By AgenSIR
31 marzo 2018
Daniele Rocchi
"La Pasqua è davanti a noi ma da qui si vede solo il Calvario". E il Calvario, in Medio Oriente, ha il nome di Ghuta, Damasco, Idlib, Aleppo, Baghdad, Batnaya, Mosul, Afrin, Gaza, e tanti altri luoghi di guerra e di morte. Nelle parole di mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, non c'è solo dolore: “C’è gioia anche nella sofferenza, quella patita da Cristo per la nostra salvezza. Preghiamo perché in tutto il Medio Oriente, non solo in Iraq o in Siria, la Pasqua sia motivo di gioia”
31 marzo 2018
Daniele Rocchi
"La Pasqua è davanti a noi ma da qui si vede solo il Calvario". E il Calvario, in Medio Oriente, ha il nome di Ghuta, Damasco, Idlib, Aleppo, Baghdad, Batnaya, Mosul, Afrin, Gaza, e tanti altri luoghi di guerra e di morte. Nelle parole di mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, non c'è solo dolore: “C’è gioia anche nella sofferenza, quella patita da Cristo per la nostra salvezza. Preghiamo perché in tutto il Medio Oriente, non solo in Iraq o in Siria, la Pasqua sia motivo di gioia”
Ghuta, Damasco, Aleppo, Baghdad, Batnaya, Mosul, Afrin, Gaza e tanti altri ancora. Li enumera uno ad uno, lentamente, parlando al telefono dalla capitale irachena, mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad e braccio destro del patriarca caldeo, Mar Louis Sako.
“Sono i Golgota del Medio Oriente di oggi, i luoghi della Passione
per cristiani e non cristiani. Montagne di sofferenza da scalare
giornalmente per cercare di intravedere un po’ di luce o più
semplicemente per trovare qualche valido motivo per sopravvivere alle
armi, alla distruzione e alla povertà che imperversano oramai da anni da
queste parti. La Pasqua è davanti a noi ma da qui si vede solo il
Calvario”. Ascoltate così sembrano parole che non lasciano spazio alla
speranza, quasi che il messaggio pasquale della Resurrezione si infranga
sulle rocce insanguinate di questi Calvari. “Ma non è così” si affretta
a dire mons. Warduni perché
“c’è gioia anche nella sofferenza, quella patita da Cristo per la nostra salvezza”.
“Preghiamo perché in tutto il Medio Oriente, non solo in Iraq o in Siria, la Pasqua sia motivo di gioia”.
“La meta è il Sepolcro”. E l’unico modo per farcela,
per riuscire in questo compito “è associare le nostre sofferenze a
quelle di Cristo”. E a poco serve ricordare al vescovo caldeo che i
cristiani sono sempre di meno, che le guerre, le persecuzioni e le
discriminazioni li hanno frammentati, costretti a partire, ad
abbandonare case e terre senza sapere se un giorno potranno farvi
ritorno.
Come un Esodo senza liberazione, senza ritorno, che fa dire al presule: “Come
possiamo chiedere ai nostri fratelli di non partire? Chi garantirà per
la loro vita, per il loro futuro, per la loro famiglia, la loro
sicurezza?”. Per questo “preghiamo per essere aperti alla sofferenza,
per coltivare e far crescere la nostra fede, l’unica forza che ci
permette di patire con Cristo nell’attesa della salvezza.
Diversamente avremo perduto tutto. Per noi Pasqua è metterci in cammino
dietro Gesù che sale al Calvario, e come il Cireneo, portare la Croce.
La meta finale non è il Golgota ma il Sepolcro vuoto”.
“Misericordia, Signore”. Il pensiero corre ai
fratelli siriani “con cui condividiamo guerra e sofferenza”, ai villaggi
cristiani della Piana di Ninive che vanno ripopolandosi di famiglie
cristiane, ma anche a quelli che stentano “a risorgere” come “Batnaya,
distrutto per l’80% e che invece si ripopola di soldati capaci solo di
devastare perché abituati alla guerra e di spargere disperazione in chi
vuole tornare. Nessuno guarda a Batnaya e ad altri luoghi di passione.
Per questo grido al cielo in nome di tutti i sofferenti: misericordia, Signore, non abbandonarci, abbiamo speranza in Te”.
Per il vescovo di Baghdad sarà questa l’intenzione di preghiera che
si leverà durante i giorni di Pasqua, nella veglia e nelle messe
celebrate nelle chiese blindate, in quelle semidistrutte e rimesse in
piedi alla meglio, in quelle ricostruite dopo i bombardamenti e il
passaggio dello Stato islamico, nei gesti liturgici che accompagnano le
celebrazioni. Ma ci sono anche gesti concreti che “la fede nella
Resurrezione” chiede ai cristiani di queste terre:
“Una maggiore presenza nella vita delle comunità. Le elezioni
in Egitto, in Libano, in Iraq saranno un’opportunità per i nostri
cristiani di mostrare la voglia di contribuire alla rinascita dei
rispettivi Paesi. Per questo diciamo a tutti di andare a votare con
coscienza, scegliendo le persone giuste, capaci di aiutare tutti i
cittadini a vivere degnamente e di costruire il bene comune contro gli
interessi particolari e la corruzione dilagante. Anche questo è un modo
per testimoniare speranza nella Resurrezione”.
“Sofferenza offerta per i cristiani del mondo”.
“Celebrare la Pasqua per noi è rimanere attaccati alla Chiesa
universale. Non sentirsi soli nella sofferenza e nella preghiera”
ribadisce mons. Warduni che lancia a “tutti i fratelli cristiani che
sono nel mondo” un appello: “Offriamo la nostra sofferenza, che dura da
millenni, per la salvezza di tutti ma pregate perché possiamo avere la
forza per farlo e risorgere insieme.
La nostra sofferenza è anche per i nostri fratelli non
cristiani con i quali condividiamo la tragedia della guerra, per coloro
che nel mondo si allontanano da Dio seguendo strade sbagliate. Preghiamo
perché sia per tutti un tempo di vera rinascita”.