By Agensir
Daniele Rocchi
“Papa Francesco è un uomo aperto, cercatore di pace e di fraternità.
Tutti in Iraq, cristiani e musulmani, lo stimano per la sua semplicità e
vicinanza. Le sue parole toccano il cuore di tutti perché sono quelle
di un pastore. È un uomo che può portare pace. Tanti milioni di
musulmani hanno seguito la visita del Pontefice ad Abu Dhabi. Sarà così
anche in Iraq”.
Il card. Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei caldei, parla così dell’annunciata visita di Papa Francesco in Iraq prevista nel 2020, “probabilmente in primavera, se non ci saranno tensioni e problemi di sicurezza”.
“Un pensiero continuo – ricorda il patriarca caldeo – quello del
Pontefice verso l’Iraq. Il suo annuncio fatto lo scorso giugno ai
partecipanti alla Riunione delle Opere di Aiuto alle Chiese Orientali
(Roaco), rivela gli scopi del viaggio: far si che l’Iraq guardi avanti,
‘attraverso la pacifica e condivisa partecipazione alla costruzione del
bene comune di tutte le componenti anche religiose della società, e non
ricada in tensioni che vengono dai mai sopiti conflitti delle potenze
regionali’”. Il card. Sako parla al Sir a margine del meeting dei
partner di Caritas Iraq che si è svolto a Baghdad dal 1 al 3 luglio
scorso, promosso dalla stessa Caritas locale in stretta sinergia con
Caritas Internationalis.
Una visita che si colloca nel solco di quella ad Abu Dhabi
dove il Pontefice e il grande Imam sunnita, Al Tayyeb, hanno firmato il
documento sulla fratellanza umana…
Credo sia molto importante aiutare la gente a vedere l’altro come un
fratello e non come un nemico, un avversario. Viviamo tutti insieme,
lavoriamo, siamo vicini, non dobbiamo avere paura. Dobbiamo cambiare la
mentalità e la cultura. Il mio augurio è che la visita di Papa Francesco
rappresenti un momento forte per i nostri fratelli musulmani sciiti. Il
Documento di Abu Dhabi, infatti, è stato firmato dai sunniti e non
dagli sciiti.
Spero che il Papa possa incontrare l’Ayatollah Ali al Sistani, guida spirituale degli sciiti e firmare con lui lo stesso documento.
Se si vorrà cambiare qualcosa nel contenuto si può fare anche se
credo che l’essenziale sia già al suo interno. Sarebbe il segno di un
mondo musulmano unito nel dire basta guerre, basta morte e distruzione.
La dignità umana è un valore assoluto”.
Quindi nel programma papale potrebbe essere inserita una
sosta alla città santa sciita Al Najaf per incontrare l’Ayatollah Ali al
Sistani, guida spirituale degli sciiti in Iraq?
Da Baghdad a Najaf sono solo venti minuti di aereo. Credo che ci possa essere il tempo per un incontro e la firma del documento.
Un tema strettamente collegato al documento di Abu Dhabi è
quello della cittadinanza, invocata dai cristiani iracheni e dalle altre
minoranze.
È il nodo di tutto. Noi siamo cittadini iracheni di fede cristiana,
siamo legati alla nostra terra che abitiamo da prima dell’Islam, alla
nostra patria. Dovunque vada io sarò sempre legato ad essa.
Il governo deve varare riforme per garantire eguali diritti per tutti i cittadini,
non ci sono diritti umani cristiani o musulmani, c’è una base umana
per tutti. Io sono un cittadino, non importa se cristiano o musulmano.
Occorre separare la religione dalla politica. La Costituzione deve
essere basata sulla cittadinanza. Non è più tempo di settarismi. La
comunità internazionale faccia pressione sui governi mediorientali
perché la religione sia separata dallo Stato.
Ur dei caldei, luogo di origine delle tre religioni abramitiche,
Ebraismo, Cristianesimo e Islam potrebbe essere una delle tappe
principali del viaggio papale.
Ur potrebbe essere il luogo per un incontro interreligioso. Nel Corano
si trovano dei passaggi relativi ad Abramo che possono essere cantati da
un Imam. Noi cristiani potremmo leggere un brano della Bibbia. Poi si
potrebbero recitare delle preghiere universali e tenere due discorsi.
Da Ur potrebbe così partire un messaggio al mondo intero: siamo
tutti, nella fede, figli di Abramo. Abramo è un uomo che ha fiducia nel
Signore. Ci sono simboli che possono toccare il cuore di ogni uomo,
anche se è un fondamentalista.
Dio spera anche nell’uomo malvagio e lo attende come il padre buono attende il figlio nella parabola del figliol prodigo.
Che Iraq troverà il Papa? Un paese che cerca con fatica di
lasciarsi dietro una serie di guerre e, soprattutto, la più recente
invasione dell’Isis…
Un Iraq spaccato, frammentato, pieno di rovine e segnato da tanti errori.
Il Papa sarà per noi come un nuovo Ezechiele,
profeta che ha vissuto a Babilonia parlando agli ebrei che in quel
tempo vivevano come noi: fuori delle proprie terre, come rifugiati,
scoraggiati. Ezechiele fa la profezia delle ossa aride (Cap. 37):
“Profetizza su queste ossa e annunzia loro: Ossa inaridite, udite la
parola del Signore. Dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio
entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò
crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in
voi lo spirito e rivivrete: Saprete che io sono il Signore”.
Io spero nella rinascita dell’Iraq e degli iracheni, prego per
una vita nuova. Il Papa, nuovo Ezechiele, può aprirci la porta verso un
futuro di pace.
È una bella immagine che mi porto dentro e chissà non possa essere richiamata nel tema del viaggio papale.
Da tempo Papa Francesco desidera di fare visita agli sfollati
cristiani della Piana di Ninive che hanno trovato rifugio a Erbil, in
Kurdistan. Con la cacciata di Isis molte famiglie stanno tornando. A che
punto è il rientro e la ricostruzione delle case?
Più della metà delle famiglie cristiane sono rientrate nelle loro case,
molte altre invece hanno lasciato il Paese. Ho scritto un articolo sulla
‘teologia dei rifugiati’ dove paragono la nostra speranza di oggi a
quella degli ebrei in esilio a Babilonia. A Ninive vediamo la gioia di
coloro che rientrano nei loro villaggi e la festa per aver ricostruito
ciò che era stato distrutto. Come pastori siamo chiamati a dare speranza
alla nostra gente, accompagnandola e ascoltandola. Non siamo
amministratori ma pastori. Rispetto a chi è emigrato, chi è rimasto ha
ripensato la sua storia e nutrito lo spirito con la speranza nel futuro.
E sono tornati. Chi è andato via invece è chiamato a cominciare
un’altra storia da un’altra parte, imparare un’altra lingua, un’altra
mentalità, tradizioni diverse.
In
che modo i cristiani possono preservare la loro identità in questa
terra dove sono nati e dove da sempre hanno fatto da ponte tra le altre
fedi ed etnie?
Da arcivescovo di Kirkuk ero solito organizzare incontri con tutti i
leader religiosi locali, sciiti, sunniti, curdi, turkmeni e tutti erano
consapevoli del fatto che solo la Chiesa poteva riunirli insieme.
Abbiamo una vocazione di unità che ci dona forza e gioia. Non è tutto
nero.
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