By Avvenire
È quasi commosso quando confida che a dicembre ha consacrato «la prima nuova chiesa a Mosul, in Iraq, dopo la liberazione dal Daesh». Lo definisce «un atto di “speranza contro ogni speranza”» citando san Paolo. E aggiunge: «Sogno che qualche famiglia cristiana possa ritornare qui per testimoniare il Vangelo del perdono e della pace». Ignace Youssif III Younan, patriarca di Antiochia dei siri, non si nasconde dietro giri di parole quando racconta la sua gente e le sue terre martoriate. E dalla sede patriarcale che si trova a Beirut in Libano invita a essere «profetici» rifuggendo anche «il politicamente corretto che significa celare la verità per paura di essere presi di mira dai media o dai politici disonesti». Tanto più in quello che sarà una sorta di “Sinodo sul Mediterraneo” come il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, chiama l’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” che radunerà a Bari dal 19 al 23 febbraio sessanta vescovi di venti Paesi affacciati sul grande mare.
E il patriarca siro-cattolico ci sarà, portando in Puglia le sofferenza di una Chiesa che «è fra le più perseguitate del mondo», afferma. A cominciare dalle comunità in Siria e Iraq, nazioni segnate dalla guerra «che sono state devastate nel vago nome della democrazia», sostiene Younan. E macchiate dal fondamentalismo. «Ma è un’utopia credere che il terrorismo islamico sia stato sconfitto», ripete.
E tuona: «Non è un melodramma teatrale ma un’autentica sciagura l’esodo di migliaia di cristiani dal Medio Oriente, in particolare dalla Siria e dall’Iraq, che sono stati ignorati, anzi traditi dai Paesi occidentali».
Non dalla Russia, però. «L’intervento di Mosca è stato cruciale per salvare la Siria e impedire la creazione di uno Stato islamico che avrebbe minacciato l’esistenza delle minoranze e la stessa sopravvivenza delle comunità cristiane».
La guerra in Siria è davvero finita?
È mio dovere richiamare la responsabilità dei politici e dei media occidentali di fronte alla distruzione di un Paese che è stato culla di civiltà ed è custode del cristianesimo delle origini. L’Occidente ha accusato noi capi delle Chiese di esserci alleati con il governo siriano contro il popolo che chiedeva diritti. Ma è lo stesso Occidente che è rimasto indifferente di fronte alla sofferenza causata dal terrorismo islamico istigato da Stati integralisti o opportunisti.
C’è ancora il rischio jihadista?
L’islam non ha esegesi: tutti i versetti del Corano vengono presi alla lettera. Compresi i versetti violenti. Vale per ogni musulmano, specialmente per i sunniti. Pertanto l’Occidente, inclusa la Chiesa, è tenuto a comprendere meglio le matrici del terrorismo. Finché si continuerà l’insegnamento di questi versetti, la violenza basata sul radicalismo islamico non cesserà.
In Siria il 35% delle abitazioni è distrutto. La metà degli ospedali è nelle stesse condizioni. Il 70% della popolazione vive in condizioni di povertà estrema.
Sono persuaso che i siriani faranno risorgere il Paese, com’è avvenuto in Europa dopo la seconda guerra mondiale. I russi avranno un ruolo di primo piano nella ricostruzione, dato che sono stati i più onesti e pronti ad aiutare il popolo siriano nei momenti tragici. Inoltre vanno considerati difensori fermi delle minoranze cristiane. Basti citare la sosta del presidente Putin nella Cattedrale della Beata Vergine Maria a Damasco durante la sua recente visita nel Paese. Senza timidezza ha acceso una candela per testimoniare l’interesse verso i cristiani. Sulla carta gli Stati che sono geograficamente più vicini a noi avrebbero dovuto essere i primi araldi del cristianesimo orientale. Non è stato così. E ora i cristiani del Vicino e del Medio Oriente guardano a Est.
Milioni sono i migranti di guerra. Nove rifugiati su dieci provengono da Paesi come Siria e Iraq. E una parte è formata dai cristiani.
