By Asia News
Guerra, terrorismo, corruzione e povertà sono i fattori chiave che determineranno il risultato delle prossime elezioni politiche che si terranno in Iraq, il 12 maggio prossimo. La prima tornata elettorale dopo l’ascesa dello Stato islamico (SI) che, al momento della sua massima espansione, era giunto a controllare quasi la metà del Paese e che è stato sconfitto - almeno sul piano militare - solo al termine di una imponente offensiva.
Guerra, terrorismo, corruzione e povertà sono i fattori chiave che determineranno il risultato delle prossime elezioni politiche che si terranno in Iraq, il 12 maggio prossimo. La prima tornata elettorale dopo l’ascesa dello Stato islamico (SI) che, al momento della sua massima espansione, era giunto a controllare quasi la metà del Paese e che è stato sconfitto - almeno sul piano militare - solo al termine di una imponente offensiva.
Nelle ultime settimane lo scenario politico del Paese arabo ha
registrato l’unione di intenti fra le due principali forze di protesta e
anti-sistema: il Partito comunista irakeno (Pci), movimento laico di
sinistra, ha deciso di allearsi con la fazione guidata dal leader
radicale sciita Moqtada Al-Sadr nel contesto del cartello elettorale
ribattezzato Sa’iroun (“In marcia”).
Dal 10 aprile i due schieramenti daranno vita a una campagna comune
per le elezioni legislative e le provinciali, con un programma
riformista che intende catturare il voto di protesta. Una alleanza fra
falce e turbante che non ha mancato di sollevare perplessità nel Paese, e
che ha saputo rafforzarsi nel tempo grazie alla lotta comune contro la
corruzione e una politica confessionale e settaria.
“L’alleanza fra i seguaci di al-Sadr e i comunisti - sottolinea ad AsiaNews
Yonadam Kanna, leader della Rafidain Coalition (il Movimento
democratico assiro) - è una reazione a condizioni socioeconomiche
miserabili e alle [pessime] condizioni di sicurezza”. Il parlamentare
cristiano, già membro della Commissione parlamentare sul Lavoro e gli
affari sociali, conferma che il terreno comune fra i due movimenti è “la
lotta alla corruzione e alla mancanza di un buon governo, che le ha
spinte a unirsi”.
“A mio avviso - prosegue il leader cristiano - superare l’elemento
confessionale nel contesto politico del Paese è un elemento assai
positivo. È importante spezzare l’alone di impunità che avvolge quanti
dicono di parlare in nome di Dio, ma si comportano in modo sbagliato e
perseguono il male e la corruzione”. Al contrario, aggiunge, è
necessario rilanciare l’impegno volto alla formazione di “istituzioni
credibili, uno Stato civile, garantire la supremazia del diritto,
combattere la corruzione e garantire per quanto possibile prosperità a
tutti i cittadini”.
La chiave dell’alleanza fra fedelissimi del leader radicale sciita
al-Sadr e dei comunisti è la lotta della base comune dell’elettorato,
che vive nei quartieri popolari ed è ai margini della vita politica,
sociale ed economica del Paese. Tanto i comunisti quanto i radicali
sciiti vedono nella lotta popolare, o populista, il terreno attorno al
quale riscuotere i maggiori consensi. Un riavvicinamento favorito anche
dall’abbandono della lotta violenta promossa a lungo da Moqtada Al-Sadr,
a lungo esponente di primo piano della lotta degli sciiti irakeni, a
lungo repressi sotto il regime del raìs Saddam Hussein. Oggi, a 44 anni,
l’ex leader populista si è riproposto come portavoce della lotta contro
il settarismo e il confessionalismo nella politica nazionale e per
l’affrancamento dall’Iran.
Fra comunisti e seguaci di al-Sadr, uniti dalla lotta per
l’indipendenza e il nazionalismo, restano però profonde distanze in tema
di diritti delle donne e cittadinanza. E sullo sfondo resta sempre
presente la divisione che caratterizza l’Iraq, quella fra sunniti e
sciiti, il vero scoglio da superare per una reale riconciliazione fra le
diverse anime che costituiscono la nazione.
La lotta a discriminazioni ed estremisti, racconta Yonadam Kanna, è
una delle priorità cui deve far fronte la prossima classe dirigente del
Paese con un impegno a tutto campo contro le leggi e le norme che
favoriscono le fazioni radicali, come “l’imposizione dell’islam alle
minoranze”. Al riguardo, resta di attualità la questione per la libera
scelta dell’appartenenza religiosa di un minore, il cui genitore si sia
convertito alla fede di Maometto [la cosiddetta legge sulla “islamizzazione dei figli”.]
“I cristiani - avverte il parlamentare - devono ritrovare una
identità e una lotta comune, insieme a yazidi, sabei e mandiani”.
Raggiunto l’obiettivo di costituire un fronte comune, conclude, la lotta
deve focalizzarsi sulla “imposizione di uno Stato di diritto, la pace e
la sicurezza. La costruzione di una società capace di garantire
giustizia a prescindere dalla religione, e di una eguaglianza di tutti i
cittadini davanti alla legge”, a prescindere da razza, etnia e
religione.