By Vatican Insider - La Stampa
Gianni Valente
Gianni Valente
«L’appello di Papa Francesco a aprire le parrocchie d'Europa ai profughi respinti dai governi è come un impeto di misericordia davanti a una situazione tragica. Umanamente non si poteva fa altro. Ma questo per i nostri cristiani sarà un ulteriore incentivo a andar via».
Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro cattolico di Hassakè-Nisibi, è abituato a parlar chiaro. Un’attitudine accentuata dai quattro anni di guerra sopportati nella regione nord-orientale di Jazira, una delle aree più contese della Siria. Lo scorso giugno, quando i jihadisti dello Stato Islamico hanno assaltato Hassakè conquistandone molti quartieri, sono arrivati a poche centinaia di metri dal suo episcopio. Adesso, a suo giudizio, la mobilitazione delle Chiese europee nell’accoglienza dei profughi in fuga dalla Siria e da altri scenari di guerra potrebbe innescare effetti collaterali non calcolati: «I miei» racconta a Vatican Insider «mi diranno subito: il Papa ha detto che lì ci aprono le parrocchia e i conventi. E allora cosa aspettiamo? Penseranno anche di essere i primi a trovare accoglienza».
L’appello lanciato all’Angelus domenicale da Papa Francesco affinché ogni parrocchia d'Europa, così come le comunità religiose e monastiche e ai santuari, accolgano una famiglia di profughi in fuga dalle guerre e dalla fame ha suscitato immediata adesione nei media e in molti ambienti ecclesiali europei. Ma nei Paesi mediorientali stravolti dalle scorribande jihadiste, l'iniziativa appare sotto una luce diversa. E se ne intravvedono implicazioni e potenziali ricadute poco considerate nel fiume di reazioni positive registrate in Occidente.
Le riserve di Hindo non sono isolate. Da Tirana, dove era ospite del meeting annuale della Comunità di sant'Egidio, anche il Patriarca caldeo Louis Raphael I ha detto che l'ospitalità dei profughi in Europa «è una soluzione parziale» e occorre «impegnarsi per la pace» in Iraq e in Siria, nei Paesi cioè dove le persone in fuga dalla guerra «hanno le loro case, le loro tradizioni, la loro lingua». Il primate della Chiesa caldea ha aggiunto che «non si può essere sentimentali», e che così «il problema non viene risolto, si complica».
Nei conflitti che insanguinano da anni l'Iraq, Louis Raphael I ha più volte polemizzato coi Paesi occidentali che facilitavano la concessione di permessi di soggiorno per i cristiani in fuga dalle convulsioni mediorientali. In passato, comunicati ufficiali del Patriarcato hanno messo in guardia i fedeli caldei dalle manovre di singoli e gruppi organizzati che «soprattutto negli Stati Uniti» puntano a far aumentare i numeri della diaspora irachena per allargare la propria clientela elettorale, da mobilitare in appoggio alle loro iniziative politiche. Ed è nota la battaglia intrapresa dal Patriarca per far tornare in Iraq il «chierici vaganti» caldei, sacerdoti e religiosi emigrati in Nordamerica senza il consenso dei vescovi e dei superiori, dove avevano chiesto asilo presentandosi come vittime delle persecuzioni islamiste.
Dalla città martire di Aleppo, anche il vescovo caldeo Antoine Audo, lucido osservatore delle dinamiche mediorientali – e dei giochi di forza che le muovono - , ieri ha espresso all'Agenzia Fides considerazioni in chiaroscuro sull'appello papale alla mobilitazione delle parrocchie europee. L'iniziativa secondo il vescovo gesuita – che è anche presidente di Caritas Siria - «è un invito a tutti i cristiani ad aiutare con evangelica concretezza chi si trova in situazioni di emergenza», ma «davanti alle guerre che stravolgono il Medio Oriente, il nostro desiderio come cristiani e come Chiesa è quello di rimanere nel nostro Paese, e facciamo di tutto per tener viva la speranza». Quattro anni di guerra – ha aggiunto Audo, che è anche presidente di Caritas Siria «ci stanno logorando tutti», ma «nello stesso tempo, non ce la sentiamo di dire alla gente: scappate, andate via, che qualcuno vi accoglierà. Rispettiamo le famiglie che hanno i bambini e vanno via. Non dirò mai una parola, un giudizio non benevolo su chi va via perché vuole proteggere i suoi figli dalle sofferenze. Ma per noi è un dolore vedere le famiglie partire, e tra loro tante sono cristiane. E' un segno che la guerra non finirà, o che alla fine prevarrà chi vuole distruggere il Paese». Lo scenario prefigurato dal vescovo caldeo è quello di una lenta, mortale emorragia che svuota il Paese delle sue forze migliori: «Anche ad Aleppo sento i racconti di giovani che dicono tra loro: facciamo un gruppo e andiamo via, fuggiamo da soli, senza chiedere il permesso alle nostre famiglie... Vuol dire che qui rimarranno solo i vecchi».
