By Repubblica in Diritti Globali.it
Adriano Sofri
Adriano Sofri
Dopo la decisione della signora Merkel e del suo governo di accogliere in qualità di rifugiati, in deroga a Dublino, i fuggiaschi dalla Siria, il governo italiano non dovrebbe fare lo stesso per i cristiani dell’Iraq che scampano alla persecuzione del Califfato?
Non sono ubriaco, dunque non immagino di accoglierli per una ragione settaria, discriminando altre confessioni o l’assenza di fede, che è una delle condizioni più dignitose di esistenza umana. Il fatto è che in quella regione i cristiani abitano da tempo immemorabile e sono al tempo stesso una comunità religiosa e un popolo. Nei confronti di quel popolo, come degli yazidi e di altre minoranze, si va perpetrando un genocidio. Non immagino – tanto meno – di accogliere i cristiani di Mosul e della piana di Ninive a preferenza, o a esclusione, di altri fuggiaschi, sull’increscioso esempio della Slovacchia (è la porcheria subito fatta propria da Salvini) o, meno sfrontatamente, della Polonia. L’apertura tedesca ai siriani sarebbe inaccettabile se implicasse il ripudio degli altri. È ammirevole ma imbarazzante che un autentico riscatto di cristiani venga svolto da privati, come il vegliardo lord George Weidenfeld, memore del soccorso offerto agli ebrei. Il cardinale Bagnasco ha invitato le Caritas diocesane a coordinare l’accoglienza. Un impegno del governo, significativo per sé, si tradurrebbe nella conseguenza di far arrivare i profughi per vie diverse da quelle dei barconi o della battigia di Bodrum.
Ho incontrato l’arcivescovo caldeo di Erbil, Bashar Matti Warda. Matteo Renzi conosce i suoi pensieri, netti e nettamente espressi. «Quello che subiamo risponde pienamente alla definizione giuridica e morale di genocidio, e non si aspettino vent’anni per riconoscerlo. I paesi che credono nella libertà religiosa devono impegnarsi nell’azione militare, ed è provato che i raid aerei non bastano. Per un cristiano il primo imperativo è sempre quello dell’amore, della preghiera, del dialogo e della riconciliazione. Ma l’Is oppone solo brutalità e vuole cancellare perfino la memoria del nostro popolo. Gli Stati della regione non sono in grado di difendere la sopravvivenza nostra e delle altre minoranze. I cristiani d’Iraq sono passati da un milione e mezzo a scarsi 300 mila, e si riducono ogni giorno. Il governo di Bagdad proclama che intende battersi seriamente, ma l’Is appare più forte di prima. A parte il fronte curdo, si è fatto qualche progresso a Beji e a Tikrit, ma la liberazione di Mosul è ferma, e gli aspiranti liberatori –esercito iracheno, sciiti di Hashd Shaabi, curdi- sono armati l’uno contro l’altro».
Monsignor Warda ha ripetuto il suo appello a Londra, negli Stati Uniti, col sostegno di tutte le confessioni cristiane irachene, «implorando che si intervenga con truppe di terra». «L’Is è un’aggressione globale, e i paesi da cui provengono i suoi miliziani devono sentirsene doppiamente responsabili: si tratta di loro cittadini, e la minaccia riguarda anche loro. Dovremo aspettare che arrivi dentro Roma o Parigi? Io credo di no».
Gli chiedo delle relazioni con le autorità curde. «Buone, ci lasciano operare, non solo predicare. Quando i cristiani perdono la loro casa, la chiesa è il primo riparo, la loro casa. Chiedono di aiutarli in ogni aspetto della sopravvivenza quotidiana: non è il mestiere del vescovo, del sacerdote, ma non possiamo sottrarci ».
Un suo sacerdote, Douglas al Bazi, ha appena detto a Rimini che «l’Is rappresenta l’islam, al cento per cento».
«Cerchiamo un’espressione che abbia la forza appropriata. È troppo poco dire che “l’Is non rappresenta l’Islam”, che “è una deformazione dell’Islam”. C’è un genocidio nel nome dell’Islam, e non c’è una condanna adeguata, e tanto meno un’azione adeguata».
Quanti sono i cristiani a Erbil?
«Abbiamo registrato 12.700 famiglie. Chi è partito si è fermato in Giordania, Turchia, Libano… In Europa? Molto pochi, in Svezia, Olanda, Germania, Francia…». Avete rapporti con gli yazidi?
«62 famiglie sono qui con noi, e altre 500 nel campo di Ainkawa, il nostro quartiere. Stiamo attenti a non forzare un proselitismo: qualche evangelico lo ha fatto. Noi dobbiamo solo aiutare, essere fratelli. Se in qualcuno nasce un desiderio di conoscere Cristo, è la sua libertà».
Il papa Francesco disse presto che la comunità internazionale doveva intervenire, ma si affrettò ad aggiungere: “Le bombe no, eh?”. Le bombe allora erano quelle che fermarono l’avanzata dell’Is sul Sinjar e permisero la fuga di cristiani e yazidi. «La Chiesa è sempre alla ricerca della forza minima, è spaventata dei danni collaterali. Dover auspicare la forza è tra le sventure peggiori che tocchino a un cristiano. Il Papa è stato vicino, con le preghiere e gli atti. E ha detto che c’è un genocidio di cristiani. Ci ha mandato questa Madonna… – mi mostra un ricamo che riproduce la Madonna che scioglie i nodi – ne abbiamo bisogno». Lei ha detto che nella tragedia di quest’anno le è successo di litigare col suo Dio.
