By Acistampa
Andrea Gagliarducci
Andrea Gagliarducci
Forse è il primo vescovo martire del Terzo Millennio. Ma, in fondo, non contano questi tristi primati. Il fatto è che l’arcivescovo Paul Faraj Rahho
di Mosul, in Iraq, è stato trovato morto il 13 marzo 2008, dodici anni
fa. Era stato rapito il 29 febbraio 2008, e nulla si sa della sua morte.
Ma di certo si sa che è un martire.
Ed è uno dei tanti martiri di Iraq che ci sono stati nel corso degli ultimi 16 anni. Si pensa all’Iraq,
e si pensa all’assedio dello Stato Islamico e agli orrori del
Califfato. Ma si dimentica tutto quello che è successo dopo la fine
della Seconda Guerra del Golfo del 2003. Perché è da allora che è
cominciato l’esodo nascosto dei cristiani dal Medio Oriente. Perché è in quegli anni che cominciano gli attacchi alle chiese e ai cristiani.
Un anno prima della morte dell’arcivescovo Rahho, era stato padre Ragheed Ganni
a finire ammazzato brutalmente, insieme a tre catechisti. E
recentemente in Iraq si è chiusa la fase diocesana per la beatificazione
di 48 martiri uccisi in un attacco terroristico alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad nel 2010.
Padre Rebwar Basa ha conosciuto bene sia padre Ganni che il vescovo
Rahho. Il primo era presente alla sua ordinazione sacerdotale, il
secondo era il primo celebrante ed era anche il rettore del seminario
dove aveva studiato.
“Tra i bei ricordi con l’arcivescovo Rahho –
racconta – c’era anche lo sport spirituale che aveva istituito, che si
concludeva con il gesto di lavarsi i piedi a vicenda. Lui sosteneva che
non si dovesse fare solo il giovedì santo, ma spesso, Perché questo rito
ci fa ricordare che siamo servi di Cristo e dobbiamo servire i nostri fratelli come Egli ci ha serviti e ha sacrificato la propria vita per noi”.
L’arcivescovo Rahho fu rapito il 29 febbraio 2008,
quando una banda armata attaccò l’auto dove viaggiava, sparò alle gomme,
uccise l’autista e due suoi collaboratori e lo rapì. Due settimane
dopo, il suo corpo senza vita fu ritrovato nei pressi di un cimitero abbandonato nel distretto di Karama.
Viene considerato da tutti un martire, anche se non si sa se sia
morto perché gli abbiano sparato, o per mancanza di medicine o per
paura. C’è, di certo, un dossier per la causa di beatificazione dell’arcivescovo, che però ancora non è stata aperta. E, ha detto il Cardinale Louis Raffael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, “per la Chiesa irachena, è considerato veramente un martire”.
Padre Basa ricorda di aver conosciuto l’arcivescovo Rahho da quando questi era un sacerdote e andava frequentemente nel monastero di Mar Korkis (San Giorgio) a Mosul, dove padre Basa frequentava la scuola apostolica dal 1988, quando era un bambino.
“Veniva al monastero – ricorda – in particolare di venerdì, portando
con sé gli studenti della parrocchia di San Paolo da lui fondata perché
ricevessero educazione cristiana e partecipassero alle attività spirituali, sociali e umane del gruppo Carità e gioia”.
Padre Basa era sempre stato ammirato [sic!] dalle attività dell’allora padre Rahho, tra cui questa abitudine di far lavare i piedi loro gli uni con gli altri. “Questo – dice – è ciò che il vescovo Rahho ha applicato nella sua vita, mentre ha servito le persone della sua congregazione con umiltà e libertà e si è dato per loro”.
Sacerdote dal 1965, Rahho divenne arcivescovo di Mosul nel 2001, e lo rimase fino alla morte.
“Non importa se morì per lo spavento causato dalla morte dei suoi tre
compagni, per mancanza di medicine, o perché gli spararono. Quello che è
certo è che l’arcivescovo Rahho era stato rapito perché cristiano, ed è
morto in cattività perché cristiano. E dunque la sua è una morte procurata in odium fidei”.
E continua: “L’arcivesco martire Rahho, nonostante tutte le
persecuzioni, i rapimenti, le uccisioni, i massacri, i bombardamenti e
le minacce, ha costantemente cercato di essere fedele alla sua missione.
Lui e i sacerdoti diocesani celebravano ogni giorno, nonostante la
persecuzione. Prima di morire da martire, il vescovo Rahho ha vissuto da martire per cinque anni, resistendo ai bombardamenti delle chiese, la rapimento dei fedeli, alle continue minacce di morte contro di lui e i fedeli”.
Continua padre Basa: “Fu rapito dopo la Via Crucis nella chiesa dello
Spirito Santo, chiesa il cui sacerdote era stato ammazzato per essersi
rifiutato di chiudere la chiesa. Dopo l’uccisione, l’arcivescovo Rahho non aveva voluto chiudere la parrocchia, ma neanche nominare un nuovo parroco, perché sarebbe stato in pericolo di vita”.
Non c’è, ancora, una causa di beatificazione per padre Rahho. Ma la città di Mosul, l’antica Ninive, è rinata. Il successore di Rahho, l’arcivescovo Nona, era dovuto scappare, ed era rimasto vescovo di una diocesi che non c’era più. Da poco c’è un nuovo vescovo di Mosul, Najib Micheel Moussa, che si è insediato lo scorso gennaio.
La vita riprende, la situazione in Iraq è ancora difficile. Tanto che un viaggio di Papa Francesco, auspicato dallo stesso Papa, non sembra potrà avere luogo quest’anno.
A dodici anni dal martirio dell’arcivescovo Rahho,
c’è ancora da ricostruire la fiducia in Iraq. Molti dei suoi compagni
sono morti, E la situazione non sembra vedere una fine vicina.