I vescovi orientali fanno notare che anche le vicende tragiche dei profughi mediorientali vengono raccontate senza far cenno alle responsabilità e alle connivenze regionali e geopolitiche che hanno provocato e alimentato l'emergenza. Un meccanismo di rimozione che adesso non esita a servirsi anche delle immagini delle situazioni più sconvolgenti, finora occultate.
Il Patriarca caldeo, come altri capi delle Chiese mediorientali, ha più volte ripetuto che i conflitti e le operazioni terroristiche nella regione rispondono a un «piano per un nuovo Medio Oriente» diviso secondo frontiere religiose e cantonizzato su base etnica e settaria. Una dinamica che ha trovato sponde oggettive nelle mosse militari e d'intelligence messe in campo da circoli occidentali. Anche ieri Louis Raphael I ha accennato alle «colpe» della comunità internazionale, che vende armi e «non aiuta questi Paesi a trovare una via di pace e di riconciliazione, lasciando che questo esodo continui».
Coi suoi modi spicci, anche l'arcivescovo Hindo confida a Vatican Insider i suoi sospetti: «Forse qualche leader europeo prova a rifarsi una verginità accogliendo per ora qualche migliaio di profughi. Ma ormai siamo diventati malfidati. Non vorrei che stessero preparando l’opinione pubblica per qualche nuovo intervento militare. C'è chi da tempo persegue la tattica di intervenire massicciamente in Siria indicando come bersaglio lo Stato islamico, ma in realtà vuole colpire l’esercito di Assad». Da Aleppo, anche Audo denuncia il sistematico occultamento delle dinamiche geopolitiche e militari che hanno provocato il caos: «Noi facciamo di tutto per difendere la pace, mentre in Occidente dicono di fare tutto in difesa dei diritti umani, e con questo argomento continuano anche ad alimentare questa guerra infame. E' questo il paradosso terribile in cui ci troviamo. E non riusciamo più nemmeno a capire cosa vogliono davvero».
Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro cattolico di Hassakè-Nisibi, è abituato a parlar chiaro. Un’attitudine accentuata dai quattro anni di guerra sopportati nella regione nord-orientale di Jazira, una delle aree più contese della Siria. Lo scorso giugno, quando i jihadisti dello Stato Islamico hanno assaltato Hassakè conquistandone molti quartieri, sono arrivati a poche centinaia di metri dal suo episcopio. Adesso, a suo giudizio, la mobilitazione delle Chiese europee nell’accoglienza dei profughi in fuga dalla Siria e da altri scenari di guerra potrebbe innescare effetti collaterali non calcolati: «I miei» racconta a Vatican Insider «mi diranno subito: il Papa ha detto che lì ci aprono le parrocchia e i conventi. E allora cosa aspettiamo? Penseranno anche di essere i primi a trovare accoglienza».
L’appello lanciato all’Angelus domenicale da Papa Francesco affinché ogni parrocchia d'Europa, così come le comunità religiose e monastiche e ai santuari, accolgano una famiglia di profughi in fuga dalle guerre e dalla fame ha suscitato immediata adesione nei media e in molti ambienti ecclesiali europei. Ma nei Paesi mediorientali stravolti dalle scorribande jihadiste, l'iniziativa appare sotto una luce diversa. E se ne intravvedono implicazioni e potenziali ricadute poco considerate nel fiume di reazioni positive registrate in Occidente.
Le riserve di Hindo non sono isolate. Da Tirana, dove era ospite del meeting annuale della Comunità di sant'Egidio, anche il Patriarca caldeo Louis Raphael I ha detto che l'ospitalità dei profughi in Europa «è una soluzione parziale» e occorre «impegnarsi per la pace» in Iraq e in Siria, nei Paesi cioè dove le persone in fuga dalla guerra «hanno le loro case, le loro tradizioni, la loro lingua». Il primate della Chiesa caldea ha aggiunto che «non si può essere sentimentali», e che così «il problema non viene risolto, si complica».