«Quando hai a che fare con tanta sofferenza che tocchi, che ti tocca – che colpa abbiamo per essere puniti così duramente… – non è una punizione, certo, e tuttavia non puoi fare a meno di dirglielo. È il suo lavoro, la misericordia. Essere vescovo è ascoltare il pianto della propria gente. Ci sono vescovi, sacerdoti, con difficoltà più dure delle mie, lo so. Alla fine di ogni giorno, il modo in cui Dio mi accoglie è pieno di amore».
Che cosa pensa della possibilità che il governo italiano dichiari, come ha fatto la Germania coi siriani, di accogliere i cristiani che fuggono dal genocidio e vogliano trovare rifugio in Italia? Sarebbe una testimonianza concreta di consapevolezza della persecuzione peculiare che colpisce i cristiani.
«Deve chiederlo al suo primo ministro. Tutti sanno che gli italiani sono un popolo dal gran cuore, e ne abbiamo prove continue, missionari, medici, giornalisti, davvero senza frontiere. Gli Stati si pongono prima di tutto il problema economico. Noi assistiamo al desiderio spaventato, disperato di partire, non ce la sentiamo di opporci, di rassicurare, e insieme soffriamo per la cancellazione della cristianità nelle sue culle più preziose. Deve chiederlo al suo primo ministro».
Gli chiedo delle relazioni con le autorità curde. «Buone, ci lasciano operare, non solo predicare. Quando i cristiani perdono la loro casa, la chiesa è il primo riparo, la loro casa. Chiedono di aiutarli in ogni aspetto della sopravvivenza quotidiana: non è il mestiere del vescovo, del sacerdote, ma non possiamo sottrarci ».
Un suo sacerdote, Douglas al Bazi, ha appena detto a Rimini che «l’Is rappresenta l’islam, al cento per cento».
«Cerchiamo un’espressione che abbia la forza appropriata. È troppo poco dire che “l’Is non rappresenta l’Islam”, che “è una deformazione dell’Islam”. C’è un genocidio nel nome dell’Islam, e non c’è una condanna adeguata, e tanto meno un’azione adeguata».
Quanti sono i cristiani a Erbil?
«Abbiamo registrato 12.700 famiglie. Chi è partito si è fermato in Giordania, Turchia, Libano… In Europa? Molto pochi, in Svezia, Olanda, Germania, Francia…». Avete rapporti con gli yazidi?
«62 famiglie sono qui con noi, e altre 500 nel campo di Ainkawa, il nostro quartiere. Stiamo attenti a non forzare un proselitismo: qualche evangelico lo ha fatto. Noi dobbiamo solo aiutare, essere fratelli. Se in qualcuno nasce un desiderio di conoscere Cristo, è la sua libertà».
Il papa Francesco disse presto che la comunità internazionale doveva intervenire, ma si affrettò ad aggiungere: “Le bombe no, eh?”. Le bombe allora erano quelle che fermarono l’avanzata dell’Is sul Sinjar e permisero la fuga di cristiani e yazidi. «La Chiesa è sempre alla ricerca della forza minima, è spaventata dei danni collaterali. Dover auspicare la forza è tra le sventure peggiori che tocchino a un cristiano. Il Papa è stato vicino, con le preghiere e gli atti. E ha detto che c’è un genocidio di cristiani. Ci ha mandato questa Madonna… – mi mostra un ricamo che riproduce la Madonna che scioglie i nodi – ne abbiamo bisogno». Lei ha detto che nella tragedia di quest’anno le è successo di litigare col suo Dio.
«Quando hai a che fare con tanta sofferenza che tocchi, che ti tocca – che colpa abbiamo per essere puniti così duramente… – non è una punizione, certo, e tuttavia non puoi fare a meno di dirglielo. È il suo lavoro, la misericordia. Essere vescovo è ascoltare il pianto della propria gente. Ci sono vescovi, sacerdoti, con difficoltà più dure delle mie, lo so. Alla fine di ogni giorno, il modo in cui Dio mi accoglie è pieno di amore».
Che cosa pensa della possibilità che il governo italiano dichiari, come ha fatto la Germania coi siriani, di accogliere i cristiani che fuggono dal genocidio e vogliano trovare rifugio in Italia? Sarebbe una testimonianza concreta di consapevolezza della persecuzione peculiare che colpisce i cristiani.
«Deve chiederlo al suo primo ministro. Tutti sanno che gli italiani sono un popolo dal gran cuore, e ne abbiamo prove continue, missionari, medici, giornalisti, davvero senza frontiere. Gli Stati si pongono prima di tutto il problema economico. Noi assistiamo al desiderio spaventato, disperato di partire, non ce la sentiamo di opporci, di rassicurare, e insieme soffriamo per la cancellazione della cristianità nelle sue culle più preziose. Deve chiederlo al suo primo ministro».