By Avvenire
Michele Zanzucchi
In Libano la dimensione confessionale è fondamentale anche in politica, cosicché le autorità religiose hanno da dire la loro anche in campo civile e politico. Intervistare il patriarca della principale Chiesa cristiana presente in Libano, quella maronita, è quindi interessante non solo per gli aspetti più religiosi ma anche per quelli politici. Béchara Boutros Raï, a capo dei maroniti dal marzo 2011, è noto per il suo franco parlare e la chiarezza delle sue vedute. Mi riceve nel suo palazzo patriarcale di Bkerke.
Michele Zanzucchi
In Libano la dimensione confessionale è fondamentale anche in politica, cosicché le autorità religiose hanno da dire la loro anche in campo civile e politico. Intervistare il patriarca della principale Chiesa cristiana presente in Libano, quella maronita, è quindi interessante non solo per gli aspetti più religiosi ma anche per quelli politici. Béchara Boutros Raï, a capo dei maroniti dal marzo 2011, è noto per il suo franco parlare e la chiarezza delle sue vedute. Mi riceve nel suo palazzo patriarcale di Bkerke.
In novembre lei si è recato in Arabia
Saudita. In aprile è stato il presidente del Pontificio Consiglio per
dialogo interreligioso, il cardinale Jean-Louis Tauran, a rendere
visita ai sauditi. Solo qualche mese fa pareva impossibile…
Sono
stato invitato ufficialmente dal re saudita Salman, senza richiesta
alcuna. Non è la prima volta: già il re Abdallah, mi aveva invitato, ma
la data stabilita cadeva proprio all’inizio del Conclave. L’importanza
particolare di questa visita è stata la coincidenza con le dimissioni
del primo ministro libanese. I rapporti con la sua famiglia erano stati
interrotti e il presidente Aoun stava preparando un ricorso al
Consiglio di sicurezza Onu. In realtà abbiamo visto giusto, perché ho
portato parlare chiaramente del rientro di Hariri in Libano. Le autorità
saudite convenivano, doveva rientrare; ma ero io che dovevo cercare
di convincerlo, perché aveva paura. Muhammad Bin Salman mi ha suggerito
di incontrare il premier a casa sua, ma ho risposto che era lui a dover
venire da me, perché volevo accertarmi che fosse libero nei suoi
movimenti. È venuto e ci siamo messi d’accordo che sarebbe rientrato
due giorni dopo. Due settimane fa Saad Hariri, qui a Bkerke, per la
prima volta pubblicamente ha detto: «Il mio rientro è dovuto al
patriarca». Credo che il cardinale Tauran abbia continuato i rapporti
aperti con la mia visita. La strada è ormai aperta. Io ho trascorso solo
24 ore in Arabia Saudita, perché dovevo recarmi a Roma. Ho subito
incontrato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, perché in
Vaticano erano preoccupati. Ma dovevo pur fare qualcosa quando il
premier libanese era dimissionario a Riad!
L’Occidente sembra
voler cambiare i regimi mediorientali a proprio piacimento. Ma con la
scusa di cacciare dei dittatori cerca di trarre vantaggi…
Perché
gli occidentali vogliono cambiare i regimi mediorientali? Ma chi
gliel’ha chiesto? Qual è stata la ragione vera per distruggere l’Iraq e
oggi per smembrare la Siria? Noi cristiani sappiamo come vivere
sotto tutti i regimi, in Iraq, Siria, Arabia Saudita… Questi Paesi
hanno un sistema religioso di gestione del potere. I cristiani sanno
che questi sono i loro limiti. La religione di Stato è l’Islam?
Accettiamolo. Il Corano detta la legge? Rispettiamolo. In contropartita
godiamo della fiducia delle autorità civili, perché non ci
intromettiamo nelle questioni politiche.
Oggi si rischia la scomparsa dei cristiani in Medio Oriente.
La
guerra nell’Iraq ci ha fatto perdere un milione di cristiani. E ti
dicono: veniamo ad abbattere il tiranno di turno! Sì, d’accordo, era un
tiranno, perché quando il sistema è a base religiosa il governante ha
sempre una certa dose di dittatura. Ma Saddam Hussein costruiva lui
stesso le chiese dei cristiani, il vescovado caldeo qui in Libano è
stato edificato proprio da lui. La Siria? Conosceva un grande successo
economico, mentre ora è stata indebolita da al-Qaeda, al-Nusra, dal
Daesh. I dittatori sanno chi hanno nel loro Paese, per questo usano il
pugno di ferro. Che cosa abbiamo ottenuto combattendo il presidente
Assad? Povertà e guerre e milioni di profughi.
Cosa pensare del conflitto che oppone gran parte del mondo sunnita e sciita?
Qui
in Libano tra sciiti e sunniti c’è un certo conflitto politico, ma si
convive abbastanza bene. La guerra siriana è scoppiata per il
contrasto tra l’Arabia Saudita e l’Iran, cioè tra i capofila del mondo
sunnita e di quello sciita. Stessa cosa per Iraq e Yemen. Qui risentiamo
di queste influenze. In Siria prima della guerra tutti, sunniti e
sciiti, erano per il regime. Ora invece l’Arabia Saudita sta attirando
tutti i sunniti e l’Iran tutti gli sciiti nelle loro sfere di influenza.
Quali le responsabilità della comunità internazionale?
La
comunità internazionale applaude al Libano (“che bravo, che bravo!”)
perché accoglie i migranti, ma non muove un dito per aiutarlo. Chiudere
le nostre frontiere ad altri esseri umani non lo possiamo fare. Ma non
è ammissibile che la comunità internazionale continui a stare a
guardare. Dicono gli europei: «Ma che possiamo fare, da voi c’è la
guerra!». E io dico loro: «Ma perché continuate voi a soffiare sul
fuoco?». E poi ci vengono a dire come dobbiamo fare per proteggere i
cristiani perseguitati! «Ma voi siete la causa di tutto questo -
rispondo loro - , noi non siamo perseguitati, vivevamo e viviamo bene
assieme». Ci sono state delle aggressioni, questo sì, ma non si può
parlare di persecuzioni.
Il Libano è un esempio di convivenza tra fedi diverse.
Noi
sappiamo come vivere in Medio Oriente. Da 1.400 anni viviamo insieme,
abbiamo attraversato momenti difficili, ma siamo ancora qui. Abbiamo
favorito la nascita della moderazione musulmana. Adesso gli occidentali
cercano di sradicare i cristiani dai loro Paesi lavorando per la guerra.
Nessuno, tranne il Papa, parla di pace. Tuttavia, qui rimane sempre
la volontà di vivere insieme. Ma se si vuole che vi sia riconciliazione
in Medio Oriente, bisogna che la comunità internazionale favorisca la
riconciliazione tra Arabia Saudita e Iran.