Non si può esportare la democrazia occidentale in una regione dove non c’è separazione tra religione e politica. Anche la “Primavera araba” è stata un’illusione, anzi un’idea machiavellica concepita dai fomentatori d’odio. Ne è stata la prima vittima la popolazione. E i cristiani hanno pagato il maggior prezzo, dal momento che sono una fra le minoranze più vulnerabili. Ricordo i 47 morti e gli 84 feriti nel barbaro attacco alla nostra Cattedrale di Baghdad durante la Messa della vigilia di Ognissanti il 31 ottobre 2010.
Può scomparire la presenza cristiana?
La Chiesa siro-cattolica, di cui sono patriarca, è una Chiesa fiera delle sue antiche radici e anche della lingua liturgica, il siriaco, parlato da Gesù, dalla Vergine Maria e dagli apostoli. Una Chiesa ferita dai genocidi nel corso dei secoli e quindi davvero martire. Così siamo inorriditi vedendo il massiccio esodo dei nostri fedeli, soprattutto dei più giovani che non riusciamo a convincere a rimanere nei villaggi.
Vi sentite una Chiesa della diaspora, quindi?
Voglio ricordare l’orrendo espatrio del 2014 dove un’intera nostra diocesi nella piana di Ninive è stata sradicata dai miliziani del Daesh. In una notte di agosto l’arcivescovo, 34 sacerdoti, 50 suore e più di 45mila fedeli sono stati costretti a lasciare tutto per rifugiarsi in Kurdistan. In questi anni sono migliaia i cristiani fuggiti dalle zone di guerra, particolarmente dalle province di Aleppo, Homs, Daraa e Hassakeh. Oggi in Europa abbiamo diverse migliaia di profughi. Più di venti sacerdoti li assistono. Vorremmo ci fosse un esarcato siro-cattolico, come li abbiamo in Canada, Usa o Venezuela, per preservare al meglio la nostra tradizione di fede.
Eppure in Europa si chiudono le porte ai rifugiati.
I Paesi che hanno chiare fondamenta cristiane sono tenuti all’accoglienza secondo quanto raccomanda Cristo nel Vangelo. Certo, la Ue è chiamata anche a favorire negli Stati ospitanti l’integrazione, che in molti casi si è rivelata fallimentare. E al tempo stesso deve aiutare i Paesi in via di sviluppo scongiurando che i ragazzi li abbandonino.
Come costruire il dialogo con l’islam?
Il dialogo può partire dalle persone, non dalle fedi poiché l’islam non riconosce la libertà religiosa. Penso che oggi il dialogo islamo-cristiano sia possibile solo dove i musulmani sono una minoranza e in Paesi dove è garantita la piena libertà.
Come l’Europa può aiutare la regione?
Il Vicino Oriente ha bisogno di un Occidente che getti le basi umane e politiche per una pace vera e giusta sostenendo la riconciliazione fra belligeranti che sono stati istigati a odiarsi e a uccidersi.
E la comunità ecclesiale?
I cristiani di Siria e Iraq sono grati ai cattolici europei per la loro vicinanza concreta in questi anni di guerra. Reputo che la Chiesa sia chiamata a contribuire alla pace nel Mediterraneo seguendo una strada precisa: quella della “carità nella verità”. Ciò può avvenire evitando di sottomettersi ipocritamente al mondo islamico a causa della sua forza numerica, delle imponenti risorse naturali e della paura del terrorismo, ma anche rifiutando un opportunismo avido nutrito dal disprezzo verso i popoli dei nostri territori.
Ignace Youssif III Younan è patriarca siro-cattolico dal 2009
È nato in Siria il patriarca siro-cattolico Ignace Youssif III Younan, al secolo Ephrem Joseph Younan. Settantacinque anni, studia anche a Roma nel Pontificio Collegio Urbano “De Propaganda Fide”. Viene inviato negli Usa dove si dedica alla cura pastorale dei fedeli siro-cattolici aprendo diverse missioni. Quando Giovanni Paolo II erige l’eparchia siro-cattolica degli Stati Uniti e del Canada, ne diventa primo eparca ricevendo l’ordinazione episcopale nel 1996. Nel 2009 si tiene a Roma il Sinodo elettivo siro-cattolico durante il quale Younan è eletto patriarca. E Benedetto XVI gli concede l’ecclesiastica communio.
