenza a Cristo, dalla prima Chiesa al tempo di Sapore II il
persiano con una “carovana di martiri”, dal patriarca Mar Shimon
Borsbaei * fino alle vittime cadute sotto i colpi dei combattenti
musulmani in concomitanza con l’affermazione dell’islam nella regione.
“Allora - ricorda - eravamo la stragrande maggioranza in questo Paese”.
E ancora, le persecuzioni sotto i califfi Abbasidi “nonostante alcuni
tentativi” di timida convivenza. I martiri sotto il dominio dei
mongoli, poi l’impero ottomano con “lo sterminio dei cristiani armeni,
caldei e siriani”. “Il martire - conclude il card Sako - non è un
attentatore suicida, ma è un credente che ama la vita e il servizio”.
Per questo, come abbiamo recitato negli inni dei martiri il 25 sera,
“non rinneghiamo Cristo, che è morto per la nostra salvezza”.
* Si tratta in realtà di Mar Shimoun Bar Sabbae, catholicos di Seleucia-Ctesifonte che nel 341 insieme a 100 tra vescovi, presbiteri e diaconi della chiesa siro-orientale fu martirizzato dal re persiano Sapore II che considerava i cristiani la “quinta colonna” dell’impero romano.
Nota di Baghdadhope