By Gente Veneta
Giorgio Malavasi
«Molte case sono ancora in rovina ma, rispetto all’anno scorso, quando abbiamo visitato una città fantasma, ora a Qaraqosh sono tornate circa 10.000 famiglie! La città è in piedi, ed è viva».
Giorgio Malavasi
«Molte case sono ancora in rovina ma, rispetto all’anno scorso, quando abbiamo visitato una città fantasma, ora a Qaraqosh sono tornate circa 10.000 famiglie! La città è in piedi, ed è viva».
Sono le prime parole di don Giorgio Scatto, priore
della comunità monastica di Marango di Caorle, approdato martedì 3
aprile a Qaraqosh, città martire dell’Isis. Qaraqosh da poco più di un
anno è stata strappata alle soldataglie del califfo e solo ora, a guerra
finita, può tentare di rinascere.
La città aveva 50mila abitanti ed è di antichissima tradizione cristiana: il 90% degli abitanti professavano il cristianesimo.
Poi, improvvisa ma annunciata, arriva la tragedia:
nel giugno del 2014 i soldati dell’Isis prendono Mosul, che dista 25
chilometri da Qaraqosh. A Mosul la gente accoglie gli uomini del Daesh
(così lì viene chiamato l’Isis) come liberatori. E questi, nelle prime
settimane, si mostrano attenti alle esigenze della popolazione. Poi,
però, iniziano ad applicare presunte leggi islamiche estremiste, che
prevedono punizioni assurde, per esempio, se uno guarda una partita di
calcio, se una donna non è completamente coperta, se un passante fuma
una sigaretta…
«Le case dei cristiani – sottolinea don Giorgio, che
il primo viaggio nell’Iraq dilaniato dal conflitto l’ha fatto nel 2013 –
vengono segnate con la N di Nazareno; graficamente è una specie di
bocca che sorride, con un puntino. Da allora anche noi a Marango abbiamo
esposto quella N sulla nostra porta di ingresso».
Il 6 agosto 2014 l’epilogo: gli armigeri del Daesh
arrivano nella piana di Ninive e distruggono l’antichissimo monastero di
San Benham e Sarah. Fanno saltare con il tritolo la tomba dei santi e
da lì piombano sulla piana. La gente fugge nella notte. Non solo a
Qaraqosch, ma anche nei paesi attorno migliaia di famiglie prendono
l’auto e, senza portare con sé nulla scappano. E da allora sono mesi e
mesi di campo profughi , perlopiù a Erbil, capitale della regione
autonoma del Kurdistan, a circa 70 chilometri da Qaraqosh.
Per don Scatto il ritorno a Qaraqosh è oggi occasione
per vedere, fortunatamente, alcuni progressi e per mantenere intatto il
nesso di amicizia stretto nel 2012 con tre giovani cristiani di
tradizione siriaca, che hanno scelto di avviare un’esperienza monastica,
scegliendo di vivere e pregare insieme, da cristiani in mezzo ai
musulmani.
Da allora, infatti, ogni anno il priore di Marango si
è recato in Iraq, e l’anno scorso e quest’anno vi si è giunto
accompagnato da una sorella di comunità, Cristina Santinon.
Per entrambi, in questo aprile 2018, la sorpresa lieta di vedere una città che si sta ripopolando e rivitalizzando.