È quasi commosso quando confida che a dicembre ha consacrato «la prima nuova chiesa a Mosul, in Iraq, dopo la liberazione dal Daesh». Lo definisce «un atto di “speranza contro ogni speranza”» citando san Paolo. E aggiunge: «Sogno che qualche famiglia cristiana possa ritornare qui per testimoniare il Vangelo del perdono e della pace». Ignace Youssif III Younan, patriarca di Antiochia dei siri, non si nasconde dietro giri di parole quando racconta la sua gente e le sue terre martoriate. E dalla sede patriarcale che si trova a Beirut in Libano invita a essere «profetici» rifuggendo anche «il politicamente corretto che significa celare la verità per paura di essere presi di mira dai media o dai politici disonesti». Tanto più in quello che sarà una sorta di “Sinodo sul Mediterraneo” come il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, chiama l’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” che radunerà a Bari dal 19 al 23 febbraio sessanta vescovi di venti Paesi affacciati sul grande mare.
E il patriarca siro-cattolico ci sarà, portando in Puglia le sofferenza di una Chiesa che «è fra le più perseguitate del mondo», afferma. A cominciare dalle comunità in Siria e Iraq, nazioni segnate dalla guerra «che sono state devastate nel vago nome della democrazia», sostiene Younan. E macchiate dal fondamentalismo. «Ma è un’utopia credere che il terrorismo islamico sia stato sconfitto», ripete.
E tuona: «Non è un melodramma teatrale ma un’autentica sciagura l’esodo di migliaia di cristiani dal Medio Oriente, in particolare dalla Siria e dall’Iraq, che sono stati ignorati, anzi traditi dai Paesi occidentali».
Non dalla Russia, però. «L’intervento di Mosca è stato cruciale per salvare la Siria e impedire la creazione di uno Stato islamico che avrebbe minacciato l’esistenza delle minoranze e la stessa sopravvivenza delle comunità cristiane».
La guerra in Siria è davvero finita?
È mio dovere richiamare la responsabilità dei politici e dei media occidentali di fronte alla distruzione di un Paese che è stato culla di civiltà ed è custode del cristianesimo delle origini. L’Occidente ha accusato noi capi delle Chiese di esserci alleati con il governo siriano contro il popolo che chiedeva diritti. Ma è lo stesso Occidente che è rimasto indifferente di fronte alla sofferenza causata dal terrorismo islamico istigato da Stati integralisti o opportunisti.
C’è ancora il rischio jihadista?
L’islam non ha esegesi: tutti i versetti del Corano vengono presi alla lettera. Compresi i versetti violenti. Vale per ogni musulmano, specialmente per i sunniti. Pertanto l’Occidente, inclusa la Chiesa, è tenuto a comprendere meglio le matrici del terrorismo. Finché si continuerà l’insegnamento di questi versetti, la violenza basata sul radicalismo islamico non cesserà.
In Siria il 35% delle abitazioni è distrutto. La metà degli ospedali è nelle stesse condizioni. Il 70% della popolazione vive in condizioni di povertà estrema.
Sono persuaso che i siriani faranno risorgere il Paese, com’è avvenuto in Europa dopo la seconda guerra mondiale. I russi avranno un ruolo di primo piano nella ricostruzione, dato che sono stati i più onesti e pronti ad aiutare il popolo siriano nei momenti tragici. Inoltre vanno considerati difensori fermi delle minoranze cristiane. Basti citare la sosta del presidente Putin nella Cattedrale della Beata Vergine Maria a Damasco durante la sua recente visita nel Paese. Senza timidezza ha acceso una candela per testimoniare l’interesse verso i cristiani. Sulla carta gli Stati che sono geograficamente più vicini a noi avrebbero dovuto essere i primi araldi del cristianesimo orientale. Non è stato così. E ora i cristiani del Vicino e del Medio Oriente guardano a Est.
Milioni sono i migranti di guerra. Nove rifugiati su dieci provengono da Paesi come Siria e Iraq. E una parte è formata dai cristiani.
