By Asia News
26 aprile 2018
A Mosul e nella piana di Ninive “la vita sta tornando lentamente alla normalità”. Giovani universitari, cristiani e non “ogni giorno compiono il tragitto” che li separa dai loro alloggi nelle cittadine della piana all’università, nella zona est della metropoli del nord dell’Iraq per seguire corsi e lezioni. È quanto racconta ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, descrivendo la “lenta ma gioiosa” opera di rinascita di Mosul e della piana di Ninive, a meno di un anno dalla riconquista della ex roccaforte e capitale dello Stato islamico (SI, ex Isis). “Anche le attività economiche e commerciali - aggiunge -, pur fra mille fatiche e difficoltà, stanno ripartendo”.
Dopo anni di violenze e terrore perpetrati dalle milizie di Daesh [acronimo arabo per lo SI], oggi “nel settore orientale di Mosul la vita è normale” ed è anche “molto più facile spostarsi all’interno dei quartieri occidentali”. “Anche nella piana di Ninive - prosegue don Paolo - siamo tornati a vivere le feste della Pasqua come in passato. Chiese affollate, processioni gremite. A Karamles abbiamo utilizzato una grande sala per la messa, perché la chiesa non è ancora pronta”.
Dalle aule delle scuole alle fabbriche, dalle attività commerciali alle piccole imprese, la rinascita del nord del Paese passa attraverso il rilancio “della scuola e del lavoro”. “Anni di violenze, guerre, terrore - racconta il sacerdote - hanno creato un vuoto enorme. Parte della gente è tornata, ma non è ancora come prima, le attività vanno a rilento e serve un salto di qualità. Certo - osserva - è l’economia irakena in generale ad attraversare difficoltà, ma qui i problemi aumentano”.
La scarsa pioggia caduta in questi mesi ha vanificato gran parte del raccolto e i contadini non nascondono le loro preoccupazioni. “Gran parte della mietitura - conferma don Paolo - non ci sarà” e anche questo “ha un riflesso sulla situazione economica. Le fabbriche per il materiale edile sono ancora poche e i fondi sono insufficienti, molti cantieri sono fermi. Per una vera ripresa di Mosul e della piana di Ninive è fondamentale che tornino quanti sono fuggiti in passato, tutti. La rinascita può e deve fondarsi sulle persone”.
In un’ottica di ricostruzione, in queste ore gli Emirati Arabi Uniti (Eau) hanno annunciato lo stanziamento di 50 milioni di dollari per contribuire alla ricostruzione della grande moschea di al-Nuri, distrutta dagli uomini del Califfato. Si tratta del luogo in cui Abu Bakr al-Baghdadi ha pronunciato il suo celebre discorso e che i jihadisti hanno devastato tre anni più tardi, nel pieno dell’offensiva dell’esercito irakeno. Ciò che resta oggi della struttura sono la base del minareto e la cupola con alcune colonne.
Nel frattempo anche l’università di Mosul ha ripreso le attività, accogliendo studenti cristiani, yazidi e sabei. Dopo le bombe, i proclami del jihad e le ripetute violazioni ai diritti umani, oggi all’interno dell’ateneo sono tornati libri, computer e studenti desiderosi di costruirsi un futuro e partecipare in modo attivo alla rinascita del Paese. Ciascuno secondo la propria tradizione culturale, etnica e religiosa, per rilanciare “quel mosaico unico rappresentato dall’Iraq” come lo definisce il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako.
Oggi sono almeno 3mila i giovani delle minoranze religiose che frequentano le aule dell’università di Mosul, dove sono ancora visibili i segni dei danneggiamenti. Certo, meno di quanti ve ne fossero prima dell’ascesa dei miliziani jihadisti ma pur sempre un primo passo, verso un ritorno alla normalità.
“L’università ha ripreso in pieno le attività - conferma il sacerdote caldeo - e gli studenti, anche cristiani, ospitati dall’arcidiocesi di Kirkuk negli ultimi anni, sono tornati a lezione”.
Alcuni di loro compiono tutti i giorni gli oltre 90 km che separano il Kurdistan da Mosul, altri sono ospitati da dormitori e centri allestiti dalla Chiesa nelle cittadine della piana di Ninive, fra cui Qaraqosh e Karamles.