Nei conflitti che insanguinano da anni l'Iraq, Louis Raphael I ha più volte polemizzato coi Paesi occidentali che facilitavano la concessione di permessi di soggiorno per i cristiani in fuga dalle convulsioni mediorientali. In passato, comunicati ufficiali del Patriarcato hanno messo in guardia i fedeli caldei dalle manovre di singoli e gruppi organizzati che «soprattutto negli Stati Uniti» puntano a far aumentare i numeri della diaspora irachena per allargare la propria clientela elettorale, da mobilitare in appoggio alle loro iniziative politiche. Ed è nota la battaglia intrapresa dal Patriarca per far tornare in Iraq il «chierici vaganti» caldei, sacerdoti e religiosi emigrati in Nordamerica senza il consenso dei vescovi e dei superiori, dove avevano chiesto asilo presentandosi come vittime delle persecuzioni islamiste.
Dalla città martire di Aleppo, anche il vescovo caldeo Antoine Audo, lucido osservatore delle dinamiche mediorientali – e dei giochi di forza che le muovono - , ieri ha espresso all'Agenzia Fides considerazioni in chiaroscuro sull'appello papale alla mobilitazione delle parrocchie europee. L'iniziativa secondo il vescovo gesuita – che è anche presidente di Caritas Siria - «è un invito a tutti i cristiani ad aiutare con evangelica concretezza chi si trova in situazioni di emergenza», ma «davanti alle guerre che stravolgono il Medio Oriente, il nostro desiderio come cristiani e come Chiesa è quello di rimanere nel nostro Paese, e facciamo di tutto per tener viva la speranza». Quattro anni di guerra – ha aggiunto Audo, che è anche presidente di Caritas Siria «ci stanno logorando tutti», ma «nello stesso tempo, non ce la sentiamo di dire alla gente: scappate, andate via, che qualcuno vi accoglierà. Rispettiamo le famiglie che hanno i bambini e vanno via. Non dirò mai una parola, un giudizio non benevolo su chi va via perché vuole proteggere i suoi figli dalle sofferenze. Ma per noi è un dolore vedere le famiglie partire, e tra loro tante sono cristiane. E' un segno che la guerra non finirà, o che alla fine prevarrà chi vuole distruggere il Paese». Lo scenario prefigurato dal vescovo caldeo è quello di una lenta, mortale emorragia che svuota il Paese delle sue forze migliori: «Anche ad Aleppo sento i racconti di giovani che dicono tra loro: facciamo un gruppo e andiamo via, fuggiamo da soli, senza chiedere il permesso alle nostre famiglie... Vuol dire che qui rimarranno solo i vecchi».
I vescovi orientali fanno notare che anche le vicende tragiche dei profughi mediorientali vengono raccontate senza far cenno alle responsabilità e alle connivenze regionali e geopolitiche che hanno provocato e alimentato l'emergenza. Un meccanismo di rimozione che adesso non esita a servirsi anche delle immagini delle situazioni più sconvolgenti, finora occultate.
Il Patriarca caldeo, come altri capi delle Chiese mediorientali, ha più volte ripetuto che i conflitti e le operazioni terroristiche nella regione rispondono a un «piano per un nuovo Medio Oriente» diviso secondo frontiere religiose e cantonizzato su base etnica e settaria. Una dinamica che ha trovato sponde oggettive nelle mosse militari e d'intelligence messe in campo da circoli occidentali. Anche ieri Louis Raphael I ha accennato alle «colpe» della comunità internazionale, che vende armi e «non aiuta questi Paesi a trovare una via di pace e di riconciliazione, lasciando che questo esodo continui».
Coi suoi modi spicci, anche l'arcivescovo Hindo confida a Vatican Insider i suoi sospetti: «Forse qualche leader europeo prova a rifarsi una verginità accogliendo per ora qualche migliaio di profughi. Ma ormai siamo diventati malfidati. Non vorrei che stessero preparando l’opinione pubblica per qualche nuovo intervento militare. C'è chi da tempo persegue la tattica di intervenire massicciamente in Siria indicando come bersaglio lo Stato islamico, ma in realtà vuole colpire l’esercito di Assad». Da Aleppo, anche Audo denuncia il sistematico occultamento delle dinamiche geopolitiche e militari che hanno provocato il caos: «Noi facciamo di tutto per difendere la pace, mentre in Occidente dicono di fare tutto in difesa dei diritti umani, e con questo argomento continuano anche ad alimentare questa guerra infame. E' questo il paradosso terribile in cui ci troviamo. E non riusciamo più nemmeno a capire cosa vogliono davvero».