Non si può esportare la democrazia occidentale in una regione dove non c’è separazione tra religione e politica. Anche la “Primavera araba” è stata un’illusione, anzi un’idea machiavellica concepita dai fomentatori d’odio. Ne è stata la prima vittima la popolazione. E i cristiani hanno pagato il maggior prezzo, dal momento che sono una fra le minoranze più vulnerabili. Ricordo i 47 morti e gli 84 feriti nel barbaro attacco alla nostra Cattedrale di Baghdad durante la Messa della vigilia di Ognissanti il 31 ottobre 2010.
Può scomparire la presenza cristiana?
La Chiesa siro-cattolica, di cui sono patriarca, è una Chiesa fiera delle sue antiche radici e anche della lingua liturgica, il siriaco, parlato da Gesù, dalla Vergine Maria e dagli apostoli. Una Chiesa ferita dai genocidi nel corso dei secoli e quindi davvero martire. Così siamo inorriditi vedendo il massiccio esodo dei nostri fedeli, soprattutto dei più giovani che non riusciamo a convincere a rimanere nei villaggi.
Vi sentite una Chiesa della diaspora, quindi?
Voglio ricordare l’orrendo espatrio del 2014 dove un’intera nostra diocesi nella piana di Ninive è stata sradicata dai miliziani del Daesh. In una notte di agosto l’arcivescovo, 34 sacerdoti, 50 suore e più di 45mila fedeli sono stati costretti a lasciare tutto per rifugiarsi in Kurdistan. In questi anni sono migliaia i cristiani fuggiti dalle zone di guerra, particolarmente dalle province di Aleppo, Homs, Daraa e Hassakeh. Oggi in Europa abbiamo diverse migliaia di profughi. Più di venti sacerdoti li assistono. Vorremmo ci fosse un esarcato siro-cattolico, come li abbiamo in Canada, Usa o Venezuela, per preservare al meglio la nostra tradizione di fede.
Eppure in Europa si chiudono le porte ai rifugiati.
I Paesi che hanno chiare fondamenta cristiane sono tenuti all’accoglienza secondo quanto raccomanda Cristo nel Vangelo. Certo, la Ue è chiamata anche a favorire negli Stati ospitanti l’integrazione, che in molti casi si è rivelata fallimentare. E al tempo stesso deve aiutare i Paesi in via di sviluppo scongiurando che i ragazzi li abbandonino.
Come costruire il dialogo con l’islam?
Il dialogo può partire dalle persone, non dalle fedi poiché l’islam non riconosce la libertà religiosa. Penso che oggi il dialogo islamo-cristiano sia possibile solo dove i musulmani sono una minoranza e in Paesi dove è garantita la piena libertà.
Come l’Europa può aiutare la regione?
Il Vicino Oriente ha bisogno di un Occidente che getti le basi umane e politiche per una pace vera e giusta sostenendo la riconciliazione fra belligeranti che sono stati istigati a odiarsi e a uccidersi.
E la comunità ecclesiale?
I cristiani di Siria e Iraq sono grati ai cattolici europei per la loro vicinanza concreta in questi anni di guerra. Reputo che la Chiesa sia chiamata a contribuire alla pace nel Mediterraneo seguendo una strada precisa: quella della “carità nella verità”. Ciò può avvenire evitando di sottomettersi ipocritamente al mondo islamico a causa della sua forza numerica, delle imponenti risorse naturali e della paura del terrorismo, ma anche rifiutando un opportunismo avido nutrito dal disprezzo verso i popoli dei nostri territori.
Ignace Youssif III Younan è patriarca siro-cattolico dal 2009
È nato in Siria il patriarca siro-cattolico Ignace Youssif III Younan, al secolo Ephrem Joseph Younan. Settantacinque anni, studia anche a Roma nel Pontificio Collegio Urbano “De Propaganda Fide”. Viene inviato negli Usa dove si dedica alla cura pastorale dei fedeli siro-cattolici aprendo diverse missioni. Quando Giovanni Paolo II erige l’eparchia siro-cattolica degli Stati Uniti e del Canada, ne diventa primo eparca ricevendo l’ordinazione episcopale nel 1996. Nel 2009 si tiene a Roma il Sinodo elettivo siro-cattolico durante il quale Younan è eletto patriarca. E Benedetto XVI gli concede l’ecclesiastica communio.