“All’inizio gli studenti - ricorda don Paolo - avevano paura di tornare in università, erano preoccupati per la loro incolumità. Noi li abbiamo incoraggiati e dopo essere tornati hanno sperimentato una felicità nuova. Ora il nome di Mosul non è più fonte di terrore, si sentono come gli studenti universitari di tutto il mondo, impegnati a studiare per costruirsi un futuro. E anche se la struttura non è ancora del tutto adeguata, la voglia di rinascere è evidente e anche il pericolo attentati sembra ormai un ricordo del passato”. “La gente - conclude - vuole uscire, vivere, assistere ad attività culturali… vuole lasciarsi Daesh alle spalle”
A Mosul e nella piana di Ninive “la vita sta tornando lentamente alla normalità”. Giovani universitari, cristiani e non “ogni giorno compiono il tragitto” che li separa dai loro alloggi nelle cittadine della piana all’università, nella zona est della metropoli del nord dell’Iraq per seguire corsi e lezioni. È quanto racconta ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, descrivendo la “lenta ma gioiosa” opera di rinascita di Mosul e della piana di Ninive, a meno di un anno dalla riconquista della ex roccaforte e capitale dello Stato islamico (SI, ex Isis). “Anche le attività economiche e commerciali - aggiunge -, pur fra mille fatiche e difficoltà, stanno ripartendo”.
Dopo anni di violenze e terrore perpetrati dalle milizie di Daesh [acronimo arabo per lo SI], oggi “nel settore orientale di Mosul la vita è normale” ed è anche “molto più facile spostarsi all’interno dei quartieri occidentali”. “Anche nella piana di Ninive - prosegue don Paolo - siamo tornati a vivere le feste della Pasqua come in passato. Chiese affollate, processioni gremite. A Karamles abbiamo utilizzato una grande sala per la messa, perché la chiesa non è ancora pronta”.
Dalle aule delle scuole alle fabbriche, dalle attività commerciali alle piccole imprese, la rinascita del nord del Paese passa attraverso il rilancio “della scuola e del lavoro”. “Anni di violenze, guerre, terrore - racconta il sacerdote - hanno creato un vuoto enorme. Parte della gente è tornata, ma non è ancora come prima, le attività vanno a rilento e serve un salto di qualità. Certo - osserva - è l’economia irakena in generale ad attraversare difficoltà, ma qui i problemi aumentano”.
La scarsa pioggia caduta in questi mesi ha vanificato gran parte del raccolto e i contadini non nascondono le loro preoccupazioni. “Gran parte della mietitura - conferma don Paolo - non ci sarà” e anche questo “ha un riflesso sulla situazione economica. Le fabbriche per il materiale edile sono ancora poche e i fondi sono insufficienti, molti cantieri sono fermi. Per una vera ripresa di Mosul e della piana di Ninive è fondamentale che tornino quanti sono fuggiti in passato, tutti. La rinascita può e deve fondarsi sulle persone”.
In un’ottica di ricostruzione, in queste ore gli Emirati Arabi Uniti (Eau) hanno annunciato lo stanziamento di 50 milioni di dollari per contribuire alla ricostruzione della grande moschea di al-Nuri, distrutta dagli uomini del Califfato. Si tratta del luogo in cui Abu Bakr al-Baghdadi ha pronunciato il suo celebre discorso e che i jihadisti hanno devastato tre anni più tardi, nel pieno dell’offensiva dell’esercito irakeno. Ciò che resta oggi della struttura sono la base del minareto e la cupola con alcune colonne.
Nel frattempo anche l’università di Mosul ha ripreso le attività, accogliendo studenti cristiani, yazidi e sabei. Dopo le bombe, i proclami del jihad e le ripetute violazioni ai diritti umani, oggi all’interno dell’ateneo sono tornati libri, computer e studenti desiderosi di costruirsi un futuro e partecipare in modo attivo alla rinascita del Paese. Ciascuno secondo la propria tradizione culturale, etnica e religiosa, per rilanciare “quel mosaico unico rappresentato dall’Iraq” come lo definisce il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako.
Oggi sono almeno 3mila i giovani delle minoranze religiose che frequentano le aule dell’università di Mosul, dove sono ancora visibili i segni dei danneggiamenti. Certo, meno di quanti ve ne fossero prima dell’ascesa dei miliziani jihadisti ma pur sempre un primo passo, verso un ritorno alla normalità.
“L’università ha ripreso in pieno le attività - conferma il sacerdote caldeo - e gli studenti, anche cristiani, ospitati dall’arcidiocesi di Kirkuk negli ultimi anni, sono tornati a lezione”.
Alcuni di loro compiono tutti i giorni gli oltre 90 km che separano il Kurdistan da Mosul, altri sono ospitati da dormitori e centri allestiti dalla Chiesa nelle cittadine della piana di Ninive, fra cui Qaraqosh e Karamles.
“All’inizio gli studenti - ricorda don Paolo - avevano paura di tornare in università, erano preoccupati per la loro incolumità. Noi li abbiamo incoraggiati e dopo essere tornati hanno sperimentato una felicità nuova. Ora il nome di Mosul non è più fonte di terrore, si sentono come gli studenti universitari di tutto il mondo, impegnati a studiare per costruirsi un futuro. E anche se la struttura non è ancora del tutto adeguata, la voglia di rinascere è evidente e anche il pericolo attentati sembra ormai un ricordo del passato”. “La gente - conclude - vuole uscire, vivere, assistere ad attività culturali… vuole lasciarsi Daesh alle spalle”